Un’indagine sulla percezione del carico assistenziale tra gli infermieri italiani, nell’era del COVID-19

Emanuele Primavera 1*, Simona Leonelli, PhD.2

  1. Dipartimento Internistico, U.O. Medicina Interna, Ospedale Infermi Rimini (Italia)
  2. Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”,Università di Padova, (Italia)

* Corresponding author: Emanuele Primavera. Infermiere, Dipartimento Internistico, U.O. Medicina Interna, Ospedale Infermi Rimini (Italia). E-mail: emanuele87.primavera@gmail.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-43

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ABSTRACT

Introduzione: La pandemia, dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo 2020, a seguito dell’infezione da COVID-19, ha portato le aziende sanitarie ad affrontare una rapida riorganizzazione dei processi assistenziali. Tale condizione ha determinato cambiamenti sostanziali nella pratica degli operatori sanitari.

Obiettivo: L’obiettivo dello studio è analizzare il carico assistenziale percepito dagli infermieri italiani, che a causa del COVID-19, si trovano a rispondere sul campo a nuovi bisogni assistenziali.

Materiali e Metodi: È stata condotta un’indagine trasversale attraverso la somministrazione di un questionario online riguardante il carico assistenziale percepito dagli infermieri, attraverso l’Indice di Dipendenza Assistenziale (IDA score). Il questionario è stato somministrato nei mesi di Aprile e Maggio 2020 ed è stato postato in tre gruppi di infermieri su Facebook. I post sono stati visualizzati da 956 persone e 281 questionari completi sono stati restituiti(tasso di risposta 29.4%).

Risultati: I risultati mostrano che gli infermieri percepiscono un IDA score medio-alto, cioè in media i pazienti richiedono un’assistenza relativamente elevata. Movimento, igiene,ambiente sicuro e respirazione sono i bisogni maggiormente percepiti ad alta dipendenza. Inoltre, gli infermieri che hanno percepito un carico assistenziale maggiore sono principalmente localizzati nel Sud Italia e Isole, di sesso maschile, con età superiore ai 40 anni e operanti nei reparti di area critica e/o nei reparti COVID-19.

Discussione: Volendo fornire una fotografia della situazione lavorativa attuale del nostro campione di infermieri Italiani, i risultati hanno mostrano differenze interessanti tra le percezioni degli infermieri in base al genere, all’età, all’area geografica e al reparto di appartenenza. I risultati del nostro studio mostrano che i bisogni a maggior dipendenza assistenziale in questo periodo pandemico sono: movimento, igiene,ambiente sicuro e respirazione. Questi, nella letteratura internazionale, vengono generalmente tralasciati dagli operatori a causa di carenza di personale nei reparti e numero troppo elevato di pazienti per operatore. Pertanto, nel periodo pandemico, questi bisogni sono riemersi e si è riscoperto da un lato, l’importanza per il paziente e dall’altro l’impegno che essi richiedono all’operatore per essere attuate. Di qui la nostra conclusione: la dipendenza assistenziale del paziente affetto da COVID-19 ha un grande impatto sul lavoro e sul benessere psico-fisico dell’infermiere.

Parole Chiave: Nursing, COVID-19, dipendenza assistenziale, pandemia, infermieristica clinica

A survey on the perception of the care workload among Italian nurses in COVID-19 time

 

ABSTRACT

Introduction: Following the COVID-19 infection, the World Health Organization declared the world-wide pandemic on 11th March 2020. This event has led to a reconfiguration of healthcare companies with a reorganization of the work activity of health personnel. This reconfiguration has involved and upset the ordinary routine of healthcare professionals.

Objective: The study aims to analyze the Italian nurses’ perceived workload that because of COVID-19 pandemic has changed patients care needs.

Materials and Methods: A cross-sectional survey was conducted by administering an online questionnaire related to the care workload perceived by nurses (i.e., the IDA score). The questionnaire was administered between April and May 2020 and was posted on the wall of three Facebook groups of nurses. 956 people view the posts, and 281 complete surveys returned (response rate of 29.4%).

Results: Results show that nurses perceive a medium-high IDA score; that is, on average, patients require relatively high assistance. The patients’ needs that required nurses’ greater assistance were movement, hygiene, the need for a safe environment, and breathing. Furthermore, nurses located in southern Italy and the islands, male nurses, those over the age of 40, and those operating in critical areas and/or in COVID-19 wards perceived a greater care load for patients, compared to their counterparts.

Discussion: The paper provides a photograph of the current working situation of Italian nurses. Results have shown interesting differences between the nurses' perceptions based on gender, age, geographic area, and wards. The results of our study show that the most critical patients’dependence needs in this pandemic period are: movement, hygiene, safe environment, and breathing. International literature shows that operators generally overlook those due staff shortages in the wards and too high number of patients per operator. Therefore, these needs came back into vogue in the pandemic period; on one side Italian nurses rediscovered the importance of those patients’ need, and on the other hand, patients require from the operator harder assistance. Hence our conclusion: the care dependence of the coronavirus patient has a great impact on the nurse’s work and psychophysical well-being.

Keywords: Nursing, COVID-19, dependence care, Pandemic, Clinical Nursing.

 

INTRODUZIONE:

Nel Dicembre 2019, in Cina nella regione di Whuan, è stato emanato un bollettino, riguardante la presenza di un focolaio epidemico per una polmonite ad eziologia sconosciuta. Con il passare dei giorni, la malattia si è iniziata a diffondere in ogni Regione e in ogni Stato, arrivando ad espandersi principalmente negli Stati Uniti d’America, nel Brasile, nell’Alaska e nell’India(Figura 1).Infatti, l’11 marzo 2020 il direttore generale dell’OMS ha definito la diffusione del COVID-19 non più una epidemia confinata ad alcune zone geografiche, ma una pandemia diffusa in tutto il pianeta.

Figura1. Distribuzione geografica di casi confermati di COVID-19 a livello mondiale (dati aggiornati al 5 Ottobre 2020).Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità[1]

I coronavirus (CoV) sono una tipologia di virus a RNA che causano infezioni respiratorie con quadri clinici che variano dal comune raffreddore a malattie più gravi, come la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS)[2,3].

Il coronavirus, scoperto più di recente, causa la malattia da coronavirus COVID-19, così denominato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (COronaVIrus Disease-19 in base all’anno di comparsa) [4].

Le principali manifestazioni del COVID-19 sono a carico delle basse vie dell’apparato respiratorio. Le più conosciute manifestazioni spaziano da sintomi più lievi come tosse secca, mal di gola e febbre, a sintomi più gravi con complicanze fatali tra cui insufficienza d’organo, shock settico, edema polmonare, polmonite grave e sindrome da di-stress respiratorio acuto (ARDS)[5–7]. In particolare, il 54.3% degli infettati è risultato di sesso maschile, con un’età media di circa 56 anni[8,9].

In Italia, i primi casi di COVID-19, sono stati diagnosticati il 30 Gennaio presso l’Istituto Spallanzani di Roma, e riguardavano una coppia di turisti cinesi che si trovavano a Roma. L’Istituto Superiore di Sanità, con l’ausilio del Ministero della Salute, si è occupato di studiare il fenomeno della diffusione in Italia e ha emanato una serie di linee guida per la popolazione, aprendo una sezione dedicata alla raccolta dei documenti scientifici con le evidenze scientifiche più recenti[2]. In Italia, il 60% dei decessi per patologia da COVID-19, ha riguardato la popolazione residente in Lombardia, rappresentando la regione maggiormente colpita [10].L’età media dei pazienti deceduti e positivi all’infezione da COVID-19 è di 80 anni, presenta in anamnesi generalmente 3 o più patologie pregresse e i sintomi più comunemente osservati prima del ricovero erano febbre e dispnea [11].

A seguito dell’infezione da COVID-19, le aziende sanitarie hanno dovuto affrontare una rapida riorganizzazione dei processi assistenziali. Inizialmente, si è manifestato un incremento del carico lavorativo degli infermieri e quasi contemporaneamente una diminuzione del personale a causa del contagio al COVID-19 degli stessi. Successivamente, le aziende sanitarie si sono trovate di fronte alla necessità di dover riorganizzare anche le strutture ospedaliere creando nuovi padiglioni, reparti e ospedali dedicati. Questi fenomeni hanno portato alla necessità di assumere nuovo personale o di riconvertire il personale che operava in reparti momentaneamente chiusi. Questi cambiamenti repentini hanno trasformato radicalmente la vita professionale del personale sanitario incidendo principalmente sulla loro percezione del carico lavorativo. Per indagare questo fenomeno è stato condotto uno studio trasversale, mediante la somministrazione di un questionario online ad un campione di infermieri italiani.

Obiettivo: L’obiettivo dello studio è analizzare il carico assistenziale percepito dagli infermieri italiani, che a causa del COVID-19, si trovano a rispondere sul campo a nuovi bisogni assistenziali. Lo studio contribuisce a colmare la carenza di dati inerenti il nursing nel COVID-19 in quanto evento raro.

MATERIALI E METODI

Lo studio si basa un’indagine trasversale eseguita tra Aprile e Maggio 2020, mediante un questionario online distribuito ad un campione di infermieri italiani. La somministrazione del questionario è avvenuta tramite Facebook, il social network più utilizzato a livello mondiale [12]. Alcuni studiosi affermano che una raccolta dati attuata attraverso social network escluderebbe dal campionamento tutte le persone che non li utilizzano [13,14]. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che Facebook, grazie alla sua elevata capillarità, riesce comunque ad essere rappresentativo anche di tutte quelle categorie che in minoranza utilizzano internet [12,15]. Inoltre, in riferimento al nostro studio, non abbiamo riscontrato questa problematica di sotto rappresentatività, poiché il campione da noi selezionato (infermieri italiani),possiede tutte le caratteristiche che accomunano le persone che generalmente utilizzano questo social network. Infatti, gli infermieri sono persone istruite, che vivono in aree metropolitane, che hanno un’età compresa tra i 20 ed i 65 anni e hanno facilmente a disposizione internet[16,17].

In primo luogo, una breve introduzione allo studio e il link al questionario sono stati postati su tre pagine Facebook in cui sono iscritti numerosi infermieri. Questa strategia è stata utilizzata per raggiungerne il numero maggiore. Al contrario, studi precedenti, per raggiungere il campione target,hanno utilizzato i Facebook advertising, che sono uno strumento a pagamento che consente di invitare a partecipare al questionario persone che per età, interessi, posizione geografica o lavoro rientrano nei target di riferimento stabiliti. Tuttavia la ratio dietro all’utilizzo dei Facebook advertising è simile a quella utilizzata dal nostro studio e cioè raggiungere il maggior numero di persone con determinate caratteristiche [18]. In secondo luogo, i 3 post sono stati riportati in alto per 3 volte,in modo da essere visualizzati più facilmente.

Poiché è difficile individuare un campione di partenza quando si somministrano dei questionari online, abbiamo seguito le indicazioni di Houser[19], le quali suggeriscono di calcolare il campione totale considerando le persone effettive che hanno visualizzato il post. Per fare ciò, abbiamo utilizzato il tool Brand24 che consente di monitorare il numero di visualizzazioni dei post pubblicati sui social network. Su un totale di 956 visualizzazioni, solamente il 29.4% (281)degli infermieri ha completato il questionario in forma anonima.

Il questionario, creato sulla piattaforma Google moduli, è composto da due parti: la prima riguarda il carico assistenziale percepito, che è stato misurato tramite l’IDA score[20,21]integrato con altri indici di complessità assistenziale[22] e la seconda riguardante i principali dati anagrafici degli operatori (genere, anno di nascita, provincia in cui si lavora e reparto di riferimento).

Il Comitato Etico Locale ha stabilito che in questo caso non era richiesta l’approvazione etica formale. Tuttavia, i partecipanti allo studio hanno firmato il consenso informato e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali in modalità digitale. Al fine della compilazione del questionario, non sono stati offerti o previsti incentivi economici. Lo studio è stato condotto in conformità con le considerazioni etiche delle dichiarazioni di Helsinki.

 

Misure

Il carico assistenziale percepito è stato misurato utilizzando l’Indice di Dipendenza Assistenziale (IDA) che analizza il livello di dipendenza dall’assistenza infermieristica [23]. Esso si compone di 7 aree (bisogni assistenziali e procedure diagnostico/terapeutiche) ciascuna divisa in 4 livelli di dipendenza con punteggio variabile da 1 (maggiore dipendenza) a 4 (minore dipendenza) [20,21].

L’IDA score non include però, il bisogno di Respirazione, Ambiente Sicuro e Comunicazione, fattori fondamentali da considerare per i pazienti sintomatici positivi al COVID-19[6]. Pertanto si è ritenuto opportuno inserirle integrando l’IDA Score con le tre variabili nell’indice di complessità assistenziale creato da Cavaliere e Snaidero nel 1999 [22]. La Tabella 1 sintetizza le variabili utilizzate in questo studio, ovvero l’IDA score integrato con i tre indici di complessità assistenziale.

Tabella 1. Indice di Dipendenza Assistenziale + Indice di Complessità Assistenziale (Respirazione, Comunicazione e Ambiente Sicuro).

Agli infermieri è stato chiesto di misurare il carico di lavoro percepito in base alla media dei pazienti assistiti nei mesi precedenti la somministrazione del questionario. Le risposte sono state classificate seguendo l’andamento di una scala Likert a 4 punti, dove il valore 1 indica un’alta dipendenza, 2 una dipendenza medio-alta, 3 una dipendenza medio-bassa e 4 una dipendenza bassa. L’IDA Score percepito da ogni infermiere è stato calcolato procedendo alla somma aritmetica dei 10 item. Una misura dello score tra 10 e 20 indica un’alta dipendenza assistenziale del paziente, tra 21 e 30 una media dipendenza e infine, tra 31 e 40 una bassa dipendenza.

 

Analisi Statistica

I dati sono stati espressi come numeri assoluti o percentuali, oppure come media e deviazione standard(SD) o media e corrispondente intervallo di confidenza al 95% a seconda del tipo di variabile. Inoltre le variabili qualitative come il genere e l’area COVID-19, sono state riclassificate come variabili dummy, nel modo seguente:

  • Genere: 0 = donne, 1 = uomini;
  • Area COVID-19: 0=no COVID-19, 1= COVID-19.

Mentre per le variabili come l’età, stratificata in quattro intervalli, l’area di lavoro e l’area geografica, sono state definite delle variabili multinomiali utilizzando delle scale con valori da 1 a 4. In particolare, abbiamo assunto:

  • Età: 1 = <30 anni, 2 = 30-39, 3 = 40-49, 4 =>50;
  • Area di lavoro: 1 = Area Medica(Medicina, Lungodegenza, Geriatria, Area COVID-19, Post-COVID-19, Post-Acuti, Cardiologia, Riabilitazione Intensiva, Malattie Infettive, Pneumologia, Fisiopatologia Respiratoria semi-intensiva, Nefrologia, Oncologia, DH Reumatologia, Neurologia, Area Filtro), 2 =Area Critica(Terapia Intensiva, Pronto Soccorso, Medicina d’Urgenza, UTIC, Stroke Unit, Cardio-rianimazione), 3 =Area Chirurgica (COVID-19 Chirurgico, Chirurgia, Chirurgia Vascolare, Ortopedia, Traumatologia poli specialistica, Ginecologia, Neurochirurgia, Sala Operatoria, Breast-Unit), 4 = Altro (ADI, RSA, Centro Trasfusionale, Centro di Salute Mentale, Hospice, Casa circondariale, Pediatria, Psichiatria, Emodialisi, CRA, Cure Palliative territoriali, Igiene Pubblica, Endoscopia);
  • Area geografica: 1 = Nord-Est, 2 =Nord-Ovest, 3 = Centro, 4 = Sud ed Isole;

Tutte le analisi statistiche sono state eseguite utilizzando il software statistico StataSE(versione 16),mentre le rappresentazioni grafiche sono state effettuate tramite Microsoft Excel (versione 16.39).

 

RISULTATI

Su un totale di 956 visualizzanti, 281 questionari sono stati restituiti, pertanto il tasso di risposta è stato del 29.4%. Le caratteristiche demografiche degli infermieri intervistati sono riportate in Tabella 2. In particolare, l’84.3% dei rispondenti è rappresentato da infermiere, mentre solo il 15.7% da infermieri. Inoltre, gli infermieri under 30 anni rappresentano il 16.7% del nostro campione, gli infermieri con età compresa tra i 30 e i 39 anni rappresentano il 32.8%, quelli con un’età compresa tra i 40 ed i 49 anni il 30.6% ed infine gli over 50 rappresentano il 19.6% del campione.

Riguardo alle aree di lavoro, l’analisi del campione mostra che il 48.4% degli intervistati afferisce all’area Medica (Medicina, Lungodegenza, Geriatria, Area COVID-19, Post-COVID-19, Post-Acuti, Cardiologia, Riabilitazione Intensiva, Malattie Infettive, Pneumologia, Fisiopatologia Respiratoria semi-intensiva, Nefrologia, Oncologia, DH Reumatologia, Neurologia ed Area Filtro), il 28.1% afferisce all’area Critica (Terapia Intensiva, Pronto Soccorso, Medicina d’Urgenza, UTIC, Stroke Unit e Cardio-rianimazione), l’14.6% afferisce rispettivamente all’area Chirurgica (COVID-19 Chirurgico, Chirurgia, Chirurgia Vascolare, Ortopedia, Traumatologia poli specialistica, Ginecologia, Neurochirurgia, Sala Operatoria e Breast-Unit) e altro (ADI, RSA, Centro Trasfusionale, Centro di Salute Mentale, Hospice, Casa circondariale, Pediatria, Psichiatria, Emodialisi, CRA, Cure Palliative territoriali, Igiene Pubblica e Endoscopia) per l’8.9%.Considerando le 4 macro-aree individuate dall’ISTAT[24], il 29.5% del campione lavora in strutture sanitarie del Nord-Est (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto), il 32.7% in quelle del Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta), il 17.5% in strutture sanitarie del Centro Italia (Lazio, Marche, Toscana ed Umbria) e il 20.3% in strutture sanitari e dislocate al Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia) e nelle Isole (Sicilia e Sardegna).

Tabella 2.Caratteristiche del campione intervistato stratificato per genere, età, area geografica e area di lavoro.

Nella Tabella 3 è indicatolo score di dipendenza assistenziale percepito dagli infermieri. I risultati del nostro studio mostrano che il 36.3% degli intervistati ha percepito un carico assistenziale alto, il 49.1% un carico assistenziale medio e il 14.6% degli infermieri ha percepito un carico assistenziale basso.

Tabella 3. Indice Dipendenza Assistenziale e Score nel campione.

Nella Figura 2 sono riportate le medie e i rispettivi intervalli di confidenza di ogni item dell’indice di dipendenza assistenziale integrato.

Legenda: Il giudizio è espresso da 1 altamente dipendente dall’operatore a 4 poco dipendente; il punto rappresenta la media e i baffi l’intervallo di confidenza al 95%.

Figura 2. Valori Medi di Indice di Dipendenza Assistenziale del paziente COVID-19 percepita dagli infermieri.

In particolare, i bisogni che hanno richiesto una maggiore domanda assistenziale, sono risultati l’Igiene e Comfort (valore medio IDA=1.6), la Mobilizzazione (valore medio IDA=1.7) ed infine l’Ambiente Sicuro (valore medio IDA=1.9). Mentre i bisogni, che sono risultati a minor domanda assistenziale, sono stati l’Eliminazione (Valore medio IDA= 2.6), le Procedure (Valore medio IDA= 2.5) e la Percezione Sensoriale (Valore medio IDA= 2.5). Possiamo notare che il bisogno di respirazione, considerato uno degli elementi di maggior monitoraggio in questa tipologia di patologia [25,26], assume come valore medio IDA pari a 2.1, ricadendo quindi nella connotazione medio/alta. Nella Figura 3 ne viene analizzato il dettaglio delle percentuali.

Figura 3. Dettaglio dei valori percentuali relativo all’item “Respirazione dei pazienti”dell’IDA score.

Il 33.8% degli infermieri ha affermato che i propri pazienti assistiti mostrava la necessità di utilizzo di ventilazione non invasiva (CPAP, Casco, Optiflow), mentre il 28.8% ha dichiarato che i propri pazienti presentavano Dispnea da Sforzo e/o necessità di bronco-aspirazione, ossigenoterapia ad alti flussi. Nella Figura 4 viene riportata la distribuzione percentuale dell’IDA score percepito dagli infermieri, specificato nelle varie aree geografiche. Nord-Ovest, Nord-Est e Centro mostrano una percezione dello score medio da parte degli infermieri (52.2%, 59.0%, 44.9% rispettivamente). Mentre, il 50.9% degli infermieri intervistati al Sud e alle Isole afferma di aver percepito una dipendenza assistenziale alta.

Figura 4. Distribuzione Percentuale dell’IDA score percepitodagli infermieri, nelle varie aree geografiche.

La Figura 5 riporta la percezione della dipendenza assistenziale del paziente COVID-19, in base al genere del rispondente.

Figura 5. Distribuzione IDA score percepito per genere.

In particolare, il 50.6% delle donne ha percepito una media dipendenza assistenziale del paziente, rispetto al 40.9% degli uomini. I quali, al contrario, hanno invece percepito in egual misura anche l’alta dipendenza (40.9%).

Nella Figura 6 è stata riportata la dipendenza assistenziale percepita, in relazione alla suddivisione per classi di età.

Figura 6. Percentuale IDA score percepito per classi di età.

Analizzando i dati, si evidenzia che la media dipendenza assistenziale è stata quella maggiormente percepita da tutte le fasce di età considerate nello studio; in particolare, dal 61.7% dei soggetti con età inferiore a 30 anni, dal 53.3% di quelli con età compresa tra i 30 e i 39 anni, dal 41.9% di quelli con età compresa tra i 40 e i 49 anni e dal 42.9% degli over 50.

Nella Figura 7, si è analizzato l’IDA score percepito dagli infermieri nelle varie aree di lavoro.

Nell’Area Critica è emerso che la dipendenza assistenziale percepita è stata alta per il 70.9% dei casi. Nell’Area Chirurgica, nell’Area Medicae “Altro” lo score percepito dal campione è stato di media intensità assistenziale (41.4%, 63.3% e 60.0%, rispettivamente).

Figura 7. Percentuale IDA score percepito per Aree lavorative di appartenenza.

Entrando nel dettaglio, nella Figura 8, sono riportati i valori percentuali dell’IDA score percepito dagli infermieri in base alla loro appartenenza ad un reparto COVID-19/No-COVID-19.

Figura 8. Percentuale IDA score percepito per in base alla tipologia di reparto COVID-19/No-COVID-19.

I risultati mostrano che sia nei reparti COVID-19 che in quelli No-COVID-19, il carico assistenziale percepito dagli operatori è prevalentemente medio (50.0% per i reparti COVID-19 e 47.2% per i reparti No-COVID-19). Tuttavia, nei reparti COVID-19, il 40.1% degli intervistati ha riferito di percepire un carico assistenziale alto,rispetto al 28.1% dei colleghi operanti nei reparti No-COVID-19. Pertanto, nei reparti COVID-19, il90.1% degli intervistati ha percepito un carico di lavoro Medio/Alto, rispetto alla controparte dei colleghi che lavorano in reparti No-COVID-19, di cui solo il 75.3% ha percepito un carico di lavoro Medio/Alto.

DISCUSSIONE

La pandemia generata dal COVID-19 ha portato ad un riassetto dell’organizzazione infermieristica, con maggiore richiesta di domanda assistenziale. La misurazione dell’indice di dipendenza assistenziale percepito dagli infermieri ha consentito di fotografare la situazione attuale su un campione casuale di infermieri, fornendone un quadro delle caratteristiche assistenziali del paziente affetto da COVID-19.

I risultati hanno mostrato che tra gli indici infermieristici percepiti attraverso l’IDA score, quelli che hanno avuto una maggiore domanda assistenziale sono stati igiene, movimento, ambiente sicuro e respirazione. Studi precedenti hanno dimostrato che igiene e movimento sono elementi infermieristici che vengono spesso tralasciati nella misura del 41% dagli infermieri italiani [27].Tralasciare alcuni elementi dell’assistenza infermieristica non è corretto, perché il soddisfacimento dei bisogni dell’uomo è facente parte della professione infermieristica; Tuttavia, nella pratica clinica, si dà priorità alle cure richieste dal medico piuttosto che dare la precedenza ai bisogni assistenziali della persona[28]. Inoltre, la cura dell’igiene, il movimento e l’ambiente sicuro rientrano tra le cure essenziali infermieristiche e cioè rappresentano il cuore della pratica infermieristica in quanto corrispondono ai bisogni più intimi della persona [29]. Riguardo alla respirazione, il dato derivante dal nostro studio è in linea con i dati a livello nazionale che indicano tra i sintomi più comuni dei pazienti positivi al COVID-19 la dispnea (73%) e la tosse (38%) [7]. Infatti, dai nostri dati emerge che una discreta parte dei pazienti ha avuto necessità di utilizzo di sistemi di ventilazione non invasiva e la gran parte ha usufruito di ossigeno terapia. Da ciò deriva una maggiore richiesta assistenziale percepita, ma anche effettiva, che ha caratterizzato i pazienti affetti da COVID-19.

Un risultato molto interessante riguarda la percezione della dipendenza assistenziale nelle diverse aree geografiche. Nonostante il Nord Italia sia stato il territorio con una maggiore presenza del virus [11], gli infermieri del Sud Italia e Isole hanno percepito maggiormente un IDA score alto, cioè una dipendenza assistenziale maggiore, rispetto ai colleghi del Nord Italia, che hanno invece percepito maggiormente un IDA score medio, cioè una dipendenza assistenziale più contenuta. Rispetto al genere degli infermieri intervistati, i nostri risultati mostrano che gli uomini percepiscono un carico assistenziale medio/alto mentre le donne percepiscono un carico assistenziale medio. Questo risultato non è in linea con la letteratura internazionale che in generale sottolinea una maggiore percezione del carico lavorativo da parte delle infermiere. Esse si trovano a dover affrontare maggiori richieste a livello mentale,che derivano dal combinarsi di problematiche interne ed esterne all’ambiente lavorativo, e alle difficoltà legate alla gestione del tempo lavorativo e al maggiore sforzo fisico da sostenere[20,21]. Inoltre,dai dati analizzati è emerso che gli infermieri con età più elevata, percepiscono una maggiore dipendenza assistenziale. Nella letteratura scientifica è noto che, con l’avanzare dell’età, si percepisce un maggiore sforzo fisico, si ha una minore tolleranza allo stress e ai carichi lavorativi[20,22]. Pertanto, le aziende dovrebbero non sottovalutare la percezione dei carichi di lavoro da parte degli infermieri “senior”, ma dovrebbero favorire interventi, come il tutoraggio nei confronti degli infermieri “junior” e la flessibilità dell’orario di lavoro incentivando turni più brevi e/o part-time [33]. Inoltre, la pandemia e il notevole carico assistenziale richiesto dal paziente affetto da COVID-19 hanno sottolineato maggiormente l’importanza del monitoraggio del peso dell’assistenza infermieristica, soprattutto attraverso l’utilizzo di strumenti nella pratica clinica[34].

I risultati riguardanti le aree lavorative che maggiormente hanno percepito il peso assistenziale del paziente durante la pandemia COVID-19 sono in linea con la letteratura internazionale, la quale mostra che l’assistenza e la cura del paziente deve essere effettuata prevalentemente in area critica con uno stretto monitoraggio dei parametri [6]. Si evidenzia pertanto che gli infermieri delle aree critiche hanno percepito un elevato carico assistenziale rispetto ai colleghi nelle altre aree.Infine, gli infermieri che lavorano presso le aree COVID-19 hanno riportato un aumento della percezione di domanda assistenziale e conseguentemente del carico di lavoro. Questo risultato è in linea con altri studi internazionali[35,36]; Lucchini e colleghi [35], ad esempio, effettuando uno studio retrospettivo, hanno dimostrato che la presenza del COVID-19 ha incrementato del 33% il carico di lavoro infermieristico rispetto all’anno precedente.

Gli operatori sanitari e i pazienti ricoverati in questo periodo pandemico hanno avuto uno stress maggiore e si sono ritrovati più del solito a vivere in continuo contatto. Infatti, a seguito della pandemia, i parenti non sono più stati ammessi negli ospedali e nelle altre strutture sanitarie e quindi il personale sanitario è stato l’unico punto di contatto con il mondo esterno per molti pazienti. Si è già manifestato un primo ritorno alle cure essenziali infermieristiche, che però devono essere ulteriormente promosse ed incentivate, poiché rappresentano il cuore della professione infermieristica e cioè il prendersi cura dei bisogni di natura fisica, psicosociale e relazionale dei pazienti [37,38].La pandemia generata dal COVID-19 deve essere vista come un’opportunità per identificare anche elementi positivi in situazioni difficili. Questa opportunità deve essere sfruttata al fine di rendere più efficace ed efficiente l’organizzazione e il carico lavorativo degli infermieri.

LIMITAZIONI: In questo studio preliminare è stata sviluppata un’indagine statistica puramente descrittiva condotta su un campione di infermieri. I risultati sono validi per il campione considerato tuttavia, per consentirne la generalizzazione all’intera popolazione italiana di infermieri, andrebbe eseguita un’analisi inferenziale. Inoltre, in questo studio non è stata considerata la nazionalità degli operatori, che potrebbe avere un impatto sulla percezione del carico assistenziale degli infermieri. Ad esempio, pensando ad una comparazione tra vari Paesi, non sono state considerate le diversità dei sistemi sanitari nazionali e le differenze nella loro articolazione sul territorio, nella normativa, nella gestione e nei processi formativi di base e post base degli infermieri. Ricerche future possono approfondire e ampliare il tema del nostro studio, utilizzando altri strumenti d’indagine. Inoltre, sarebbe interessante investigare nel dettaglio la relazione esistente tra carico assistenziale percepito dagli infermieri e le caratteristiche delle organizzazioni in cui essi lavorano o le caratteristiche dell’ambiente circostante.

 

EVENTUALI FINANZIAMENTI:

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

 

CONFLITTI DI INTERESSE:

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

 

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INDAGINE CONOSCITIVA SUL CONCETTO DI COMPETENZA AVANZATA NELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

Fiocco Claudia1, Dionisi Sara2*, Di Simone Emanuele3, Cappitella Carmen1,  Giannetta Noemi4, Di Muzio Marco3.

