Efficacia della membrana amniotica nel trattamento delle ulcere del piede diabetico: una revisione della letteratura

Martina Raviglione1, Mariella Genta2, Lorenzo Bardone3

  1. Infermiera presso S.C. Medicina Interna, Ospedale degli Infermi, Ponderano
  2. Infermiera presso Ambulatori di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale degli Infermi, Ponderano
  3. Infermiere presso Università del Piemonte Orientale UPO, sede di Biella

* Corresponding Author: Martina Raviglione, Infermiera presso S.C. Medicina Interna, Ospedale degli Infermi, Ponderano (Italy). E-mail: martina.raviglione11@gmail.com                         

DOI: 10.32549/OPI-NSC-32

RIASSUNTO

Introduzione: Il piede diabetico è una complicanza del diabete, che può comportare  gravi limitazioni nelle attività della vita quotidiana, generare complicanze come infezioni e amputazioni.

La membrana amniotica, considerata un materiale di scarto post-parto, grazie alla ricerca e ai recenti progressi, è riconosciuta come importante risorsa per le medicazioni.

Materiali e Metodi: Revisione della letteratura condotta sulle banche dati CINAHL, PubMed ed EMBASE.

Risultati: Dagli studi selezionati si evince come la membrana amniotica abbia molteplici proprietà, come ruolo nella gestione delle lesioni cutanee, contribuendo ad aumentare il comfort del paziente oltre a diminuire il periodo di degenza ospedaliera ipotizzando una riduzione dei costi a livello sanitario.

Conclusione: La letteratura scientifica conferma che la membrana amniotica è ottimale nella risoluzione delle ulcere del piede diabetico, tuttavia ulteriori studi sono raccomandati.

 

Parole chiave: Piede diabetico, ulcera del piede diabetico, membrana amniotica, idratazione, standard di cura

 

EFFECTIVNESS OF THE AMNIOTIC MEMBRANE IN THE TREATMENT OF DIABETIC FOOT ULCERS: A LITERATURE REVIEW

ABSTRACT

Introduction: One of the complications of diabetes is the diabetic foot, whose main negative outcomes are ulcers, which can become chronic wounds leading to severe limitations in the activities of daily life, up to infection and amputation. The main objectives of nurses specialized in wound care are to promote a rapid and complete wound healing, which is why it is important to improve the awareness of new products that can help provide optimal care. The placenta, in particular the amniotic membrane, is considered a postpartum waste material but, thanks to research and recent progress, it is starting to be recognized as an important resource for dressings.

Materials and Methods: Review of the scientific literature, the databases were interrogated: CINAHL, PubMed and EMBASE.

Results: The analyzes carried out show that the amniotic membrane has multiple properties, in addition to reducing the length of hospital stay, visits, home care and increase the comfort of the patient and can result in a reduction of health costs.

Discussion: By evaluating the effects on clinical practice, it is possible to state that the amniotic membrane dressings associated with standard dressings are preferable compared to standard dressings only. Despite the large number of skin substitutes developed so far, there is no synthetic medication with these complex and multidirectional properties.

Conclusion: Research confirms that the amniotic membrane is optimal in resolving diabetic foot ulcers, however further studies are needed.

 

Keywords: “diabetic foot” “diabetic foot ulcer” “amniotic membrane” “moist dressing” “standard of care”

INTRODUZIONE

Il diabete è un importante problema di salute pubblica [1]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2030 sarà diagnosticato in 336 milioni di persone in tutto il mondo, contro i 171 milioni del 2000 [1]. A lungo termine provoca alterazioni vascolari, in particolare agli arti inferiori con lo sviluppo del cosiddetto “piede diabetico” [2], importante problema medico, sociale ed economico [1]. In molti casi, le lesioni cutanee non riescono a guarire rapidamente evolvendo in ulcere con conseguente perdita di mobilità con gravi limitazioni nelle attività della vita quotidiana fino ad arrivare a complicanze gravissime come l’amputazione [2]. L'amputazione può a sua volta aumentare la morbilità e i costi sanitari, riducendo allo stesso tempo la produttività e la qualità della vita di un individuo, oltre ad aumentare il livello di mortalità [3].

L’impatto sociosanitario di questa malattia cronica, è estremamente oneroso, in termini di spesa sociale, perdita della qualità della vita, morbilità e mortalità [4]. Negli USA i costi complessivi per curare una persona con ulcera agli arti inferiori oscillano tra $ 10,000 e quasi $ 60,000 all’anno a seconda della gravità dell'ulcera diabetica e dei risultati clinici [5]. In Italia, dal rapporto dell’anno 2017 dell’Osservatorio ARNO, il costo medio di un ricovero di una persona con patologia diabetica è di € 8.688 [6]; i costi relativi ai farmaci è pari a € 30.700 e quello relativo ai presidi corrisponde a € 92.350 all’anno per persona [7]. L'obiettivo principale del trattamento delle ulcere del piede diabetico, diabetic foot ulcer (DFU), è promuovere una guarigione rapida e completa al fine di ridurre il rischio di infezione, amputazione e altre forme di complicanze correlate [8].

Medicazioni umide, debridement, scarico delle ferite e controllo delle infezioni sono terapia standard o standard di cura, standard of care (SOC), nella gestione delle DFU, che viene usata comunemente in molti centri clinici in tutto il mondo (8).  Le linee guida della Wound Healing Society raccomandano la considerazione di terapie avanzate della ferita se l'ulcera diabetica non diminuisce di dimensioni del 40% o più dopo 4 settimane di terapia standard [9]. Una possibile soluzione riguardo alla guarigione delle ulcere in termini di qualità della vita, percentuale delle guarigioni, costi per il sistema sociosanitario, è rappresentata dai sostituti cutanei [10]. Un esempio di sostituto cutaneo è la membrana amniotica che  viene considerata un materiale di scarto post-parto, ma, grazie alla ricerca, sta iniziando ad essere riconosciuta come importante risorsa per le medicazioni [11].

La membrana amniotica promuove la proliferazione e la differenziazione di diverse tipologie cellulari, rilasciando importanti fattori di crescita e per tal motivo ne consente un vasto utilizzo(12). Al suo interno è stata rilevata la presenza del fattore di crescita dei cheratinociti (KGF) e il relativo recettore (KGFR), il fattore di crescita degli epatociti (HGF) e il relativo recettore (HGFR) del fattore di crescita epidermica (EGF), il fattore di crescita trasformante (TGF-α, TGFβ1, TGF-β2, TGF-β3) e dei fibroblasti (FGF) localizzati nell’epitelio della membrana amniotica(12). Un ruolo importante nella regolazione dello sviluppo dei tessuti è svolto dai fattori di crescita, in particolar modo il TGF-β è considerato il fattore di crescita più influente nel controllo dell’attività dei fibroblasti durante la guarigione della ferita [12]. Esso promuove l’adesione cellulare e sopprime la sintesi della proteasi degradante la matrice, aumenta sia la sintesi degli inibitori della proteasi che la sintesi e la deposizione delle proteine della matrice extracellulare [12]. Presenta anche proprietà antibatteriche, poiché sono espressi i peptidi antinfiammatori ed antimicrobici del sistema immunitario innato, come le b-defensine, gli inibitori dell’elastasi, l’inibitore delle proteasi dei leucociti, la lattoferrina e IL-1R. Inoltre, la trasparenza della membrana consente una diagnosi precoce d’infezione e risulta essere un indicatore al cambio della medicazione [13]. È importante che i professionisti sanitari siano a conoscenza delle nuove tecniche, delle tecnologie e dei prodotti che possono aiutare a fornire cure ottimali e a promuovere risultati positivi per le lesioni difficili [14].

 

Obiettivo dello studio

Valutare, attraverso una revisione della letteratura scientifica, l’efficacia del trattamento con membrana amniotica associata a medicazioni standard a confronto con le sole medicazioni standard nella guarigione delle ulcere diabetiche croniche.

MATERIALI E METODI

Per condurre la revisione è stato delineato precedentemente un quesito di ricerca utilizzando la metodologia PICO (Tabella 1).

Tabella 1. Quesito secondo la metodologia PICO

È stata condotta una revisione della letteratura consultando le seguenti banche dati: CINAHL, PubMed ed EMBASE per la ricerca sono state utilizzate le stringhe riportate nella Tabella 2, composte da termini Mesh e key-words combinati tra loro attraverso gli operatori booleani (Tabella 2 seguente).

Tabella 2. Metodologia di ricerca

Sono stati inclusi i record di studi primari inerenti al quesito di ricerca, mentre sono stati esclusi record di studi secondari, record inerenti alla popolazione pediatrica o animale. Non sono stati impostati né limiti temporali né limiti linguistici. I titoli e gli abstract, individuati nelle stringhe di ricerca, sono stati valutati in maniera indipendente da due revisori e successivamente da un terzo revisore in caso di discordanza

RISULTATI

Dalla ricerca bibliografica sono emersi 4 studi pertinenti con il nostro quesito. Non sono emerse discrepanze fra i valutatori. Nella Tabella 3 è descritta la cronologia di ricerca.