  1. RN, MSN, Azienda Ospedaliero Universitaria S. Andrea di Roma, Italia
  2. RN, MSN, PhDs, Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione, Università di Roma Tor Vergata, Italia
  3. RN, MSN, PhD, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Italia
  4. RN, MSN, PhDs, Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione, Università di Roma Tor Vergata, Italia; Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Italia

* Corresponding authors: Dr. Sara Dionisi, Department of Biomedicine and Prevention – University of Rome Tor Vergata, Italy. E-mail: srdionisi@gmail.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-42

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduzione: L’evoluzione della formazione infermieristica ha di fatto portato ad un accrescimento di conoscenze e competenze che hanno reso gli infermieri dei veri e propri professionisti. Con l’introduzione del comma 566 della Legge di stabilità del 2015 e della Legge 24 del 2017, è stata posta una maggiore attenzione sull’utilizzo delle Linee Guida e su come esse, insieme alla buona pratica, possano ridurre il ricorso ad una medicina difensiva.

Obiettivo: Indagine sulle conoscenze del personale infermieristico riguardanti i concetti di competenza avanzata e responsabilità professionale, in relazione al loro agire quotidiano, e ai nuovi assetti normativi.

Materiali e Metodi: Uno studio cross-sectional è stato eseguito su un campione di 60 soggetti fra Giugno 2019 e Settembre 2019, presso l’ospedale Policlinico Umberto I di Roma. È stata condotta una survey, rivolta agli infermieri operanti nel setting dell’area critica e chirurgica, mediante l’utilizzo di un questionario non validato, in forma anonima in cui vengono analizzati e saggiati: a) dati anagrafici; b) analisi dell’attività lavorativa; c) analisi delle conoscenze.

Risultati: Sono stati convalidati per lo studio 60 questionari correttamente compilati, con un tasso di risposta del 63.8%. Il 68.3% degli infermieri era di sesso femminile ed il 31.6% di sesso maschile. L’età media del campione è di 35.2 anni. Il 16.7% degli infermieri utilizza sempre le linee guida aziendali/ministeriali nella pratica clinica; il 36.7% le usa raramente; il 41.7% le utilizza abbastanza, mentre il 5% non le utilizza mai. In relazione alla conoscenza della normativa vigente, emerge che il 48.3% non conosce il comma 566 della Legge di stabilità, con il 48.3% del campione che asserisce di conoscere la Legge Gelli.

Conclusione: Dai risultati ottenuti emerge la necessità del personale infermieristico di una maggiore formazione circa gli aspetti legali della professione mediante una formazione dedicata. Inoltre emerge l’importanza dell’aggiornamento professionale come mezzo per non incorrere in atti di medicina difensiva.

Parole Chiave: Competenze avanzate, Comma 566/2015, Legge Gelli, Linee guida, aggiornamento professionale.

 

SURVEY ON THE CONCEPT OF ADVANCED SKILLS IN THE NURSING PROFESSION: A PILOT STUDY.

ABSTRACT

Introduction: The evolution of nursing education has in fact led to an increase in knowledge and skills that have made nurses real professionals. With the introduction of paragraph 566 of the 2015 Stability Law and Law 24 of 2017, greater attention has been paid to the use of the Guidelines and how they, together with good practice, can reduce the use of defensive medicine.

Aim: The aim of this is to investigate the knowledge of nursing staff regarding the concepts of advanced competence and professional responsibility in relation to their daily actions, considering the new law framework.

Materials and Methods: A cross-sectional study was performed on a sample of 60 responders between June 2019 and September 2019, at the Policlinico Umberto I hospital in Rome.A survey was conducted, aimed at nurses operating in the critical and surgical area setting, through the use of an anonymous, non-validated questionnaire in whic the following are analyzed and tested: a) personal data; b) analysis of work activity; c) knowledge analysis.

Results: 60 correctly completed questionnaires with a response rate of 63.8% were validated for the study. 68.3% of the nurses were female and 31.6% male. The average age of the sample is 35.2 years. 16.7% of nurses always use company / ministerial guidelines in clinical practice; 36.7% rarely use them; 41.7% use them enough, while 5% never use them. In relation to the knowledge of current legislation, it emerges that 48.3% do not know paragraph 566 of the Stability Law, with 48.3% of the sample claiming to know the Gelli Law.

Conclusion: The results obtained show that the nursing staff need more training on the legal aspects of the profession through dedicated training. Furthermore, the importance of professional updating emerges as a means of not incurring defensive medicine.

Keywords: Advanced Skills, paragraph 566/2015, Gelli Law, Guidelines, Professional Update.

 

INTRODUZIONE

L’evoluzione della formazione infermieristica ha di fatto portato ad un accrescimento di conoscenze e competenze che hanno reso gli infermieri dei veri e propri professionisti. L’autonomia professionale, sancita dal Profilo Professionale emanato nel 1994, delinea un corpo di competenze e di responsabilità specifiche. L’attuale quadro giuridico di riferimento infatti delinea i profili di responsabilità in modo inequivocabile [1,2]. Il Profilo professionale, il Codice deontologico e il bagaglio formativo ed esperienziale [3], definivano prima della legge Gelli, i limiti della responsabilità di chi attuava l’assistenza infermieristica.

Tuttavia negli ultimi anni, le richieste di risarcimento da parte degli utenti nei confronti del sistema sanitario e delle figure professionali ivi coinvolte, sono divenute sempre più frequenti. Conseguentemente a tale cambiamento, la risposta è stata quella di una medicina orientata principalmente alla eventuale difesa del proprio operato in caso di contenzioso [4,5].

Per arginare un fenomeno che nasce dall’esigenza di far sentire tutelato (anche) il professionista e che di fatto gravava sui bilanci delle aziende sanitarie, è stato quindi necessario definire un quadro normativo che rimodellasse i profili di responsabilità di tutti gli operatori della salute. Sono stati proprio questi i presupposti che hanno portato all’evoluzione del decreto Balduzzi – emanato nel 2012 - con la legge Gelli-Bianco [6,7], un profilo giuridico che si basa su due concetti cardine: la sicurezza delle cure e della persona assistita e la responsabilità professionale dell’operatore sanitario [8-10].

Responsabilità e competenze sono di fatto un binomio frequente nell’attuale panorama giuridico e proprio in relazione al core di conoscenze e di competenze, è utile sottolineare che è riconosciuto come specialista colui che è in possesso di master di primo livello nelle professioni sanitarie, mentre saranno esperti coloro che hanno acquisito competenze avanzate grazie a percorsi formativi complementari regionali e ad attività professionali svolte anche in base a protocolli concordati tra le rappresentanze delle professioni mediche e dell’area sanitaria in generale [11-13].

L’analisi della letteratura ha evidenziato, come anche nel panorama internazionale sia sempre di maggiore interesse il concetto di competenze avanzate e di come esse debbano essere definite sia a livello pratico, sia a livello giuridico.

Secondo Clark e colleghi [14] la formazione post base aumenta le potenzialità critiche e decisionali con un conseguente miglioramento della qualità assistenziale. A tal fine andrebbero stimolati gli istituti di istruzione, di concerto con le strutture sanitarie, a proporre nuovi master ritenuti più appropriati attraverso strumenti misurabili, per migliorare ulteriormente la qualità delle cure infermieristiche erogate. La revisione condotta da Mazzariol [15] invece, confronta la giurisprudenza italiana e quella internazionale con particolare riferimento alla giurisprudenza anglosassone, riguardo l’utilizzo delle linee guida e dell’applicazione della legge Gelli-Bianco. Dall’analisi dei testi delle leggi internazionali emerge subito una differenza con la Gelli-Bianco. Rispetto alla realtà italiana infatti, nelle altre nazioni le linee e guida e quelle di buona pratica sono considerate un unicum.

Capasso [16] nel suo lavoro tenta mediante un excursus storico di individuare le motivazioni dell’introduzione della legge Gelli Bianco nel 2017 e la sua applicazione in questi anni. Ciò che emerge è come questa legge sia nata per limitare la medicina difensiva, ma analizzando la sua applicazione nelle ultime sentenze, essa risulti limitata e da migliorare in quanto potrebbe non garantire né la sicurezza dell’operatore né quella della struttura da eventuali ricorsi. Lo studio di Montanari Vergallo [17] invece cerca di evidenziare come la Legge Gelli pone un importante accento sul corretto utilizzo delle linee guida come potenziale strategia di difesa. Le criticità emerse in questa revisione riguardo le “buone pratiche” e le linee guida sono molteplici. Secondo gli autori non sono uno strumento affidabile per affermare se l’operatore sanitario abbia agito correttamente dal punto di vista professionale, poiché troppo opinabili e quindi passibili di potenziali sentenze dei tribunali troppo diversificate.

Nasce quindi la necessità di creare un modello unitario per l’implementazione delle competenze avanzate e la valutazione delle stesse, [18] prendendo spunto anche dalle nuove sfide culturali e sociali ed economiche come già affermava la Dott.ssa Sansoni nel 2007 [19]. Prendendo spunto dai paesi anglosassoni sarebbe quindi opportuno modificare il panorama normativo [8] ed anche quello clinico, per permettere la penetrazione di nuovi concetti organizzativi, fra tutte le figure professionali, prima fra tutte l’infermiere [20].

L’obiettivo del presente studio è quindi quello di indagare, le conoscenze del personale infermieristico riguardanti i concetti di competenza avanzata e responsabilità professionale in relazione al loro agire quotidiano e ai nuovi assetti normativi.

 

MATERIALI E METODI

Disegno dello studio

Il presente studio, di tipo cross-sectional è stato condotto da Giugno 2019 a Settembre 2019. Il campione finale che ha partecipato alla survey è composto di 60 infermieri operanti nel setting dell’area critica e dell’area chirurgica.

 

Popolazione e setting

Per lo svolgimento del presente studio, sono stati inclusi gli infermieri che lavorano nelle seguenti aree: Pronto soccorso; Unità di Terapia Intensiva Neurochirurgica; Sala operatoria Neurochirurgica, Chirurgia generale e del trauma. Gli infermieri che lavoravano in altri setting sono stati esclusi dallo studio. Tale studio è stato realizzato presso l’ospedale universitario di Roma “Policlinico Umberto I”, previa accettazione da parte del Comitato Etico (Prot. 593/19 PT_ComEt) e del consenso informato dei partecipanti. Nello specifico per tutti i partecipanti è stato garantito l’anonimato, la partecipazione è stata su base volontaria e nessun incentivo economico è stato offerto. Il numero totale di questionari distribuiti è stato di 94 con un tasso di risposta del 63,8%. Il campione finale è quindi costituito da 60 infermieri appartenenti alle quattro unità operative sopracitate.

 

Strumento

I dati sono stati raccolti tramite la somministrazione di un questionario costruito ad hoc, conseguentemente ad una revisione della letteratura [21-23].

Lo strumento è suddiviso in tre sezioni: la sezione A, riguarda le informazioni anagrafiche, la sezione B le informazioni circa l’attività professionale dei partecipanti ed infine la sezione C, mira ad indagare le conoscenze degli infermieri riguardo le competenze infermieristiche avanzate, la responsabilità professionale, la legislazione di riferimento nonché l’utilizzo di linee guida nella pratica clinica e l’importanza dell’aggiornamento professionale. Il presente questionario prevede, per tutte e tre le sezioni presenti, domande a risposta multipla e nello specifico della sezione C è stata utilizzata una scala Likert a 2 e 4 punti.

 

Analisi Statistica

I dati raccolti sono stati inseriti in un data entry di Excel® e l’analisi statistica è stata eseguita mediante il software SPSS (Statistical Package for Social Science) per Windows versione 22.0. I dati sono stati espressi come media ± deviazione standard o mediana con intervallo interquartile (IQR) nel caso di variabili numeriche, mentre nel caso di variabili qualitative sono stati espressi come numeri assoluti o percentuali. Infine i risultati di questo studio sono stati rappresentati attraverso distribuzioni di frequenza e a seconda dei casi, con la rappresentazione grafica più opportuna. I dati sono stati analizzati da un gruppo di ricerca composto da 2 infermieri clinici, 3 dottorandi di ricerca e 1 dirigente infermieristico. Conseguentemente all’analisi dei dati, essi sono stati discussi con altri 5 infermieri operanti nei setting assistenziali scelti per lo svolgimento dello studio.

 

RISULTATI

Il numero totale dei responders è di 94 con un tasso di risposta del 63.8%; il campione finale risulta quindi composto da 60 infermieri. Il 68.3% degli aderenti sono di sesso femminile (n=41) rispetto al 31.6% che sono di sesso maschile (n=19). Nel 60% l’età più rappresentativa è compresa tra i 21 e 35 anni, mentre il 38.3% ha un’età compresa tra 36-60 anni e solo l’1.7% ha un età compresa tra i 51-65 anni. L’età media del campione è di 35.2 anni (min. 24; max 61; DS 7.5; mediana 34) (Figura 1).

Figura 1. Età media del campione.

In relazione all’unità operativa di appartenenza del campione risulta che il 30% lavora in Pronto Soccorso (n=18); il 35% lavora nella U.T.I.P.O. di Neurochirurgia (n=21), il 20% nella Sala operatoria Neurochirurgia (n=12) e il 15% nella Sala Operatoria di Chirurgia Generale lavora (n=9) (Figura 2).

Figura 2. Unità operativa di appartenenza

Nell’analisi dell’attività professionale è emerso che il 55% (n=33) degli infermieri intervistati hanno conseguito il Diploma Universitario (DU) o la Laurea triennale in un arco temporale compreso tra il 2009 e 2019. Nello specifico il 35% (n=21) ha conseguito il titolo tra il 1999-2008 ed il 10% (n=6) prima del 1998; La media del conseguimento del titolo academico è dell’anno 2008 (min.1986; max. 2018; DS 6.6; Varianza 44.1; mediana 2012).

Il 90% (n=54) ha conseguito la Laurea di primo livello, l’8.3% (n=5) ha conseguito il titolo regionale e solo l’1.7% (n=1) ha più di una laurea. Il 36.7% (n=22) è in possesso di un Master, il 3.3 % (n=2) ha una Laurea di secondo livello ed il 53.3% (n=32) non ha nessun titolo post laurea.

In relazione all’anzianità di servizio il 51.7% (n=31) ha un’anzianità di 5-15 anni, il 15% (n=9) ha un’anzianità di servizio maggiore di 15 anni e il 33.3% (20/60) ne ha da 0-5 anni. La media risulta essere di 9.01anni (min.1; max 28; DS 6.1; Varianza 37.8; mediana 8.5).

Dall’analisi eseguita sulle conoscenze è emerso invece che il 16.7% (n=10) degli infermieri utilizza sempre le linee guida aziendali/ministeriali nella pratica clinica, il 36.7% (n=22) le usa raramente, il 41.7% (n=25) le utilizza abbastanza, mentre il 5% (n=3) non le utilizza mai (Tabella 1).

Tabella 1. Utilizzo linee guida aziendali e/o ministeriali

Il 38.3% (n=23) afferma che non utilizza le linee guida per carenza di tempo; il 3.3% (n=2) non le utilizza perché non dispongono dell’autorità per modificarle.

Riguardo l’aggiornamento professionale, il 46.7% (n=28) afferma di dedicare al proprio aggiornamento professionale meno di un’ora a settimana; il 40% (n=24) dedica 1-5 ore a settimana; il 10% (n=6) dedica 6-10 ore; il 3.3% (n=2) dedica più di 10 ore. Inoltre i professionisti intervistati per il 43.3% (n=26) affermano che nell’ultimo mese hanno consultato le linee guida aziendali meno di una volta; il 50% (n=30) 1-5 volte al mese; il 5% (n=3) 5-10 volte; l’1.7% (n=1) più di 10 volte al mese.

Il concetto di imperizia è conosciuto dall’80% (n=48) del campione totale; il 15% (n=9) lo conosce poco; il 5% (n=3) lo conosce abbastanza. Ma il 48.3%( n=29) non conosce di cosa tratta il comma 566 della Legge di stabilità del 2015; il 30% (n=18) lo conosce poco; mentre il 16.7%( n=10) lo conosce; il 5%(n=3) abbastanza; D’altro canto il 48.3% (n=29) asserisce di sapere di cosa parli la Legge 24/2017 (Legge Gelli); il 23.3% (n=14) poco; il 3% (n=50) abbastanza; il 20% (n=12) non la conosce. Degli infermieri intervistati il 76.7% (n=46) sanno cosa significa “infermiere con competenze avanzate”; l’11.7% (n=7) ne sanno poco; il 3.3% (n=2) non sanno cosa siano; invece l’8.3% (n=5) ne sanno abbastanza.

Il campione è unanime (100%) sull’affermare che il proprio lavoro è soggetto ad un alto rischio di denunce, anche se l’86.7% (n=52) non è mai stato indagato dalla magistratura. La maggior parte del campione (93.3%) percepisce il rischio di poter essere oggetto di richiesta di risarcimento nel lavoro quotidiano, mentre questo rischio non è percepito dal 6.7% degli intervistati. L’83.3% infine, possiede un’assicurazione professionale, a tal riguardo il 28.3% (n=17) non è a conoscenza della sua obbligatorietà, mentre il 71.7% ha mostrato di conoscerne l’obbligatorietà.

DISCUSSIONI

Dalla raccolta dei dati risulta che la popolazione infermieristica di riferimento, è composta principalmente da donne (68.3%), con un’età compresa tra 21-35 anni, con una formazione di tipo accademico (91.6%).

Più della metà del campione (53.3%) non ha proseguito il proprio percorso formativo con master o altre tipologie di corsi post laurea pur avendo un’anzianità di servizio superiore ai cinque anni. Secondo quanto emerso dallo studio di Clark et al. [24] la formazione post base aumenta le potenzialità critiche e decisionali con un conseguente miglioramento della qualità assistenziale. A tal proposito sarebbe utile incentivare gli istituti pubblici e privati ad investire sulla formazione del proprio personale e conseguentemente sul miglioramento della qualità assistenziale erogata.

Ciò che emerge inoltre, dall’analisi dei risultati è che il 46.6% dedica solo un’ora a settimana al proprio aggiornamento professionale ed il 43.3% nell’ultimo mese ha consultato le linee guida per uno specifico problema meno di una volta. Seppur il 41.6% cerca di usarle abbastanza, il 38.3% è impossibilitato per carenza di tempo, nonostante nel 48.6% dei casi le linee guida sono presenti in reparto ed aggiornate.

Secondo l’80% degli interpellati è ben chiaro il concetto di imperizia, ma per il 48.3% è sconosciuto il comma 566/2015, ma è nota la legge Gelli. In relazione a ciò, emerge che il 76.6% è a conoscenza di come le competenze avanzate vengono definite all’interno della legge Gelli e il 66.6% ritiene di esserne in possesso. Ciò e paragonabile con quanto emerge dallo studio di Kucera et al. [22] che individua il ruolo cardine dell’infermiere con competenze avanzate e la richiesta da parte del professionista di tale riconoscimento a livello giuridico, normativo ed economico.

In relazione al concetto di responsabilità professionale, indagato con la survey, per la totalità del campione, il rischio maggiore è quello di ricevere una denuncia con conseguente richiesta di risarcimento, nonostante l’86.6% non è mai stato oggetto di avvisi di garanzia. Dato analogo risulta essere anche quello riferito al possesso dell’assicurazione professionale (83.3%), di cui solo il 71.6% però ne conosce l’obbligatorietà. Questi dati potrebbero far emergere quella che viene definita da Montanari Vergallo [25] e da Capasso e colleghi [26] il ricorso ad una medicina basata principalmente su azioni di difesa e tutela, dove l’utilizzo di linee guida e buone pratiche, nonché il riconoscimento delle competenze avanzate non conferisce maggior prestigio o sicurezza ne all’operatore ne al paziente.

CONCLUSIONI

L’attuale contesto sociosanitario pone il paziente al centro del sistema salute [2], delineando un profondo cambiamento nell’assetto professionale e formativo, aumentando l’importanza di concetti come la responsabilità professionale e il riconoscimento di competenze specialistiche e avanzate. Ciò diviene il fulcro dei nuovi percorsi accademici [3, 24], soprattutto in relazione alle nuove sfide poste dalla legge Gelli, che può rappresentare un ottimo spunto di riflessione per la professione infermieristica [1].

Il presente studio pilota, ha messo in luce come l’aggiornamento professionale sia considerato fondamentale per rispondere ai bisogni di un sistema salute in continua evoluzione, nonostante a volte il raggiungimento di tale obiettivo risulti difficoltoso. Dall’analisi dei dati emerge infatti la necessità per il  personale infermieristico di essere maggiormente coinvolto sia nel panorama scientifico per la stesura di linee guida sia in quello formativo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legali della professione.

Lo sviluppo di competenze avanzate e specialistiche risulta strettamente legato ad un percorso formativo ed esperienziale che necessità però di un giusto riconoscimento formale. Le competenze avanzate diverrebbero cosi un patrimonio non solo della professione infermieristica ma anche per le aziende di cui i professionisti sono parte integrante[10,25,26].

 

Limiti e punti di forza dello studio 

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano di non aver ricevuto alcun finanziamento per il seguente studio e di non aver alcun interesse finanziario nell’argomento trattato o nei risultati ottenuti.

 

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


LA PREVENZIONE DEL TUMORE AL SENO: UNO STUDIO PRELIMINARE SU UN CAMPIONE DI DONNE ITALIANE

Antonella Manna1, Edda Oliva Piacentini2

  1. Dott. Antonella Manna, Infermiera presso Azienda Ospedaliera di Padova.
  2. Dott. Edda Oliva Piacentini, Direttore Didattico Corso di Laurea in Infermieristica “W” Formia-Gaeta, Sapienza Università di Roma

* Corresponding author: Dott. Antonella Manna, Infermiera di Terapia Intensiva Neonatale/Patologia neonatale presso l’Azienda Ospedaliera di Padova (Italia). E-mail: antonellamanna97@libero.it\

DOI: 10.32549/OPI-NSC-41

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ABSTRACT

Introduzione: Il tumore al seno rappresenta in Italia e in molti Paesi Occidentali la forma neoplastica più frequente tra le donne, sia in termini di nuove diagnosi che di numero di decessi oncologici. Nel 2019 sono stati diagnosticati in Italia circa 53000 nuovi casi di carcinoma della mammella femminile.

Obiettivo: Questo studio ha l’obiettivo di indagare sulla prevenzione del tumore al seno, in un campione di donne italiane.

Materiali e Metodi: Lo studio è stato eseguito a partire da Novembre 2018 fino ad Aprile 2019. Il campione considerato di tipo casuale, è composto da 100 donne alle quali è stato consegnato il questionario, anonimo ed auto-compilato, previa spiegazione della finalità particolare delle domande e della finalità generale dello studio assicurando l’anonimato nell’utilizzo dei dati. Il questionario, “Champion’s Health Belief Model Scale”, è costituito da 31 item di cui: 3 per la suscettibilità, 6 per la gravità, 4 per i benefici percepiti, 8 per le barriere percepite e 10 per l’autoefficacia.

Risultati: Dal presente studio è emerso che meno della metà (46%) delle donne pratica l’autopalpazione saltuariamente o mensilmente. Sebbene il 70% di donne abbia riportato alti livelli di percezione della gravità del cancro, la maggior parte di loro ha riportato livelli incerti di suscettibilità. È inoltre emerso che le cause che portano la donna a non eseguire l’autopalpazione sono legate all’incapacità di esaminare il proprio seno, o al senso di inadeguatezza.

Conclusioni: Dai dati analizzati emerge la necessità di introdurre programmi educativi per aumentare la fiducia ed identificare gli ostacoli che impediscono alle donne italiane di eseguire l’autopalpazione, effettuando una preventiva valutazione sulla conoscenza delle donne a riguardo e modificando eventuali idee errate.

Parole Chiave: tumore al seno, autopalpazione, screening, Champion’s Health Belief Model Scale.

 

 

BREAST CANCER PREVENTION: A PRELIMINARY STUDY ON A SAMPLE OF ITALIAN WOMEN

 

Introduction: Breast cancer represents the most frequent neoplastic form among women in Italy and in many Western Countries, both in terms of new diagnoses and the number of oncological deaths. It is estimated that in 2018, about 52,800 new cases of female breast cancer were diagnosed in Italy.

Objective: This study aims to investigate on breast cancer prevention, in a sample of Italian women.

Materials and Methods: The random sample is composed of 100 women to whom the questionnaire was delivered, anonymous and self-compiled, after explaining the particular purpose of the questions and the general purpose of the study ensuring anonymity in the use of the data. The questionnaire, "Champion’s Health Belief Model Scale", consists of 31 items of which: 3 for susceptibility, 6 for severity, 4 for perceived benefits, 8 for perceived barriers, and 10 for self-efficacy.

Results: From the present study it emerged that less than half (46%) of women practice self-examination occasionally or monthly. Although a significant percentage of women reported high levels of perception of cancer severity, most of them reported uncertain levels of susceptibility. It also emerged that the causes that lead the woman not to perform self-examination are related to the inability to examine her own breasts, or the sense of inadequacy.

Conclusions: From the analyzed data emerges the need to introduce educational programs to increase confidence and identify the obstacles that prevent Italian women from performing self-examination, carrying out a prior assessment of women's knowledge about it and modifying any incorrect ideas.

Keywords: breast cancer, self-examination, screening, Champion’s Health Belief Model Scale.

 

INTRODUZIONE

Il tumore al seno rappresenta in Italia e in molti Paesi Occidentali la forma neoplastica più frequente tra le donne, sia in termini di nuove diagnosi che di numero di decessi oncologici. [1]

Nel 2019 sono stati diagnosticati in Italia circa 53000 nuovi casi di carcinoma della mammella femminile.[2]

Il rischio di essere affette da tumore al seno aumenta con l’aumentare dell’età, con una probabilità del 2.4%fino a 49 anni, del 5.5%tra 50 e 69 anni e del 4.7%tra 70 e 84. La curva d’ incidenza cresce esponenzialmente sino agli anni della menopausa e rallenta con un plateau dopo la menopausa, per poi riprendere a salire dopo i 60 anni[3]. Il suddetto andamento è legato sia alla storia endocrinologica della donna, sia alla presenza e alla copertura dei programmi di screening mammografico. Tali programmi consentono di diagnosticare il cancro in una fase relativamente precoce, ottenendo trattamenti sempre più efficaci e un tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi pari all’ 87%. [3]

La prevenzione del tumore del seno deve cominciare a partire dai 20 anni mediante l'autopalpazione eseguita con regolarità ogni mese, al fine di imparare a conoscere l’aspetto normale del proprio seno e identificare tempestivamente qualsiasi cambiamento.

Obiettivo dello studio 

L’obiettivo di questo studio è di indagare sulla prevenzione del tumore al seno, mediante la somministrazione del questionario “Champion’s Health Belief Model Scale”, in un campione di 100 donne italiane.

MATERIALI E METODI

Caratteristiche del campione

  • Il campione considerato è stato ottenuto mediante una selezione casule di 100 donne italiane di età compresa tra 18 e 82 anni. Il reclutamento è stato effettuato presso uno studio medico di medicina generale della provincia di Napoli. Il consenso informato è stato ottenuto da tutte le donne incluse in questo studio. Per tutte le partecipanti è stato garantito l’anonimato. La partecipazione è stata volontaria e nessun incentivo economico è stato offerto. Questo studio è stato eseguito in accordo con le considerazioni etiche della Dichiarazione di Helsinki.

Criteri di inclusione

  • Sesso femminile
  • Raggiungimento della maggiore età
  • Nazionalità italiana
  • Consenso volontario della donna

 

Criteri di esclusione

  • Incapacità di intendere e di volere
  • Mancato consenso alla trattazione dei dati personali
  • Cittadinanza non italiana
  • Sesso maschile

Strumento

Il questionario somministrato è costituito da una prima parte, utile alla raccolta di dati socio-demografici, necessari per comprendere le caratteristiche del campione e da una seconda parte che propone il modello Health Belief Model di Champion a 31 item.

Il modello Health Belief di Rosenstock del 1966, supporta l’ipotesi secondo cui la percezione individuale di una presunta minaccia relativa alla salute, influenza il comportamento della persona sulla salute stessa [4]. Victoria Champion, infermiera pluripremiata, nonché ricercatrice per il National Institutes of Health degli Sati Uniti, ha applicato il modello Health Belief, in relazione al cancro al seno e all’autopalpazione. In uno tra i molteplici studi sviluppati dalla dottoressa Champion, viene analizzata con quale frequenza le donne eseguivano l’autopalpazione, mediante il modello Health Belief, in un campione di 588 donne. Lo studio ha dimostrato che gli item riguardanti le barriere percepite, la conoscenza e la suscettibilità al tumore al seno, influenzavano la frequenza dell’autopalpazione. È inoltre emerso che le donne istruite da un medico o da un infermiere eseguivano più spesso l’autoesame del seno rispetto a quelle istruite con altri metodi. [5]

Gli elementi che compongono il modello di Victoria Champion sono i seguenti: percezione di suscettibilità, gravità percepita, benefici, barriere ed autoefficacia. Il significato della percezione di suscettibilità alla malattia coinvolge gli individui che si percepiscono come suscettibili ad una certa malattia, maggiore è la suscettibilità percepita, maggiore è la probabilità di attivare comportamenti finalizzati a ridurre il rischio. Il costrutto della gravità percepita della malattia è spesso basato su informazioni o conoscenze mediche, ma può anche derivare da convinzioni sulle difficoltà che una malattia potrebbe creare o sugli effetti che avrebbe sulla vita della persona. I benefici percepiti sono l’opinione di una persona sul valore o utilità di un nuovo comportamento nel ridurre il rischio di sviluppare una malattia, i benefici giocano un ruolo importante nell'adozione di comportamenti di prevenzione, come gli screening. Per barriere percepite si intende invece, la valutazione degli ostacoli da parte di una persona, nell’adozione di nuovi tipi di comportamento. Il concetto di fiducia o autoefficacia, riguarda la convinzione nella propria capacità di fare qualcosa di un comportamento individuale che aiuterà la donna a raggiungere il risultato desiderato e una donna crede che l'autopalpazione sia utile (beneficio percepito) e che sia capace di eseguirla nel modo corretto (fiducia), allora la barriera della paura di non essere in grado di eseguire l’autopalpazione correttamente, sarà superata. [6]

Il questionario è stato tradotto dal gruppo di studio composto da esperti di discipline infermieristiche e da un docente di madrelingua inglese ed è costituito da 31 item di cui: 3 per la suscettibilità, 6 per la gravità, 4 per i benefici percepiti, 8 per le barriere percepite e 10 per l’autoefficacia. Ad eccezione della parte relativa ai dati sociodemografici, ciascuna domanda riporta un punteggio da 1 (fortemente in disaccordo) a 5 (fortemente d’accordo) assegnato utilizzando la scala Likert a 5 punti. Punteggi più alti indicano un atteggiamento positivo nei confronti dell’autopalpazione.

 

Metodo

Il questionario, anonimo ed autocompilato, è stato somministrato alle donne, preventivamente informate sulla tipologia delle domande le finalità e la garanzia dell’anonimato. La somministrazione è stata effettuata direttamente dal gruppo di studio, fornendo alle donne il tempo necessario per la compilazione.

 

Analisi Statistica

L’analisi statistica è stata eseguita su computer Mac book Air tramite il programma di archivio Numbers versione 10.2.I dati sono presentati come numeri e percentuali per variabili categoriali ed espressi come media ± deviazione standard(SD) nel caso di dati continui a meno che non sia specificato diversamente. Infine tutte le informazioni sono state sintetizzate attraverso tabelle o i grafici più opportuni.

 

RISULTATI

Il campione esaminato, è costituito da 100 donne, con età media di circa 43 anni, deviazione standard uguale a 13.4e mediana pari a 45 anni. L’analisi dei dati sociodemografici viene di seguito riportata nella tabella 1.

Del campione, il 57% era con prole mentre il restante 43% ha dichiarato di non avere figli. È stato chiesto a che età avessero partorito il primo figlio e l’età media risulta di 26 anni. L’ 82% delle donne con figli ha allattato al seno. Il 95% dichiara di non aver avuto problemi al seno.

Alla domanda sull’esecuzione dell’autopalpazione, il 46% ha riferito di eseguirla (mensilmente o saltuariamente) ed il 54% ha riferito di non aver mai eseguito l’autopalpazione. (Figura 1)

Conclusa l’analisi dei dati sociodemografici, nella seguente tabella vengono riportati alcuni dei dati raccolti mediante la scala Health Belief Model di Champion.

DISCUSSIONE

Secondo i dati riportati nel rapporto Globocan circa due milioni di donne ogni anno soffrono di cancro al seno, una delle cause più comuni di morte femminile in tutto il mondo. Circa 627 mila donne sono morte di tumore al seno nel 2018 e questo numero è aumentato sia nei paesi sviluppati che nei paesi in via di sviluppo. [7]

Le morti da cancro al seno possono essere controllate grazie ad una diagnosi precoce e ad un intervento appropriato. L’autopalpazione dovrebbe essere parte integrante delle cure mensili delle donne, soprattutto per quelle ad alto rischio. [8]

Seppure il 5% del campione preso in esame ha affermato di aver avuto in passato problemi al seno, solo il 60% di essi ha dichiarato di eseguire l’autopalpazione.

Dal presente studio emerge che meno della metà (46%) delle donne pratica l’autopalpazione saltuariamente o mensilmente. Dall’ analisi del livello di istruzione, è stato riscontrato che quasi il 90% di donne che esegue l’autopalpazione ha come titolo di studio il diploma di scuola superiore o la laurea, il 10% la licenza media e nessuno ha come titolo di studio la licenza elementare. È probabile quindi, come sostenuto da Karayurt et al. che esista una relazione tra il livello di istruzione e la pratica dell’autopalpazione. [9]

Mediante l’ausilio della scala Health Belief Model di Champion sono stati valutati i fattori che influenzano l’autopalpazione.

I primi due sottogruppi riguardano la suscettibilità e la gravità. Per suscettibilità si intendono gli individui che si percepiscono come suscettibili ad una certa malattia. Maggiore è la suscettibilità percepita, maggiore è la probabilità di impegnarsi in comportamenti per ridurre il rischio. La gravità invece deriva da convinzioni sulle difficoltà che una malattia potrebbe creare o sugli effetti che avrebbe sulla vita della persona.

Secondo l’Health Belief Model una donna che percepisce maggiori benefici (utilità di un nuovo comportamento nel ridurre il rischio di sviluppare una malattia) e meno barriere (valutazione degli ostacoli nell’adozione di un nuovo comportamento), sarebbe più propensa a praticare l'autopalpazione. Nel presente studio gran parte del campione ha riportato risposte positive ai benefici percepiti (91%) e bassi livelli di barriere (10%).

In letteratura, i motivi principali per cui l’autopalpazione non viene eseguita sono da attribuire a paura o ansia di scoprire la presenza di una malattia grave o non sentirsi pienamente convinte dell'importanza dell'autopalpazione. [10]

In questo studio, le ragioni che portano la donna a non eseguire l’autopalpazione possono essere correlate all’incapacità di esaminare il proprio seno, o al senso di inadeguatezza. Infatti i livelli di autoefficacia, ossia la fiducia nelle proprie capacità di eseguire un comportamento individuale, erano significativamente più bassi tra le donne che non eseguivano l’autopalpazione. Nello specifico, esaminando i dati tra le donne che non eseguono l’autopalpazione, il 24% ha riferito livelli incerti di autoefficacia ed il 63% ha riferito bassi livelli di autoefficacia.  Questo risultato giustifica il motivo per cui il livello di autoefficacia nella scala HBM è un importante fattore predittivo della pratica dell'autoesame al seno.

I risultati su esposti sono in linea con lo studio di Mostafa A. Abolfotouh et al. [11], secondo cui alti livelli di benefici percepiti, associati a bassi livelli di barriere, sono a favore della pratica dell’autopalpazione. Ciò nonostante bassi livelli di autoefficacia riscontrati sono associati alla mancata esecuzione dell’autoesame.

Questo evidenzia l'importanza di introdurre programmi educativi per aumentare la fiducia ed identificare gli ostacoli dell’autopalpazione tra le donne.

IMPLICAZIONI INFERMIERISTICHE

L’infermiere riveste un ruolo importante nell’ educare la donna sulle corrette modalità di esecuzione dell’autoesame del seno, utile strumento di screening per una diagnosi precoce di cancro mammario. Le istruzioni per l’autopalpazione possono essere impartite durante l’esame fisico, oppure nel corso di incontri individuali o di gruppo. Conoscendo le implicazioni di tale esame, gli infermieri dovrebbero incoraggiare le donne ad eseguire l’autopalpazione regolarmente ed insegnare loro a riconoscere precocemente eventuali anomalie. L’istruzione dovrebbe includere: definizione del periodo più opportuno, dare una dimostrazione pratica delle tecniche di palpazione, descrivere le caratteristiche di tessuto mammario normale apprezzabili con la palpazione, discutere sull’identificazione di cambiamenti rilevanti del tessuto mammario e dare una dimostrazione pratica sull’assistita stessa e su un modello (mammella artificiale). Alcune associazioni organizzano corsi che permettono al personale infermieristico di prepararsi per istruire la donna nella pratica dell’autopalpazione, mettendo a disposizione il relativo materiale didattico. Durante la fase educativa, l’infermiere potrebbe inoltre fornire alla donna video, opuscoli ed altro materiale documentario per favorire la comprensione e l’importanza dell’autopalpazione. [12]

 

CONCLUSIONE

Il tumore della mammella rappresenta in Italia e in molti Paesi Occidentali la forma neoplastica più frequente tra le donne, sia in termini di nuove diagnosi che di numero di decessi oncologici. A molte donne viene diagnosticato il cancro in una fase relativamente precoce, anche grazie alla disponibilità di programmi di screening che, nella fascia 50-69 anni, rientrano nei livelli essenziali di assistenza. L’anticipazione della diagnosi associata a trattamenti sempre più efficaci spiega la complessiva buona prognosi di questa neoplasia. Nonostante ciò, bisogna considerare che una quota delle pazienti arriva alla diagnosi in una fase nella quale la malattia è già metastatica. Complessivamente in Italia vivono 800mila donne che hanno avuto una diagnosi di carcinoma mammario, pari al 43% di tutte le donne che convivono con una pregressa diagnosi di tumore e pari al 24% di tutti i casi prevalenti (uomini e donne). Numerosi studi hanno dimostrato come tali programmi siano in grado di ridurre la mortalità da carcinoma mammario e aumentare le opzioni terapeutiche. I più recenti dati riportano un tasso di sopravvivenza a 5 anni pari all’87% ed a 10 anni pari all’80%. [13]

Alla luce di quanto emerso dai risultati il 30% del campione ha riferito di avere difficoltà nel ricordare di eseguire controlli al seno. Sarebbe quindi auspicabile incrementare le conoscenze spiegando alle donne l’importanza di eseguire gli esami periodici di screening.

Dai dati analizzati emerge quindi la necessità di introdurre programmi educativi per aumentare la fiducia ed identificare gli ostacoli che impediscono alle donne italiane di eseguire l’autopalpazione, effettuando una preventiva valutazione sulla conoscenza delle donne a riguardo e modificando eventuali idee errate.

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio

Limiti dello studio

I risultati del presente studio devono essere osservati con particolare circospezione data la presenza di limiti che potrebbero dirottare i risultati reali. Un campione di sole cento unità, reclutate solo nella provincia di Napoli, non basta per costituire uno studio generalizzabile. Uno studio multicentrico considerando anche differenti aree geografiche consentirebbe una riduzione di possibili bias statistici. Inoltre, essendo uno studio preliminare, è stato eseguito per avere una prima indicazione su questo tipo di problematica. Infine, stata eseguita un’analisi statistica puramente descrittiva, quindi i nostri risultati sono da considerarsi validi per il nostro campione considerato, ma che andrebbero confermati attraverso un’analisi inferenziale, per poterli estendere all’intera popolazione donne italiane.

 

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


TIMING PREOSPEDALIERI E SERVIZI DI EMERGENZA MEDICA: STUDIO PRELIMINARE PRESSO IL TRAUMA SYSTEM EMILIA EST

Fabio Baldini1*, Giacomo De Simone2, Stefano Musolesi3

  1. Infermiere, Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Pronto Soccorso, Ausl della Romagna, Ravenna;
  2. Infermiere, Dipartimento Chirurgico, Chirurgia Generale e Toracica, Asl02 Abruzzo Lanciano-Vasto-Chieti, Chieti;
  3. Infermiere, Dipartimento di Emergenza, Centrale Operativa e 118, Ausl di Bologna, Bologna;

* Corresponding Author: Fabio Baldini, Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Pronto Soccorso, Ausl della Romagna, Ravenna (Italia). E-mail: fabiobaldini1994@hotmail.it

DOI: 10.32549/OPI-NSC-40

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduzione: Il fattore tempo nel soccorso preospedaliero viene preso come riferimento per valutare l’efficienza dei servizi di emergenza medica (EMS). La comunità scientifica è concorde nell’affermare che la sopravvivenza di una vittima di trauma grave, aumenti in seguito ad una riduzione del tempo preospedaliero. L’ipotesi dell’importanza del tempo preospedaliero rimane, in tema di trauma, però controversa. Lo scopo di questo studio è di determinare il tempo preospedaliero e i relativi sottointervalli nei soggetti vittime di trauma, trasportati tramite ambulanza all’interno del Trauma System Emilia Est (Emilia Romagna) e di verificare se l’arrivo in ospedale del soggetto infortunato avviene in un tempo ≤ a 60 minuti e se il tempo sulla scena è ≤ a 15 minuti. I due tempi, presi come target di confronto, rappresentano valori di riferimento negli Stati Uniti, rispettivamente: (1) la golden hour, (2) il tempo preospedaliero medio sulla scena statunitense per un’ambulanza.

Materiali e Metodi: Studio osservazionale retrospettivo su tutti i trasporti che hanno avuto come codice di rientro 2 o 3, avvenuti tramite ambulanza, di pazienti vittime di trauma in fase preospedaliera tra il 2016 e il 2018.

Risultati: Il 74.6% (833/1116) dei casi ha soddisfatto i criteri di inclusione. Il tempo preospedaliero medio impiegato da un’ambulanza nella gestione di un trauma è risultato essere di 56.3 minuti. La durata media dei relativi sottointervalli è risultata essere di: tempo di risposta 9.4 minuti; tempo sulla scena 30.1 minuti; tempo di trasporto 16.4 minuti. Nel 62.1% (n=517) dei casi l’ospedalizzazione è avvenuta in tempi ≤ a 60 minuti. Nel 14.8% (n=123) dei casi l’equipaggio di soccorso è rimasto sulla scena per un tempo ≤ a 15 minuti. I pazienti sono stati trasportati nel 35.9% (n=299) dei casi in un ospedale Hub (Trauma Center).

Discussione: Oltre la metà dei trasporti, tramite ambulanza, sono avvenuti rispettando la golden hour. Il tempo sulla scena risulta essere il doppio di quello preso come riferimento dalla realtà statunitense (30.1 minuti versus 15 minuti). Le indicazioni suggerite dagli autori per ridurre i tempi preospedalieri sono: (1) aumento della formazione/simulazioni; (2) maggiori efficienza delle reti ospedaliere; (3) rapida centralizzazione “Hub”; (4) maggiore raccolta/analisi dei dati.

Parole Chiave: servizi di emergenza medica, trauma, tempo, golden hour, ambulanza.

 

PRE-HOSPITAL TIMING AND EMERGENCY MEDICAL SERVICES: PRELIMINARY STUDY AT THE EMILIA EST TRAUMA SYSTEM

ABSTRACT

Introduction: The time factor in prehospital rescue is taken a reference to evaluate the efficiency of the emergency medical services (EMS). The scientific community agrees that the survival of a victim of a major trauma increase following a reduction of the pre-hospital time. The hypothesis of the importance of the prehospital time remains, in terms of trauma, although controversial.

The purpose of the study is to determine the prehospital time and related subintervals in the victims of trauma, transported by ambulance in the Trauma System Emilia Est (region Emilia Romagna) and to check whether the injured person arrives at the hospital in a time ≤ 60 minutes and if the on-scene time is ≤ 15 minutes. The two times, taken as a comparison target, represent reference values in the United States, respectively: (1) the golden hour; (2) the ambulance’s average prehospital on-scene time in US.

Materials and Methods: Retrospective observational study on all transports that had as a return code 2 or 3, which occurred by ambulance, of patients suffering trauma in the prehospital phase between 2016 and 2018.

Results: The 74.6% ( 833/1116 cases) met the inclusion criteria. The average prehospital time an ambulance spent managing trauma was of 56.3 minutes. The average duration of the relevant sub-range was found to be: response time 9.4 minutes; on-scene time 30.1 minutes; transport time 16.4 minutes. In 62.1% (No.517) of cases, hospitalization took place in a time ≤ 60 minutes. In 14.8% (No.123) of the cases, the rescue crew remained at the scene for a time ≤ 15 minutes. Patients were transported in 35.9% (No.299) of cases to a Hub hospital (Trauma Center).

Discussion: More than half of the transports, by ambulance, took place while respecting the golden hour. On-scene time is twice as long as the US reality (30.1 minutes instead of 15 minutes). The indications suggested by the authors to reduce prehospital times are: (1) increased training/simulations; (2) increased efficiency of hospital networks; (3) rapid centralization "Hub"; (4) increased data collection/analysis.

 

Keywords: emergency medical services, trauma; time, golden hour, ambulance.

INTRODUZIONE

Il trauma rappresenta un importante problema di salute pubblica. Indicato come una delle principali cause di morte nei paesi sviluppati, ogni anno più di cinque milioni di persone vanno incontro a lesioni fatali, rappresentando il 9% delle morti mondiali [1]. In Italia, il trauma viene principalmente associato ad incidenti stradali [2]. Nel 2018, nel nostro paese gli incidenti stradali stimati sono risultati essere oltre 170 mila, con un tasso di mortalità di 55 morti per milione di abitanti [3].

I servizi di emergenza medica (EMS) e il sistema di gestione del trauma (Trauma System) italiani, sono stati progettati e implementati al fine di ridurre le morti, fornendo un accesso tempestivo alla cura. A tal proposito, l’attenzione dei decisori delle politiche sanitarie è da sempre rivolta alla riduzione dei tempi preospedalieri [4]. Ciò si basa sul principio che il tempo sia un fattore fondamentale nel determinare l'esito di un paziente traumatizzato [5]. Ridurre al minimo i tempi preospedalieri, porterebbe quindi a potenziali benefici in termini di sopravvivenza per la vittima soggetta ad un trauma [6].

In Italia, il fattore tempo viene preso come riferimento per valutare l’efficienza di EMS in base a quanto riportato in un’integrazione relativa al DPR del ’92 [7]. Uno dei principi fondamentali nella cura del trauma è la golden hour [8]. L'idea di fondo si basa sul fatto che le vittime di trauma abbiano risultati migliori nei casi in cui le cure ospedaliere avvengano entro 60 minuti dall’evento [9,10]. Superato questo lasso di tempo infatti, il rischio di morte o la gravità delle lesioni aumentano in modo significativo [11]. Attualmente non ci sono studi, nella popolazione civile,che sostengano o meno l'idea che un trasporto rapido sia universalmente la strategia migliore [10]. La maggior parte degli studi non è riuscita a collegare l'aumento del tempo preospedaliero ad outcome peggiori [9,12,13]. La comunità scientifica concorda sul fatto che per tutti i pazienti traumatizzati debba essere attuata una rapida ospedalizzazione, preceduta da un’accurata assistenza sulla scena [14,15]. Nel soggetto vittima di trauma, alcune complicanze possono insorgere col passare dei minuti e se non rapidamente corrette tramite adeguati trattamenti, possono portare alla morte [16].

Il tempo sulla scena interessa la maggior parte della durata dell’intervento preospedaliero e, di conseguenza, dovrebbe essere ridotto al minimo, consentendo solo l'esecuzione delle procedure essenziali necessarie per stabilizzare il soggetto, prima del trasporto verso l’ospedale [17].

Ad oggi la letteratura disponibile non è in grado di definire quali tempi o intervalli siano attualmente impiegati dal personale EMS per garantire gli standard minimi di cura per il paziente traumatico. Quantificare ogni singolo intervallo del tempo preospedaliero, in particolare il tempo sulla scena, potrebbe rappresentare un tassello essenziale per valutare l’efficienza di EMS nella gestione del trauma.

 

Obiettivo dello studio  

Lo studio si è posto tre obiettivi:

  • determinare gli intervalli di tempo preospedaliero nei soggetti vittime di un trauma grave in un Trauma System dell’Italia Settentrionale;
  • determinare la frequenza dei casi in cui l’ambulanza ha impiegato un tempo preospedaliero totale ≤ a 60 minuti (golden hour, valore di riferimento in USA);
  • determinare, prendendo come riferimento il modello preospedaliero statunitense, la frequenza dei casi in cui l’ambulanza ha impiegato sulla scena un tempo ≤ a 15 minuti [11].

 

MATERIALE E METODI

Disegno dello studio

E’ stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo su tutti i traumi avvenuti in un Trauma System dell’Emilia Romagna trasportati, tramite ambulanza, al Pronto Soccorso tra il 2016 e il 2018.

 

Setting

L’Emilia Romagna è una regione la cui popolazione conta approssimativamente 4.5 milioni di abitanti, con una superficie di circa 22.500 km2 [18]. Nel 2002 la regione ha suddiviso il proprio territorio in tre SIAT (Sistema Integrato per l’Assistenza al Trauma Maggiore): Emilia Est, Emilia Ovest, Romagna [19]. Ogni SIAT funziona secondo il modello “Hub and Spoke”: i casi più complessi vengono centralizzati in strutture di assistenza altamente specializzate, definiti Trauma Center (Hub), collegati a loro volta ad una rete di ospedali periferici (Spoke) [19]. L’area di interesse dello studio era il SIAT Emilia Est.

 

Popolazione

Il campione dello studio comprendeva tutti i trasporti, in ambulanza, di vittime di trauma ospedalizzati in codice di rientro 2 o 3. I dati raccolti sono stati forniti dalla Centrale Operativa (CO) 118 Emilia Est. Il Comitato Etico dell’Ausl di Bologna ha fornito il proprio consenso alla realizzazione dello studio. Per questo studio non è stata necessaria nessuna approvazione etica formale da parte del Comitato Etico locale. Al fine di garantire la totale privacy dell’infortunato, il dataset fornitoci includeva le sole informazioni generiche sul trauma, ovvero anno e luogo dell’evento, nonché i tempi, con data e orari precisi, riguardanti tutti i movimenti delle ambulanze dalla loro attivazione fino all’arrivo in Pronto Soccorso. Lo studio non ha ricevuto alcuna forma di finanziamento per la sua realizzazione ed è stato condotto in conformità con le considerazioni etiche della Dichiarazione di Helsinki.

Lo studio ha rispettato i seguenti criteri di inclusione ed esclusione.

 

Criteri di inclusione:

  • Periodo 2016 – 2018;
  • Patologia in esame C01 “trauma”
  • Codice di rientro 2 o 3;
  • Area in studio: SIAT Emilia Est;
  • Ospedalizzazione tramite ambulanza;
  • Informazioni presenti nel database fornite di dati completi;

Criteri di esclusione:

  • Eliambulanze coinvolte sull’intervento;
  • Area geografica estranea al Trauma System Emilia Est;
  • Informazioni anche parzialmente non complete nel database;

 

Analisi Statistica

Sono state usate statistiche descrittive per delineare il campione di studio, in particolare attraverso medie aritmetiche, frequenza relativa e percentuale. I dati utilizzati per lo studio di questa analisi sono stati gestiti ed elaborati tramite un foglio di calcolo Excel.

Il database includeva informazioni su date e orari di: 1) ricezione delle chiamate di soccorso; 2) invio di ambulanze; 3) arrivo del personale di ambulanza sulla scena; 4) partenza dalla scena; 5) arrivo in ospedale.

I tempi, espressi come minuti e ore, sono stati calcolati tramite Microsoft Excel attraverso formule di sottrazione. Per avere una visione più chiara e immediata dei risultati ottenuti, sono stati creati dei grafici opportuni, quali diagrammi a torta e istogrammi.

RISULTATI

Tra il 2016 ed il 2018, 1116 casi hanno soddisfatto i criteri di inclusione. La mancanza di dati ha portato all’esclusione del 25.4% (n=283) dei servizi. Un totale di 833 trasporti (74.6%) ha presentato informazioni complete. Il Grafico 1 riporta l’area geografica di intervento delle ambulanze stratificate per provincie.

 

Obiettivo 1: analisi dei tempi del SIAT Emilia Est

Il tempo preospedaliero totale (TPT) è definito come il periodo che intercorre tra l’avvenuto incidente e l’ammissione del paziente in Pronto Soccorso. Si compone di tre intervalli [20]:

  • tempo di risposta (RT), intervallo in cui è avvenuto il trauma fino all’arrivo sulla scena del primo mezzo del 118;
  • tempo sulla scena (OST), tempo in cui il personale EMS, giunto sulla scena, gestisce il paziente, fino alla sua partenza verso il Pronto Soccorso;
  • tempo di trasporto (TT), periodo di tempo che intercorre dalla partenza del mezzo dalla scena dell’evento fino all'arrivo in ospedale.

Il nostro studio ha individuato, mediamente, un tempo preospedaliero totale (TPT) di 56.3 minuti, impiegato per la gestione di un trauma. I tempi medi di risposta, scena e trasporto calcolati sono risultati essere, rispettivamente, di 9.4 minuti, 30.1 minuti e 16.4 minuti. La Tabella 1 riporta i diversi tempi preospedalieri medi delle ambulanze stratificati per province.

Il 64.1% (n=534) del campione è stato ammesso ad una struttura Spoke, rispetto al 35.9% (n=299) che è stato trasportato in una struttura Hub. Dei 534 pazienti ammessi ad una struttura Spoke, 433 di essi (81.1%) veniva indirizzato in strutture dotate di risorse specialistiche specifiche (es. neurochirurgia).

 

Obiettivo 2: golden hour

Come si evince dalla Tabella 2, il 62.1% (n=517) dei TPT registrati è stato ≤ a 60 minuti. La maggior parte dei trasporti di pazienti critici sono avvenuti con tempi preospedalieri in grado di rispecchiare il principio della golden hour. Nel 37.9% (n=316) dei casi, tuttavia, sono state registrate tempistiche superiori.


Il Grafico 2 evidenzia le differenze dei tempi preospedalieri delle ambulanze rispetto al concetto di golden hour.

La linea orizzontale verde rappresenta i 60 minuti entro i quali l’assistenza preospedaliera di un trauma dovrebbe essere eseguita, secondo quanto preso come riferimento dalla letteratura.

Obiettivo 3: confronto tra letteratura e tempo sulla scena

La meta-analisi sviluppata da Carr et al. [11], è stata presa come modello di confronto in quanto fornisce misure riepilogative per tutti gli intervalli di tempo dei mezzi di soccorso negli USA. La ricerca ha fatto emergere come un’ambulanza statunitense impieghi, sulla scena di un trauma, approssimativamente 15 minuti.

Il Grafico 3 confronta gli intervalli sulla scena, da noi registrati, con le medie riportate dalla meta-analisi statunitense, stratificati per province. La linea verde orizzontale rappresenta i tempi medi dei mezzi statunitensi.

Solo il 14.8% (n=123) delle ambulanze ha registrato OST ≤ a 15 minuti. L’85.2% (n=710) ha superato i tempi sulla scena statunitense. L’OST in questo studio è risultato il doppio rispetto agli Stati Uniti (30.1 versus 15 minuti).

Nessuna provincia è riuscita a riportare tempi rientranti nei target impostoci, anzi, abbiamo osservato un tasso di fallimento superiore all’80% (Tabella 3).


 

DISCUSSIONE

Total Prehospital Time (TPT)

Lo studio evidenzia come il paziente vittima di trauma grave viene gestito dall’ambulanza nella maggior parte dei casi con TPT ≤ a 60 minuti: oltre il 60% dei servizi sono rientrati nel timing della golden hour. Confrontando i dati ricavati con quanto riportato in letteratura, si evidenzia come il TPT medio risulti essere distante sia da realtà europee che extraeuropee [11,14]. Negli Stati Uniti un’ambulanza impiega TPT medi inferiori a quelli da noi osservati, compresi tra i 31 minuti e 43 minuti [11]. Le ambulanze tedesche, differentemente, hanno presentato tempi più dilatati: 69.4 minuti [14]. La diversa organizzazione dell’assistenza preospedaliera potrebbe essere alla base delle differenti tempistiche. Negli Stati Uniti il primo mezzo che interviene è autonomo nell’effettuare le manovre salvavita, mentre in Germania, come in Italia, vengono coinvolte più figure professionali con diversi livelli di autonomia [21-23]. Se da un lato può essere un aiuto lavorare con un numero maggiore di persone, si è notato che più è alto il numero di soccorritori, maggiore è il tempo sulla scena [24,25].

Lo studio non permette di correlare il TPT e i relativi sottointervalli con la mortalità da trauma, ciò è dovuto all’assenza di informazioni dettagliate sul paziente e sugli interventi attuati.

Nonostante ciò, gli studi presenti in letteratura permettono di ipotizzare che i mezzi di soccorso analizzati, abbiano garantito dei TPT confortanti: essi hanno dimostrato come i pazienti che sono arrivati entro 60-65 minuti dalla lesione abbiano mostrato una mortalità ridotta per trauma [26,27]. Sampalis et al. [28] hanno inoltre osservato come ad un TPT superiore ai 60 minuti, fosse associato un rischio di morte tre volte superiore entro 6 giorni dalla lesione. La comunità scientifica sostiene che esistano sottogruppi di popolazione, quali i traumi penetranti, che beneficiano in termini di maggiore sopravvivenza, di una riduzione dei tempi preospedalieri [29], si stima infatti, che per i pazienti gravemente feriti, ogni 10 minuti di ritardo dal trattamento definitivo, la sopravvivenza diminuisca del 10% [30]. Le diverse politiche sanitarie nel mondo portano a sviluppare protocolli EMS differenti e unici con conseguenti aumenti o riduzione nei tempi [31].

Response Time (RT)

Il tempo di risposta è direttamente influenzato dalla distanza dell’incidente, dalla velocità massima alla quale un'ambulanza può viaggiare in sicurezza, dalla presenza di traffico e dalle condizioni della carreggiata [11]. Un’integrazione del DPR del ’92 raccomanda, come in Italia, i tempi di arrivo del primo mezzo di soccorso debbano essere inferiori a 8 minuti per l’area urbana e a 20 minuti per l’area extraurbana [7]. I nostri dati tuttavia, non hanno potuto valutare questa relazione, poiché dalle informazioni in nostro possesso non possiamo distinguere se l’evento si sia verificato in area urbana o extraurbana, inoltre ciò da noi stimato deriva da una media di dati aggregati. La carenza di informazioni sul luogo dell’evento ci impedisce di confrontare i nostri tempi con la realtà statunitense presa come modello di confronto, limitando ulteriormente le nostre osservazioni. I tempi di risposta USA tuttavia, risultano essere inferiori se paragonati ai valori da noi documentati [11]. Ciò può risultare preoccupante se si considerassero le conclusioni di Harmsen et al. [8], in cui si è osservato come un RT elevato possa influenzare negativamente la morte del paziente vittima di trauma indifferenziato.

 

On-scene Time (OST)

L’intervallo sulla scena da noi registrato è risultato essere il doppio rispetto ai dati USA. Meno del 15% dei servizi ha rispettato i tempi sulla scena americani. Differentemente dalla realtà statunitense, i dati registrati si accostano molto a quelli estrapolati dal registro traumi tedesco [14].

Aumenti o riduzioni dell’OST possono avere un’eziologia multifattoriale, in riferimento o a circostanze inerenti la scena o alla correlazione con il numero di manovre effettuate sull’infortunato. In relazione a queste ultime, è stato stimato come il tempo necessario per iniziare un’infusione endovenosa sulla scena vari tra 2 a 12 minuti [15]. Oltre a ciò, Hoyer et al. [24] osservarono un aumento dell’ OST di 7.5 minuti in pazienti che ricevevano l’intubazione in loco, con conseguenti aumenti dei tempi e successivi ritardi all’assistenza definitiva. Eckstein et al. [32] hanno suggerito come l'addestramento avanzato del personale di soccorso possa comportare un tempo di scena più breve. Uno studio inglese [33] ha dimostrato come l’OST si riduceva drasticamente in presenza di un team con formazione avanzata rispetto ad una squadra di soccorso base. In accordo con questi studi, è possibile ipotizzare che anche in Italia, una maggiore formazione del personale di soccorso possa contribuire sensibilmente alla riduzione dell’OST.

L’OST più breve nello studio statunitense di riferimento potrebbe essere attribuibile all'uso dell'approccio "scoop and run”. Tale metodologia, nei soggetti vittime di trauma penetrante, favorisce l’aumento della sopravvivenza [34]. McCoy et al. [29] osservarono come a un OST maggiore di 20 minuti fosse associato un aumento della mortalità rispetto ad uno minore di 10 minuti, in caso di lesione penetrante. Dalle conclusioni di McCoy et al. [29], i nostri tempi sulla scena risultano essere preoccupanti per la sopravvivenza, nell’ipotesi di pazienti che subiscono un trauma penetrante.

Il tempo sulla scena è l'intervallo preospedaliero in cui i sistemi EMS hanno il maggior potere di controllo. Ridurlo per la giusta tipologia di paziente dovrebbe rappresentare una priorità per i gestori delle politiche sanitarie italiane, andando a modificare i vari protocolli EMS locali e incrementando la formazione del personale sanitario.