Nella fase preliminare sono stati individuati 26 record in CINAHL, 44 record in PubMed e 605 record in EMBASE, per un totale di 675 report di articoli, attraverso l’utilizzo di termini liberi come: diabetico, diabetes mellitus, diabetes complications, diabetic feet, diabetic patients, diabetic foot ulcer, diabetic feet ulcer, dfu, dfus, amnion, amniotic fluid, dham, amnion, amniotic membrane dressing, dama, dehydrated amniotic membrane allograft, cryopreservation amniotic membrane, epifix, grafix, cryoconservation amniotic membrane, wet dressing, moist wound therapy, alginate collagen dressing, standard of care, collagen, soc, e termini mesh come "diabetic foot”, "diabetes mellitus”, "diabetic patients", "diabetes mellitus type 2", "diabetes mellitus type 1", "amnion", amniotic fluid", “amniotic membrane”, "dama", "biological dressings", "foam dressings", "alginates", "alginate”, "collagen", “standard of care”.

Tabella 3: flow chart diagram del nostro studio

I termini sono stati combinati tra loro attraverso gli operatori booleani AND e OR. Attraverso una prima analisi del titolo che rispondevano all’obbiettivo generale della revisione,sono stati esclusi 70 record poiché doppi ed altrettanti 599 record poiché non pertinenti con il quesito di ricerca. Vengono identificati 4 studi che valutano l’efficacia del trattamento con membrana amniotica associata a medicazioni standard a confronto con le sole medicazioni standard nella guarigione delle ulcere diabetiche croniche.

Nella  Tabella 4 (sezione Appendice) sono state sintetizzate le caratteristiche e i risultati degli studi selezionati. Nello studio Zelen et al. [18], condotto in USA, sono state arruolate 12 persone al regime standard di cura delle ferite (gruppo SOC), trattate con lo sbrigliamento chirurgico della ferita, medicazione umida con l'uso di idrogel a base di argento, schiuma con argento, a loro volta avvolti da una garza compressiva, e 13 persone randomizzate al gruppo della membrana amniotica disidratata (gruppo EpiFix®) sono state trattate inizialmente con lo sbrigliamento chirurgico del tessuto necrotico, successivamente l’ulcera è stata ricoperta con l’alloinnesto di membrana amniotica, a sua volta coperta da una medicazione non aderente, seguita da una medicazione idrorepellente e infine a compressione. I cambi di medicazione si sono svolti settimanalmente durante la visita in ambulatorio. Nello studio Lavery et al. [15], condotto in USA, sono stati randomizzati 50 partecipanti al trattamento con membrana amniotica crioconservata Grafix® e 47 al trattamento con medicazioni standard definito come gruppo di controllo. Le ulcere in entrambi i gruppi hanno ricevuto una cura standard che comprendeva lo sbrigliamento chirurgico,una medicazione non aderente e una garza inumidita con soluzione salina. Nello studio di Snyder et al. (16), condotto in USA,sono state arruolate 10 persone nella corte SOC e 11 nella coorte DAMA (dehydrated amnion membrane allograft) membrana amniotica disidratata. Il gruppo che riceveva solo SOC (Standard of care) comprendeva lo sbrigliamento di tessuto necrotico, medicazione umida a sua volta avvolta da una fasciatura a compressione applicata come copertura e scarico dell’arto interessato, mentre un secondo gruppo riceveva DAMA (AMNIOEXCEL®), ovvero membrana amniotica disidratata, associata a SOC. Le visite di follow up si sono tenute una volta alla settimana presso la clinica interessata. Nello studio Di Domenico et al. [17], condotto in USA, 20 persone sono state randomizzate per la membrana amniotica disidratata dHACA (dehydrated human amnion chorion allograft) associata a SOCe 20 per SOC. Nel gruppo trattato solo con SOC l’ulcera veniva pulita con soluzione salina sterile e medicata quotidianamente con alginato di collagene al domicilio da infermieri ogni giorno. L'applicazione del dHACA si è verificata settimanalmente durante il periodo di studio ed è stata coperta con una medicazione non aderente, con una medicazione idrorepellente e una medicazione imbottita a 3 strati. In tutti e 4 gli studi le persone hanno scaricato l’arto interessato con appositi dispositivi di deambulazione e non sono stati riscontrati eventi avversi correlati all'innesto.

DISCUSSIONE

La presente revisione ha l’obiettivo di valutare se la membrana amniotica presenta delle proprietà nella guarigione delle ulcere da piede diabetico. Dagli studi si evince che le medicazioni effettuate con la membrana amniotica garantiscono una guarigione più rapida rispetto alle terapie conservative; studio Zelen et al. [18]. È interessante notare che oltre il 50% dei pazienti nel gruppo EpiFix® sono guariti (definito come riepitelizzazione completa dell'area aperta della ferita) entro 1 settimana dall’adesione allo studio, nello studio Lavery et al. [15] 31 persone su 50 trattate con Grafix®  hanno raggiunto la guarigione dell’ulcera rispetto a 10 persone su 47 trattate con medicazioni standard, nello studio Snyder et al. [16] il 45% delle persone trattate con AMNIOEXCEL® ha raggiunto la guarigione dell’ulcera verso lo 0% trattato con medicazioni standard, nello studio Di Domenico et al. [17] a 12 settimane l’85% trattato con membrana amniotica disidratata ha raggiunto la guarigione dell’ulcera verso il 25% trattato con medicazioni standard; tutte le medicazioni sono state effettuate in ambito ambulatoriale permettendo di diminuire il periodo di degenza ospedaliera, visite, assistenza domiciliare e aumentare il comfort del paziente, ipotizzando una riduzione dei costi a livello sanitario. Un ulteriore vantaggio è la disponibilità in una serie di dimensioni diverse, riducendo al minimo la quantità di rifiuti se utilizzate su ulcere di varie dimensioni e in varie fasi di guarigione [3-6]. Negli studi è possibile riconoscere alcuni accorgimenti per ottimizzare le proprietà intrinseche del tessuto:la medicazione deve essere eseguita a intervalli regolari per permettere il rilascio costante dei fattori terapeutici, deve essere applicata direttamente sulla lesione eliminando le bolle d’aria e i liquidi in eccesso per assicurare una buona adesione. I fattori di crescita non sono presenti in egual modo nella membrana e questo suggerisce che l’epitelio e lo stroma amniotico potrebbero avere diverse influenze sulla riepitelizzazione della lesione [3-6].

 

CONCLUSIONE

I risultati della revisione suggeriscono come l’argomento presenti ancora forti ed importanti gap in letteratura. Nonostante il gran numero di sostituti cutanei sviluppati finora, non vi è nessuna medicazione sintetica con tali attività complesse e multidirezionali come quelle rilevate per la membrana amniotica, il cui contributo alla guarigione ottimale delle lesioni è dovuto all’azione dei fattori di crescita presenti nel tessuto placentare che promuovono la proliferazione, la differenziazione cellulare e l’angiogenesi inducendo la formazione del tessuto di granulazione.

La letteratura ha rilevato che la membrana amniotica rappresenta il più abbonante scarto biomedico nella pratica ospedaliera e il suo possibile impiego andrebbe implementato considerando i promettenti vantaggi che può offrire nella pratica clinica rispetto ad alcune terapie convenzionali meno efficaci e allo stesso tempo la facilità con cui può essere raccolta.

 

CONFLITTI DI INTERESSE

Non sono state necessarie fonti di finanziamento per sostenere il progetto. Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interessi in merito a questo studio.

BIBLIOGRAFIA

  1. World Health Organization. Global Report on Diabetes. Isbn. 2016
  2. Smeltzer SC, Bare BG, Hinkle J l, Cheever KH. Brunner & Suddarth’s Textbook of Medical-Surgical Nursing. 4th ed. Monographs of the Society for Research in Child Development. Casa Editrice Ambrosiana; 2014. 1684 p.
  3. Brown ML, Tang W, Patel A, Baumhauer JF. Partial foot amputation in patients with diabetic foot ulcers. Foot ankle Int. 2012 Sep;33(9):707–16.
  4. Zelen CM, Serena TE, Denoziere G, Fetterolf DE. A prospective randomised comparative parallel study of amniotic membrane wound graft in the management of diabetic foot ulcers. Int Wound J. 2013 Oct;10(5):502–7.
  5. Zelen CM, Serena TE, Denoziere G, Fetterolf DE. A prospective randomised comparative parallel study of amniotic membrane wound graft in the management of diabetic foot ulcers. Int Wound J. 2013 Oct 1;10(5):502–7.
  6. Società Italiana di Diabetologia, Cineca. Osservatorio Arno Diabete 2017. Vol. XXX, 14 novembre. Bologna: Cube Srl - Bologna; 2017 p. 58.
  7. O. Ludovico, L. Mangiacotti, P. Chiarelli2, S. De Cosmo, D. Crupi. I costi standard del piede diabetico. 2015.
  8. Laurent I, Astère M, Wang KR, Cheng Q, Li QF. Efficacy and Time Sensitivity of Amniotic Membrane treatment in Patients with Diabetic Foot Ulcers: A Systematic Review and Meta-analysis. Diabetes Ther. 2017 Oct 11;8(5):967–79.
  9. Steed DL, Attinger C, Colaizzi T, Crossland M, Franz M, Harkless L, et al. Guidelines for the treatment of diabetic ulcers. Wound Repair Regen .;14(6):680–92.
  10. Ministero della Salute. Linee guida per il prelievo, la processazione e la distribuzione di tessuti a scopo di trapianto. 2016;65.
  11. Koob TJ, Lim JJ, Massee M, Zabek N, Denoziè G. Properties of dehydrated human amnion/chorion composite grafts: Implications for wound repair and soft tissue regeneration. J Biomed Mater Res Part B Appl Bio-mater [Internet]. 2014;00:0–0.
  12. Koizumi NJ1, Inatomi TJ, Sotozono CJ, Fullwood NJ, Quantock AJ KS. Growth factor mRNA and protein in preserved human amniotic membrane. Curr Eye Reserch . 2000;20:173–7.
  13. Tehrani FA, Ahmadiani A, Niknejad H. The effects of preservation procedures on antibacterial property of amniotic membrane. Cryobiology . 2013 Dec;67(3):293–8.
  14. Caula C, Apostoli A. Cura e assistenza al paziente con ferite acute e ulcere croniche - Manuale per infermieri. 2010th ed. Rimini: Maggioli Editore; 2011. 430 p.
  15. Lavery LA, Fulmer J, Shebetka KA, Regulski M, Vayser D, Fried D, et al. The efficacy and safety of Grafix ® for the treatment of chronic diabetic foot ulcers: results of a multi-centre, controlled, randomised, blinded, clinical trial. Int Wound J . 2014 Oct 1;11(5):554–60.
  16. Snyder R, Shimozaki K, Tallis A, Kerzner M, Reyzelman A, Lintzeris D, et al. A Prospective, Randomized, Multicenter, Controlled Evaluation of the Use of Dehydrated Amniotic Membrane Allograft Compared to Standard of Care for the Closure of Chronic Diabetic Foot Ulcers | WOUNDS. Wounds . 2016;28(3):70–7.
  17. DiDomenico LA, Orgill DP, Galiano RD, Serena TE, Carter MJ, Kaufman JP, et al. Aseptically Processed Placental Membrane Improves Healing of Diabetic Foot Ulcerations: Prospective, Randomized Clinical Trial. Plast Reconstr surgery Glob open . 2016 Oct;4(10):e1095.
  18. Zelen CM, Gould L, Serena TE, Carter MJ, Keller J, Li WW. A prospective, randomised, controlled, multi-centre comparative effectiveness study of healing using dehydrated human amnion/chorion membrane allograft, bioengineered skin substitute or standard of care for treatment of chronic lower extremity diabetic ul. Int Wound J.