Transport Time (TT)

I nostri tempi risultano quasi in linea con i TT delle ambulanze tedesche, ma distanti dalla realtà statunitense [11,14]. Il TT influenza la mortalità e la durata della degenza ospedaliera nel paziente traumatizzato [13,35]. La letteratura suggerisce come TT più lunghi influenzino negativamente la sopravvivenza nel caso di paziente con trauma indifferenziato [8]. La nostra ricerca non può spiegare perché si siano osservati TT maggiori rispetto alla realtà USA, in quanto non siamo a conoscenza dei fattori che influenzano ogni intervento, come: distanza, condizioni stradali, velocità del mezzo etc.

E’ noto il beneficio, in termini di maggiore sopravvivenza, del trattamento del ferito in un Trauma Center designato [36]. Nonostante ciò, la nostra analisi mostra come nel Trauma System preso in esame, i pazienti vengano ospedalizzati preferibilmente in un ospedale Spoke piuttosto che in un ospedale Hub (64.1% versus 35.9%).

 

 

CONCLUSIONE

Lo studio non può dimostrare se i tempi dei mezzi EMS analizzati nella gestione del trauma abbiano avuto impatti positivi o negativi sulla sopravvivenza. Forniamo, però, ai sistemi di emergenza la possibilità di confrontare i loro intervalli di assistenza preospedaliera con quelli osservati in questa analisi. Le medie che abbiamo ottenuto devono fare riflettere sul perché si sia osservato un tempo medio sulla scena così prolungato rispetto al modello statunitense preso come riferimento. E’ possibile ipotizzare che per ridurre i tempi sia necessario: 1) aumentare la formazione/simulazioni del personale; 2) una maggiore efficienza delle reti ospedaliere; 3) una rapida centralizzazione “Hub”; 4) una maggiore raccolta/analisi dei dati.

Limiti dello studio

Questa valutazione del servizio EMS si basa su una piccola coorte, derivata da dati retrospettivi. Ciò limita sia la forza delle conclusioni che si possono trarre, sia la generalizzazione dei risultati. Un limite importante deriva dalla presenza di un’analisi statistica puramente descrittiva.

Infatti la mancanza di un’analisi inferenziale dei nostri dati, nonostante un campione di ampia numerosità, rende i nostri risultati validi solamente per il nostro campione e non estendibili all’intera popolazione italiana. Inoltre un ulteriore limite di questo studio è derivato dall’impossibilità di distinguere tra popolazioni urbane ed extraurbane. In aggiunta, la mancanza di accesso alla cartella clinica ci ha impedito di tener conto di alcune importanti variabili che pesano sull’OST: tipo e gravità del trauma, interventi sulla scena, skills del personale di soccorso. Infine, l’assenza di informazioni relative alla sopravvivenza del paziente ci ha impedito di elaborare qualsiasi correlazione tra i nostri tempi e la rispettiva mortalità. Nonostante tutti i limiti indicati e il carattere descrittivo di questo studio preliminare, i risultati ottenuti da questa indagine potrebbero essere considerati come un punto di partenza per indirizzare progetti di studi futuri o di ispirazione per studi multicentrici.

 

Abbreviazioni

DPR = Decreto del Presidente della Repubblica

EMS = Servizi di Emergenza Medica (Emergency Medical Services)

OST = Tempo sulla scena (On-scene time)

RT = Tempo di risposta (Response time)

SIAT = Sistema Integrato per l’Assistenza al Trauma Maggiore

TPT = Tempo preospedaliero totale (Total prehospital time)

TT = Tempo di trasporto (Transport time)

USA = Stati Uniti D’America

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

 

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Valutazione dell'efficacia dello strumento Tri-Co nei pazienti post-chirurgici: Studio osservazionale

Benedetta Cianciolo1 and Manuela Ferrari2

  1. Infermiera Medicina Interna presso l’Azienda Sanitaria Locale di Biella
  2. Tutor della Didattica Professionale presso il Corso di Laurea in Infermieristica Università del Piemonte Orientale - Biella

* Corresponding Author: Benedetta Cianciolo, infermiera di Medicina Interna presso l’Azienda Sanitaria Locale di Biella.  E-mail: benny.cianciolo@gmail.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-39

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ABSTRACT

Introduzione: ad oggi, non esiste uno strumento che identifichi il livello di intensità di cura adeguato nell'immediato post-operatorio nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico. Tra gli strumenti utilizzati, il Triage di Corridoio (Tri-Co), che comprende la valutazione empirica del livello di gravità e di dipendenza del paziente, potrebbe essere potenzialmente utile anche in ambito chirurgico.

Obiettivo: valutare l'efficacia dello strumento Tri-Co attraverso un'analisi della concordanza tra i punteggi ottenuti dallo strumento Tri-Co e l’allocazione reale del paziente per intensità di cura.

Materiali e Metodi: è stato condotto uno studio osservazionale presso l'Ospedale di Biella, su pazienti che erano stati sottoposti ad intervento chirurgico nel 2016, per i quali era stato calcolato il punteggio Tri-Co e successivamente valutato il grado di concordanza tra il punteggio Tri-Co e l'effettiva collocazione del paziente.

Risultati: sono stati osservati 671 pazienti, di questi, 443 sono stati inclusi nell’analisi. La concordanza, tra lallocazione per intensità di cura secondo la valutazione in uso e il Tri-Co, è stata calcolata con il Kappa di Cohen pesato e relativo intervallo di confidenza al 95%. Il valore Kappa è stato pari a 0.125 (IC 95% 0.105 - 0.131), mostrando una concordanza scarsa tra i due tipi di valutazione. In particolare, nella valutazione dell’allocazione dei pazienti, il metodo Tri-Co sovrastima nella valutazione i pazienti da allocare in reparti appartenenti alla chirurgia a bassa intensità, mentre sottostima quelli da allocare presso le chirurgie a media ed alta intensità di cura.   

Conclusione: i risultati ottenuti hanno dimostrato una scarsa concordanza tra lallocazione per intensità di cura reale e con il Tri-Co. La valutazione del paziente chirurgico dovrebbe prevedere lintegrazione dellindice ASA con il grado di complessità dellintervento.

Parole Chiave: triage di corridoio, intensità di cura, chirurgia.

Assess effectiveness of the Tri-Co tool in post-surgical patients : an observational study

 

ABSTRACT

Introduction: to date, there is no tool that identifies the appropriate level of care intensity  in the immediate post-operative period in patients undergoing surgery. Among the tools used, the Corridor Triage (Tri-Co), which includes the empirical evaluation of the level of severity and dependency of the patient, could also be potentially useful in surgery.

Objective: assess effectiveness of the Tri-Co tool trough the analysis of the concordance between the scores obtained by the Tri-Co instrument and the real allocation of the patient by intensity of care.

Materials and Methods: an observational study was conducted in Biella's Hospital, on surgical patients undergoing surgery in 2016 was calculated the Tri-Co score and, subsequently, assess the concordance index between Tri-Co score and the actual patient placement.

Results: 671 patients were observed, of which 443 were included in the analysis. The agreement between the intensity allocation according to the evaluation in use and the Tri-Co was calculated with weighed Cohen's Kappa and its 95% confidence interval. The Kappa value is 0.125 (IC 95% 0.105 - 0.131), showing poor agreement between the two types of evaluation. In particular, the Tri-Co method overestimation in the evaluation, the patients to allocate in low intensity care surgeries, while it underestimates the patients to allocate in medium and high intensity care surgeries.

Discussion: The results obtained showed a poor match between Tri-Co. and the real care intensity allocation. The assessment of the surgical patient should include the integration of the ASA index with the degree of complexity of the intervention.

Keywords: Triage, surgery admission, level of care.

INTRODUZIONE

I mutamenti del panorama sanitario italiano degli ultimi anni hanno portato allo sviluppo di un nuovo modello ospedaliero basato sull’intensità di cura in cui il protagonista è il paziente, valutato in base alla sua instabilità clinica e alla complessità assistenziale [1].

Per intensità di cura si intende la determinazione dell’intensità clinicamente richiesta, in base alla patologia e a specifiche alterazioni dei parametri fisiologici. Maggiore è il rischio di deterioramento clinico e la complessità assistenziale, più intenso è il livello di cura richiesto [2].

L’accoglienza del paziente in un’area di degenza appropriata per il suo livello di cura e lo spostamento al variare delle condizioni cliniche, devono seguire criteri oggettivi condivisi e formalizzati tra i professionisti.

A parità di risorse impiegate, l’assistenza sanitaria per intensità di cura massimizza gli effetti del percorso di presa in carico.

L’idea alla base dell’ospedale organizzato per intensità è di avere delle aree assistenziali con una diversa disponibilità di personale infermieristico rispetto ai modelli tradizionali, dove i pazienti con un quadro clinico più severo sono raggruppati in aree che richiedono una più assidua e rilevante assistenza infermieristica [3].

L’instabilità clinica si correla all’alterazione dei parametri fisiologici e permette l’identificazione del rischio di un rapido peggioramento o della morte; una sorveglianza efficace è l’elemento fondamentale affinché nella pratica non si trascuri alcun segno o sintomo di peggioramento [4]. Tra gli strumenti presenti in letteratura, in grado di valutare l’instabilità clinica, il più noto e utilizzato è il Modified Early Warning Score (MEWS) [5].

L’intensità assistenziale è una misura per definire la quantità e il livello di complessità dell’assistenza infermieristica necessaria per un paziente ed è il secondo fattore, insieme all’instabilità clinica, da tenere in considerazione quando si parla di intensità di cura. Essa pone in evidenza la relazione tra i bisogni assistenziali della persona e la disponibilità di risorse del personale [6]. Il concetto di complessità assistenziale esprime una valutazione relativa al grado di dipendenza e alla tipologia dei problemi che la persona presenta e per i quali viene erogata l’assistenza [7]. Nel corso degli anni è stata sviluppata una gamma di metodi differenti per la rilevazione della complessità assistenziale, la maggior parte dei quali in contesto anglosassone, americano e canadese; alcuni esempi sono presenti anche in Australia ed Europa. Il più noto di questi metodi è l’Indice di Dipendenza Assistenziale (IDA) [8].

L’instabilità clinica e la complessità assistenziale devono naturalmente integrarsi tra di loro per fornire l’esatta collocazione del paziente nell’area ad intensità di cura adeguata a garantire un setting assistenziale coerente con i problemi clinici [9]. Per un utilizzo più appropriato dei posti letto in aree ad altissimo tasso di occupazione, e quindi dotate di ridotta flessibilità, ma anche per un corretto uso delle risorse disponibili in realtà meno affollate e con dotazioni organiche meno contratte, può essere utile prevedere l’attivazione di un sistema di triage interno all’ospedale finalizzato a stratificare, in maniera semplice e rapida, il livello di gravità clinica del paziente in modo da poterlo assistere nel setting più adeguato [10].

Il metodo Triage di Corridoio (Tri-Co) comprende la valutazione empirica del livello di gravità e di dipendenza grazie all’integrazione di due strumenti: il Modified Early Warning Score e l’Indice di Dipendenza Assistenziale. Il metodo permette di ottenere un indice utile ad assegnare il paziente all’area ad intensità di cura più adeguata [11].

Il Triage di corridoio è già stato sperimentato in altre realtà italiane, presso l’AUSL 6 Ospedale di Livorno in ambito medico [12], all’IRCCS Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia [13], nel Pronto Soccorso della Fondazione Poliambulanza [14] e, in ambito chirurgico, nell’Ospedale di San Giovanni in Persiceto. Il Persiceto’s Score prevede l’integrazione dell’indice American Society of Anesthesiologist – Physical Status Classification System (ASA) e dell’intensità dell’intervento associati alla Scala di Barthel [15].

Una valutazione complessiva del paziente chirurgico deve integrare il contributo infermieristico e quello medico. In questo studio sono stati presi in considerazione indici quali l’ASA e la Classificazione Internazionale degli Interventi Chirurgici [16] ad integrazione dello strumento Tri-Co. L’esigenza di utilizzare uno strumento per migliorare allocazione del paziente chirurgico nasce dalla riorganizzazione per intensità di cura dell’Ospedale di Biella, come da Atto Aziendale del 2005.

 

Obiettivo dello studio

L’obiettivo dello studio è quello di valutare l'efficacia dello strumento Tri-Co attraverso un'analisi del concordanza tra i punteggi ottenuti dallo strumento Tri-Co e l’allocazione reale del paziente per intensità di cura, nel contesto chirurgico dell’Ospedale di Biella.

MATERIALI E METODI

Lo studio condotto è di tipo osservazionale.

La raccolta dati è avvenuta dal 19 ottobre al 19 dicembre 2016, includendo nello studio tutti i pazienti afferenti al Dipartimento Chirurgico dell’Ospedale di Biella.

Il comitato etico locale ha ritenuto che in questo caso non era richiesta l’approvazione etica formale. La partecipazione allo studio era in forma anonima. Non sono stati offerti o previsti incentivi economici ai partecipanti per essere inclusi in questo studio, i dati sensibili non sono stati né utilizzati né richiesti.

Lo studio è stato condotto in conformità con le considerazioni etiche delle dichiarazioni di Helsinki.

 

Criteri di inclusione ed esclusione

Sono stati inclusi nello studio i pazienti maggiorenni sottoposti ad intervento chirurgico, sia in elezione che in urgenza, in regime di ricovero ordinario.

Sono stati esclusi dallo studio i pazienti ricoverati presso altri Dipartimenti, gli utenti ricoverati con regime di ricovero day-hospital, one-day-hospital o sottoposti a procedure chirurgiche di ginecologia e ostetricia.

 

Raccolta dati

Prima dell'avvio dello studio è stato previsto un momento formativo in cui gli infermieri sono stati istruiti sul corretto uso dello strumento Tri-Co. Il Tri-Co è stato applicato dal personale infermieristico in fase di arrivo in reparto dell’assistito nell’immediato post-operatorio.

Tramite la consultazione della documentazione sanitaria sono stati raccolti i dati anagrafici, l’indice ASA e il grado di complessità dell'intervento chirurgico, attribuiti secondo la Classificazione Internazionale degli Interventi Chirurgici e dal medico Anestesista in fase di risveglio post-operatorio. L’allocazione del paziente per intensità di cura ha tenuto conto: a) della durata dell’intervento, b) della complessità dell’intervento, c) della comparsa di problemi respiratori, d) della necessità di emotrasfusioni ed e) dell’utilizzo di ammine e/o colloidi. 

 

Strumenti

Il Triage di Corridoio (Tri-Co) è composto dall'integrazione di due strumenti: il Modified Early Warning Score e l’Indice di Dipendenza Assistenziale, che definiscono rispettivamente il livello di instabilità clinica e il livello di complessità assistenziale. Nel primo strumento si raccolgono dati relativi alla stabilità/instabilità clinica, mentre il secondo classifica le informazioni relative alla complessità assistenziale. Tali strumenti possono essere utilizzati dall’equipe medico-infermieristica.

La Tabella 1, mostra come l’integrazione degli score dei due indici identifichi l’area di intensità di cura (alta, media e bassa).

 

Analisi Statistica

I dati sono stati raccolti all’interno di un foglio di calcolo Excel ed analizzati con il software statistico Stata 15.1 [17]. Per ogni variabile sono state riportate le frequenze assolute e percentuali. La concordanza tra l’allocazione per intensità di cura secondo l’attuale valutazione e il metodo Tri-Co è stata calcolata con il Kappa di Cohen pesato e relativo intervallo di confidenza al 95%.

Di seguito i valori di riferimento del kappa: k≤0.2= concordanza scarsa; k compreso fra 0.21 e 0.4 = concordanza modesta; fra 0.41 e 0.61 = moderata; fra 0.61 e 0.80 = buona; >0.80 = eccellente [18]. Il test di McNemar è stato utilizzato per valutare sullo stesso campione di pazienti, l’esistenza di differenze significative fra l’effettiva allocazione dei pazienti e la valutazione avvenuta secondo il metodo Tri-Co.

Tutti i test statistici con un p-value<0.05 sono stati considerati come significativi.

 

RISULTATI

Nel periodo di studio sono stati osservati 671 pazienti sottoposti ad intervento chirurgico. Di questi, 443 sono stati inclusi nelle analisi; i restanti 228 sono stati esclusi per incompletezza dei dati raccolti. L’età media del campione è di 66.21 anni (SD=17.3), range 18-104 anni, e composto dal 44.7% (198) da uomini e dal 55.3% (245) da donne.

Nella Tabella 2, sono riassunte le caratteristiche del campione in base all’allocazione reale per intensità di cura.

La Tabella 3, riporta la distribuzione di frequenza e percentuale dei pazienti sulla base degli score legati agli indici MEWS e IDA.

Il confronto con la reale allocazione del paziente e quello suggerito dall’indice Tri-Co è riportato in Tabella 4.

 

I pazienti allocati in reparti appartenenti alla bassa intensità di cura sono stati il 14% (62), in base alla valutazione con il metodo Tri-Co dovrebbero essere il 69.07% (306, 14%<67.95%, p<0.0001). Il 64.79% (287) dei pazienti sono ricoverati presso una chirurgia a media intensità, la valutazione Tri-Co ne indicherebbe il 30.7 % (136, 64.79%> 30.7%, p<0.0001). Per quanto riguarda l'alta intensità di cura i ricoveri sono stati 21.2% (94), mentre Tri-Co ne assegnerebbe l’1.35% (6, 21.2%>1.35%, p<0.0001).

Infine l’analisi della concordanza tra l’allocazione per intensità di cura secondo l’attuale valutazione e il metodo Tri-Co è stata valutata attraverso il coefficiente Kappa di Cohen pesato e relativo intervallo di confidenza al 95%. In particolare è risultato che il valore di Kappa è stato pari a 0.125 (IC 95% 0.105 – 0.131), evidenziando una scarsa concordanza tra le due metodiche.

DISCUSSIONE

Lo strumento Tri-Co si è dimostrato di facile utilizzo ed in grado di fornire dati di semplice lettura, riproducibili e confrontabili, potendo essere utilizzato da infermieri e medici in modo congiunto. Questo studio indica una scarsa concordanza tra i risultati ottenuti con il solo utilizzo del Tri-Co e l’allocazione reale del paziente. La valutazione del paziente chirurgico con il Tri-Co dovrebbe prevedere l’integrazione con il grado di complessità dell’intervento e l’indice ASA, in linea con quanto previsto dalle “Recommendation for specific surgery grades, minor, intermediate and major or complex and asa” del 2016  [16], perché il metodo Tri-Co, come è emerso dal test di McNemar, sovrastima nella valutazione dei pazienti allocati in reparti appartenenti alla chirurgia a bassa intensità, mentre sottostima quelli ricoverati presso le chirurgie a media e alta intensità di cura.

I sistemi di valutazione dell’intensità di cura, ad oggi, non presentano uno strumento utile a integrare le informazioni relative alla complessità/rischio chirurgico con quelle relative alla complessità assistenziale. I dati presentati in questo studio suggeriscono di utilizzare criteri oggettivi di valutazione per la corretta allocazione dell’assistito. Per quanto riguarda l'uso di strumenti quali Modified Early Warning Score, studi condotti in ambito di emergenza suggeriscono che l’uso di un solo strumento non può essere sufficiente per la precoce identificazione del peggioramento delle condizioni del paziente e della necessità dunque di associarne sempre l'uso al giudizio clinico [14]. Questo aspetto deve senz'altro essere tenuto in considerazione anche nella valutazione del paziente in ambito post - chirurgico.

 

CONCLUSIONI

In prospettiva, studi di questo tipo potrebbero risultare utili sia in realtà già organizzate per intensità di cura, al fine di valutare la corretta sistemazione dell’utente, sia in quelle suddivise per specialità, per studiare la fattibilità del cambiamento e il beneficio che questo potrebbe apportare. In accordo con gli studi condotti in ambito di emergenza e in ambito chirurgico, la scelta del metodo con il quale valutare l’intensità di cura deve prevedere l’uso di sistemi validati, adattati al contesto locale sulla base delle risorse disponibili. L’introduzione di strumenti di valutazione deve essere accompagnata da un percorso di adattamento degli strumenti stessi; tale adattamento deve prevedere il contributo di tutte le figure professionali coinvolte, ciò contribuirebbe a fornire uno strumento di valutazione effettivamente capace di garantire una migliore organizzazione delle risorse umane e di rispondere meglio alle esigenze della persona assistita [19]. Negli ultimi anni la letteratura ha proposto numerosi strumenti per la valutazione della complessità assistenziale, pur con caratteristiche diverse tutti integrano la valutazione della stabilità clinica con indicatori di funzionalità cardiocircolatoria e respiratoria e la valutazione del livello di autonomia della persona assistita. La valutazione di quest’ultima dimensione risulta particolarmente utile al fine di definire il carico di lavoro degli infermieri e la miglior organizzazione possibile delle risorse disponibili.

Limiti dello studio

Lo studio presenta dei limiti in relazione al campione esaminato, sarebbero infatti utili ulteriori studi condotti su popolazioni più ampie per confermare o meno tale livello di concordanza. Inoltre, il dato potrebbe essere influenzato dalla tipologia di utenza chirurgica dell’Ospedale Biellese che rientra nella categoria a bassa-media intensità di cure in quanto, non esistendo specialità chirurgiche, le situazioni critiche vengono dirottate in altre strutture ospedaliere.

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio

Ringraziamenti

Gli autori ringraziano l’ASL BI, l’Università degli Studi del Piemonte Orientale e la Direzione del master “Management per le funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie”, per aver permesso la raccolta dei dati, l’analisi e la condivisione dei risultati ottenuti.

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


La Sindrome di Münchausen per procura: conoscenze, attitudini, percezioni tra i professionisti sanitari che operano nel Dipartimento di Emergenza

Maria Chiara Carriero1, Roberto Lupo2, Pietro Santoro3,Francesca Simone4, Ornella De Mitri5, Antonino Calabrò6, Federica Maria Pia Ferramosca7, Carmen Donadio8, Maicol Carvello9

  1. Psicologa presso l’Istituto Santa Chiara, sede di Roma
  2. Infermiere presso l’Asl di Lecce, Ospedale San Giuseppe da Copertino (LE)
  3. Docente presso Servizio di formazione e consulenza MathCounseling, (LE)
  4. Infermiera presso Residenza Sociosanitaria Assistenziale per anziani (R.S.S.A.),Madonna delle Grazie, Andria (BAT)
  5. Dirigente Medico presso l’Asl di Lecce, Presidio Ospedaliero Vito Fazzi (LE)
  6. Infermiere presso l’Asl di Biella, Ospedale degli Infermi (BI)
  7. Ostetrica (Le)
  8. Infermiera presso l’Azienda Sanitaria Matera,Ospedale Distrettuale “Salvatore Peragine” Stigliano (MT)
  9. Tutor Didattico presso “Università degli studi di Bologna”, Corso di Laurea in Infermieristica, sede di Faenza (RA)

Corresponding author: Dott. Antonino Calabrò, Infermiere presso l’ASL Biella S.P.D.C.

E-mail: anto.cala76@gmail.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-38

Cita questo articolo

ABSTRACT 

Introduzione: La Sindrome di Münchausen per Procura (Münchausen Syndrome by Proxy - MSbP) è una condizione in cui la figura di accudimento, solitamente la madre, procura o simula un danno fisico e psicologico al proprio figlio, per richiamare su di sé le attenzioni delle persone con cui si relaziona tramite il piccolo. Il danno psicologico che ne consegue sulle vittime è devastante e può causare anche la morte. Dalla letteratura emerge la difficoltà di svolgere la diagnosi della Sindrome, per cui occorre un’adeguata formazione del personale sanitario.

Obiettivo: valutare il grado di conoscenza della Sindrome di Münchausen per Procura tra i professionisti che lavorano in contesti di emergenza-urgenza.

Materiali e metodi: E’ stato condotto uno studio osservazionale e multicentrico presso le Unità Operative di Pronto Soccorso di quattro ospedali del Sud Italia. Lo strumento utilizzato è questionario di Hochhauser, consegnato in busta chiusa ai Direttori delle Unità operative e ai coordinatori infermieristici dei vari reparti e distribuito al personale Medico ed infermieristico.

Risultati: Il campione è costituito da 137 professionisti sanitari, di cui fanno parte medici e infermieri. Solo il 22.6% (n=31) ha dichiarato di conoscere la MSbP. L’86.1% (n=118) sostiene di non aver mai trattato la MSbP. Il 53.3% (n=73) ha sospettato o potrebbe ora sospettare retrospettivamente tale Sindrome in alcuni casi trattati. Il 41.6% (n=57) ha riscontrato genitori che esagerassero i sintomi del bambino o attribuissero significati patologici gravi a malattie sintomatologiche modeste. Il 93.4% (n=128) sostiene che sarebbero utili e necessari corsi di formazione per approfondire tale Sindrome.

Conclusioni: I risultati del nostro studio mostrano una scarsa conoscenza della Sindrome di Munchausen tra gli operatori sanitari, nonché lacune in un eventuale gestione di un caso. Si evidenzia la necessità di incrementare corsi di formazione in merito a tale tematica, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza del professionista sanitario rispetto al riconoscimento, diagnosi e cura di questa forma di abuso.

 

Parole chiave: Sindrome di Munchausen, Sindrome di Munchausen per Procura, maltrattamento sui minori.

 

 

The Münchausen Syndrome by Proxy: knowledge, attitudes, perceptions among health professionals of the Department of Emergency

 

ABSTRACT

Introduction: The Münchausen Syndrome by Proxy (MsbP) is a condition in which the caring figure, usually the mother, causes or simulates a physical and psychological damage to her own child, in order to call upon herself the attentions of the people with whom she relates through the baby. This resulting psychological damage on the victims is devasting and it can even lead to death.

From the Scientific Literature emerges the difficulty in diagnosing the Syndrome, therefore an adequate training of the healthcare personnel, is necessary.

Purpose: To assess the level of knowledge of the Münchausen Syndrome by Proxy among professionals working in the Emergency Department.

Material and methods: An observational and multicenter study was conducted in four hospitals located in the South of Italy. The tool used is the questionnaire of Hochhauser, was delivered in a sealed envelope to the Directors of the first Aid Operating Units and to the coordinators of the various departments and later distributed to the Medical and Nursing Staff.

Results: The sample consists of 137 health professionals, which includes doctors and nurses Only 22.6% (n = 31) said they knew about the MSbP. 86.1% (n = 118) say they have never treated MSbP. 53.3% (n = 73) suspected or could now retrospectively suspect this syndrome. 41.6% (n = 57) found parents who exaggerated the child's symptoms or attributed serious pathological meanings to modest symptomatological diseases. 93.4% (n = 128) asserted that training courses would be useful and necessary to deepen this syndrome.

Conclusions: The results of the study indicate that only a minority of the analyzed professionals know the Münchausen Syndrome by proxy and only some of them would know how to manage and deal with such a situation. The need to increase professional training courses is highlighted on this issue, with the aim of improving the health professional's awareness about the importance of recognition, diagnosis and treatment of this form of abuse.

 

Keywords: Münchausen Syndrome, Münchausen Syndrome by Proxy, mistreatment of children.

 

Introduzione

La Sindrome di Munchausen per Procura (Munchausen Syndrome by Proxy - MSbP) è una condizione in cui la figura che si prende cura del bambino, solitamente la madre, [1] procura o simula un danno fisico e psicologico al proprio figlio, per richiamare su di sé le attenzioni delle persone con cui si relaziona tramite il piccolo. Viene menzionata per la prima volta in letteratura nel 1977 dal pediatra inglese Roy Meadow [2], che ne coniò il termine nel lavoro pubblicato su Lancet, definendola come “un bizzarro disordine mentale”. Già in questo suo scritto, si sottolineava che i metodi usati per creare sintomi fossero eterogenei e crudeli ma che l’intenzione del genitore non fosse quella di nuocere ai figli, ma l’espressione di un estremo bisogno di attenzione [3], facendo sospettare una malattia che richiedesse frequenti consulti, ricoveri o interventi chirurgici. Il bambino per contro, a causa delle ripetute ospedalizzazioni e delle procedure diagnostico-terapeutiche cui viene sottoposto, riporta gravi sequele psico-fisiche, fino a giungere nei casi più gravi, circa il 10%, alla morte [2].Tra i metodi usati per causare sintomi nel bambino si ricorda: l’iniezione di insulina o urine, l’uso di veleno per topi, lassativi [4], sedativi, sale da cucina, lesioni facciali, soffocamento [5], volontaria sotto nutrizione, induzione di attacchi epilettici [4,5]. Secondo alcuni studi, almeno il 70% delle madri abusanti sono state a loro volta vittime di maltrattamento [6] e abusi emotivi, fisici e sessuali [7]. Il danno psicologico che ne consegue sulla vittima di MSbP è devastante. Spesso infatti, sono compiuti tentativi di suicidio ein fase adolescenziale,si fa abuso di alcol e fumo e si hanno problemi di delinquenza. Le vittime mostrano inoltre, ipocondrie, fobie, turbe sessuali, ansie e vissuti di malattia, di isolamento ed emarginazione. In casi estremi invece, si istaurano disturbi di personalità di tipo borderline [8] o personalità multipla [9]. Tra le caratteristiche messe in evidenza rispetto alla figura materna in situazioni di MSbP emerge che, nonostante sia molto attenta, presente, con ottime conoscenze nell’ambito medico e con buone capacità espressive, spesso assume atteggiamenti inappropriati: si rifiuta di lasciare il bambino da solo, si propone per somministrare essa stessa i farmaci ed effettuare la raccolta di sangue e urina [10]. Gli aspetti patologici che bisognerebbe considerare della madre sono le reazioni paranoidi, la convinzione maniacale che il figlio sia malato e la personalità sociopatica [11]. Queste donne sfruttano gli altri, violando le norme sociali e morali, senza senso di colpa o rimorso alcuno. Possono essere, inoltre, affette da un disturbo di personalità (paranoide, narcisistico, istrionico e borderline), ed è spesso ricorrente che le madri abusanti siano state a loro volta vittime di maltrattamento durante l’infanzia [11]. Secondo Morrell B, Tilley D.S. [12] il ruolo dei padri, invece, è incerto e raramente esplorato. Tendono, infatti, ad essere distanti e assenti, sia fisicamente che affettivamente, dalla vita familiare, e ciò facilita la messa in atto degli abusi da parte della madre [12].

Classificata tra le cosiddette “Patologie delle Cure”, in cui sono presenti tre tipi di categorie cliniche (Incuria, Discuria e Ipercuria), la Sindrome di Munchausen per Procura viene inquadrata nell’Ipercuria e rinominata come “Disturbo Fittizio provocato da altri” nella categoria nosografica dei Disturbi Fittizzi del DSM-5[13]. Sebbene questa Sindrome sia considerata una forma di abuso sul minore, ad oggi non è ben chiaro il tasso di prevalenza sul nostro territorio [14]. In generale, secondo il Rapporto sulla Prevenzione del maltrattamento all’infanzia in Europa 2013 [15], oltre 91mila minorenni sono stati maltrattati in Italia [15,16], per cuinel 2006, l’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) [17]ha dichiarato il maltrattamento e l’abuso infantile un problema di salute pubblica. Tuttavia, nonostante la sensibilizzazione sociale stia progredendo, la sottostima della questione è ancora ampia, persino in campo sanitario. A renderlo un problema difficile da diagnosticare sono, come definisce l’OMS [18], “meccanismi culturali di minimizzazione e negazione del fenomeno, perché si verifica prevalentemente all’interno della famiglia, col forte rischio di restare inespresso e invisibile”.

La diagnosi di tale sindrome risulta, quindi, essere molto complicata e difficile da riconoscere, tuttavia a porre il sospetto di questo abuso potrebbe essere, in primo luogo, l’infermiere di triage del pronto soccorso, che dovrebbe essere formato ed aggiornato riguardo il percorso sulla gestione del bambino maltrattato e abusato. Inoltre, un’indagine corretta dei segni e sintomi fin dal primo approccio, potrebbe essere un passaggio fondamentale nel percorso diagnostico e assistenziale [15,18,19].

Per tale Sindrome non èancora presente un corpus di ricerca consolidato, poiché mancano gli strumenti sia per poter identificare precocemente i bambini a rischio, sia per una corretta gestione della malattia in tutte le sue manifestazioni.A livello scientifico internazionale la Sindrome di Munchausen per procura è riconosciuta, ma in Italia rappresenta un fenomeno ancora sottostimato e diagnosticato con difficoltà. Questa mancanza di identificazione, oltre a causare un danno psico-fisico sul bambino, porta ad effettuare test e procedure di laboratorio non necessari, che possono prolungare le ospedalizzazioni e aumentare i costi dei sistemi sanitari.

Inoltre, pochi sono gli studi in merito alle conoscenze, attitudini, percezioni e metodi di rilevazione delle forme di maltrattamento da parte del personale sanitario. Da qui, la scelta di indagare il grado di conoscenza della Sindrome di Munchausen per Procura tra gli infermieri ei medici che lavorano in Ospedale.

Obiettivo: Scopo principale dello studio è stato valutare il grado di conoscenza della Sindrome di Munchausen per Procura (Munchausen Syndrome by Proxy - MSbP) tra gli Infermieri e i Medici di area critica in quattro Ospedali del Sud Italia, al fine di evidenziare eventuali necessità formative.

 

Materiali e Metodi

È stato condotto uno studio trasversale conoscitivo e multicentrico presso quattro Ospedali Italiani, in particolare presso le Unità Operative del Pronto Soccorso della Regione Puglia: Ospedali “Vito Fazzi” di Lecce (LE), “Santa Caterina Novella” di Galatina (LE), “San Giuseppe” di Copertino (LE) e “Lorenzo Bonomo” di Andria (BT). Dopo aver ottenuto le autorizzazioni (Prot. n°.10/18 del 14/06/2018; n° 03/18 del 08/03/2018; 28/05/2018) presso le Direzioni Sanitarie ed Infermieristiche dei centri sede d’indagine, nel periodo da maggio 2018 a gennaio 2019, è stato somministrato il questionario dello studio di Hochhauser et al.[20], allo scopo di valutare le conoscenze infermieristiche e l’esperienza professionale in merito alla Sindrome. Il questionario utilizzato e riportatoè stato consegnato in busta chiusa, con copia della relativa autorizzazione, ai Direttori delle Unità operative e ai coordinatori dei vari reparti.

Oltre a domande di interesse demografico, lo strumento è composto da 13 domande a risposta chiusa ed unaopzionalea risposta aperta. Il questionario è suddiviso in 4 sezioni contraddistinte con le lettere A,B,C e D, in cui sono ripartite delle domande secondo criterio di pertinenza ad un particolare ambito: Sez. A – Dati socio professionali, Sez. B – Grado di conoscenza della sindrome(items 1-4), Sez. C – Percezione e pratica professionale (items 5-6), Sez. D – Esperienza professionale e percezione bisogno formativo (items 7-13). Il questionario si articola in due percorsi diversi a seconda della risposta alla prima domanda, inerente alla conoscenza della Sindrome. Questi due percorsi, poi, si riuniscono nell’ultima serie di domande comune ad entrambi.

La domanda 4 proponeva 18 items inerenti lecaratteristiche distintive della Sindrome, veniva quindi richiesto di indicare quelle ritenute corrette.

All’interno della presentazione del questionario sono state enunciate le caratteristiche dello studio. Tutti i soggetti che hanno partecipato allo studio hanno ricevuto la scheda informativa e il modulo di consenso che dovevano essere firmati. I dati sono stati raccolti in forma aggregata nel rispetto della privacy e avendo cura di mantenere l'anonimato dei partecipanti. Non sono stati offerti incentivi per la partecipazione allo studio. I soggetti coinvolti nell’indagine dovevano soddisfare dei criteri di eleggibilità allo studio; in particolare, sono stati reclutati Infermieri e Medici delle unità operative di Pronto Soccorso, in quanto attivamente coinvolti nell’assistenza del paziente pediatrico, e operatori sanitari con almeno un anno di esperienza lavorativa in area critica.

 

Analisi statistica

Sono state condotte analisi descrittive per tutte le variabili qualitative e quantitative. Le variabili continue sono state sintetizzate tramite media e deviazione standard (DS) e le variabili categoriche mediante frequenze e percentuali. Il test t di Student per dati non appaiati, è stato eseguito per confrontare le medie fra due sottogruppi indipendenti. Il test chi-quadrato è stato eseguito perindividuare significative differenze fra due sottogruppi indipendenti in termini di percentuali o proporzioni. Tutti i test con p-value<0.05 sono stati considerati come significativi. I dati raccolti, sono stati analizzati attraverso l’uso di un software (Software Statistical Package for Social Science) versione 17.

Risultati

Sezione A: caratteristiche socio-demografiche del campione

Il campione è costituito da 137 professionisti, tra medici (22.6%, N=31) e infermieri (73%, N=100) che lavorano presso i Dipartimenti di Emergenza-Urgenza (Tabella 1), il 4.4 % (N=6) erano risposte mancanti,ovvero il tipo professionista sanitario non era descritto.Tra i partecipanti il 58.4% (N=80) è di genere maschile, il 39.4% (N=54) di genere femminile, mentre il 2.2 % (N=3) non ha dichiarato il proprio genere. La fascia di età dei professionisti maggiormente frequente è quella compresa tra gli anni 41-50, con una percentuale del 34.3% (N=47). I professionisti lavorano, all’interno delle Unità Operative di pronto soccorso mediamente da circa 9.5 anni (SD = 8.0).

Sezione B: grado di conoscenza della MSbPtra i professionisti sanitari

Alla domanda se conoscessero o meno la sindrome (Tabella 2), solo il 22.6% (n= 31) del campione ha risposto affermativamente. Tra le fonti di informazione, rientra la formazione di base (7.3%, n=10), i corsi di formazione post-base (2.2 %, n=3), corsi di aggiornamento per la Formazione Continua in Medicina (2.9.%, n=4). Ulteriori informazioni sono state ricevute attraverso uno scambio informativo con altri colleghi infermieri (2.9 %, n=4) e Tv-mass-media (2.2%, n=3). Tra le fonti di informazione, nell’ambito della formazione di base e post base, l’1,5% (n=2) attraverso convegni; durante il corso di Laurea in Infermieristica (2.2; n=3) e corso di Laurea in Medicina (0.7% n=1); durante il corso di specializzazione in medicina legale (0.7%, n=1).

Nell’item 4 della Tabella 2, venivano chieste tra una serie di caratteristiche quelle distintive della Sindrome di Munchausen per Procura. Sebbene il 77.4% (n=106) non abbia rilasciato risposta all’item, il 64.5% (n=20/31) dei rispondenti ha riconosciuto l’item “La Sindrome di Munchausen per Procura è una forma di abuso su minore classificabile tra le cosiddette Patologie delle Cure” come esatto. Mentre, il 58.1% (n=18/31) ha riconosciuto l’item “La madre assume atteggiamenti inappropriati al periodo evolutivo del bambino” come esatto, nonostante fosse sbagliato. L’item “La madre è fredda o indifferente nei confronti del bambino” è stato segnato esatto dal 12.9% (n=4/31) nonostante fosse sbagliato. Il 16.1% (n=22), inoltre, ha sostenuto che i disturbi indotti\simulati più comunemente non fossero convulsioni, sanguinamento, squilibri biochimici, febbre o vomito, ma manifestazioni respiratorie, gastrointestinali, ematiche, otorinolaringoiatriche e altre disfunzioni a carico di vari organi. Ciò nonostante, il 19.7% (n=27) sostiene che il fine ultimo delle azioni materne non sia la morte del bambino (Tabella 2).

Inoltre, è stata calcolata le media degli anni lavorativi, ed è emerso che i professionisti lavorano mediamente all’interno delle unità operative da circa 9.5 anni (SD = 8.0). Confrontando le medie dell’esperienza lavorativa in funzione dell’item n. 1 (Tabella 2), che esplorava la conoscenza della patologia, emerge che la percentuale di coloro che non conoscono la patologia è pari al 77.4%  (media =9.4, n=106;SD = 8.4) contro una percentuale pari al 22.6%; (media di 8.2, n=31, SD = 7.1) tra chi la conosce. Questa differenza non risulta però statisticamente significativa (t = 0.727; p = 0.468).

 

Sezione C-D: percezione del bisogno formativo e della pratica professionale

Dai risultati dello studio si evince che una percentuale importante (86.1%, n=118) sostiene di non aver mai assistito, nel corso della sua vita professionale, alla diagnosi della Sindrome di Munchausen per Procura, contro il 10.9% (n=17) che invece sostiene di aver assistito alla diagnosi di tale sindrome.Di questi 17 soggetti, il 7.3% (n=10) è stato attivamente coinvolto in tale diagnosi. Dei 17 soggetti che si sono trovati di fronte al presunto abuso; emerge che il primo professionista coinvolto sia stato un pediatra (17.6%; n=3); il 5.9% (n=1) ha denunciato personalmente l’abuso; il 35.3% (n=6) ne ha parlato con altri infermieri, il 5.9% (n=1) ne ha parlato con il medico referente; il 35.3% (n=6) non ha assunto nessuna decisione poiché non sapeva cosa fare. Una percentuale importante (53.3%, n=73) dei professionisti indagati ha sospettato o potrebbe ora sospettare retrospettivamente la Sindrome.

Inoltre, non sono state trovate differenze significative tra medici ed infermieri nelle risposte agli items, tranne che per l’ultimo punto dell'item 5:"Si sono presentati più volte con il proprio bambino vittima di patologie ogni volta non ben clinicamente definibili", per il qualerisulta che per i medici (36.7%) questo tipo di evento si è verificato di più rispetto agli infermieri (11.1%) (Chi quadro = 9.7; p-value = 0.002).Esaminando, invece, la percezione di questa condizione patologica emerge che il 39.4% (n= 54)dei professionisti, nel corso della loro attività professionale, è rimasto colpito dai genitori che raccontano minuziosamente la storia della malattia del figlio (Tabella 3). Il 35.8% (n=49)ha incontrato più volte, durante il proprio turno di lavoro, genitori ansiosi e molto presenti, che acconsentissero prontamente a tecniche diagnostico terapeutiche invasive (Tabella 3).

Inoltre, il 50.4% (n=69) dei professionisti ha riscontrato situazioni nelle quali i genitori, che ricorrevano con assiduità al ricovero del proprio figlio, raccontavano che fosse affetto da malattie rare osecondo alcuni professionisti (46.7%, n=64), da malattie difficili da diagnosticare. Il 41.6% (n=57) hanno riscontrato genitori che esagerassero i sintomi del bambino o attribuissero significati patologici gravi a malattie sintomatologiche modeste. Infine, il 35.8% (n=49) ha assistito a situazioni in cui i genitori hanno deciso di interrompere l’iter clinico senza motivo apparente.Alla luce di quanto detto, il 93.4% (n=128) dei professionisti sostiene che sarebbero utili e necessari corsi di formazione per approfondire tale Sindrome. La maggior parte dei professionisti coinvolti nello studio infatti pensa che il professionista Infermiere con una formazione adeguata, possa contribuire a ridurre la sottostima di tale fenomeno, e orientare il professionista medico ad una diagnosi tempestiva (Tabella 3).

 

Discussione

Obiettivo dello studio è stato quello di valutare il grado di conoscenza della Sindrome di Munchausen per Procura (Munchausen Syndrome by Proxy - MSbP) tra gli Infermieri e i Medici di quattro Ospedali del Sud Italia. È indubbio che lo sviluppo armonioso della personalità del bambino dipenda da un adeguato attaccamento alla figura materna [21]. Le prime relazioni affettive sono fondamentali per una sana crescita del bambino, ma in assenza di cure adeguate si può parlare di “Patologie delle cure” ovvero “quelle condizioni in cui i genitori o le persone legalmente responsabili del bambino non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni fisici e psichici, in rapporto all’età evolutiva” [22]. Esistono tre tipi di categorie cliniche che rientrano nella ‘Patologie delle cure’(Incuria, Discuria e Ipercuria), ma tutte causano importanti ripercussioni sulla salute fisica e mentale del bambino. Tra le caratteristiche messe in evidenza dai professionisti rispetto alla figura materna in situazioni di MSbP emerge che, nonostante sia molto attenta e presente, spesso assume atteggiamenti inappropriati: si rifiuta di lasciare il bambino da solo, si propone per somministrare essa stessa i farmaci ed effettuare la raccolta di sangue e urina [10]. Il 17.5% del campione (n=24) pensa che la madre non possieda conoscenze mediche e\o infermieristiche, questo aspetto non conferma i dati riportati in letteratura, dai quali si evince che la madre risulta essere colta in campo sanitario, cooperativa verso i medici e in grado di esprimersi con buone proprietà di linguaggio [23]. Per quanto riguarda la figura paterna invece, questa sembra essere assente dalla vita familiare o resta lontano da casa per molto tempo e ciò facilita la messa in atto degli abusi da parte della madre. Tuttavia, per il 14.6% (n=20) dei professionisti sanitari il genitore non perpetrante l’abuso non è l’elemento passivo e marginale della coppia genitoriale.

Questo dato è in contrasto con quello ottenuto dallo studio di Morell B. e Tilley DS (2012), in cui si evince che i padri delle vittime di MSbP tendono ad essere sorpresi dall’abuso, perché generalmente sono distanti e distaccati dal nucleo familiare, non coinvolti emotivamente e fisicamente. Solo dopo la conferma della diagnosi di MSbP il padre, ripensando al passato, è in grado di riconoscere e identificare alcuni segnali di avvertimento sull’abuso da parte del suo coniuge. Secondo questo studio, inoltre, conoscere le caratteristiche della Sindrome e di entrambi i genitori consente agli infermieri di rilevare meglio questa forma di abuso [12].

L’abuso sui minori non rappresenta solo un preoccupante fenomeno sociale, ma costituisce una vera e propria patologia, che richiede un’accurata valutazione diagnostica da parte di un’equipe specialistica multidisciplinare. La necessità di conoscenze in merito, appare un bisogno sentito in quanto indice della consapevolezza del professionista sanitario dell’importanza del riconoscimento, diagnosi e cura di questa forma di abuso. In Italia non mancano iniziative e solide basi di appoggio di tipo legislativo per prevenire e contrastare il maltrattamento dei minori [24].I risultati dello studio indicano che solo una minoranza dei professionisti analizzati conosce la Sindrome di Munchausenper Procura e solo alcuni di loro saprebbero gestire e affrontare una tale situazione. A confermare questo dato potrebbero essere non solo i risultati allo studio, ma anche le numerose risposte mancanti alle domande proposte sulla conoscenza della Sindrome e sull’esperienza professionale. Questi dati sono in linea con quelli presenti in un’indagine multicentrica condotta in tre ospedali della Toscana (Italia). In questo studio è stato visto che il livello di conoscenza generale è generalmente basso (30.8%) o medio-basso (30.8%). In particolare, ai partecipanti era chiaro che la Sindrome fosse una forma di abuso sui minori, ma la distinzione tra le diverse forme di abuso (Incuria, Discuria, Ipercuria) sembrava essere poco conosciuta. Dallo studio effettuato si evidenzia, inoltre, la necessità di formazione in merito e un bisogno sentito dal 95.9% del personale infermieristico di conoscere meglio la Sindrome [25].Un altro aspetto che sembra carente è la macchina attuativa, il coordinamento delle risorse e dei servizi, l’armonizzazione delle politiche sanitarie con quelle sociali, per cui una volta identificato un caso sospetto non si sa come procedere. I maltrattamenti e abusi sui minori vengono denunciati ai dipartimenti di emergenza e secondo le linee guida della Regione Emilia-Romagna sono da identificare con il codice ROSSO/NAP (Non Avere Paura). Tuttavia, non tutte le realtà di primo intervento pediatrico sembrerebbero dotate di uno strumento, come un questionario o checklist, che faciliti il professionista nell’individuare le condizioni di rischio di abuso infantile [26]. Sulla base di questa indagine, si possono, quindi, indicare due livelli su cui lavorare:

  • il livello sanitario, il maltrattamento dei minori va considerato una questione di salute pubblica e deve essere trattato in termini di prevenzione, formazione di vari profili professionali che si interfacciano con il minore, approfondimento diagnostico sui comportamenti a rischio, protocolli di intervento e investimenti economici e finanziari in ricerca;
  • il livello sociale, il maltrattamento dei minori richiede un’azione di cura sociale sulle famiglie, sul sostegno alla genitorialità, sul delicato periodo del post-partum. Il maltrattamento sui minori richiede un’attenzione e un piano d’azione ad ogni livello: nazionale, regionale e locale. Il contrasto rappresenta oltre che una forma di tutela dei diritti fondamentali anche un ambito di salvaguardia del benessere dell’individuo e un buon investimento sul futuro.

 

Conclusioni

Lo studio ha evidenziato la scarsa conoscenza di tale Sindrome dei professionisti sanitari e la necessità di incrementare corsi di formazione professionale. Secondo la letteratura, i casi di maltrattamento e abuso sui minori sono sottostimati e spesso quando diagnosticati, l’inefficacia dell’intervento è dovuta alla coesistenza di interventi frammentati, con modelli di lavoro non coordinati [27]. Di conseguenza è di fondamentale importanza che tutti gli interventi sanitari e sociali siano integrati e condivisi. Prioritario è l’investimento nella qualificazione delle competenze specifiche, sia mediante un aggiornamento continuo, sia attraverso la condivisione di un protocollo condiviso tra i vari servizi interessati. È necessario quindi che ci sia un contributo di tutti gli operatori che interagiscono con il minore e che questi abbiano una profonda conoscenza della situazione in cui egli si trova, anche in momenti successivi all’abuso subìto.

Limiti

I risultati dello studio devono essere considerati tenendo conto di alcuni limiti che riguardano delle possibili distorsioni legate ad aspetti che interessano l’intenzione di non voler dichiarare eventuali abusi su minori per paure di ritorsioni. Inoltre, una maggiore numerosità campionaria e uno studio multicentrico avrebbero dato un maggior contributo e la possibilità di comparare i nostri dati con quelli presenti in letteratura. In ogni caso, i nostri risultati preliminari evidenziano la necessità di una maggior divulgazione di conoscenze in ambito pediatrico e nei dipartimenti di emergenza/urgenza, in merito a questa patologia.

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano gli Infermieri e i Medici che hanno accettato di partecipare allo studio.

 

Abbreviazioni:

MSBP (Münchausen Syndrome by Proxy)

DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali)

APA (American Psychiatric Association)

CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia)

Appendice: Questionario per la valutazione della Sindrome di Munchausen per Procura (MunchausenSyndrome by Proxy - MSbP)

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Evaluation of the quality perception of the patients in relation to the care received by the nursing staff in the Laboratory of Hemodynamic and Elettrostimulation: A cohort study

Vitale Elsa1*, Donvito Simona2, Altieri Vito3

  1. Centre of Mental Health, Modugno, ASL BARI. Contract professor for the University of Bari.
  2. Nursing student at the University of Foggia.
  3. Nursing coordinator ASM, Matera. Professor of Nursing Degree at the University of Foggia.

* Corresponding author: Vitale Elsa, Centre of Mental Health, Modugno, ASL Bari, e-mail: vitaleelsa@libero.it     

DOI: 10.32549/OPI-NSC-37            

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduction: The Health Care  Quality System began in 1992 and continues in the complex phenomenon of innovation which is necessary to improve the Health Care System.

This study aims to investigate how patients perceive the quality of care provided in the interventional cardiology service and therefore whether they are satisfied with the care received.

Materials and Methods: A questionnaire of 19 total items was elaborated and administered on 81 patients with the objective of assessing the importance of the interaction modality of the nursing staff with the patients who undergo the interventional cardiology procedure in the intra and peri- procedural moments.

Keywords: Interventional Cardiology Service; Nursing Performances; Perceived Quality; Patient Quality.

 

“Valutazione della percezione della qualità dei pazienti in relazione alle cure ricevute dal personale infermieristico nel Laboratorio di Emodinamica ed Elettrostimolazione:: uno studio di coorte.

 

ABSTRACT

Introduzione: Il sistema di qualità in sanità è iniziato dal 1992 e continua in un complesso fenomeno di innovazione, necessario per migliorare il sistema sanitario. Questo studio ha lo scopo di valutare come i pazienti percepiscono la qualità delle cure fornite dal servizio di cardiologia interventistica e, se sono soddisfatti delle cure ricevute.

Materiali e Metodi: Un questionario di 19 domande totali è stato elaborato e somministrato a 81 pazienti con l’obiettivo di valutare l’importanza della modalità di interazione del personale infermieristico con i pazienti sottoposti alla procedura di cardiologia interventistica nei momenti intra e procedurali.

Risultati: Il campione raccolto era significativamente eterogeneo perché la componente maschile era più frequente (p<0.001), i pazienti con più di 61 anni erano significativamente meno frequenti (p=0.0161) e i pazienti con diploma di scuola elementare o inferiore (p<0.001) erano significativamente più frequenti. I pazienti hanno espresso un alto livello di soddisfazione per quanto riguarda la valutazione del personale infermieristico, la gentilezza e la cortesia mostrate loro e l’attenzione prestata ai loro problemi, il tempo a loro dedicato, il livello di informazioni ricevute sulla procedura e il post-procedura, l’aiuto per risolvere eventuali inconvenienti verificatisi al momento della procedura stessa. I pazienti sono stati moderatamente soddisfatti per gli infermieri che li hanno assistiti direttamente nella procedura e di come hanno compreso e risposto a tutte le loro domande. Anche per la valutazione di: privacy, informazioni ricevute per il post- procedura, valutazione degli ambienti,  pulizia, silenzio e temperatura, i pazienti hanno più frequentemente espresso un moderato livello di soddisfazione.

Discussione: Il presente studio ha mostrato un buon livello di soddisfazione per la percezione della qualità nei pazienti sottoposti a procedura cardiologica interventistica. Ulteriori sviluppi sono auspicabili al fine di generare un questionario validato che potrebbe essere adattato alle nostre realtà sanitarie e al campionamento più numeroso di pazienti.

 

Parole Chiave: Prestazioni infermieristiche; Qualità percepita; Qualità per il paziente; Servizio di Cardiologia Interventistica.

INTRODUCTION

The definition of Quality in Healthcare originated immediately after the end of the Second World War. Deming W. Edward [1] had developed a critical view on production methods in the U.S.A. during the war, particularly on methods of quality control, since management and engineers controlled the process and line workers played a small role. In his lectures he promoted the new statistical tools in order to quantify quality in industrial world. In the early 1950s he traveled to Japan and began to spread and compare the Quality Management in Quality Control, extending to all business sectors the goal of quality. Ten years later,  Deming received a high recognition from the Emperor of Japan and, its idea known as “Total Quality Management” (TQM) became widely involved in Japanese business organizations and entrepreneurial culture. It will take another twenty years for knowledge of TQM concepts and techniques to spread to the industrialized world of the West. Since then, a rich series of theoretical approaches have followed.

Borrowing from Ceosby’s quality concept from industry, Avedis Donabedian implemented the concept of quality in the healthcare setting as: “the degree with care complies current criteria of good medicine”, by also including the concept of evaluation in its definition. Moreover, a specific definition of Quality in healthcare setting could be: “do only what is useful (theoretical efficacy), in the best way (practical efficacy) with the lowest cost (efficiency), to whom (accessibility), and only to those who really need it (appropriateness), having the care done by those who are competent to do it (competence), obtaining the results deemed best (satisfaction)”.

Always borrowing the concept of quality from industry, the ISO9000 standards - which are now a consolidated reference for this sector - are also applicable to the healthcare sector.

Moreover, thanks to the D.L. 502/92 and the D.L. 517/93 and the subsequent D.P.R. 801/97 (which introduces the concept of accreditation of healthcare structures and the systems for evaluating and improving activities) and D.L. 229/99 (which reaffirms the need to guarantee the quality of assistance and proposes the method of verification and revision, by providing agreements between the Region and Healthcare Organizations) the regulatory framework on quality in healthcare defined better the fields of action. It is on the basis of these legislative guidelines that Healthcare Companies have started to encourage the discussion on organizational quality and on the quality perceived by the user / patient [2-4].

As part of a project to improve clinical care pathways in the Interventional Cardiology Service of the “Madonna delle Grazie” Hospital sited in Matera, a questionnaire was developed and administered that aims to assess the importance of the way the nursing staff interacts with the patient who undergoes the interventional cardiology procedure in the intra and peri- procedural.   The purpose of our study is to investigate how patients perceive the quality of care provided in the interventional cardiology service, and therefore, whether they are satisfied with the care received.

MATERIALS AND METHODS

Study Population

By considering the Dossier of the Regional Health Agency of Emilia Romagna, entitled: “The perceived quality in Emilia Romagna” (2006) [5], a questionnaire of 19 items (Appendix I) was elaborated and subsequently administered to 81 consecutive patients belonging to the Interventional Cardiology service of the “Madonna delle Grazie” hospital who underwent interventional cardiology procedures. The study was conducted from April 2017 to April 2018.The patient’s consent was requested and, only after his authorization was it administered anonymously and no economic incentives were offered or provided for participation in this study. Informed consent was obtained by all patients included in this study. For all patients anonymity was guaranteed. No economic incentives were offered or provided for participation in this study. This study was performed in accordance with the ethical considerations of the Helsinki Declarations. A formal authorization was requested from the hospital for data collection and Local Ethical Committee ruled  that no formal ethics approval was required in this case. The questionnaire administered investigated four salient areas of perceived quality, listed in Table 1. The initial section of the questionnaire collected the socio-personal data of participants, as: sex, age, educational level, professional condition, nationality, marital status and condition of coexistence. In addition, the duration of treatment and the cardiac invasive interventions (as: coronary angiography and PTCA or implantation or replacement of PM or electrical cardioversion) were requested. In the most consistent part of the questionnaire, relating to the quality of care and treatment, in order to investigate the particularity of the patient's condition, a section was included listing some of the typical ailments that patients could experience during the procedure and asked to indicate for each of these the possible onset, the level of tolerability and, if some intervention had been carried out and, finally, the evaluation of the latter.

Instruments

A first part of the questionnaire concerned the collection of the demographics of the participants, as the gender, the age group to which the respondents belong, if up to 40 years old, from 41 to 60 years old or above 61 years old; the qualification, also grouping this variable in 3 possible answers: if he had either an elementary or lower secondary school diploma, or if he had a diploma or a degree. The questionnaire elaborated “ad hoc” and used for the first time in this research, contained also 19 questions investigating four dimensions of healthcare quality, such as: the nursing staff evaluation, the privacy assessment, the evaluation of information received on the post procedure, the evaluation of environments (Table 1).

Each item of the questionnaire is scored with a 5-point Likert scale (1=very dissatisfied, 2=dissatisfied, 3=moderate, 4=satisfied, 5=very satisfied). For each question, participants had to indicate a single answer between proposals. The study was conducted from April 2017 to April 2018.

Statistical analysis

Statistical analyses were performed using IBM SPSS 20 software.

Data are presented as numbers and percentages for categorical variables, and continuous data expressed as the mean±standard deviation (SD) unless otherwise specified. A binomial test was performed to compare two mutually exclusive proportions. A multiple comparison chi-square test was used to define significant differences among percentages for unpaired data. In this case, if the chi-square test was significant (p<0.05), a post hoc Z-test was performed to individualize the significant most or less frequent modality. All tests with p<0.05 were considered significant.

RESULTS

In the period between April 2017 and April 2018, 81 patients agreed to participate in this interview. Of these, 24 (29.63%) were female patients and 57 (70.37%) were male patients. Among the patients interviewed 30 (37.04%) were aged up to 40 years, 36 (44.44%) were aged between 41 and 60 years and only 15 (18.52%) were aged between over 61 years old. Furthermore, as many as 50 (61.73%) interviewees had a primary or lower secondary school diploma, 24 (29.63%) a diploma and only 7 (8.64%) a degree. Therefore, overall, our sample is significantly heterogeneous as there is a strong male component (p<0.001) and the age groups were not equal in their sample size, in fact, significant less frequent were patients older than 61 years (p=0.0161). Also as regards the education level, the group of participants is not homogeneous, in fact, patients with an elementary or lower secondary school diploma, were more frequent (p<0.001).

                                                                                                                          

 

Table 3 shows the number of responses and the relative percentages for the answers given regarding the perception of the quality of the interventional cardiology service.