Appendice

Tabella 4. Tabella sinottica degli studi inclusi nella revisione

 

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Uno studio di coorte su neonati affetti da Plagiocefalia non sinostosica

Teresa Ferola1*, Franca Sarracino1, Angela Capuano2, Annalisa Passariello3, Marcello Napolitano1

  1. Department of Pediatrics, Betania Evangelical Hospital (Italy)
  2. Department of Emergency, AORN Santobono-Pausilipon, (Italy)
  3. Department of Pediatrics Cardiology Campania University Monaldi Hospital Naples (Italy)

* Corresponding author: Teresa Ferola., Department of Pediatrics, Betania Evangelic Hostipal (Italy). E-mail: ferolat14@gmail.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-31

Cita questo articolo

                                 

ABSTRACT

Introduzione: la plagiocefalia è una deformazione del cranio a varia eziologia. Essa può essere sinostosica o non ed è una conseguenza della fusione precoce di una o più suture craniche. Questa patologia può determinare se non affrontata tempestivamente, un cattivo sviluppo non solo del cranio, ma anche del cervello, a seconda della gravità della stenosi.

Materiali e Metodi: Questo studio è stato eseguito su di un campione di 347 neonati selezionati consecutivamente tra Dicembre 2016 e Settembre 2019 affetti da plagiocefalia non sinostosica e con età post natale compresa nel range 10-910 giorni.

Risultati: E’ stato osservato un significativo trend negativo per gli indici ODDI (indice di differenza fra i diametri obliqui) e CPI (indice di proporzionalità craniale) tra il primo e l’ultimo trattamento terapeutico (p<0.0001 per entrambi). Per quanto riguarda la percentuale di neonati con solo deficit funzionale, solo deficit osteopatico o con entrambi, è stato osservato un significativo trend negativo (p<0.0001, in tutti i casi), mentre è stato osservato un significativo trend positivo tra il primo e l’ultimo trattamento in merito alla percentuale di neonati senza deficit ovvero che sono guariti (p<0.0001)

Discussione: Il neonato affetto da plagiocefalia non sinostosica può guarire grazie ad interventi tempestivi e non invasivi. Questo studio infatti conferma che un adeguato protocollo riabilitativo ed una precoce presa in carico del neonato, forniscono una risoluzione significativa già dal secondo trattamento.

 

Parole chiave: Plagiocefalia non sinostosica; neonati; osteopatia; strain; torsione; side banding rotation.

 

 

A cohort study of newborns with non-synostosicplagiocephaly

 

ABSTRACT

Introduction: Plagiocephaly is a deformation of the skull with various etiologies. It may be synostosic or not, and is a consequence of the early fusion of one or more cranial sutures. This pathology can determine, if not promptly addressed, a bad development not only of the skull but also of the brain, depending on the severity of the stenosis.

Materials and Methods: This study was performed on sample of 347 consecutive infants affected by non-synostosis plagiocephaly with post-natal age into range 10-910 days, were recruited between December 2016 and September 2019.

Results: A significant negative trend for ODDI (oblique diameter difference index) and CPI (cranial proportional index)index among all therapies was observed (p<0.0001, for both), i.e. there was a significant reduction of ODDI and CPI score, between first and last therapy point. About infants with functional deficit only, osteopathic deficit only and both functional and osteopathic deficit, it resulted a significant negative trend (p<0.0001, for all), while for infants without deficit, there was a significant positive trend between first at last therapy point (p<0.0001).

Discussion: This study shows that an adequate rehabilitation protocol and an early intake of the newborn generate an improvement in osteopathic indices (ODDI and CPI) and a significant reduction in the presence of infants with deficit already from the second treatment.

 

Keywords: Non-synostosis plagiocephaly, infants, osteopathic, cranial asymmetry, strain, torsion, side bending rotation

 

 

 

INTRODUZIONE

La craniostenosi o craniosinostosi è una malformazione della struttura cranica del neonato, rappresentata da agenesia o dalla fusione precoce di una o più suture craniche [1]. Questa malformazione determina un cattivo sviluppo, non solo del cranio con conseguenti asimmetrie facciali, ma anche del cervello, a seconda della gravità della stenosi. La craniostenosi può essere classificata in due tipi: primaria e secondaria [1]. La craniostenosi primaria rappresenta un’agenesia o una fusione prematura delle suture craniali ed è presente in 1 neonato su 2000 [1], mentre la craniostenosi secondaria è dovuta ad un arresto di crescita o mancata crescita dell’encefalo.

La craniostenosi ha come conseguenza la plagiocefalia [1], che a sua volta può essere di due diverse forme: la plagiocefalia sinostosica (causata da una rapida chiusura delle suture e di esclusivo interesse chirurgico) e la plagiocefalia non sinostosica (diverse eziologie) [1].

Per la plagiocefalia esiste sia una classificazione legata alla zona cranica interessata (frontale o anteriore, occipitale o posteriore) sia una classificazione proposta da Argenta L. (2004) [2], in base alla gravità della deformazione. Quest’ultima identifica 5 tipi di plagiocefalia non sinostosica in base alla gravità dell’asimmetria del cranio, alla posizione delle orecchie e all’aspetto del volto che mostra asimmetria ed è classificata in ordine crescente da uno a cinque [2,3]

La plagiocefalia non sinostosica è classificata in primaria o secondaria[1]. La plagiocefalia primaria può essere dovuta o a posizioni intrauterine anomale oppure a parti distocici nei quali si esercitano forze anomale durante il travaglio e il parto, che creano strain su: tessuti ossei, membranosi e fluidici, il sistema craniale si organizza attorno allo strain e il capo crescerà in maniera non simmetrica. La plagiocefalia secondaria viene definita tale quando è secondaria a strain del tessuto cervicale o a scoliosi. In questo caso il neonato non riuscendo a ruotare bene il capo (in seguito allo strain) soggiacerà sempre sullo stesso lato, creando così una plagiocefalia.

La plagiocefalia non sinostosica dunque è una deformità del cranio a varia eziologia e può essere causata da mal posizionamento intrauterino (plagiocefalia primaria), da una cattiva posizione ricorrente nei primi mesi di vita o anche secondaria a torcicollo miogeno.[1].

L’interesse clinico per le asimmetrie craniche è aumentato negli ultimi decenni. Attualmente uno su 60 bambini nati vivi mostra un certo grado di plagiocefalia [11]. La plagiocefalia può portare se non trattata, oltre ad un impatto estetico non gradevole, anche a disfunzioni muscolo scheletriche, ritardo psicomotorio, disfunzioni del sistema nervoso, disfunzioni oro-faciali, disfunzioni oftalmiche, disfunzioni apparato otorino-laringoiatra e a disfunzioni gastriche e aggravando nel futuro il Servizio Sanitario Nazionale dei costi di cura delle suddette patologie.

In aggiunta è stato dimostrato che la plagiocefalia non trattata nella maggior parte dei casi non regredisce spontaneamente [12,14]. Alcune plagiocefalie sono facilmente identificabili con visione assiale dove oltre ad uno schiacciamento postero-laterale con relativo bossing anteriore omolaterali, si mette in evidenza uno slittamento delle orecchie sul piano sagittale, creando una figura che in letteratura viene descritta come parallelogrammo; mentre altre plagiocefalie di lieve entità possono passare inosservate e peggiorare nel tempo. Un attento esame palpatorio osteopatico potrebbe individuare disfunzioni osteopatiche e funzionali, che trattate adeguatamente, non sfocerebbero in plagiocefalie deformanti [13].

Lo scopo di questo studio della durata di 33 mesi è stato quello di valutare l’impatto delle tecniche osteopatiche, in 347 neonati affetti da plagiocefalia non sinostosica. Essa è stata valutata attraverso la presenza di deficit sia funzionali sia osteopatici, nonché attraverso la valutazione di indici di asimmetria craniale.

MATERIALI E METODI

Questo studio è stato eseguito su di un campione di 347 neonati affetti da plagiocefalia non sinostosica presi in carico tra Dicembre 2016 e Settembre 2019 e composto dal 59.65% (207/347) di maschi e dal 40.35% di femmine (140/347), con età post natale inclusa nel range 10-910 giorni, con media di 114.73 giorni e deviazione standard di 78.08 giorni.

All’interno della struttura di campionamento il protocollo per il trattamento di neonati affetti da plagiocefalia prevede la presa in carico precoce dell’infante, la somministrazione di terapia manuale secondo tecniche di osteopatia cranio-sacrale e l’addestramento dei genitori su nozioni di igiene posturale ed esercizi fisici utili al piccolo paziente.

Il consenso informato è stato ottenuto da tutti i genitori dei neonati inclusi in questo studio. Per tutti i partecipanti è stato garantito l’anonimato. La partecipazione è stata volontaria e nessun incentivo economico è stato offerto. Questo studio è stato eseguito in accordo con le considerazioni etiche della Dichiarazione di Helsinki.

Criteri di inclusione ed esclusione

Per questo studio i criteri di inclusione sono stati: 1) neonati con plagiocefalie non sinostosiche, 2) consenso informato ottenuto dai genitori.

Mentre i criteri di esclusione sono stati: 1) neonati con plagiocefalie sinostosiche, 2) neonati con condizioni di salute instabile.

 

Procedura e strumenti

All’atto della prima visita sono stai calcolati nel neonato due indici per valutare il grado di plagiocefalia:

  • l’indice ODDI (oblique diameter difference index) ovvero il rapporto tra i due diametri obliqui del cranio e precisamente il rapporto fra il diametro laterale obliquo di destra (ODR) con il diametro obliquo laterale di sinistra(ODL) moltiplicato per 100 [4]. Questo indice prevede un valore percentuale di normalità compreso nell’intervallo 100%-104% [5]. In particolare le linee ODL e ODR sono tracciate da un punto localizzato a 40° da entrambi i lati della linea A/P tracciata tra Nasion e Inion;
  • l’indice CPI (cranial proportional index) ovvero il rapporto tra lunghezza (nasion-inion) e massima larghezza del cranio[4]. Questo indice prevede un valore percentuale di normalità compreso nell’intervallo 70%-90%.[6].

In aggiunta venivano valutati due tipi di deficit, quello funzionale e quello osteopatico.

  • la presenza di un deficit funzionale è stata valutata nel seguente modo:

l’infante veniva sdraiato supino sul lettino e gli si proponeva un’immagine inerente l’età gestazionale da agganciare con lo sguardo. Spostando l’immagine, si induceva nel paziente la rotazione del capo, al fine di valutarne l’eventuale restrizione di mobilità nel movimento della rotazione. Questa procedura veniva effettuata, laddove l’età gestazionale lo consentiva, anche in posizione prona, dopodiché veniva verificato, con la manovra di trazione, la presenza di un’inclinazione patologica del capo.

  • la presenza di un deficit osteopatico è stata valutata nel seguente modo:

nell’infante veniva verificata sia la presenza di disfunzioni craniali (torsioni della sinfisi sfeno basilare (SSB), strain della SSB, side bending rotation SSB, e compressioni della SSB)[7], sia la presenza di disfunzioni vertebrali (shift, side, extension e flexion) [8], nonché eventuali restrizioni di mobilità fasciale [9]

I bambini venivano trattati inizialmente con seduta settimanale, all’interno della quale, oltre a manipolazioni osteopatiche, eseguite in accordo con quanto descritto nella letteratura osteopatica [7,8,9] da personale sanitario con formazione quinquennale in osteopatia, venivano date istruzioni alla coppia genitoriale su norme di igiene posturale e su esercizi da eseguire in maniera sistematica al domicilio. Le sedute diventavano quindicinali dal momento in cui si normalizzava il deficit funzionale.

 

Analisi statistica

I dati sono stati espressi come media ± deviazione standard o mediana con intervallo interquartile (IQR) nel caso di variabili numeriche, mentre nel caso di variabili qualitative sono stati espressi come numeri assoluti o percentuali. L’analisi multivariata è stata usata per definire significative differenze tra le percentuali di neonati guariti tra i dieci trattamenti terapeutici eseguiti, utilizzando il test Q di Cochran.Quando il test Q di Cochran è risultato positivo (p-value<0.05), il post hoc test basato sul metodo Minimum Required Differences con la correzione di Bonferroni del p-value è stato eseguito per individuare significative differenze tra due proporzioni o percentuali, in accordo con Sheskin [10].In aggiunta il test chi-quadrato per l’analisi del trend è stato eseguito, per individuare possibili significativi trend tra il primo e l’ultimo trattamento per le variabili considerate in questo studio. Tutti i test statistici con un p-value<0.05 sono stati considerati come significativi. I dati sono stati analizzati con il software Matlab Statistical Toolbox version 2008 (MathWorks, Natick, MA, USA).

RISULTATI

Nella Tabella 1 sono state riportate in sintesi le caratteristiche generali dei 347 neonati arruolati in questo studio e valutati alla presa in carico, considerando parametri come l’età post natale, il genere, il numero di terapie, tipo di parto e indici di valutazione della normalità dei rapporti craniali nei neonati come gli indici ODDI e CPI. Infine sono state riportate le percentuali dei neonati affetti da solo deficit funzionale, solo deficit osteopatico, da deficit sia funzionale che osteopatico e quella dei neonati senza deficit.

Tabella 1. Caratteristiche generali di 347 neonati, valutate alla prima presa in carico

In Tabella 2 e Figura 1, sono riportate le percentuali di neonati con valori fuori norma degli indici ODDI e CPI, per ogni trattamento terapeutico.

Tabella 2. Percentuale di neonati con valori fuori norma degli indici ODDI e CPI, ad ogni trattamento terapeutico. In questo caso le percentuali in ogni trattamento terapeutico sono calcolate considerando la totalità dei neonati presi in carico al primo trattamento terapeutico (347).

Le percentuali in ogni trattamento terapeutico presenti in Tabella 2, sono state calcolate considerando la totalità dei neonati presi in carico al primo trattamento terapeutico (347).

In Figura 1 sono stati rappresentati i risultati in forma grafica delle percentuali descritte in Tabella 2.

Figura 1.  Percentuale di neonati con valori fuori norma degli indici ODDI e CPI, ad ogni trattamento terapeutico.

Dalla Figura 1 è possibile osservare che le percentuali di neonati con valori degli indici ODDI e CPI fuori norma, decrescono ad ogni trattamento terapeutico, come descritto in dettaglio in Tabella 2.

In Tabella 3, invece è stato descritto per ogni trattamento terapeutico la percentuale dei neonati con solo deficit funzionale, con solo deficit osteopatico, con deficit sia osteopatico che funzionale ed infine quella dei neonati guariti dal deficit, valutati post terapia. Le percentuali della Tabella 3 sono state definite in ogni trattamento terapeutico e considerando la totalità dei neonati presi in carico al primo trattamento terapeutico (347).


Tabella 3. Percentuale di neonati guariti, con solo deficit funzionale, con solo deficit osteopatico e con deficit sia funzionale che osteopatico.

In Figura 2 sono mostrati in forma grafica i risultati descritti in Tabella 3.

Figure 2. Percentuale dei neonati guariti, con solo deficit funzionale, con solo deficit osteopatico e con deficit sia funzionale che osteopatico.

Dalla Figura 2, è possibile osservare come le variabili rappresentate dal solo deficit funzionale, dal solo deficit osteopatico e dal deficit sia funzionale che osteopatico, decrescano costantemente dalla prima all’ultima terapia, mostrando un trend negativo. In particolare si è osservato, nel caso di neonati con solo deficit funzionale, un incremento al secondo trattamento terapeutico da 6.63% a 11.82%. Questo dato suggerisce che dopo i primi due trattamenti, a partire dal terzo trattamento, c’è stata un’inversione con una costante riduzione della percentuale dei neonati che hanno solo il deficit funzionale. Invece in blu sono indicate le percentuali di neonati che guariscono ad ogni terapia, in particolare è stato possibile osservare un trend positivo di neonati che guariscono dal primo al sesto trattamento terapeutico, mentre dopo il sesto trattamento, la percentuale di neonati che guariscono ad ogni trattamento è stata quasi costante.

Infine in Tabella 4 sono stati riportati i test statistici sul trend delle percentuali di neonati con i parametri craniali fuori norma e sulle percentuali di neonati con i diversi tipi di deficit.

Tabella 4.  Test statistici sul trend eseguiti nel nostro studio

Dalla Tabella 4, per quanto concerne gli indici ODDI e CPI, l’analisi del trend, ha mostrato un significativo trend lineare negativo per entrambi (p<0.0001 per entrambi), cioè si è potuto osservare una significativa riduzione delle percentuali di neonati con valori di ODDI e CPI fuori norma tra la prima e l’ultima terapia.