For questions related to the evaluation of nursing staff, significant more frequent answered were “satisfied” or “very satisfied”. Particularly, for the first question concerning the general evaluation of the nursing staff, about the nursing staff available to them, patients “satisfied” (p=0.001) and “very satisfied” (p<0.001) were significant more frequent. As for the level of perception of kindness and courtesy in the nurse-patient relationship, the more frequent response was “satisfied” (p<0.001), obtained by 35 (43.21%) patients. About the level of attention paid by the service nurses to the problems of the patients interviewed, satisfactory (p=0.0209) and very satisfactory (p=0.005) answers were the more frequent. A good level of willingness to listen was attributed by patients who significant most frequent responded that they were satisfied (p<0.001) and very satisfied (p<0.0001) for this aspect. About time dedicated to patients, they were significant more frequent satisfied (p=0.0022), while they were significant more frequent moderately satisfied (p<0.0001) for the nurses dedicated to them for assistance with the procedure. For the level of information received by the nursing staff about the progress, patients were significant more frequent satisfied (p=0.0004) and very satisfied (p=0.0105). On the other hand, for availability and understanding in answering their questions, patients (n=52) were significant most frequent moderately satisfied (p<0.0001). For every information of any side effects that the procedure entailed 34 (41.97%) patients were significant most frequent satisfied (p<0.0001) and 35 (43.21%) were considered significant most frequent very satisfied (p<0.0001). Moreover, as many as 34 (41.97%) patients were significant most frequent satisfied (p<0.0001) for the nursing care received in order to alleviate any inconvenience related to the procedure. For the level of evaluation of respect for privacy, 35 (43.21%) patients were significant most frequent moderately satisfied (p<0.001). As regards the evaluation of the information received for the post procedure 34 (41.97%) patients were also significant most frequent satisfied (p<0.0001) and 26 (32.10%) were significant most frequent very satisfied (p=0.0209). Finally, as regards the assessment of the rooms, in particular for the cleaning of the rooms, 35 (43.21%) patients were significant most frequent satisfied (p<0.0001) and 26 (32.01%) very satisfied (p=0.0289). For the quietness of the environments, 51 (62.92%) patients were most frequent moderately satisfied (p<0.0001) and, for the environmental temperature 65 (80.25%) patients expressed most frequent moderate level of satisfaction (p<0.0001); while for the quality of care and the environment in general 30 (37.04%) patients were significant most frequent satisfied (p=0.001) and 36 (44.44%) patients were significant most frequent very satisfied (p<0.0001).

 

 

DISCUSSION

Our data collection was completely random, mainly linked to the availability of time to devote to the administration of the questionnaire and this meant that apart from the pre-established period of time, the entire sample collected is not homogeneous in its composition. In fact there was significant most frequent male component (n=57) compared to 24 female patients (p<0.001). Furthermore, the group of patients over the age of 61 was also significantly less frequent (p=0.0161) than the other groups and there was a significant most frequent component of patients with an elementary or lower secondary school leaving qualification (p<0.001). In general, patients showed a high level of satisfaction with the interventional cardiology service. As regards the part concerning the evaluation of the nursing staff, patients were significant most frequent satisfied and very satisfied both for the evaluation of the nursing staff in general and for the kindness and courtesy shown to them, and for the attention paid their problems, the time dedicated to them, the level of information received about the procedure and the post-procedure, the help to resolve any inconvenience that occurred at the time of the procedure itself. Only for the aspects related to the nurses who directly assisted them in the procedure and in the willingness and understanding to answer all their questions, patients were significant most frequent moderately satisfied. So also for the evaluation of privacy, patients were significant most frequent as moderately satisfied. Instead, for the evaluation of the information received for the post procedure, the nurses were considered significant most frequent moderately satisfied and also satisfied. For the assessment of the rooms, in particular for the cleaning, the silence and the temperature of the rooms, patients showed a moderate level of satisfaction. While they expressed a high level of satisfaction in the general  assistance received and the quality of environments, in general. Reflecting on the data collected and on their level of statistical significance, it is clear that overall patients are satisfied and very satisfied on the quality of the overall nursing care received. Only in the aspects related to the assistance received “at the moment” procedure and to the availability to answer to questions related to the moment of the procedure  patients gave a more moderate answers, maybe they could show more anxiety for the procedure which could reduce patient satisfaction level. This aspect is widely discussed in the literature, in which the reduction of the quality perceived by the patient is reduced by the anxiety that a particular invasive procedure entails [6-8]. This discourse could also be the basis for the perception of quality linked to cleanliness of rooms, silence and temperature. Maybe the perception of these aspects is influenced by the anxiety of undergoing the invasive procedure, as reported in the literature.

In the current literature, there are few studies available in the literature that deal with quality assessment in interventional cardiology. Furthermore, some studies explore this aspect using the style of qualitative research. One example is the study of Nakano et al. [9] which aimed to investigate what preoccupied patients admitted to cardiac care unit with acute coronary syndrome in connection with the first hours of their admission and secondly to discuss these perceptions in relation to the nurses’ perception. In this case a qualitative descriptive analysis of 30 semi-structured interviews was carried out. It was highlighted that the patients thought that the care providers’ competencies were most important and they knew their job. The latter aspect is not in agreement with our results since the patients responded with a high statistical significance (p<0.0001) on the excellent satisfaction perceived towards the nurses always ready to relieve their pain.

Unfortunately, the perceived quality has not always been interpreted as an opportunity, an opportunity for listening and an indication for improvement: in fact, the problem of detecting the quality perceived within Healthcare Companies has often presented inconsistencies in the definition objectives and in the use and interpretation of results [10]. The absence of specific skills within the Companies, the onerousness of the methodological apparatus (sometimes, moreover, circumvented) linked to these surveys, the incomprehension on how to interpret and even more to use the data (often intended as confirmation and as mere communication tool rather than as an operating lever for improvement), have contributed to creating a context that is still very wary of perceived quality conceived as a system [11]. From these preliminary considerations, it is evident how to integrate / decline / use within the company strategies the package or system consisting of scientific instrumentation for the detection of perceived quality, which is poor in clear and clear reference points. It is therefore necessary to dwell on some definitions that will serve to trace the boundaries of the space in which one is moving: the peculiarity of the context of the Healthcare companies; the definition of quality and perceived quality, distinguishing the patient / user from the operator side; the improvement. As for the meaning of quality, in the sense referred to in this volume, the starting point is the traditional distinction proposed by Donabedian (1988) [12] which identifies three specific areas of intervention on quality:

  • organizational quality linked to the available resources and the ways in which they are organized;
  • professional or process quality, which refers to the product, the performances, the technical correctness of execution of the same also in terms of appropriateness and timeliness, and in a broad sense to the behavior of the operators;
  • perceived quality, which instead concerns the outcome (including the patient's point of view) or the changes in health conditions due to health interventions in terms of prolonging life and reducing pain and disabilities, or on the contrary the occurrence of iatrogenic complications or effects. From a different point of view, each dimension of the concept of quality identified in the Donabedian tripartition [12] can be interpreted as explaining the requests (even conflicting) of the major interest groups (stakeholders), which must be integrated and mediated to specify the quality of a service;
  • organizational quality, that is, the most effective and productive use of resources by management within the limits set by regulatory requirements and objectives set by regional authorities or bodies that purchase services;
  • professional quality, which identifies the role and point of view of the professionals and operators who provide care and assistance;
  • perceived quality, which gathers the expectations of customers (external or internal) as individuals or as groups.

It must therefore be clear in the Company’s strategy that no quality is given for a single actor or for a single category of actors involved in the health process and that the evaluation of the quality of services and services is not the result of an aseptic standardization of the activities, nor the neutral application of a method; it is within a conception of evaluation as a negotiation and communication of different perspectives by multiple actors, it is multi-criteria evaluations that operate through both qualitative and quantitative investigation techniques [13].

Conclusion

The present study showed a good level of satisfaction in the quality perception in patients who underwent an invasive cardiology procedure. Further future developments are desirable both in performing a validated questionnaire, adaptable in our healthcare realities, and in the larger number of samples in order to be able to generalize the data obtained. In any case, our study represents a strong point of the nursing quality delivered to these patients at least in our working reality.

Limitations

This study discusses a very important topic, such as the perception of quality in the interventional cardiology unit. However, the survey method is characterized by a questionnaire constructed “ad hoc” for the occasion and which refers to the usual behavior of the nursing staff without considering a comparison term with an optimal or standardized nursing behavior. In any case, our questionnaire is inspired by the World Health Organization document entitled “Quality of care: a process for making strategic choices in health systems” [14] which highlights the six generic domains to improvement quality in many health systems, such as: leadership, information, patient and population engagement, regulation and standards, organizational capacity and models of care.

Funding statement

This research did not receive any specific grant from funding agencies in the public, commercial, or not for profit sectors.

 

Competing interests statement

There are no competing interests for this study.

REFERENCES

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  1. Aiken LH, Sean PC, Douglas MS. Hospital staffing, organization, and quality care: cross-national findings. Int J Qual Health Care 2002; 14:5-13
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  1. Nakano A, Mainz J, Lomborg, K. Patient Perception and Assessment of Admission to Acute Cardiac Care Unit. European Journal of Cardiovascular Nursing 2008; 7(1):10-15. doi:10.1016/j.ejnurse.2007.05.002
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  1. World Health Organization. (‎2006)‎. Quality of care : a process for making strategic choices in health systems. World Health Organization. https://apps.who.int/iris/handle/10665/43470

Appendix I. The questionnaire administered

 

Sex:  [  ] Female   [  ] Male

Age: [  ] <40 years    [  ] 41-60 years   [  ] >61 years

Education level:

[  ] Elementary or lower middle school

[  ] Diploma

[  ] Graduation

1.Staff evaluation:

How do you rate:

  1. Nursing staff:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Kindness and courtesy in the nurse-patient relationship:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Attention paid to your problems:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Willingness of the nursing staff to listen:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Time dedicated to you for the performance:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Nurses who assisted you:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. The information staff regarding the procedure:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Availability and comprehension in answering your questions:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Information of any side effects that the procedure entailed:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Nurses helped to alleviate any inconvenient that the procedure provides:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Privacy assessment

How do you rate nurses’ respect for confidentiality?

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Evaluation of information received on the post-procedure

Did they give you adequate information about the correct management of the post-procedure?

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

  1. Evaluation of environments

How do you rate:

Cleaning the rooms:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

The silence of the rooms:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

The temperature of the room:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

The quality and care of the environments:

[  ] Very Dissatisfied; [  ] Dissatisfied;  [  ] Moderate;  [  ] Satisfied;  [  ] Very Satisfied.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


SIGNIFICANT EVENT AUDIT (SEA)PER IL MIGLIORAMENTO DELLE CURE PRIMARIE

Francesca De Marco1 &  Umberto Donato 2

  1. Department of Management, Marche Polytechnic University
  2. Department of Social Science, University Federico II of Naples

* Corresponding author: Umberto Donato, Social Science Department, University Federico II of Naples;  E-mail: umbertodonato95@gmail.com

 

DOI: 10.32549/OPI-NSC-35

Cita questo articolo

ABSTRACT

Lo scopo di questo articolo è quello di discutere il tema del miglioramento della qualità delle cure primarie. L’obiettivo è quello di sottolineare l’efficacia dell’utilizzo del Significant Event Audit, uno strumento che risponde a logiche qualitative, diffuso prevalentemente in Gran Bretagna.

Parole Chiave: Assistenza sanitaria, SEA, qualità delle cure, strumenti di valutazione, cure primarie

 

SIGNIFICANT EVENT AUDIT (SEA) TO IMPROVE THE PRIMARY CARE ASSISTANCE

ABSTRACT

The purpose of this paper is to discuss the theme of the primary care quality improvement. The goal is to underline the  efficacy of the Significant Event Audit, a mean that reply to qualitative reasons, widespread in UK.

Keywords: Healthcare assistance, SEA, quality of care, assessment tools, primary care

 

 

INTRODUZIONE

Cosa significhi valutare e che ruolo rivesta la qualità nel mondo sanitario e assistenziale è una questione sempre più stringente nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) [1]. Capire quale sia lo stato dell’arte a riguardo, è lo scopo nonché la tematica fondante di questo commento.

Per quanto possano essere numerosi e utili gli strumenti di valutazione dell’assistenza, la loro reale qualità dipende dall’utilizzo che se ne fa e ciò dipende dalla conoscenza e della consapevolezza degli operatori e professionisti che li adoperano [1]. Gli infermieri sono chiamati a trasformare la propria prospettiva di lavoro approfittando anche delle suggestioni che arrivano dall’estero per il miglioramento del nostro SSN.

DISCUSSIONE

Il raggiungimento del maggiore livello di salute diviene oggi un risultato sociale estremamente importante. La salute consiste nella capacità di mantenere il proprio equilibrio vitale, di affrontare gli eventi della vita [2] e in questo contesto l’attenzione è rivolta sempre più verso l’identificazione delle responsabilità che porta a processi di responsabilizzazione reciproca, quindi diviene necessaria la valutazione delle singole attività.

La valutazione è importante per la comprensione dei meccanismi che garantiscono alle attività implementate di avere successo. In ambito sanitario ciò riveste un ruolo fondamentale, considerando come le modificazioni delle condizioni di salute dovute agli interventi sanitari ne rappresentano l’esito.

Di seguito si presenteranno i principali strumenti e metodologie di valutazione in Sanità, con particolare focus su uno strumento, il Significant Event Audit. Il Governo Clinico (GC), tradotto da Clinical Governance, è una “strategia mediante la quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei servizi e del raggiungimento- mantenimento di elevati standard assistenziali [2]. Il GC richiede un diverso orientamento della struttura organizzativa delle aziende sanitarie, chiamate ad un ruolo attivo nello sviluppo degli standard di qualità. Considerato che la mission principale delle aziende sanitarie è quella di rispondere al bisogno di salute del cittadino, sono tutti i professionisti a divenire il riferimento assoluto per la governance dell’organizzazione. Gli strumenti del GC devono essere integrati in tutti i processi di governo aziendale. La qualità del sistema sanitario è il risultato di un approccio multidimensionale mirato al miglioramento di sei diverse dimensioni: accessibilità, efficacia, efficienza, equità, sicurezza, accettabilità/centratura sul paziente [3].

Le tre dimensioni della qualità, Professionale, Organizzativa e Percepita, si devono integrare tra loro per arrivare a definire la qualità totale che indica una sequenza finalizzata ed interconnessa di attività con lo scopo di fornire un prodotto/servizio al paziente, e in grado di coinvolgere più di una unità organizzativa in un’ottica di interdisciplinarietà.

Le diverse dimensioni prevedono metodologie, tecniche e strumenti per valutare e misurare la qualità osservata da una diversa prospettiva. Gli strumenti e le metodologie per misurare e valutare la qualità nell’approccio tecnico-professionale sono:

  • medical e clinical audit,
  • miglioramento continuo della qualità
  • accreditamento professionale
  • linee guida ed Evidence Based Medicine (EBM)

L’approccio organizzativo vede nei seguenti metodi gestionali gli strumenti per implementare il modello “Qualità” nel sistema sanitario:

  • total quality management,
  • certificazione di qualità (ISO 9000),
  • accreditamento autorizzativo e requisiti minimi di qualità,
  • accreditamento all’eccellenza (JCAHO).

Nell’ approccio partecipativo, ”l’Analisi Partecipata della Qualità” è il metodo più conosciuto.  Esso rappresenta una procedura di valutazione dei servizi pubblici, in particolare di quelli sanitari, caratterizzata dalla sua impostazione partecipativa, che prevede il coinvolgimento di cittadini ed operatori come fonte di informazione, soggetti attivi nella realizzazione dell’indagine e utilizzatori dei risultati. Uno strumento di clinical governance diffuso in Gran Bretagna [4] è il Significant Event Audit (SEA), un metodo qualitativo che analizza singoli eventi definiti significativi dal gruppo per imparare da essi e migliorare la qualità dell’assistenza principalmente nel contesto delle cure primarie. Si differenzia dall'audit clinico e da altri metodi di studio reattivi/retrospettivi, come la Root Cause Analysis o la discussione dei casi clinici, poiché a differenza di questi, non prevede una misura delle performance [5]. Può essere definito come un “processo in cui singoli eventi, significativi sia in senso positivo che negativo, sono analizzati in modo sistematico e dettagliato per verificare ciò che può essere appreso riguardo alla qualità delle cure ed individuare i cambiamenti che possono portare a miglioramenti futuri [6].

L’ analisi della letteratura disponibile evidenzia diversi modelli di svolgimento di un SEA [7]. Solitamente prevede incontri regolari, mensili o quindicinali, tra un team di operatori per discutere i casi significativi. In alternativa, è possibile effettuare il SEA immediatamente dopo un evento significativo. Indipendentemente dall’approccio scelto, è importante che il SEA venga svolto con metodo strutturato, da un gruppo costituito da tutti i professionisti interessati, in primis linfermiere. Il SEA prevede un’attenta e strutturata analisi dei fatti che hanno determinato il caso per dare risposta a 3 domande [8]:

  1. In che modo le cose potevano andare diversamente?
  2. Che cosa possiamo imparare da quello che è successo?
  3. Che cosa deve cambiare?

 

Pringle M. (1995)  ha ripreso tali esperienze e ha sviluppato il metodo SEA, applicandolo in particolare all’ambito delle cure primarie [9]. Si diversifica dal tradizionale processo di audit clinico, che si caratterizza per la raccolta su vasta scala di dati quantitativi da confrontare con criteri e standard misurabili e predefiniti. Il SEA infatti coinvolge un ristretto numero di persone in un clima favorevole all’apprendimento. Il metodo deve essere rigoroso e coordinato dall’infermiere che presenta il caso. Così come si evince dallo studio “Significant event audit in practice: a preliminary study” [10], il SEA costituisce un potente mezzo che può favorire il team building, rafforzare la comunicazione e migliorare i percorsi di cura, oltre che contribuire allo sviluppo della clinical governance nell’ambito delle cure primarie. La sua implementazione all’interno del sistema sanitario italiano richiede tuttavia un adeguata gestione per un suo utilizzo ottimale e per minimizzare le criticità che potrebbe evincersi, tra cui ad esempio difficoltà dei partecipanti nel mettersi in discussione o scarsa disponibilità di tempo. Per questa motivazione, sarebbe auspicabile un'adeguata pianificazione, in concomitanza con la definizione degli obiettivi aziendali. Il SEA racchiude in sé un'unica attività, diversi aspetti che svolgono un ruolo fondamentale nel miglioramento della qualità delle cure. A fronte soprattutto dei gap nei sistemi informativi a livello regionale e nella comunicazione tra i diversi operatori sanitari coinvolti nei processi di cura, questo strumento potrebbe rappresentare una valida risorsa per poter lavorare in maniera coordinata e continuativa e questo è valido ancor di più nell’ambito delle cure primarie, dove il processo di erogazione delle cure si esplica in un continuo interfacciarsi di diversi professionisti sanitari che lavorano in equipe per raggiungere un obiettivo condiviso e in cui il ruolo di case manager viene affidato nella maggior parte dei casi all’infermiere, che rappresenta una figura centrale in ambito sanitario.

 

 

Eventuali Finanziamenti

Questa analisi non ha ricevuto nessun finanziamento.

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse associati.

 

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Ferrera M. “Le politiche sociali” Roma, il Mulino, 2012
  2. Maliverno E. ,“ La qualità in sanità; metodi e strumenti di clinical governance” Roma, Carocci-Faber, 2013
  3. WHO (World Health Organization), “Constitution” disponibile a: www.who.int , ultimo accesso: 16/11/2019;
  4. Rossi, Freeman, Lipsey“Evaluation: A Systematic Approach” SAGE Publications, 2004
  5. P Bowie, M Pringle, “Significant Event Audit Guidance for Primary Care Teams” - NHS Scotland NPSA–NRLS, 2008
  6. Halligan , L. Donaldson, “Significato e attuazione del governo clinico”, Giornale Italiano di Nefrologia Anno 19 n. S-21, pp. S8-13, 2002
  7. Bezzi C. “Cos’è la valutazione. Un’introduzione ai concetti, le parole chiave e i problemi metodologici” Franco Angeli, 2007
  8. Ministero della Salute (a cura di) (2011), “l’audit clinico” in: ww.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1552_allegato.pdf.
  9. Pringle M, Bradley CP, Carmichael CM, Wallis H and Moore A. Significant Event Auditing. RCGP Occasional Paper 70. Exeter: Royal College of General Practitioners, 1995
  10. Westcott, R., Sweeney, G., & Stead, J.,” Significant event audit in practice; A preliminary study”. Family Practice, 1999

 

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Allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L'importanza dei ruoli dei servizi per la maternità. Indagine osservazionale multicentrica nelle strutture sanitarie campane

A.Guillari 1, F. Stile2*, G. Gargiulo3, A. Capuano4, C. Serio5, R. Pulpito2, M. Perrone6, G.F. Prussiano7, T.Rea1

  1. Dipartimento di Sanità Pubblica, Università “Federico II” di Napoli, Napoli (Italia)
  2. Dipartimento di Ostetricia - P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca, Taranto. Docente a contratto Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” , Bari (Italia)
  3. O.C di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali ematopoietiche, dell’Università Federico II di Napoli, Napoli (Italia)
  4. O.C di Rianimazione Pediatrica, AORN “Santobono-Pausillipon”, Napoli (Italia)
  5. Ostetrica - Libero Professionista, Napoli (Italia)
  6. P.S Infermiere, Direzione Sanitaria Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli, Napoli (Italia)
  1. C.P.S Ostetrica - P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca, Taranto (Italia)

* Corresponding Author: Dott.ssa Filomena Stile, Dipartimento di Ostetricia - P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca, Docente a contratto Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (Italia).

E-mail: filo_memy@hotmail.it

DOI: 10.32549/OPI-NSC-36

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduzione: Il latte materno è da sempre considerato un elemento essenziale ed insostituibile, recante importanti effetti positivi sulla salute sia della madre che del bambino, a breve ed a lungo termine. L’OMS/UNICEF raccomandano di allattare al seno in maniera esclusiva i bambini almeno nei primi sei mesi di vita, ed alcune organizzazioni consigliano di continuare l’allattamento al seno per i primi due anni di vita e oltre. Tuttavia gli attuali modelli di allattamento sono lontani dai livelli raccomandati nonostante nel tempo l’OMS abbia promosso costantemente tale tipo di nutrizione. Causa di tale gap è l’inefficace comunicazione tra gli stessi operatori e le neomamme.

Obiettivo: Valutazione del grado di conoscenza e di adozione della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF nelle strutture sanitarie campane.

Materiali e Metodi: Indagine osservazionale multicentrica.

Risultati: Dall’analisi dei dati si evidenzia: che nonostante l’elevata presenza di documenti inerenti la promozione e il sostegno dell’allattamento al seno, presenti per il 76.7% (UU.OO di Ostetricia) e 86.7% (UU.OO di Neonatologia), l’adozione della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF è piuttosto scarsa in regione Campania. Il ricorso al biberon per la somministrazione di alimenti alternativi, assieme all’elevato numero di professionisti che non ha seguito specifici corsi di formazione, sembrano essere i principali ostacoli.

Conclusione: Il mancato rispetto della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF riscontrata sul territorio campano può avere ripercussioni sulla salute delle madri e dei bambini a medio e lungo termine. Individuare i principali ostacoli può favorire l’elaborazione di specifici programmi di intervento.

 

Parole Chiave: allattamento, professionisti sanitari, benefici, formazione, comunicazione

Breastfeeding: protection, encouragement and support. The importance of the roles of maternity services. Multicentric observational study in Campania health structures.

 

ABSTRACT

Introduction: Breastfeeding has always been considered an essential and irreplaceable element, having important positive effects on the health of both the mother and the baby, in the short and long term. WHO/UNICEF recommend breastfeeding babies exclusively for at least the first six months of life, and some organizations recommend continuing breastfeeding for the first two years of life and beyond. However, current breastfeeding models are far from the recommended levels despite the fact that the WHO has constantly promoted this type of nutrition over time. The cause of this gap is the ineffective communication between the health professionals themselves and the new mothers.

Objective: assessment of the degree of knowledge and adoption of the joint WHO/UNICEF declaration in Campania health structures.                                                                               

Materials and methods: Multicentric observational study                                                             

Results:  The analysis of the data highlights: that despite the high presence of documents relating to the promotion and support of breastfeeding, 76.7% (UU.OO of Obstetrics) and 86.7% (UU .OO of Neonatologies), the adoption of the WHO/UNICEF Joint Declaration is rather poor in Campania . The use of the bottle for the administration of alternative foods, together with the high number of professionals who have not followed specific training courses, seem to be the main obstacles.

Conclusion:  Failure to comply with the WHO/UNICEF Joint Declaration found in Campania can have repercussions on the health of mothers and children in the medium and long term. Identifying the main obstacles can facilitate the development of specific intervention programs.

Keywords: breastfeeding , health professionals , benefits , education , communication

INTRODUZIONE

Il latte materno è da sempre considerato un elemento essenziale ed insostituibile, recante importanti effetti positivi sia sulla salute della madre che allatta sia del bambino allattato al seno, a breve ed a lungo termine[1]. L’OMS/UNICEF nelle linee guida sull’allattamento materno raccomanda, infatti, di allattare al seno in maniera esclusiva i bambini “almeno” nei primi sei mesi della loro vita[1-4].

L’indicatore utilizzato dall’OMS per valutare la numerosità dei bambini allattati al seno  tiene conto del numero di bambini di 0-5 mesi di vita che hanno assunto solo latte materno nelle ultime 24 ore, escluso qualsiasi altro alimento, anche acqua o tisane[1-4]. Secondo questo indicatore in Italia la prevalenza dei bambini allattati esclusivamente al seno, si assestava negli scorsi anni al 42.7% rispetto a tutti i bambini di età compresa tra 0-5 mesi[4]. L’impatto delle procedure favorenti l’attaccamento al seno, indipendentemente dalla modalità di parto avutasi, sia esso spontaneo o cesareo,  rimangono significative: l’attaccamento precoce al seno, l’esclusività del latte materno nei primi giorni di vita e infine il servizio di “rooming in” sono fattori che favoriscono l’allattamento materno, sia in termini di numero maggiore di donne che allattano sia in termini di durata complessiva[4].

Le organizzazioni mondiali per la salute, le agenzie governative e non-governative e le associazioni professionali sanitarie raccomandano, oltre l’allattamento al seno esclusivo per i primi sei mesi di vita, l’allattamento al seno per due anni e oltre di vita del bambino[5,6].  La letteratura internazionale mostra  come la morbilità e la mortalità tra i bambini nutriti con sostituti del latte materno sia maggiore rispetto a quelli allattati al seno, nei diversi paesi del mondo[7,8]. L’allattamento al seno, infatti, riesce a proteggere il neonato da numerose infezioni virali e batteriche con cui viene in contatto, favorendo lo sviluppo del suo immaturo sistema immunitario[1-2]. Si è ipotizzata una possibile riduzione di  circa 1.5 milioni di morti infantili ed un migliore sviluppo psicofisico globale se il latte materno fosse l’alimento prediletto dei bambini almeno sino all’anno di vita[9].

L’allattamento al seno ha anche innumerevoli benefici per la donna. Nell’immediato post partum si nota la riduzione del rischio di anemia ed eccessive perdite ematiche nelle prime ore e giorni successivi al parto[1,2] e,  una significativa riduzione del rischio di cancro del seno del 4 % per ogni anno di lattazione, anche qualora accumulato nel corso di maternità successive[1,10,11]. Inoltre dall’analisi della letteratura si è visto che  l’allattamento favorisce il benessere emozionale ,  psicologico e fisico di tali donne [1,2,12].

Nonostante tali evidenze siano oramai ampiamente riconosciute, gli attuali valori riferiti ad un corretto modello di allattamento al seno sono lontani dai livelli raccomandati [3], sebbene nel tempo l’OMS abbia promosso costantemente tale modalità di alimentazione neonatale. La campagna di maggiore risonanza mediatica è stata certamente quella del  1991:  Ospedale Amico dei Bambini[13-16]. Con tale definizione venivano globalmente identificati gli ospedali che si attenevano ai  “Dieci Passi” [3] per un allattamento al seno efficace. I dieci passi consistono in un decalogo di misure finalizzata a creare nelle strutture sanitarie un ambiente in grado di fornire assistenza umanizzata a madre e bambino e che sia di sostegno all'allattamento, inteso come l'unica alimentazione normale per il neonato[17]. I principali enti e società scientifiche raccomandano la corretta comunicazione dei rischi associati al mancato allattamento al seno e all’alimentazione artificiale, sia ai professionisti della salute sia alla popolazione generale[4,18-24]. L’assenza di informazioni accessibili, affidabili, complete e adeguatamente comunicate rende impossibile, per i genitori, decidere cosa sia meglio per sé e per i propri bambini[20].

Nonostante tali raccomandazioni siano state recepite nell’ambito di uno specifico accordo tra Ministero della Salute e Regioni nel 2007[25], nonostante la promozione dell'allattamento al seno sia fortemente enfatizzato nel PSN 2006-2008[18] e nel D.M. 24 Aprile 2000[19] e nonostante siano state attivate diverse campagne di sensibilizzazione a sostegno dell’allattamento al seno, rivolte agli operatori e a tutte le future mamme, a livello nazionale l’attuazione della raccomandazione resta disomogenea. Tra le cause di questa disomogeneità possiamo annoverare una inefficace comunicazione e tra gli  stessi operatori sanitari, e tra operatori e neomamme[20].

 

Obiettivo dello studio  

End point primario

Obiettivo primario di questo studio è la valutazione del grado di conoscenza e adozione della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF[3] "L'allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L'importanza dei ruoli dei servizi per la maternità"  del 1989 [3], da parte degli operatori sanitari delle UU.OO. di Ostetricia e Ginecologia e di Neonatologia nelle strutture sanitarie campane.

 

End points secondari

  • Valutazione del grado di comunicazione tra UU.OO. di Ostetricia -Ginecologia e UU.OO. di Neonatologia delle strutture sanitarie partecipanti.
  • Valutare la presenza di programmi di formazione messi in atto nelle strutture analizzate e il grado di adesione degli operatori sanitari.
  • Valutazione della presenza di protocolli aziendali dedicati alla protezione, incoraggiamento e sostegno dell’allattamento al seno.

 

Disegno dello studio

Indagine osservazionale multicentrica, per la valutazione della conoscenza e dell'adozione della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF[3], "L'allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L'importanza dei ruoli dei servizi per la maternità" del 1989 nelle strutture sanitarie campane.

 

MATERIALI E METODI

Popolazione

Lo studio è stato condotto nel periodo tra Aprile e Ottobre 2015. Per poter avere un campione che potesse rappresentare in modo omogeneo le 5 Provincie del territorio Campano, si sono inizialmente individuate le aree con maggiore densità di popolazione; successivamente sono state individuate le aree aventi la maggiore densità di strutture ospedaliere e quelle che avevano dichiarato i numeri maggiori di eventi parto. Sono state quindi contattate le principali strutture sanitarie rispecchiante i criteri descritti, senza differenza tra pubblico e privato accreditato, delle quali la maggior parte collocate nelle Province di Napoli, Salerno, Caserta e Avellino. In merito alla Provincia di Benevento nessuna delle strutture contattate ha dato autorizzazione a partecipare all’indagine. Delle 45 strutture inizialmente selezionate e contattate solo 30 hanno dato la loro disponibilità a partecipare allo studio. Il campione così reclutato è risultato essere composto dalle UU.OO. di Ostetricia e Ginecologia e UU.OO. di Neonatologia delle seguenti strutture:

  1. Università “Federico II” di Napoli, Napoli
  2. Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli”- Napoli
  3. Presidio Ospedaliero S. Maria di Loreto Mare - Ospedali - ASL Napoli 1 Centro, Napoli
  4. "Ospedali Riuniti " Castellammare di Stabia, Napoli
  5. Presidio Ospedaliero “De Luca e Rossano” - Vico Equense, Napoli
  6. Presidio Ospedaliero “ Santa Maria della Pietà” - Nola , Napoli
  7. Presidio Ospedaliero di Boscotrecase, Napoli
  8. Presidio Ospedaliero "Umberto I" - Nocera Inferiore, Salerno
  9. Presidio Ospedaliero "Villa Malta" – Sarno, Salerno
  10. Presidio Ospedaliero "Santa Maria della Speranza" – Battipaglia, Salerno
  11. Presidio Ospedaliero "Curteri" - Mercato San Severino, Salerno
  12. Presidio Ospedaliero "San Luca" - Vallo della Lucania, Salerno
  13. Azienda Ospedaliera Universitaria "San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona" - Salerno
  14. Presidio Ospedaliero “Dell'Immacolata” – Sapri, Salerno
  15. Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale San Giuseppe Moscati di Avellino, Avellino
  16. Presidio Ospedaliero "San Giuseppe Moscati" di Aversa ASL CE2, Caserta
  17. Presidio Ospedaliero “San Rocco” Sessa Aurunca, Caserta
  18. Ospedale Civile di Caserta, Caserta
  19. Clinica "Pineta Grande" Castelvolturno, Caserta
  20. Casa di Cura "Maria Rosaria" – Pompei, Napoli
  21. Clinica " Villa Stabia" - Castellammare di Stabia, Napoli
  22. Casa di Cura "La Madonnina" - San Gennaro Vesuviano, Napoli
  23. Clinica "Villa Fiorita", Caserta
  24. Presidio Ospedaliero “Incurabili”, Napoli
  25. Presidio Ospedaliero “San Paolo” Fuorigrotta, Napoli
  26. Presidio Ospedaliero “Don Bosco” -Napoli
  27. Clinica Mediterranea - Napoli
  28. Clinica “Santa Patrizia” Secondigliano, Napoli
  29. Clinica “Lourdes”, Napoli
  30. Presidio Ospedaliero Solofra, Avellino

 

Criteri di inclusione

  • Strutture accreditate dal SSN
  • Strutture dotate di U.O. di Ginecologia-Ostetricia e U.O. di Neonatologia
  • Strutture con numero di parti annui >500
  • Coordinatori correttamente informati e disponibili a partecipare allo studio
  • La raccolta dati è stata indirizzata esclusivamente alle informazioni relative all'assistenza del neonato a termine , sano e di peso appropriato. Anche in strutture adibite all'assistenza di neonati patologici, è stata richiesta la compilazione del questionario in relazione ai protocolli e pratiche esclusivamente rivolte al neonato fisiologico.

 

Criteri di esclusione

  • Strutture private non accreditate
  • Strutture non dotate di U.O. di Ginecologia-Ostetricia e U.O. di Neonatologia
  • Strutture con numero di parti annui < 500
  • Coordinatori non disponibili a partecipare allo studio
  • Volontà di ritirarsi dallo studio.

 

Raccolta dati

Per effettuare la raccolta dati è stato utilizzato uno strumento già noto alla specifica letteratura [26]; il  questionario viene utilizzato per raccogliere informazioni sul proprio specifico contesto assistenziale all’interno di un programma che faciliti l'adozione di raccomandazioni e il cambiamento nella pratica clinica.

La raccolta dati fa riferimento all'assistenza a neonato a termine, sano e di peso adeguato.

Lo strumento utilizzato è finalizzato ad un’analisi quantitativa incentrata sulle prassi ospedaliere per l'assistenza al neonato a termine, sano e di peso appropriato, articolato in modo tale che l'analisi della situazione attuale tra le strutture arruolate sia condotta seguendo la Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF  “ I 10 passi per il sostegno e la promozione dell’allattamento al seno” [3].

Questo strumento è stato sottoposto ai Coordinatori delle  UU.OO. di Ostetricia e Ginecologia e UU.OO di Neonatologia a seguito di autorizzazione rilasciata dalle Direzioni Sanitarie delle strutture reclutate previa acquisizione di richiesta formale rilasciata dalla segreteria del CDLM in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche dell’ Università degli Studi di Napoli "Federico II". L’autorizzazione ed il consenso informato ad eseguire lo studio è stato raccolto sia dai responsabili delle strutture stesse che dai dirigenti delle UU.OO di Ostetricia e di Neonatologia. Inoltre il consenso informato è stato raccolto da ogni soggetto partecipante allo studio, ovvero tra i Coordinatori delle UU.OO di Ostetricia e Neonatologia. Nell’acquisizione del consenso informato è stato specificato che la ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento. La presente indagine rispetta appieno la dichiarazione di Helsinki.

 

RISULTATI

Dall’analisi dei dati si è delineata la composizione del personale delle UU.OO. adibito all'assistenza al neonato sano (Tabella 1) e si è riscontrata una presenza molto forte della figura professionale ostetrica limitatamente al momento nascita, infatti la presenza di ≤ 2 ostetriche è stata rilevata nel 73.4%  delle sale parto. Contrariamente a quello che avviene nelle UU.OO. di Neonatologia dove la figura predominante è quella della puericultrice nel 60% dei casi, al contrario dell’ostetrica la cui presenza in tali unità è solo nel 16.7% dei casi .

Di seguito verranno analizzate le risposte agli items del questionario di pari passo ai relativi singoli punti della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF, “I 10 passi per il sostegno e la promozione dell’allattamento al seno” [3] da parte delle UU.OO., oggetto di studio (Tabella 2).

  

L’analisi delle risposte relative al 1° Passo, evidenzia sia nelle UU.OO di Ostetricia che in quelle di Neonatologia la presenza di protocolli (56.7% e 66.7%, rispettivamente ), intesi come i documenti scritti riportanti l’insieme di azioni professionali finalizzate al raggiungimento di un obiettivo[27], sui principali problemi del seno e di documenti (76.7% e 86.7%, rispettivamente), ovvero raccomandazioni di comportamento clinico elaborate allo scopo di aiutare i professionisti sanitari a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche[27], per la promozione e sostegno dell’allattamento.

In merito alle risposte relative al 3° Passo, i Coordinatori delle UU.OO di Ostetricia (66.7%) e di Neonatologia (63.3%) hanno riferito che l’informazione  non avviene in ambito ospedaliero ma sul territorio.

Analizzando le risposte relative al 4° Passo si evince che la tempistica del primo attacco al seno in occasione di parto spontaneo eutocico avviene alla prima ora nel 33.3% di entrambe le Unità Operative ed inoltre, in questo caso, si riscontra il più elevato tasso di non risposta che si attesta per le UU.OO di Ostetricia al 53.4% e per quelle di Neonatologia al 56.7% . Alla seconda ora il primo attacco al seno avviene, nel caso di parto spontaneo eutocico nel 43.3% delle UU.OO di Ostetricia e nel 33.3% di quelle di Neonatologia. Infine in occasione di parto spontaneo eutocico, il primo attacco al seno avviene dopo 2 ore nel 20% dei casi nelle UU.OO di Ostetricia, mentre si mantiene al 33.3% in quelle di Neonatologia. Viceversa nel parto con taglio cesareo si nota come la tempistica del primo attacco al seno aumenti soprattutto dopo le 2 ore, arrivando al  56.7% dei casi nelle UU.OO di Ostetricia e al 63.3% in quelle di Neonatologia.

Il 5° Passo, in entrambe le UU.OO, è altamente rispettato (73.3% nelle UU.OO di Ostetricia;  93.3% UU.OO. di Neonatologia).

Le risposte relative al 6° Passo pongono l’attenzione sulla somministrazione di alimenti o liquidi diversi dal latte materno. Nel caso in cui il calo ponderale non superi il 10%, troviamo il 40% di prescrizioni in entrambe le UU.OO. e laddove è inferiore al 10%, troviamo il 40% di prescrizioni nelle UU.OO di Ostetricia e il 57% nelle UU.OO di Neonatologia. Dato confermato altresì dall’indicazione commerciale scritta di sostituti del latte materno nel 60% nelle UU.OO di Ostetricia e nel 56% delle Neonatologie.

La  pratica del rooming-in è indagata nel 7° Passo.  L’aspetto indagato sono le interruzioni che in entrambe le realtà risultano perlopiù sovrapponibili:  interruzioni di ≤ 30 minuti abbiamo  il 33.3%  nelle UU.OO di Ostetricia e il 30% in quelle di Neonatologia. Interruzioni di  >30 minuti si riscontrano nel 20% delle UU.OO di Ostetricia,con un aumento fino al 33.3% in quelle di Neonatologia.

Le risposte relative al 8° Passo: “ Incoraggiare l'allattamento al seno a richiesta tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento”, viene praticato senza limitazione di durata e frequenza sia nelle  UU.OO di Ostetricia  (63.3%) che in quelle di Neonatologia (60%).

Dall’analisi delle risposte del 9° Passo si è evidenziato che l’uso di biberon per la somministrazione di alimenti alternativi al latte materno avviene nel 90% delle UU.OO di Ostetricia e nell’86.7% delle UU.OO di Neonatologia.

Dalle risposte al 10° Passo è emerso che le visite pediatriche alla dimissione vengono effettuate in entrambe le unità in maniera individuale con i genitori e nel 93.3% dei casi negli stessi Punti nascita. Di solito è il pediatra che si confronta con i genitori nel 70% dei casi e solo in alcune strutture è accompagnato dall’infermiera (7%), mentre è quasi completamente assente la figura dell’ostetrica (3%).

 

DISCUSSIONE

La ricerca si proponeva differenti scopi: 1) la valutazione del grado di conoscenza e adozione della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF[3] da parte degli operatori sanitari delle UU.OO. di Ostetricia e Ginecologia e di Neonatologia nelle strutture sanitarie campane, 2) la formazione, 3) la comunicazione tra gli operatori delle diverse unità operative e la comunicazione con le neomamme.

I risultati dello studio mostrano come tale Dichiarazione sia solo in parte rispettata. In merito all’applicazione del primo passo, si evince che in entrambe le tipologie di UU.OO analizzate c’è una tendenza a rispettarlo solo parzialmente.

L’indagine ha messo in evidenza che l’applicazione del secondo passo risulta essere carente, con una scarsa formazione sia volontaria che istituzionale del personale sanitario.

In relazione all'organizzazione degli Incontri di accompagnamento alla Nascita (IAN), in cui è prevista almeno una lezione dedicata all'educazione e all'allattamento, si può osservare che l'enorme sforzo dei professionisti sanitari non medici risulta ancora parzialmente ottemperato.

Successivamente è stata analizzata la tempistica del primo attacco al seno. E’ stata rilevata, in entrambe le UU.OO. un'assoluta inadempienza della raccomandazione, coadiuvata dall'attuazione di pratiche di routine a dir poco inutili. Dai dati si nota come i tempi dettati nella Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF [3] non siano rispettati. Oltre ad essere fortemente raccomandato nelle Linee guida ILCA del 2005[2], l'inizio dell'allattamento al seno entro la prima ora e il contatto pelle-a-pelle continuo, sono in letteratura associati a diversi benefici come ad esempio: il contatto pelle a pelle tra madre e neonato favorisce una produzione di ossitocina endogena che a livello materno porta ad una maggiore contrattilità uterina con minor perdita ematica durante il post partum e al contempo favorisce l’attaccamento precoce, ovvero il bonding madre-neonato che favorisce un aumento della durata media dell'allattamento al seno esclusivo[21-23,28-43]. Le procedure di routine infatti, interrompono l'interazione madre-neonato e ritardano l'allattamento al seno [21,45,46].

I nostri dati mostrano un buon supporto territoriale all'allattamento, tuttavia restano ridotte le informazioni divulgate spontaneamente.

Il sesto Passo analizza l'importanza dell'analisi della relazione tra calo fisiologico e supplemento di latte artificiale, che è data dal fatto che il calo di peso medio alla nascita risulta del 5% e anche inferiore nel caso di allattamento solo con formula[1]. Il calo ponderale massimo da ritenersi normale è del 10%. Un calo fra l’8% e il 10% è significativo ma, non suggerisce di procedere automaticamente ad un supplemento con latte artificiale, cosa che invece è stata riscontrata dall’indagine, nel 40% delle UU.OO. di Ostetricia e nel 57% di quelle di Neonatologie. Una tale situazione, si discosta dalle linee guida dell’OMS/UNICEF e andrebbe pertanto verificata per quanto riguarda la disponibilità materna a rispondere alle richieste del bambino, le modalità di attacco al seno materno e l’eventuale ricorso alla somministrazione di latte materno spremuto, se eventuali problemi di attacco non sono superabili[1] .

Altro dato rilevante è la prescrizione di latte artificiale, infatti pur non essendoci una reale necessità, ciò avviene al momento della dimissione sia in maniera verbale (30% nelle UU.OO. di Ostetricia e 11% in quelle di Neonatologia) e per iscritto (60% nelle UU.OO. di Ostetricia e 56% in quelle di Neonatologia) indicando il nome commerciale del latte formulato. Questa consuetudine è in netto contrasto con quanto stabilito dal “Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno” OMS 1981[46].

Altro aspetto rilevante per la buona riuscita dell’allattamento al seno riguarda il momento della degenza madre/neonato, ovvero il"Praticare il rooming-in” [3].

I nostri dati mostrano purtroppo come ciò non sia proprio attuato nel miglior modo possibile. Dall’analisi dei dati si evince una discordante comunicazione tra le UU.OO. analizzate, come anche il mancato rispetto del passo sopracitato, fondamentale per favorire l'allattamento al seno come suggerito in letteratura [1,2]. I principali studi scientifici mostrano come il rooming-in, ovvero il tenere insieme madre e neonato durante l'intera degenza post-partum ed eseguire esami e test di routine neonatali mentre il neonato è nella stessa stanza della madre, nelle sue braccia o al seno, favorisce sia l'allattamento al seno che il legame madre-neonato[32,45,46,48-58]. La frequenza dell'allattamento è più alta e l'integrazione con latte artificiale risulta inferiore quando madre e neonato sono nella stessa stanza[38,51,52]. Inoltre, alcune pratiche e regole ospedaliere influenzano l'attuazione di un efficace allattamento al seno[31,32,45,53-57]. Anche il mito del riposo (una madre dorme di più quando il neonato è nel nido) non trova riscontro unanime nella letteratura specifica del settore[51]. In merito all’applicazione del 9° Passo: "Non dare tettarelle artificiali o succhiotti durante il periodo dell'allattamento"[3], si rileva una sua totale inadempienza. L'evitare l'uso di succhiotti, tettarelle e integrazioni, in assenza di indicazione medica è affermato anche nelle linee guida ILCA - Strategia 7 "[2], da cui si evince che un precoce uso di integrazioni o succhiotti è associato ad un aumento del rischio di svezzamento precoce ed inoltre, il suo uso nel bambino allattato al seno va evitato, quantomeno per tutto il periodo in cui la produzione di latte materno si calibra alle necessità del bambino[2].

I nostri dati mostrano come all’atto della dimissione i sanitari raramente offrano notizie circa il supporto territoriale offerto alle neomamme. A questo l’Unione Europea in collaborazione con l’OMS nel documento “Alimentazione dei lattanti e dei bambini fino a tre anni: raccomandazioni standard per l’Unione Europea”[57] del 2006 affermava l’importanza dei gruppi volontari di sostegno mamma-a-mamma ed organizzazioni di peer counsellors, attivi nella maggior parte dei paesi[57]. Tuttavia, la  copertura geografica dei loro servizi è in generale medio bassa, raramente alta[58]. Il grado di coordinamento tra questi gruppi è debole in molti paesi e ben sviluppato in altri. I legami col sistema sanitario sono spesso inadeguati per un efficace grado d’integrazione e coordinamento con le autorità preposte[58]. A livello regionale, la necessità di maggiore supporto alla donna e alla famiglia da parte delle istituzioni, nella delicata fase del puerperio è stata sottolineata nel B.U.R.C. n° 4 del 15 Gennaio 2007[59] in cui si afferma la necessità di valorizzare i programmi di sostegno alla genitorialità, la cui efficacia è oramai comprovata da numerosi studi e ricerche.

 

CONCLUSIONI

Questo studio ha mostrato un  mancato rispetto di tutta la Dichiarazione[3] OMS/UNICEF ed una parziale conoscenza della stessa, da parte degli operatori sanitari delle strutture reclutate. Un sostegno efficace richiede l’impegno ad istituire standard d’eccellenza in tutte le istituzioni ed i servizi per la maternità e l’infanzia[21]. A livello individuale, ciò significa accesso per tutte le donne a servizi di sostegno per l’allattamento al seno, compresa l’assistenza di operatori opportunamente qualificati nella gestione dello stesso, peer counsellors e gruppi di sostegno mamma-a-mamma[21]. Riteniamo, alla luce dei dati esposti, necessario la nascita e lo sviluppo di  progetti locali e comunitari per il sostegno familiare e sociale, basati sulla collaborazione tra i servizi ed il volontariato, volti a tutelare ed incentivare il diritto di allattare seno [57,59].

 

LIMITI  DELLO STUDIO

Lo studio presenta alcune limitazioni: campionamento casuale e quindi non rappresentativo dell’intero territorio regionale, difficoltà burocratiche in merito all’autorizzazione alla raccolta dati all’interno delle singole strutture. Altro limite importante deriva dalla natura stessa dello studio, ovvero descrittiva, che non ha permesso di eseguire un’analisi inferenziale dei dati. Punto di forza di questo studio è quello di fornire una prima, unica e chiara fotografia del rispetto, da parte delle strutture che hanno partecipato allo studio, della Dichiarazione Congiunta OMS/UNICEF[3].

 

Abbreviazioni

OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità

WHO: World Health Organization

UNICEF: Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia

UU.OO. : Unità Operative

PSN: Piano Sanitario Nazionale

D.M : Decreto Ministeriale

SSN : Sistema Sanitario Nazionale

CDLM : Corso di Laurea Magistrale

IAN: Incontri di accompagnamento alla nascita

ILCA : International Lactation Consultant Association

BURC : Bollettino Ufficiale Regione Campania

 

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


L’efficacia di utilizzo delle tecniche di de-escalation nel paziente psichiatrico: revisione narrativa

Antonino Calabrò1, Alessia Marangon2, Maria Chiara Carriero3, Federica Ilari 4, Roberto Lupo5, Lorenzo Bardone6

  1. Infermiere ASL Biella S.P.D.C.
  2. Infermiera libera professionista;
  3. Psicologa Istituto Santa Chiara Roma
  4. Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;
  5. Infermiere ASL Le, Ospedale “San Giuseppe da Copertino”
  6. Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;

 

* Corresponding Author: Dott. Antonino Calabrò, Infermiere presso l’ASL Biella S.P.D.C.

E-mail: antonino_calabro@pec.it

DOI: 10.32549/OPI-NSC-34

Cita questo articolo

Abstract

Introduzione: L’aggressività e la violenza nei luoghi di lavoro rappresentano un fenomeno psicosociale in continuo aumento e questo può causare possibili importanti ripercussioni all’intero processo di cura.

Obiettivo: Valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi del paziente psichiatrico.

Metodi: Per condurre la seguente revisione è stato delineato un quesito di ricerca utilizzando la metodologia PIO. Successivamente, è stata condotta una revisione narrativa della letteratura, attraverso l’utilizzo delle banche dati banche dati PubMed ed EMBASE.

Risultati: Dalla revisione della letteratura internazionale, solamente tre studi soddisfacevano i nostri criteri di inclusione. Dagli studi selezionati emerge che gli operatori della salute mentale reagiscono in modo diverso alla violenza. Alcuni si relazionano con i pazienti generando soluzioni positive, mentre altri gestiscono i pazienti con misure coercitive. Si evince l’efficacia dell’utilizzo delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi e che sia il personale che i pazienti aspirano a raggiungere relazioni non conflittuali e sociali mentre interagiscono in situazioni violente e minacciose.

Conclusioni: La de-escalation risulta essere la tecnica più efficace solo previa conoscenza accurata del paziente, delle sue patologie e degli eventuali segni e sintomi prodromici che possono indicare l’insorgenza di un comportamento aggressivo. Inoltre, risulta più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività. Tuttavia emerge l’assenza di un’adeguata formazione del personale, che possa garantire la corretta messa in pratica dell’intervento e che possa rendere più sicuri gli infermieri nella gestione dell’agito aggressivo e del paziente violento.

 

Parole chiave: Infermiere, Aggressione; Violenza, comportamento aggressivo, prevenzione, sicurezza, psichiatria, de-escalation, paziente disturbo mentale.

The effectiveness of using de-escalation techniques in the psychiatric patient: narrative review.

Abstract

Introduction:. Aggression and violence in the workplace represent an ever-increasing psychosocial phenomenon and this can cause possible important repercussions for the entire treatment process.

Objective: to evaluate the effectiveness of using de-escalation techniques in the management the psychiatric patient’s aggressive actions.

Methods:. To conduct the following review, a research question was outlined using the PIO methodology. Subsequently, a narrative review of the literature was conducted, through the use of the PubMed and EMBASE databases.

Results: From the review of the international literature, only three studies met our inclusion criteria Selected studies show that mental health workers react differently to violence. Some relate to patients by generating positive solutions, while others manage patients with coercive measures. The effectiveness of the use of de-escalation techniques in the management of aggressive actions and that both staff and patients aspire to achieve non-confrontational and social relationships while interacting in violent and threatening situations can be seen.

Conclusions: De-escalation is the most effective technique only after careful knowledge of the patient, his pathologies and any prodromal signs and symptoms that may indicate the onset of aggressive behavior. Furthermore, it is more complicated with subjects having a previous history of aggression. However, the absence of adequate staff training emerges, which can guarantee the correct implementation of the intervention and which can make nurses safer in the management of aggressive action and of the violent patient.

 

Keyword: Nurse, Aggression; Violence, Aggressive behavior, Prevention, Safety, Psychiatry, de-escalation, mental patient.

Introduzione

Nella realtà sanitaria l’aggressività nei luoghi di lavoro è un fenomeno in continuo aumento [1]. Gli operatori sanitari, in particolare gli infermieri, hanno un rischio maggiore di subire episodi di violenza [2] e ciò può danneggiare l’intero processo di cura oltre che incrementare lo stress da lavoro [3]. Vi sono delle aree specifiche di assistenza in cui i comportamenti aggressivi si verificano con maggiore frequenza: i servizi di emergenza [4], le attività domiciliari [5], le geriatrie e i servizi di salute mentale e psichiatria [6]. Molti sono gli studi che hanno analizzato i fattori di rischio che possono scatenare un passaggio all'atto (acting-out). Tra questi ricordiamo: il tempo d’attesa prolungato [7], una comunicazione inefficace, la riduzione del tempo da dedicare al paziente [7], l’età e il genere del paziente [8], patologie psichiatriche [8], demenze e/o lesioni cerebrali [9].

Il National Institute of Occupational Safety and Health [10] definisce l’aggressività come: “ogni atto di aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica nel posto di lavoro”. La violenza nel posto di lavoro invece, è riferita ad “una serie di comportamenti che possono causare danni, ferite o lesioni a un'altra persona, indipendentemente dal fatto che la violenza o l'aggressione siano espresse fisicamente o verbalmente, e il danno fisico sia sostenuto o l'intenzione sia chiara” [9].

In un’ottica preventiva sorge la necessità di un setting che possa prevenire e gestire il fenomeno dell’aggressività. In merito a ciò, il Ministero della Salute ha riportato delle raccomandazioni per la prevenzione e trattamento della violenza nei luoghi di cura [12] e ha erogato “La Raccomandazione n. 8” [13] che prende in considerazione la “prevenzione degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”. Fondamentale risulta, anche, la formazione del personale curante per poter riconoscere in tempo i segnali d’allarme e saper gestire gli ‘acting out’. In uno studio condotto da Heckemann et al. [14], in cui viene proposto un corso di gestione delle situazioni violente, il 50% dei partecipanti non si riteneva in grado di affrontare la situazione. In un altro studio condotto da Lanza et al. [15] si evince che i corsi di aggiornamento, in cui sono illustrate tecniche di prevenzione, non sono funzionali nel momento in cui i partecipanti sono già stati vittime di aggressione.

L’Istituto Nazionale per la Salute e il Clinical Excellence [16] hanno riportato l'uso di interventi contenitivi per la gestione del comportamento violento e, secondo le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), i principali sono di tipo farmacologico, fisico e comportamentale [11]. In particolare si ricordano: farmaci Pro re nata (PRN), Tecniche di De-escalation (distrazione, regolazione emotiva, rilassamento della persona ecc.), interventi restrittivi e il rapido rilassamento. Con l’adozione di tali tecniche, l’operatore, sempre dopo aver individuato i segni di un comportamento aggressivo, potrebbe essere in grado di prevenire l’atto violento prima che si verifichi.  Resta quindi fondamentale comprendere e prevenire tali episodi; ad oggi si sa poco sull’efficacia delle tecniche di de-escalation, spesso raccomandate, in termini di riduzione dei danni associati.

Obiettivo dello studio

Valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation per gestire gli agiti aggressivi del paziente psichiatrico.

 

Materiali e Metodi

Per condurre la revisione è stato delineato un quesito di ricerca utilizzando la metodologia Population, Intervention, Outcome (PIO) (Tabella 1).

È stata condotta una revisione della letteratura consultando le seguenti banche dati: PubMed ed EMBASE.

Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “De-escalation”;psychiatry”;psychiatry Nursing”; “psychiatric Deparment”, “Hospital; emergency Services”;aggression”; “anger”;violence”; “mental patient”; “psychomotr agitation”; “aggressive behavior”; “aggressive reaction”. Per la ricerca sono state utilizzate le stringhe riportate nella Tabella 2, composte da termini Mesh e key-words combinati tra loro attraverso gli operatori booleani AND & OR. Gli articoli ottenuti e i relativi full-text sono stati verificati da due valutatori, al fine di identificare i report pertinenti.

Criteri di inclusione ed esclusione, strategia di ricerca nella letteratura scientifica  

Sono stati fissati dei criteri di inclusione ed esclusione.

Criteri di inclusione: (a) studi primari; (b) studi pubblicati in lingua inglese e italiana; (c) studi pubblicati negli ultimi 10 anni (all’atto della stesura del presente manoscritto); (d) studi effettuati su popolazione adulta psichiatrica; (e) studi effettuati su popolazione europea e anglosassone.

Criteri di esclusione: (a) studi secondari; (b) articoli su pazienti di psichiatrica pediatrica e pazienti con deficit neurologici; (c) studi che facevano riferimento al solo intervento farmacologico.

Dopo aver applicato i criteri di inclusione ed esclusione, nella fase preliminare sono stati identificati 130 titoli (53 in PubMed e 84 in EMBASE). Sono stati esclusi 2 titoli poiché doppi. I 128 rimanenti sono stati valutati per titolo e abstract, ne sono stati scartati 116 perché non pertinenti con l’obbiettivo o non rispettavano i criteri d’inclusione e 2 perché studi secondari. Dei 10 rimanenti, dopo lettura del full text, sono stati scartati 7 ritenuti non pertinenti al quesito di ricerca. La procedura utilizzata nella selezione degli articoli è presentata di seguito sotto forma di un diagramma di flusso rappresentato nella Figura 1.

 

RISULTATI

Sono emersi tre studi pertinenti con il nostro quesito e nella Tabella 3 ne sono sintetizzate le caratteristiche e i risultati.

Lo studio di Price O. et al. [17], attraverso un’analisi qualitativa con interviste semi-strutturate, si è posto l’obiettivo di ottenere la descrizione da parte del personale, delle tecniche di de-escalation utilizzate. Sono stati esplorati le barriere e i fattori percepiti abilitanti all’attuazione delle tecniche di de-escalation. Sono stati selezionati 10 reparti, di cui solo 5 hanno accettato di partecipare. Sono stati intervistati coloro che lavoravano nel reparto con almeno 6 mesi di esperienza. I partecipanti hanno descritto 14 tecniche utilizzate in risposta all'aggressione, classificate in 3 categorie: (a) supporto, (b) controllo non fisico, (c) controllo fisico. Tale studio fornisce un quadro per comprendere la relazione tra comportamento del paziente, influenze ambientali e risposta del personale. Lo studio di Mary Lavelle et al. [18], invece, identifica con un’analisi retrospettiva, la sequenza di eventi che precedono la de-escalation, nei reparti psichiatrici ospedalieri.

Sono state valutate le caratteristiche del paziente e dell’ambiente che influenzano l’utilizzo delle tecniche. Sono stati selezionati 522 pazienti delle unità psichiatriche. Per ogni paziente è stato registrato il coinvolgimento durante i conflitti. Più della metà (53%) ha messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del personale entro le prime due settimane di ricovero. Nel 60% dei casi la de-escalation ha avuto successo, ma è la più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività, per cui si richiede l’uso dei farmaci PRN. Infine, in uno studio etnografico di Berring L. et al. [19], si descrive come i pazienti e i membri del personale (N=41) definissero situazioni violente, e come attribuissero un significato al flusso di azioni in situazioni di de-escalation. L'analisi ha indicato che sia il personale che i pazienti aspiravano a raggiungere relazioni non conflittuali mentre interagivano in situazioni minacciose.