In merito ai neonati con solo deficit funzionale, solo deficit osteopatico e con deficit sia funzionale che osteopatico, c’era un significativo trend lineare negativo in tutti e tre i casi, (p<0.0001),

Infine in Tabella 5, sono stati riportati i test statistici sul trend in merito alla percentuale di neonati guariti tra la prima e l’ultima terapia e l’analisi multivariata per individuare i trattamenti terapeutici con maggiore e minore presenza di neonati guariti.

Tabella 5. L’Analisi multivariata è stata eseguita sulle percentuali di neonati guariti trattamento dopo trattamento. L’analisi del trend è stata eseguita sui neonati guariti tra la prima e l’ultima terapia.

Dalla Tabella 5 per i neonati guariti, c’è stato un significativo e positivo trend lineare tra il primo trattamento e l’ultimo (p<0.0001).

In aggiunta dall’analisi multivariata, si è notato che escludendo il primo trattamento dove si osservava una significativa bassa presenza di neonati senza deficit (6.92%), in tutti gli altri trattamenti, c’era una significativa maggiore presenza di neonati senza deficit o guariti.

DISCUSSIONE

Scopo dello studio è stato mettere in evidenza l’efficacia del trattamento manuale osteopatico per il recupero delle plagiocefalie non sinistosiche

Lo studio evidenzia, come già dimostrato da altri autori [12-17] che il trattamento osteopatico, iniziato precocemente, ha effetti più veloci e risolutivi. La conferma di ciò è rappresentata dalla crescita craniale, che nei primi 6 mesi cresce di circa 8.3 cm, mentre tra i 6 e i 18 mesi è in media di 0.5/0.6 cm ogni mese. Dunque la risoluzione della plagiocefalia, laddove siano risolti i deficit, è concomitante e direttamente proporzionale all’ accrescimento craniale.

Il nostro studio mette in evidenza che il 6.63% dei dismorfismi è accompagnato solo da deficit della funzione, inteso come movimento alterato della cerniera cranio cervicale, (flexion, extension, side, shift vertebral) il 10.66% è accompagnato solo da deficit osteopatico craniale, inteso come alterazioni del movimento della sincondrosisfeno basilare (strain, compressioni, torsioni e side bedding rotation) e il 75.59% di dismorfismi è accompagnato sia da deficit funzionali che osteopatici, in accordo con la letteratura precedentemente citata.

I risultati ottenuti, analizzando l’andamento dell’asimmetria craniale e dei deficit associati dei 347 neonati presi in carico, trattati con tecnica osteopatica integrata, hanno dimostrato che dopo 10 trattamenti presentavano ancora un indice craniale alterato ODDI solo nel 2.59% dei neonati, mentre l’indice CPI alterato era presente solamente nel 2.02% dei neonati. Inoltre già al quinto trattamento, meno dell’1% dei neonati presentava un deficit funzionale, meno del 2% un deficit osteopatico  e il 3.17% un deficit sia funzionale che osteopatico, con una percentuale di neonati senza deficit o guariti del 94.52% dei 347 neonati di partenza. In particolare al decimo trattamento nessun bambino presentava solo deficit funzionale o solo deficit osteopatico, mentre un solo neonato mostrava ancora presenza di deficit sia funzionale che osteopatico (Tabella 3). In aggiunta dalle Tabelle 3 e 5 è possibile osservare che già dal secondo trattamento si verifica una significativa presenza di neonati senza deficit.

Sulla base degli indici ODDI e CPI e della misura craniale, risulta che la forma del cranio è più lenta da recuperare, perché in relazione all’accrescimento, man mano che il cranio cresce in assenza di alterazioni funzionali e osteopatiche, esso andrà verso la normalizzazione.

In conclusione possiamo osservare dai dati prodotti che una presa in carico repentina di tale dismorfismo, offre notevoli possibilità di recupero totale della forma armonica del cranio, evitando l’utilizzo di ortesi nei tempi successivi, generalmente utilizzati a partire dal quarto mese di vita biologica in poi.

Dichiarazione di finanziamento
Questa ricerca non ha ricevuto alcun tipo di finanziamento.

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse in merito a questo studio.

REFERENZE

  1. Carrido, Jane E.. Un approccio osteopatico per i bambini, Edizioni Futura, 2013. ISBN: 978-88-87436-31-0
  2. Argenta, L., (2004). Clinical classification of positional plagiocephaly. Journal of Craniofacial Surgery, 15(3), 368-372.
  3. Cummings, C., Canadian Paediatric Society, & Community Paediatrics Committee. (2011). Positional plagiocephaly. Paediatrics & child health, 16(8), 493-494.
  4. Van Adrichem, L. N., van Vlimmeren, L. A., Cadanová, D., Helders, P. J., Engelbert, R. H., Van Neck, H. J. W., &Koning, A. H. (2008). Validation of a simple method for measuring cranial deformities (plagiocephalometry). Journal of CraniofacialSurgery, 19(1), 15-21.
  5. Van Vlimmeren, L. A., Takken, T., Van Adrichem, L. N., Van Der Graaf, Y., Helders, P. J., & Engelbert, R. H. (2006). Plagiocephalometry: a non-invasive method to quantify asymmetry of the skull; a reliability study. European journal of pediatrics, 165(3), 149-157.
  6. Van Vlimmeren, L. A., van der Graaf, Y., Boere-Boonekamp, M. M., L'Hoir, M. P., Helders, P. J., & Engelbert, R. H. (2007). Risk factors for deformational plagiocephaly at birth and at 7 weeks of age: a prospective cohort study. Pediatrics, 119(2), e408-e418.
  7. Harold L. Magoun. Osteopatia in ambito craniale. Edizioni Futura, 2008. ISBN: 978-88-87436-18-1
  8. Fryette, H.H., Principles of osteopathic techinque. Indianapolis, IN: American AccademyOstheopathy;1954.
  9. Marcel Bienfait, “La fascia ed il pompage: trattamento della fascia” , Marrapese
    Roma, 1995.
  10. Sheskin D.J., (2004) Handbook of parametric and nonparametric statistical procedures. 3rd ed. Boca Raton: Chapman& Hall /CRC
  11. Gerszten, P. C., &Gerszten, E. (1995). Intentional cranial deformation: a disappearing form of self-mutilation. Neurosurgery, 37(3), 374-382.
  12. Boere-Boonekamp M, Linden-Kniper LV. Positional prevalence in infants and follow-up after two years. Pediatrics 2001;107:339e43.
  13. Ripley, C. E., Pomatto, J., Beals, S. P., Joganic, E. F., Manwaring, K. H., & Moss, S. D. (1994). Treatment of positional plagiocephaly with dynamic orthotic cranioplasty. The Journal of craniofacial surgery, 5(3), 150-9.
  14. Sergueef, N., Nelson, K. E., &Glonek, T. (2006). Palpatory diagnosis of plagiocephaly. Complementary therapies in clinical practice, 12(2), 101-110.
  15. Biggs, W. S. (2003). Diagnosis and management of positional head deformity. American Family Physician, 67(9), 1953-1956.
  16. Kelly, K. M., Littlefield, T. R., Pomatto, J. K., Ripley, C. E., Beals, S. P., & Joganic, E.F.(1999) Importance of early recognition and treatment of deformational plagiocephaly with orthotic cranioplasty. The Cleft palate-craniofacial journal, 36(2), 127-130.
  17. Littlefield, T. R., Beals, S. P., Manwaring, K. H., Pomatto, J. K., Joganic, E. F., Golden, K. A., & Ripley, C. E. (1998). Treatment of craniofacial asymmetry with dynamic orthotic cranioplasty. The Journal of craniofacial surgery, 9(1), 11-7.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


The practice of Primary Nursing. Theoretical framework and experience from the U.S.

Marie Manthey

Adjunct Faculty university of Minnesota School of Nursing., President Emeritus of Creative Health Care Management. E-mail: mmanthey@chcm.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-30

Cita questo articolo

ABSTRACT

Primary Nursing is a delivery system designed  for use by a nursing staff in an acute care hospital.   The actual practice of Primary Nursing reflects the legacy value of one patient, one nurse.  It rests on three foundations: 1) the nurse patient relationship 2) professional accountability and 3/the healing quality of compassion. A key to success of the system is the establishment of a responsibility relationship by the nurse with the patient/family.   This unique relationship is the essence professional practice as it facilitates the healing quality of compassion recognized by Hildegard of Bingen, Sister Madeline Clemence Vaillot and others.  It also provides a framework for maximum professional accountability.

A common source of confusion is staffing issues re. Primary Nursing.  Neither more staff nor a different skill are needed because of Primary Nursing.   If staff is adequate before Primary Nursing, it will be adequate for Primary Nursing.

 

Keywords: Primary Nursing; professional practice; nurse patient relationship; legacy values;  compassion; healing; Hildegard of Bingen; Jean Watson; Nightingale; accountability; responsibility relationship

 

INTRODUCTION

The theoretical framework for Primary nursing is as modern as the future and as old as the past.    History tells us that there have always been…. ’Those to whom it is given to care for the sick’.

The development of modern nursing is linked to societal needs and values and it began, in the 19th century, spearheaded during the Crimean War by Florence Nightingale. Since then, there have been many changes in health and illness, as well as in the systems and institutions supporting and controlling care. Whether ancient or modern nursing, there is one undying immutable legacy truth: The essence of nursing is the relationship between the patient and the nurse.

Primary nursing is a care delivery system created as a way of organizing nursing staff based on a professional nurse patient relationship. The delivery system originated on a medical unit at the University of Minnesota and was first described in print in 1980. The book is titled the Practice of Primary Nursing [1].

DISCUSSION

Primary Nursing rests on three foundations; 1) the nurse patient relationship, 2) professional accountability and 3) the healing quality of compassion.

The nurse patient relationship is the essence of nursing. As with any relationship, it has a beginning, middle and end. It can theoretically be established by either the nurse or the patient...but, in hospital nursing it should usually be established by the nurse. It is a unique relationship in that, as Sister Madeline pointed out in an article published in 1966 [2], ......the essence of professional nursing is the therapeutic use of the nurse in a relationship with a patient. This only occurs when the relationship has been intentionally established by the nurse and is clear to the patient, their family, the physician, other health disciplines, as well as other nursing staff members involved in the care of the patient when the Primary Nurse is not present.

The second foundation is professional accountability. This is the bedrock of a profession and follows both responsibility and authority. The nurse accepts responsibility by establishing a responsibility relationship with the patient that is known within the unit. Based on the experience of establishing an intentionally responsible relationship (through which a nurse becomes a professional) the primary nurse comes to experience the legitimate decision-making role inherent in the relationship.

It is helpful (but not essential) to have an external theoretical framework as a guideline for the exercise of authority. After some years without using a theoretical framework, we ended up integrating Watson’s theory of caring [3] into the framework of Primary Nursing. The professional nurse exercises legitimate authority by deciding (with the involvement of the patient/family in the decision-making process) the amount, degree and kind of nursing care the patient will receive within the overall framework of the medical plan established by the responsible physician.

The third foundation is the ageless wisdom centered on the value of caring and compassion.   Hildegard of Bingen speaks of the healing quality of compassion as manifested by light.  Nightingale is known as The Lady with the Lamp” so called by the soldiers she helped heal in a hospital in Crimea ... and Jean Watson has articulated a very sophisticated theory of Caring that recognizes the value of high quality technical competence used in administering ‘caring’ that empowers patients and helps transform an episode of illness into an experience of growth. The nurse’s role is pivotal in this process and Primary Nursing is the only delivery system and role that carries this ancient knowledge forward into the field of modern hospital nursing.

Primary nursing in the US has taken many twists and turns. On the negative side, it has often become confused with staffing issues, as well as skill mix issues. In truth, primary nursing can work in any setting with any staffing level and with any skill mix that is appropriate for that population of patients. It is about a relationship...not about the workload. On the positive side, primary nursing has brought professional practice into hospital nursing, and now at least, nurses know whether or not they are in a professional role.

It requires nurses who are willing to accept responsibility, a manager who is an effective leaders and able to develop rather than control their staff, and a Q7unit culture that supports healthy interpersonal relationships within the entire staff.  

Funding statement

This research did not receive any specific grant from funding agencies in the public, commercial, or not for profit sectors.

 

Competing interests statement

There are no competing interests for this study.

 

REFERENCES

  1. Manthey, M., (1980) The Practice of Primary Nursing. Blackwell Scientific Inc.
  2. Clemence, M., (1966) Existentialism: A philosophy of commitment. American Journal of Nursing, 66(3), 500-508
  3. Watson, J., (2002) Assessing and measuring caring in nursing and health sciences. New York: Springer Publishing.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


L'educazione terapeutica nel paziente diabetico in tema di prevenzione e controllo della malattia: primi risultati

Mariangela D’Amora1, Francesco Serra2, Bartolomeo D’Amora3, Martina Abilitato4 e Adele Maria Marzocco 5

  1. Infermiera dipartimento medico, reparto SC Geriatria, Ospedale S. Bartolomeo, ASL 5 Spezzino
  2. Medico in formazione specialistica: Igiene e medicina preventiva, Università L.Vanvitelli
  3. Medico in formazione specialistica: Ortopedia e traumatologia, Università La Sapienza
  4. Infermiera libera professionista
  5. Infermiera dipartimento di medicina territoriale,responsabile ambulatorio infermieristico assistenza sanitaria di base e PICC team, ASL NA 1 Centro Distretto Sanitario 27

* Corresponding Author: Mariangela D’Amora, dipartimento medico, reparto SC Geriatria, Ospedale S. Bartolomeo Sarzana (Italia).

E-mail: mariangela.damora@gmail.com

DOI: https://doi.org/10.32549/OPI-NSC-29

Cita questo articolo

                                 

ABSTRACT

Introduzione: Il diabete è una malattia cronica multiorgano con severe complicanze acute e croniche. Un buon equilibrio metabolico nel paziente diabetico è fondamentale per la prevenzione delle complicanze e può essere ottenuto semplicemente apportando modifiche al suo stile di vita.

Per raggiungere tale obiettivo è di fondamentale importanza il ruolo dell’infermiere esperto in diabetologia per l’educazione terapeutica del paziente diabetico.

Materiali e Metodi: L’indagine conoscitiva è stata condotta da Aprile a Settembre 2018. Sono stati somministrati n. 260 questionari ai pazienti afferenti a due ambulatori specialistici di diabetologia della provincia di Napoli dove da sempre è prevista la figura infermieristica accanto al diabetologo.

Risultati: L’analisi ha mostrato 3 punti fondamentali: 1) elevata consapevolezza dei rischi della patologia, 2) elevata aderenza alla dieta, ma una scarsa adesione all’attività fisica, 3) scarso controllo della malattia associata a misurazioni glicemiche capillari non periodiche.

Discussione: I risultati della nostra indagine confermano la necessità di implementare l’educazione terapeutica al fine di migliorare il controllo glicemico dei pazienti e nel contempo prevenire le complicanze acute e croniche della patologia. Occorre oggi rimodulare l’organizzazione dei servizi di diabetologia e dei team diabetologici per fornire ai pazienti una cura più efficace.

Keywords: Diabete mellito tipo 2; prevenzione diabete; iperglicemia; Autocura.

THERAPEUTIC EDUCATION FOR DIABETIC PATIENT IN DISEASE PREVENTION AND CONTROL: FIRST RESULTS

ABSTRACT

Introduction: Diabetes is a multi-organ chronic disease with chronic and acute complications. A good metabolic balance in diabetic patient is crucial to prevent complications and can be obtained with adequate lifestyle changes. A key role in reaching this objective is the therapeutic education of diabetic patients made by nurse expert in diabetology.

Materials and Methods: The survey had been conducted between April and September 2018. 260 questionnaires were spread among the patients addressed to two specialized out-patient clinic in the province of Naples, where nurses were always present with diabetologists.

Results: The analysis showed three main results: 1) a high level of awareness of disease dangers, 2) a high compliance to the diet but not to the physical exercise, 3) a poor disease control in terms of regular blood sugar level measurement.

Discussion: The results show the need to enhance therapeutic education to improve patients’ blood sugar levels monitoring while also preventing chronic and acute complications of the disease. We need to reconsider the organization of diabetes Unit and diabetes team in order to provide more effective treatment.

Keywords: Type 2 Diabetes mellitus; prevention diabetes; Hyperglycemia; Self care.

INTRODUZIONE

La malattia diabetica è quasi raddoppiata negli ultimi 16 anni con una prevalenza globale che dal 4.6% del 2001 è incrementata sino al 9.1% nel 2017[1]. Si stima che entro il 2045 la prevalenza del diabete sia destinata a salire fino all’11.7% della popolazione globale e questo comporterà un rischio più elevato di complicanze cardiovascolari [2] e in generale un’aspettativa di vita ridotta, qualunque sia l’età di esordio della malattia.

La cura del diabete mellito coinvolge diverse figure professionali aventi tutte l’obiettivo di mantenere lo stato di salute fisica, psicologica e sociale del paziente [3] rallentando o evitando le complicanze ad esso associate, grazie anche all’educazione terapeutica [4]. Quest’ultima non sostituisce la visita medica, ma si deve integrare con essa ed è utile anche se fatta in gruppo [5,6]. Per programmare gli interventi educativi bisogna valutare le conoscenze dei pazienti in merito ai rischi della patologia e indagare sui loro comportamenti al fine di migliorane la compliance [7].

Gli interventi educativi infermieristici e multiprofessionali sono da sempre oggetto di studio della letteratura internazionale [8], e hanno fornito sempre ottimi risultati [9]. Abbiamo pertanto elaborato un questionario ad hoc e analizzato in un modello multivariato le variabili utilizzate, grazie ad uno studio pilota, per valutare in che modo le conoscenze e i comportamenti dei pazienti diabetici possano incidere sull’evoluzione della malattia, sulla prevenzione delle complicanze e quanto l’infermiere possa contribuire nel promuove stili di vita sani attraverso l’educazione e l’informazione [10].

Obiettivo dello studio  

Gli scopi dello studio sono:

  1. Valutare le conoscenze dei pazienti diabetici in merito alle complicanze del diabete;
  2. Indagare sui comportamenti dei pazienti diabetici;
  3. Identificare il profilo del paziente diabetico consapevole dei rischi associati alla patologia e che attua le necessarie misure preventive, al fine di orientare l’assistenza al potenziamento degli aspetti meno trattati;
  4. Verificare che l’educazione terapeutica effettuata dagli operatori sanitari sia uno strumento di prevenzione efficace per ridurre le complicanze.

MATERIALI E METODI

Popolazione di studio

Il campione di riferimento è rappresentato dall’insieme dei pazienti selezionati in modo casuale, tra quelli che si sono recati per le visite diabetologiche presso gli ambulatori di diabetologia del Distretto Sanitario 27 dell’ASL Napoli 1 Centro e del C.M.O. srl di Torre Annunziata, tra Aprile e Settembre 2018. Al campione dei pazienti è stato somministrato il nostro questionario.