 

DISCUSSIONE

La presente revisione ha l’obiettivo di valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation per gestire gli agiti aggressivi del paziente psichiatrico. Le 14 tecniche di de-escalation oggetto di indagine nello studio di Price O. et al, sono applicate su un continuum che và dal supporto al controllo e si suddividono in: 6 tecniche dette di “Supporto” (intervento passivo, rassicurazione, distrazione, problema identificazione, risoluzione, riformulazione) con lo scopo di consentire al paziente di utilizzare le proprie risorse per autoregolare l'aggressività; 4 tecniche di “Controllo non fisico” (manipolazione ambientale, rimprovero, deterrenti, istruzione) con interventi più autorevoli che hanno esplicitamente affermato il controllo del personale nel contenere comportamenti dannosi;  4 tecniche di “Controllo fisico” (medicinali psicotropi , isolamento, contenimento, psicotropi intramuscolari forzati) con lo scopo di eliminare ulteriori aggressioni attraverso l’applicazione di pratiche restrittive. Le decisioni di adottare tecniche di controllo non fisiche sono state influenzate da: funzione percepita dell’aggressività, trial-and-error, rituali e routine locali che riguardano la gestione dell’aggressività, rischio e conoscenza del paziente. Il personale riscontra che se venissero messe in atto tecniche di controllo non fisico più efficaci, potrebbero portare ad un’escalation più elevata con conseguente utilizzo di pratiche restrittive. Inoltre si è riscontrato che la de-escalation risulta inefficace se messa in atto con pazienti aventi disturbi di personalità. I fattori ambientali e organizzativi risultano essere influenti nella buona pratica del controllo non fisico. I dati ottenuti da questo studio sono stati generati dalla sintesi delle opinioni e delle esperienze dei partecipanti. Questo potrebbe non fornire delle prove esaustive sui risultati, ma la ricerca rappresenta comunque, un punto di partenza per gli studi futuri. Inoltre, per limitare l’eterogeneità del campione e per renderlo quanto più rappresentativo possibile, è stato incluso solo il personale che aveva esperienza nelle tecniche di de-escalation ed è stato escluso, invece, il personale manager di reparto. Questo può aver omesso dati potenzialmente rilevanti. Un'ulteriore limitazione riguarda la concettualizzazione delle tecniche di de-escalation. In particolare, i partecipanti allo studio hanno visto le tecniche di“controllo non fisico” come coercitive e parte importante del processo di de-escalation. È possibile, quindi, che i partecipanti, abbiano concepito in modo impreciso le tecniche di de-escalation, come un intervento terapeutico coercitivo piuttosto che psicosociale. È probabile che una maggiore formazione ai partecipanti su queste tecniche, avrebbe dato risultati più esaustivi e importanti approfondimenti sulle realtà cliniche in cui vengono utilizzate. Ad esempio, come e perché vengono selezionate dal personale alcune tecniche, la relazione tra i due livelli di intervento, supporto e controllo non fisico, e la riuscita o l’uso di pratiche restrittive. Inoltre, capire quando e perché cessano di essere utilizzate le tecniche di supporto avrebbe dato prove importanti per ridurre la violenza e l'uso di queste pratiche. Tuttavia la formazione attuale riguardo le tecniche di de-escalation appare poco consona per permette al personale di regolare e gestire l’ansia con conseguente corretta messa in atto dell’intervento.  Lo studio di Mary Lavelle et al. [18], identifica gli eventi che precedono la de-escalation nei reparti psichiatrici, valutando le caratteristiche del paziente e dell’ambiente che influenzano l’utilizzo delle tecniche, ha portato alla luce che più della metà dei pazienti (53%) ha messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del personale e nel 60% dei casi la de-escalation ha avuto successo, anche se  risulta più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività, dimostrando che una scarsa fiducia nell’efficacia di queste tecniche quando il rischio di violenza è maggiore. Lo studio, va a confermare i dati presenti in letteratura, per cui molte volte gli infermieri vivono la violenza come“normale” e questa “normalizzazione” rende difficile l’identificazione della gravità della problematica[20]. Nello studio di Mary Lavelle, infatti, eventi che verrebbero classificati come di de-escalation non sono considerati incidenti significativi da parte degli infermieri. Inoltre, questo studio è un'analisi retrospettiva su un campione di pazienti consenzienti, e ciò potrebbe non fornire un quadro accurato della realtà clinica. Un'altra criticità identificata dall’autore è riferita all'intervallo di tempo analizzato. Viene analizzato ciò che accade di un turno di lavoro, perdendo possibili relazioni tra eventi che si verificano distanti nel tempo. Diventa, perciò, fondamentale incrementare una formazione per migliorare la fiducia nel personale ad utilizzarla e nel rilevare i sintomi prodromici dell’agito aggressivo, in quanto l’efficacia della de-escalation è ottimale se viene messa in atto all’inizio del ciclo dell’aggressività.

L’ultimo studio selezionato, condotto da Berring L. et al. [15], descrive il modo in cui i pazienti e il personale sanitario definiscono situazioni violente e il significato che ne è attribuito. Attraverso lo studio etnografico e multiplo, i partecipanti sono stati incoraggiati a contattare il ricercatore dopo aver riscontrato una situazione di de-escalation. Dopo aver riferito una situazione del genere, il primo autore avrebbe condotto delle interviste per indagare sul caso. L'analisi ha indicato che sia il personale che i pazienti aspiravano a raggiungere relazioni pacifiche quando interagivano in situazioni violente. Inoltre, lo studio ha anche rivelato come tutte le parti usassero gli stessi schemi di base nel definire le situazioni. A tal proposito, le soluzioni di de-escalation venivano definite: (a) sulla base di credenze mentali esistenti, (b) le credenze venivano cambiate, perché si rifletteva su ciò che aveva portato alla situazione e si raggiungeva un apprendimento. I ricordi di situazioni vissute creavano aspettative anticipatorie nel paziente e queste avevano un impatto nel definire la situazione attuale. Perciò, la conoscenza del paziente e il suo passato possono garantire la possibilità di agire nel modo più adeguato e tempestivo in momenti di agitazione. Risulta, dunque, quanto sia importante il momento riflessivo, in quanto porta il paziente a creare pensieri positivi della situazione e promuovere la risoluzione dei problemi. Nello studio di Berring la visione dell’interazione sociale è su piccola scala, ma fornisce delle informazioni utili su come le esperienze passate influenzano le presenti nella pratica clinica. Pertanto, lo studio approfondisce le pratiche organizzative per comprendere meglio i comportamenti violenti e minacciosi.

 

 

LIMITI

Il presente studio aiuta a comprendere i comportamenti violenti ma non è esaustivo sul fenomeno indagato e necessita di una più approfondita analisi. Il lavoro presenta alcuni limiti. È stata presa in considerazione solo la letteratura più recente degli ultimi 10 anni e sono state interrogate le banche dati PubMed ed EMBASE, non coinvolgendo quelle minori. Il campione di studi era orientato verso specifiche popolazioni e questo fattore può aver ridotto la generalizzabilità dei risultati.

 

CONCLUSIONI

L’obiettivo di questa indagine era quello di valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation, per la prevenzione e la gestione degli agiti aggressivi nei confronti del personale sanitario. Gli operatori della salute mentale reagiscono in modo diverso alla violenza. Alcuni si relazionano con i pazienti in modi che producono soluzioni positive [21], mentre altri gestiscono i pazienti con misure coercitive. È emersa l’efficacia dell’utilizzo delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi. Tuttavia, emerge che un’adeguata formazione del personale, può garantire interventi in più tempestivi e rendere gli infermieri nella gestione dell’agito aggressivo. Infatti, si nota che la de-escalation è efficace previa conoscenza del paziente, delle sue patologie e dei segni che possono indicare l’insorgenza di un comportamento aggressivo, da poter applicare le tecniche fin dal primo momento. Vi è il bisogno di formulare ipotesi di miglioramento qualitativo delle situazioni di rischio e di aggiornare le competenze professionali dell’infermiere, attraverso corsi di formazione in cui introdurre approcci di gestione del paziente. Inoltre, potrebbe essere interessante indagare il tasso di denunce e segnalazioni degli operatori sanitari all’autorità giudiziaria, a causa degli attacchi violenti e delle conseguenze fisiche. Secondo alcuni studi, non sono state registrate denunce [22,23] e questa osservazione potrebbe suggerire che l’aggressione da parte di un paziente può essere giustificata da un operatore sanitario, a differenza della violenza perpetrata da persone sane.

Questo potrebbe portare a pensare che già durante la situazione di escalation ci sia una predisposizione passiva dell’infermiere nei confronti del paziente. Dai dati presenti in letteratura risulta che anche le attitudini degli infermieri siano un elemento importante da prendere in esame se si vogliono ridurre gli episodi di violenza. Tutto questo porta la nostra attenzione sul concetto di prevenzione, sull’offrire una formazione del personale sanitario sulle modalità comunicative e di gestione e sul dare un supporto psicologico ed una preparazione psicologica per accrescere la consapevolezza delle proprie reazioni ed emozioni di fronte al rischio di violenza. Si potrebbe, quindi, rendere l’operatore più preparato a prevedere e gestire le situazioni di pericolo, non solo per “essere in grado” ma anche per “sentirsi in grado” di affrontarle, con un esito efficace.

 

Abbreviazioni
NICE (National Institute for Health and Care Excellence)

Acting-out (passaggio all'atto)

PRN (Pro re nata)

PIO (Population, Intervention, Outcome)

 

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Benessere organizzativo e soddisfazione lavorativa: studio cross-sectional in una popolazione di infermieri

Anna Arnone1*, Maria Vicario2

  1. Dipartimento di Emergenza e Accettazione U.O. Medicina d’Urgenza, A.O.R.N. ‘’Antonio Cardarelli’’, Napoli (Italia)
  2. Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi della Campania ‘’Luigi Vanvitelli’’, Napoli (Italia); Presidente FNOPO

Corresponding Author: Anna Arnone, infermiera presso Dipartimento di Emergenza e Accettazione U.O. Medicina d’Urgenza, A.O.R.N. ‘’Antonio Cardarelli’’. E-mail: anna.arnone93@live.it                               

DOI: 10.32549/OPI-NSC-33

Cita questo articolo

 

ABSTRACT

Introduzione: La soddisfazione lavorativa impatta su molteplici aspetti nell’ambiente di lavoro influenzando la produttività, la performance, l’assenteismo, la permanenza, l’assunzione, l’impegno organizzativo, l’assistenza. Lo scopo dello studio è stato quello di documentare la percezione del livello di benessere organizzativo e di soddisfazione lavorativa individuando i determinanti di malessere organizzativo presso l'ASL 3 Genovese ''Ospedale Villa Scassi''.

Materiali e Metodi: Lo studio cross-sectional è stato condotto da aprile a giugno 2019; le informazioni sono state raccolte attraverso un questionario somministrato ad un campione di 318 infermieri composto da 72 items e da diverse variabili sociodemografiche di cui 22 per indagare il livello di burnout e gli altri 50 per indagare l’influenza dei fattori psicosociali sullo stato di benessere dei lavoratori.

Risultati: Sono stati somministrati un totale di 318 questionari con un tasso di adesione del 36.16%. Il 76.52% della popolazione non è soddisfatta della propria condizione lavorativa, mentre il 20.86% lo è. I livelli di sfinimento emotivo sono risultati elevati in quanto il 30% del campione intervistato risulta essere ''più volte al mese'' emotivamente stressato a causa del lavoro svolto. Il 33.9% e il 42.6% del campione hanno giudicato complesso e interessante il proprio lavoro con un voto pari a 10.

Discussione: Vi è la necessità di rendere le organizzazioni sanitarie maggiormente consapevoli che avere una classe di infermieri che mostrano passione e interesse nei confronti della propria professione migliora la qualità del lavoro stesso e la qualità delle cure fornite agli assistiti.

Parole Chiave: Soddisfazione, lavorativa, motivazione, infermieri, burnout, benessere organizzativo, autonomia

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Organizational well-being and job satisfaction: cross-sectional study in the nursing population

ABSTRACT

Introduction: Job satisfaction impacts on many aspects of the work environment, influencing productivity, performance, absenteeism, permanence, hiring, organizational commitment, assistance. The aim of the study was to document the perception of the level of organizational well-being and job satisfaction by identifying the determinants of organizational malaise at the ASL 3 Genovese '' Villa Scassi Hospital ''.

Materials and Methods: The cross-sectional study was conducted from April to June 2019. Data were acquired with a questionnaire administered to 318 nurses and composed by 72 items and different socio-demographic variables, 22 to investigate the level of burnout and 50 to investigate about influence of psychosocial factors on the welfare state of workers.

Results: 318 questionnaires were administered with a 36.16% membership rate. 76.52% of the population is not satisfied with their working status, while 20.86% are. The levels of emotional exhaustion are high because 30% of the interviewed sample appears to be emotionally stressed "several times a month" due to the work done. 33.9% and 42.6% considered their work complex and interesting with a grade of 10.

Discussion: It’s necessary to make health organizations more aware that having nurses who show passion and interest in their profession improves the quality of work itself and the quality of care and attention provided to clients.

Keywords: Job satisfaction, motivation, nurses, burnout, organizational well-being, autonomy.

INTRODUZIONE

In questo periodo storico vi è un’immagine molto variegata della figura infermieristica. Il pieno riconoscimento dell’identità professionale, sempre rivendicata dagli  infermieri, è ancora purtroppo solo teorica. Il motivo dell’incertezza di questo ruolo risente ampiamente senz’altro nei cambiamenti avvenuti nel processo formativo. Infatti la rivoluzione culturale e professionale auspicata dai diversi dispositivi normativi degli ultimi anni non è stata pienamente recepita non solo nell’immaginario collettivo ma anche tra gli stessi infermieri e questo è scaturito dalla rapida crescita che il ruolo dell’infermiere ha avuto attraverso numerosi cambiamenti avvenuti troppo in fretta negli ultimi venti anni [1,2,3]. L’immagine della figura infermieristica è da tempo un aspetto molto dibattuto sia a livello nazionale che internazionale, in quanto il ritratto professionale fornito dai media, la percezione sociale e l’auto-percezione individuale e collettiva degli infermieri sono fortemente influenzate dagli stereotipi negativi riprodotti dai media, con ricadute negative sulle politiche di allocazione delle risorse e sulla strutturazione dell’identità professionale dell’infermiere [4]. Il quadro che ne deriva conduce non solo ad una considerazione errata del ruolo degli infermieri da parte della società e al crearsi di uno scarso rapporto di fiducia tra la popolazione

e questa figura sanitaria, ma anche ad una non adeguata considerazione che gli infermieri hanno di sé, minando la loro autostima, le performance lavorative e di conseguenza, gli outcome assistenziali [5]. Questi professionisti, inoltre, si trovano quotidianamente di fronte a sfide complesse costituite dalle condizioni cliniche degli utenti e dalla relazione spesso conflittuale con l’organizzazione in cui lavorano: più una persona sente di appartenere all’organizzazione più ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi, più trova motivazione e significato nel suo lavoro [6].

Pertanto tutti questi fattori contribuiscono a ridurre l’attrazione per la professione infermieristica, inducendo negli infermieri stessi frustrazione, stress ed insoddisfazione lavorativa, conducendo ad un elevato turnover e conseguentemente incrementando l’intenzione di abbandono nei diversi contesti lavorativi, come supportato dalla letteratura in cui lo stress è considerato un fenomeno con un’incidenza maggiore agli esordi della carriera lavorativa [7,8]. In genere si dà ampia considerazione all'influenza delle caratteristiche personali come elementi di rischio senza considerare il peso dei fattori caratteristici associati al contesto lavorativo. In letteratura, tuttavia, si dà ampia considerazione a tali fattori, causa di stress a lunga durata, tra i quali figurano tensioni eccessive e prolungate e il rapporto interpersonale [9].

Le organizzazioni sanitarie dovrebbero avere maggiore consapevolezza che un migliore funzionamento di una struttura sanitaria è imprescindibilmente legata al grado di soddisfazione lavorativa degli infermieri e degli operatori sanitari che contribuiscono a migliorare il funzionamento operativo della struttura, alla soddisfazione del team e degli utenti e alla loro influenza positiva sugli esiti che vengono raggiunti attraverso un costante impegno garantendo così un’assistenza di qualità [10]. In questa prospettiva la leadership assume un ruolo chiave nel coordinamento e nell’organizzazione che, come supportato da alcuni studi [11,12], influenza la percezione degli infermieri sulla propria organizzazione nonché la cultura organizzativa attraverso la quale, le strutture sanitarie sono ritenute espressione dello sviluppo personale del leader.

Obiettivo dello studio

L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di rilevare in un campione di infermieri la percezione del livello di benessere organizzativo e di soddisfazione lavorativa e conseguentemente, individuare i principali fattori di malessere organizzativo in grado di influenzare il clima aziendale e di determinare lo stato di benessere psico-fisico dei lavoratori [13,14].

MATERIALI E METODI

Lo studio, di tipo cross-sectional, si è svolto nel periodo aprile-giugno 2019 presso l’ASL 3 Genovese ''Ospedale Villa Scassi'' di Genova. Lo studio ha incluso le unità operative (UU.OO.) di Pronto Soccorso, Chirurgia toracica e vascolare, Medicina generale, Ortopedia, Chirurgia generale, Centro ustioni, Cardiologia e Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC), Pneumologia, Neurologia, Nefrologia e dialisi, Oncologia, Rianimazione e Terapia Intensiva. Le UU.OO. suddette sono state incluse nello studio per omogeneità delle attività, delle risorse umane o tecnologiche impiegate e delle procedure operative adottate e per complementarietà organizzativa.

Prima di procedere alla somministrazione dei questionari è stata richiesta e ottenuta autorizzazione scritta dalla Direzione Sanitaria Aziendale e i partecipanti allo studio hanno firmato il consenso informato e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Sono stati considerati eleggibili tutti gli infermieri che hanno aderito su base volontaria all’indagine e operanti al momento della valutazione. Non sono stati offerti incentivi per la partecipazione allo studio.

Per le finalità dello studio è stato utilizzato uno specifico strumento validato [15,16], composto in cinque sezioni per un totale di 77 items.

La prima è costituita da 12 items come inquadramento delle caratteristiche socio-demografiche del campione (età anagrafica, nazionalità, anzianità nella qualifica di infermiere, durata dell’attuale mansione, stato civile, figli di età inferiore ai 18 anni, abitudine al fumo, assunzione cronica di psicofarmaci, vicinanza dell’abitazione al luogo di lavoro, titolo accademico infermieristico (diploma o laurea I livello), categoria di pazienti assistiti (lungodegenti, soggetti affetti da patologie acute), tipologia del luogo di lavoro).

  • La seconda parte del questionario è costituita dalla versione italiana del Maslach Burnout Inventory [15] composta da 22 items con l’utilizzo della scala Likert a 6 punti che individua tre diverse componenti atte a valutare il livello di Burnout.

La terza e la quarta parte, costituite rispettivamente da 21 e 32 items, indagano l’influenza dei fattori stressogeni e psicosociali sullo stato di benessere dei lavoratori attraverso le sezioni seconda e terza proposte dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale per le indagini epidemiologiche sulla valutazione delle condizioni lavorative [16].

La parte conclusiva è costituita da una scala analogica visiva con un range di valori compresi tra 1 e 10 (da nessuno ad enorme) per indicare il proprio interesse per il lavoro e la complessità del lavoro stesso. I questionari sono stati consegnati ai coordinatori che hanno provveduto a distribuirli in ciascuna U.O. suddetta al personale infermieristico che, a sua volta, ha provveduto a compilarli in modalità anonima e a riconsegnarli al proprio coordinatore per il successivo ritiro.

Analisi Statistica

I dati sono stati espressi come numeri assoluti o percentuali nel caso di variabili qualitative. L’uso di numeri assoluti o percentuali è stato utilizzato anche nel caso di variabili continue, come ad esempio l’età, grazie ad una stratificazione per intervalli eseguita sui rispettivi campi o range di variazione. Infine i risultati di questo studio sono stati rappresentati attraverso distribuzioni di frequenza e, a seconda dei casi, con la rappresentazione grafica più opportuna. Tutte le analisi statistiche sono state eseguite utilizzando Microsoft Excel ver. 2019 per Windows 10.

 

RISULTATI

Sono stati distribuiti 318 questionari in 14 diverse unità operative (UU.OO.) e sono stati ricevuti in totale 115 questionari completi, 1 incompleto, 27 non pervenuti e 175 vuoti.

Come mostrato in Figura 1 si evince la partecipazione della popolazione alla compilazione del questionario: il 55.03 % della popolazione non ha partecipato all’indagine, solo il 36.16 % ha aderito in maniera attiva allo studio, un solo questionario è risultato incompleto (0.3 %) e l’8.4% dei questionari non sono pervenuti.

Il campione analizzato risulta così composto: il 77.39% rispondente appartiene al genere femminile e il 22.61% al genere maschile. Il 52.17% degli intervistati ha un’età superiore ai 45 anni e il 58.26% del campione lavora nella propria struttura da più di dieci anni.

Figura 1 La partecipazione della popolazione alla compilazione del questionario.

Il 97.39 % del campione è di nazionalità italiana mentre solo il 2.60 % è extracomunitario. Il 53.04% del campione possiede il diploma professionalizzante ante D.M. 509/1999 e il restante 46.95 % possiede il titolo di laurea triennale di I livello.

E’ stato chiesto ad ogni intervistato se fosse soddisfatto o meno della sua condizione lavorativa dal punto di vista sia organizzativo che socio-economico: il 76.52 % del campione (cioè 88 individui su 115) non è soddisfatto della propria condizione lavorativa, solo il 20.86 % ha risposto a questa domanda in maniera affermativa ed il 2.6 % si è astenuto dal rispondere. Il risultato sull’assunzione di psicofarmaci da parte degli operatori che hanno partecipato allo studio evidenzia che solo il 3.47% di essi dichiara di farne uso, mostrando che la maggior parte degli operatori sanitari (96.52%) non utilizza psicofarmaci.

Tutti i dati acquisiti relativi alla scheda anagrafica presente nel questionario sono riportati nella seguente Tabella 1.

Tabella 1 Caratteristiche generali del campione

Sono state analizzate, inoltre, le preoccupazioni dei lavoratori, che avevano tre possibili scelte di risposta: 1) No, 2) Professionali, 3) Familiari.

Anche in questo caso sono riportate le risposte ottenute dal campione di infermieri arruolati in questo studio e appartenenti a differenti Unità Operative (UU.OO.) (Figura 2). Il 36.5 % della popolazione presenta preoccupazioni familiari, mentre il 26.1 % preoccupazioni professionali e il 28.7 % non presenta preoccupazioni. Va aggiunto che il 3.5 % della popolazione non ha risposto alla domanda e il 5.2 % ha inserito due risposte: preoccupazioni familiari e professionali.

Figura 2 Andamento delle preoccupazioni dei lavoratori: R1 (nessuna preoccupazione), R2 (preoccupazioni personali), R3 (preoccupazioni familiari).

Un altro tema analizzato in questo studio sono le condizioni lavorative associate al personale infermieristico. Anche in questo caso sono stati selezionati alcuni item che valutano la necessità di essere molto veloci nel lavoro da svolgere, molto produttivi e la quantità di funzioni da svolgere. In questo caso per ogni domanda sono presenti 4 possibili risposte, numerate da 1 a 4, con il seguente significato: 1) raramente, 2) qualche volta, 3) abbastanza spesso, 4) molto spesso

Dalla Figura 3 si nota che per quanto riguarda le mansioni da svolgere, il 47.8 % della popolazione ha affermato che “molto spesso” l’operatore ha molte cose da fare nel suo lavoro giornaliero e solo lo 0.9 % fornisce la risposta 1.

Riguardo l’obbligatorietà ad essere produttivi, il 47 % della popolazione fornisce la risposta 3 e, anche in questo caso, lo 0.9 % fornisce la risposta 1. Un’altra caratteristica valutata è la velocità nel lavoro, la quale per il 39.1 % del campione risulta essere richiesta “abbastanza spesso” (risposta 3).

                                 

Figura 3.  (3a) Andamento delle condizioni lavorative associate al personale infermieristico (mansioni da svolgere). (3b) Andamento delle condizioni lavorative associate al personale infermieristico (produttività). (3c) Andamento delle condizioni lavorative associate al personale infermieristico (velocità nel lavoro).

Nella Figura 4a sono riportate le percentuali delle risposte alla possibilità di scegliere l’ordine con cui svolgere i compiti attribuiti al proprio ruolo e a cui si è attribuita una risposta da 1 a 5 con il seguente significato: 1) Fortemente, 2) Molto, 3) Moderatamente, 4) Un po’, 5) Molto poco.

Il 26.1 % della popolazione ha fornito la risposta 4 e solo il 10.4 % ha fornito la risposta 1. In Figura 4b, invece, sono riportate le risposte del campione analizzato riguardo la scelta della parte del lavoro da effettuare con 4 possibili risposte, numerate da 1 a 4, con il seguente significato: 1) Enormemente, 2) Molto, 3) Un po’, 4) Per niente.

       

Figura 4. (4a) Andamento dell’indipendenza lavorativa (ordine con cui svolgere i compiti). (4b) Andamento dell’indipendenza lavorativa (scelta del lavoro da effettuare)

Il 47 % del campione ritiene che le funzioni da svolgere siano molto numerose e, in media, il lavoro richiede di essere “abbastanza spesso” veloce (39.1 %) e produttivo (47 %). Al contrario, però, analizzando la possibilità di scegliere l’ordine con il quale svolgere i compiti lavorativi e analizzando la possibilità che gli infermieri hanno di decidere quale parte del loro lavoro effettuare, è stato notato che in entrambi i casi i lavoratori hanno relativa autonomia (Figure 4a e 4b).

Nello studio sono stati analizzati i livelli di sfinimento emotivo a cui sono associati sintomi tipici quali ansia, irritabilità, insonnia (Figura 5) dai quali il nostro campione non è esente. Esso, infatti, presenta livelli medi di tali sintomatologie che, secondo i risultati del questionario, si presentano, in media, con una frequenza pari a “qualche volta”. I sintomi più comuni risultano ansia e tensione (52.2 %), irritabilità (62.2 %) e nervosismo (58.3 %).

In questo caso per ogni domanda sono presenti 4 possibili risposte, numerate da 1 a 4, con il seguente significato: 1) Mai/raramente; 2) Qualche volta; 3) Abbastanza spesso; 4) Molto spesso/costantemente

                             

Figura 5. (5a) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (ansia). (5b) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (stati depressivi). (5c) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (fatica intensa o spossatezza). (5d) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (irritabilità).

In ultimo, è stato chiesto ad ogni operatore di esprimere, con un voto nel range da 1 (nessuno) a 10

(enorme), l’interesse che esprime nei confronti del proprio lavoro e il giudizio sulla complessità di quest’ultimo.

Come si nota dalla Figura 6, il 33.9 % della popolazione ha giudicato con un voto pari a 10 la complessità del proprio lavoro e, per quanto riguarda l’interesse, il 42.6 % della popolazione ha un elevato interesse nei confronti del proprio lavoro, fornendo un voto pari a 10.

 

Figura 6.  (6a) Giudizio sulla complessità del lavoro. (6b) Interesse nei confronti del lavoro.

 

DISCUSSIONE

Solo il 36.16 % della popolazione ha partecipato in maniera attiva alla compilazione del questionario, mentre il 55.03 % non ha compilato (Figura 1). Tra le possibili motivazioni vi è lo scarso interesse in esame, nonostante fosse rivolto a comprendere le condizioni lavorative di questi ultimi per avere a disposizione materiale utile per un futuro miglioramento. Altra possibile motivazione è rappresentata dalla intensa attività lavorativa quotidiana degli infermieri che, come mostrato, è molto elevata.

Il campione analizzato risulta essere composto dal 77.39 % da donne e solo dal 22.61 % da uomini, a conferma degli studi statistici effettuati nel corso degli anni che attestano che il lavoro in ambito infermieristico risulta essere in prevalenza scelto dalle donne [17]. Il 52.17 % dei partecipanti ha un’età superiore ai 45 anni e il 26.08 % ha un’età inferiore ai 30 anni; tale dato è in linea con recenti studi sull’ ‘’invecchiamento” della popolazione infermieristica in Italia, un fenomeno ormai diffuso nella società italiana che vede una progressiva riduzione del numero degli infermieri nonché l’aumento dell’età media della popolazione lavorativa e che potrebbero determinare problemi rilevanti sia in termini di "tenuta” che di “qualità” del sistema assistenziale in riferimento alla particolare e delicata tipologia delle funzioni e prestazioni erogate [18]. In letteratura, a tal proposito, si evidenzia che i soggetti anagraficamente e professionalmente più anziani risultano significativamente più insoddisfatti e più a rischio di Burnout [19].

Al dato anagrafico va anche aggiunto e correlato il dato sul tempo di lavoro in struttura: il 58.26 % degli intervistati lavora presso l’ASL 3 Ospedale Villa Scassi da un tempo superiore a 10 anni, evidenziando che la maggior parte del campione analizzato ha grande esperienza sia in ambito lavorativo che dal punto di vista della conoscenza del luogo di lavoro. Ciò è molto importante ai fini dello studio perché una migliore conoscenza del luogo di lavoro permette di avere informazioni veritiere sia sulle condizioni lavorative che sullo stress derivante dal luogo di lavoro.

Il dato che risulta più preoccupante, però, è la soddisfazione della condizione lavorativa dal punto di vista organizzativo e socio-economico del singolo lavoratore: il 76.52 % del campione non è soddisfatta della propria condizione lavorativa, mentre il 20.86 % lo è. Tale dato è indice di un diffuso malessere presente nella categoria degli infermieri e ciò è dovuto sia al carico e alle condizioni di lavoro sia al forte stress emotivo a cui sono soggetti; questo comporta un'ulteriore diminuzione delle risorse disponibili e un impatto psicologico negativo sui pazienti ricoverati che avvertono una minor sicurezza sul loro stato di salute, fonte di stati di ansia e depressione che provocano un deterioramento delle condizioni cliniche generali [20]. Studi statistici dimostrano che i livelli di burnout risultano più elevati negli infermieri rispetto ad altre categorie lavorative e sono legati al contatto diretto e prolungato con i pazienti, con rischio di coinvolgimento emotivo e a bassi livelli di soddisfazione sul lavoro [21,22].

Conclusioni

I dati dello studio confermano la necessità di rendere le organizzazioni sanitarie maggiormente consapevoli che avere una classe di infermieri che mostrano passione e interesse nei confronti della propria professione migliora la qualità del lavoro stesso e la qualità delle cure e delle attenzioni fornite agli assistiti [23].

Gli elementi di prevenzione nei luoghi di lavoro individuati in letteratura sono la promozione della salute, la riduzione del sovraccarico orario e la gestione di sessioni di supervisione [24].

Tra le strategie che concorrono alla motivazione e alla soddisfazione lavorativa sui quali è necessario intervenire si possono considerare il rafforzamento delle risorse individuali per aumentare la capacità di gestione dello stress lavorativo e il miglioramento delle dinamiche relazionali [7].

Limiti dello studio

In questo studio preliminare è stata sviluppata un’indagine statistica puramente descrittiva condotta solo in una singola struttura ospedaliera in cui solo il 36.16 % del campione ha partecipato in maniera attiva alla compilazione del questionario. Sarebbe interessante sottoporre alla stessa indagine anche altre strutture per comprendere quale sia, nei vari luoghi d’Italia, da nord a sud, l’interesse che la classe infermieristica mostra nei confronti della propria professione per poterla poi correlare alle statistiche sulla qualità del lavoro svolto dagli infermieri stessi.

 

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano gli Infermieri dell’ASL 3 Genovese ‘’Ospedale Villa Scassi’’ chiamati quotidianamente a garantire ai pazienti un’assistenza di qualità, efficace, efficiente, personalizzata, sicura e competente.

 

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