Il protocollo di studio è stato sviluppato in accordo con le linee guida della dichiarazione di Helsinki per studi clinici. È stata concessa l’autorizzazione per la somministrazione dei questionari sia dall’ASL Napoli 1 Centro che dal C.M.O. srl.

Tutti i pazienti che sono inclusi in questo studio avevano letto e capito il consenso informato e la restituzione del questionario era implicita accettazione della partecipazione allo studio.

Criteri di inclusione

  • Essere affetti da patologia diabetica;
  • Avere, per la legge italiana, maggiore età;
  • Perfetta comprensione della lingua italiana;
  • Aver letto e compreso il consenso informato.

 

Criteri di esclusione

  • Pazienti con alterazioni dal punto di vista cognitivo o con uno status mentale compromesso;
  • Pazienti che non hanno padronanza della lingua italiana;
  • Volontà a non voler partecipare allo studio.

 

Strumenti

Nella fase preliminare della ricerca abbiamo definito l’oggetto di studio in base alle ricerche di revisioni della letteratura che confermassero la nostra ipotesi, cioè che l’infermiere attraverso l’educazione terapeutica possa incidere positivamente sull’adesione alla terapia e sulla costanza dell’automonitoraggio, come strumento di prevenzione efficace contro le complicanze della patologia [11,12,13].

Successivamente abbiamo intervistato degli stakeholder (2 diabetologi, 2 infermieri, 1 cardiologo, 1 nefrologo), in quanto conoscitori esperti del fenomeno, per strutturare il questionario. Infine è stato condotto uno studio pilota su 25 pazienti di cui: 10 pazienti con valori di emoglobina glicosilata nella norma (Hb < 7), 10 pazienti con emoglobina glicosilata superiore alla norma (Hb > 7) e 5 pazienti che avevano esiti di complicanze associate al diabete scompensato. Questa scelta è stata fatta per confrontare le risposte dei pazienti per quanto riguarda lo stile di vita e le conoscenze in merito alla patologia, al fine di stabilire la fattibilità dello studio.

Gli item sono stati definiti per valutare le conoscenze in merito alla patologia, individuare le fonti di informazione acquisite e indagare sui comportamenti dei pazienti.

Il questionario è stato diviso in tre sezioni A – B – C. In particolare, la sezione A con domande a risposta chiusa, è volta a conoscere le caratteristiche socio-anagrafiche (sesso, età, stato civile, numero figli e titolo di studio). La sessione B presenta 21 items per indagare sulle conoscenze dei pazienti, inizialmente con domande specifiche come ad esempio: da quanto tempo è diabetico; il tipo di diabete; la terapia eseguita e presenza eventuale di altre patologie concomitanti. Inoltre è stato chiesto di indicare il valore dell’esame laboratoristico HbA1c per individuare il grado di compenso glicemico e per verificarne la consapevolezza. Per analizzare il grado di educazione terapeutica ricevuta vi sono delle domande, sia per individuare i professionisti sanitari che hanno dato informazioni sull’autogestione, sulla prevenzione e sul trattamento delle complicanze, sia per verificare quanto siano state esaurienti tali informazioni utilizzando una scala di Likert a 5 punti (molto = 4, abbastanza = 3, poco = 2, molto poco = 1, per nulla = 0). La sessione C, infine, indaga sui comportamenti dei pazienti, in particolare è stato chiesto di indicare la frequenza delle visite di controllo diabetologiche e podologiche (1 mese, 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, altro), le misurazioni della glicemia capillare (3 volte al giorno, 1 volta al giorno, 2 volte a settimana, quando non mi sento bene, altro), la pressione arteriosa (1 volta al giorno, 2 volte a settimana, 1 volta a settimana, quando non mi sento bene, altro) e l’ attività fisica svolta (sempre, spesso, talvolta, raramente, mai). La scala di Likert permette di valutare con la stessa distanza le diverse modalità di risposta.

Il questionario è stato autosomministrato in forma anonima secondo quanto previsto dalla normativa in materia della tutela della privacy. Inoltre la consegna del questionario da parte dei pazienti era implicita accettazione alla partecipazione allo studio.

 

Analisi Statistica

I questionari sono stati ordinati con un numero di protocollo progressivo e inseriti in un database Excel, previa codifica delle variabili. È stata fatta inizialmente un’analisi descrittiva per riassumere le caratteristiche principali del campione con l’utilizzo di misure di sintesi numerica sia di tendenza centrale che di dispersione. Successivamente si è testato l’outcome con un’analisi univariata utilizzando il test chi-quadro per le variabili categoriche (derivata della var. emoglobina glicata >7/£7; derivata della var. età >60 anni/£60 anni; categorica della var. titolo studio; categorica della var. sesso) ed il test di Student per quelle continue distribuite normalmente (emoglobina glicata, età). Infine con l’analisi multivariata si è testato l’outcome inteso come paziente che avesse un buon controllo della malattia e delle sue complicanze (visite effettuate dallo specialista diabetologo, tempo intercorso tra una visita e l’altra, pratica sport spesso o frequentemente). Le seguenti variabili predittive sono state incluse: stato civile (0=sposato, 1=altro), grado d’istruzione (0=diplomato/laureato, 1=altro), sesso (0=femmina, 1=maschio), età (continua), numero di figli (no=0, si=1). Nel modello di regressione logistica stepwise i valori erano settati su 0.2 per l’inserimento delle variabili e 0.4 per la rimozione dallo stesso, considerando statisticamente significative le associazioni con p<0.05.Tutti i test statistici eseguiti con un livello di significatività <0.05, erano considerati come significativi. L’analisi statistica è stata eseguita mediante il Software Stata 10.0.

RISULTATI

Nella seguente Tabella (1) sono riportate le caratteristiche generali del campione.

Tabella 1.Caratteristiche generali del nostro campione

 

Si tratta di un campione con una forte prevalenza di diabete di tipo 2 (247 pazienti), in accordo con i dati ISTAT 2016 [14].

I risultati della Tabella 1 mostrano che il 31.2 % dei pazienti è in possesso del diploma di scuola superiore, il 27.7% della licenza elementare, il 26.1% del diploma di scuola media inferiore, il 10.8% della laurea ed infine il 4.2% dei pazienti intervistati non sono in possesso di alcun titolo di studio.

La terapia in corso è per il 66% con ipoglicemizzanti orali, per il 23.4% solo insulinica e per il 10.6% costituita dall’associazione di ipoglicemizzanti orali ed insulina.

I pazienti riferiscono che la principale fonte di informazioni è il diabetologo, seguito dall’infermiere, dal Medico di Medicina Generale e infine dagli Altri (cardiologo, nefrologo, mass media ecc.). Al campione è stato inoltre chiesto di esprimere un giudizio sulla qualità delle informazioni ricevute e nel 93% dei casi, le informazioni sono state ritenute buone o molto esaurienti.

Riguardo la consapevolezza dei pazienti sulle patologie che potrebbero essere causate dal diabete è emerso che il 98.8 %, sa che il diabete può provocare altre patologie e l’1.2% ancora non lo sa. Tuttavia si è voluto approfondire l’argomento chiedendo ai pazienti di individuare una o più tra le patologie causate dal diabete. Le risposte dei pazienti sono state: insufficienza renale, retinopatia, ulcere, cardiopatie, iposensibilità. È emerso che il campione oggetto di studio non ha una conoscenza uniforme di tutti i rischi della patologia diabetica. In particolare le conoscenze per i vari Item sono: il 95% per la retinopatia, il 85.6% per l’insufficienza renale, il 79 % per le cardiopatie, il 76.6% per l’ulcera diabetica e il 61.8% per l’iposensibilità.

Riguardo la prevalenza dei principali fattori di rischio correlati alla patologia, ovvero ipertensione, ipercolesterolemia e obesità, è emerso che l’80.3 % è affetto da almeno uno dei fattori di rischio elencati ed in particolare è risultato che: 139 pazienti soffrono di ipertensione; 94 pazienti sono affetti da ipercolesterolemia; 61 pazienti sono obesi.

Un dato preoccupante è rappresentato dal valore di Emoglobina Glicosilata (HbA1c) che rappresenta il valore più attendibile a cui fare riferimento per definire il grado di compenso metabolico del paziente diabetico, ma soprattutto della sua aderenza alla terapia e ad un adeguato stile di vita. Purtroppo è emerso che 115 pazienti (ovvero il 44.3 %) non ricordavano tale valore. Da ciò emerge un deficit di comprensione della sua importanza. Inoltre tra i 145 pazienti che lo hanno indicato, il 51.7% ha un valore di HbA1c > 7 % ciò è indice di scarso controllo della malattia.

Un dato interessante emerso dall’indagine riguarda aspetti che devono essere approfonditi secondo i pazienti, ben il 18% del campione considera sottovalutati gli aspetti psicologici [15].

Il 95% (247 pazienti) ritiene importante la cura attenta dei piedi. Solo il 13.1% (34 pazienti) ha avuto un’ulcera diabetica.

In merito alla cura del piede diabetico, il 68% del campione ha individuato correttamente nella figura professionale del podologo come il più adatto, il 24% il medico generico, il 3% l’infermiere e infine un dato molto preoccupante è che il 5% ritiene che l’estetista possa essere la figura idonea al pedicure.

Dallo studio sulle abitudini alimentari è emerso che il 90.8% ha modificato le abitudini alimentari, dopo aver scoperto di avere il diabete, ma il 9.2% ancora non lo ha fatto.

Abbiamo analizzato a quanti fosse stato consigliato di praticare sport e da chi, ed è emerso che non tutto il campione ha ricevuto tale informazione, precisamente il 98%. Nonostante l’ampia informazione (98%), soltanto il 19.2 % del campione pratica Sempre/Spesso attività fisica.

Come si evidenzia dalla tabella 3 solo il 55% controlla quotidianamente la glicemia capillare in linea con i dati presenti in letteratura [16,17].

Per quanto riguarda l’autogestione della patologia, un dato confortante che emerge dal campione oggetto di studio è che solo il 10.4% (27 pazienti) si è recato almeno una volta in pronto soccorso per episodi di ipoglicemia/iperglicemia dimostrando un buon controllo della malattia. Inoltre per quanto concerne uno dei fattori di rischio più rilevanti, come l’ipertensione [18], è stato chiesto di indicare la frequenza di misurazione della pressione arteriosa. Come si può notare dalla Tabella 2, c’è una maggioranza di controlli non periodici.

 

Tabella 2. Frequenza misurazione glicemia capillare e pressione arteriosa.

È stato realizzato un profilo del paziente diabetico che ha un basso rischio di complicanze, ovvero quel paziente che conoscendo i rischi associati al diabete applica, in termini di prevenzione, uno stile di vita appropriato consistente in un’alimentazione povera di grassi e glucidi e praticando attività motoria regolarmente.

Da un’analisi univariata seguita da un’analisi multivariata è emerso che tale profilo è associato in modo statisticamente significativo (p <0.05) ad un paziente che avesse un titolo di studio elevato (laurea o diploma) e a chi avesse un’emoglobina glicosilata < 7 % individuando una correlazione positiva tra i comportamenti e l’educazione terapeutica ricevuta come si può evincere dalla Tabella 3. E’ risultato inoltre che anche l’età <60 anni potrebbe giocare un ruolo significativo nella migliore gestione del diabete e delle sue complicanze pur avendo un p-value di poco sopra la soglia di significatività del 5% (p-value=0.051), ipotizzando una maggiore attività sportiva in funzione delle migliori capacità motorie, di una maggiore compliance nella gestione della malattia viste le maggiori aspettative di vita ed una maggiore conoscenza delle complicanze, viste le azioni proattive dei professionisti del settore e la maggiore sensibilità dei mezzi d’informazione su queste problematiche.

Risultano peraltro associati nel modello, ma con valori non statisticamente significativi, alcune variabili di interesse quali lo stato civile (coniugato) e il sesso (maschile). Ciò probabilmente per uno dei limiti dello studio rappresentato dal numero ancora esiguo del campione, che pertanto abbiamo intenzione di estendere ulteriormente.

Tabella 3. Risultati analisi multivariata

 

DISCUSSIONE

I risultati ottenuti dallo studio hanno confermato l’importanza dell’educazione terapeutica fatta dagli infermieri al fine di ridurre le principali complicanze associate alla patologia diabetica ed evidenziano come la semplice procedura di informare il paziente non sia sufficiente e quindi come risulti necessario motivarlo a modificare in modo efficace le proprie abitudini quotidiane, per un controllo e una gestione più efficace della malattia [19].

Il campione preso in esame è composto da 260 pazienti, 54.2 % femmine e 45.8 % maschi, di età compresa nell’intervallo 27-92, con la media di 69 anni. In particolare dall’analisi dei comportamenti è emerso che il 90.2% ha riferito di aver cambiato abitudini alimentari, ma nonostante ciò, un dato preoccupante, è che 115 pazienti non ricordavano il valore dell’HbA1c e tra coloro che lo hanno indicato il 51.7% avevano valori superiori al 7%, ciò è indice di un deficit della comprensione della sua importanza e di uno scarso controllo della malattia. Per Ippocrate e la medicina antica, l’alimentazione era la terapia principale. Soprattutto per il diabete di tipo 2, questo si è dimostrato essere vero [19] e dalla letteratura si evidenzia che un’attività fisica anche moderata può contribuire alla prevenzione delle complicanze, soprattutto macrovascolari del diabete [20,21].

Oltre l’Emoglobina Glicosilata, che rappresenta una media delle glicemie nell’arco di 3 mesi, il paziente diabetico deve controllare la glicemia capillare periodicamente a digiuno e una o due ore dopo i pasti per verificare l’aumento glicemico dovuto ai carboidrati o zuccheri assunti con l’alimentazione [22], ma tenendo in considerazione che ci sono limiti posti dal numero di strisce reattive prescrivibili per singolo paziente. Il controllo viene effettuato per individuare eventuali fluttuazioni degli indici glicemici che incidono negativamente sullo stato di salute dei pazienti.

Nonostante l’ampia informazione ci sono pazienti che si rivolgono all’estetista per la cura del piede diabetico, ciò è sconsigliato poiché l’estetista non ha le competenze idonee per il trattamento del piede diabetico. Inoltre alla luce dei risultati emersi dall’indagine abbiamo identificato, tramite l’analisi multivariata, il profilo del paziente diabetico, che è consapevole dei rischi associati alla patologia e attua le necessarie misure preventive, ovvero quel paziente che adotta uno stile di vita appropriato e pratica attività fisica regolarmente, confermando una correlazione positiva tra i comportamenti e l’educazione terapeutica ricevuta (Tabella 3).

Il livello di istruzione può essere utile per valutare eventuali differenze di conoscenze tra i differenti pazienti e in aggiunta, la valutazione delle conoscenze e dei comportamenti dei pazienti diabetici è in grado di orientare l’assistenza verso programmi di cura individualizzati [23]. L’esperienza raccolta in questo studio è da stimolo per approfondire l’argomento con ulteriori ricerche al fine di implementare l’educazione terapeutica con l’obiettivo di prevenire o ridurre le complicanze croniche scaturite dallo scompenso glicemico, il principale fattore della riduzione dell’aspettativa di vita per i pazienti e dell’aumento dei costi per il Sistema Sanitario Nazionale per la cura di questa patologia.

Oggi l’educazione dei pazienti all’autogestione, che è un principio largamente diffuso in molte patologie croniche, è sempre più considerato uno strumento vincente per la cura del paziente diabetico. La prevenzione investe tutti gli operatori sanitari che prendono in carico il paziente, soprattutto gli infermieri esperti in diabetologia forniscono un sostegno efficace al paziente fungendo da catalizzatore nella sua interazione con il Team [9]. È anche grazie alla comunicazione e alla relazione che si instaura tra paziente e infermiere che si esauriscono eventuali dubbi e incertezze, e si indirizzano i pazienti ad una presa di coscienza della propria patologia e una migliore autogestione della stessa che nessun materiale informativo può sostituire [24].

 

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

Limiti dello studio

In primo luogo un limite è rappresentato dal tipo di studio, di natura trasversale, che ha lo svantaggio di non poter determinare in modo prospettico un effetto casuale dei fattori di rischio in studio. Un secondo limite è rappresentato da un bassa numerosità del campione che potrebbe non aver messo in luce tutte le possibili correlazioni.

Tuttavia queste limitazioni non sminuiscono il valore dello studio che difatti rappresenta uno dei primi approcci atti ad investigare su tale problematica.

BIBLIOGRAFIA

  1. WHO, Global report on diabetes. World Health Organization; 2016.
  2. Gæde P. Vedel P. Larsen N., Gunnar V.H., Parving H.H. Pedersen O., Multifactorial Intervention and Cardiovascular Disease in Patients with Type 2 Diabetes, N Engl J Med 2003;348:383-93.\
  3. AUSL di Parma Dipartimento Cure Primarie, Polo Sanitario di Colorno, Ambulatorio Diabetologico. Educazione terapeutica nel risk management del paziente diabetico: un’esperienza territoriale;Il giornale di AMD 2009; 12:118-122.
  4. Assal J.P., Lacroix A. Educazione terapeutica dei pazienti. Nuovi approcci alla malattia cronica. Minerva medica, 2004.
  5. Esden J., Nichols M. Patient-centered group diabetes care: A practice innovation. The Nurse Practitioner: The American Journal of Primary Health Care 2013; 38 (4): 42-48.
  6. Merakou K, Knithaki A, Karageorgos G, Theodoridis D, Barbouni A. Group patient education: effectiveness of a brief intervention in people with type 2 diabetes mellitus in primary health care in Greece: a clinically controlled trial.Health Educ Res 2015 04;30(2):223-232.
  7. Beghelli A., Ferraresi A., Manfredini M. Educazione terapeutica. Metodologia e applicazioni. Corocci Faber, 2015.
  8. Study A. Holt RIG, Nicolucci A, Burns KK, et al., on behalf of the DAWN2 Study Group. Diabetes Attitudes, Wishes and Needs second study (DAWN2): cross-national comparisons on barriers and resources for optimal care—healthcare professional perspective. Diabet Med 2013;30:789–798.
  9. Anna Vittoria Ciardullo, Maria Monica Daghio, Giuseppe Fattori, Graziella Giudici, Lorella Rossi, Claudio Vagnini. Un efficace strumento per l’autoeducazione terapeutica del paziente diabetico: la Conversation MAP©. L’esperienza del Centro di Diabetologia di Carpi Recenti Prog Med 2010; 101: 471-474
  10. Codice deontologico dell’infermiere. 2009; Capo IV Art. 19.
  11. Warsi A, Wang PS, LaValley MP, Avorn J, Solomon DH. Selfmanagement education programs in chronic disease: a systematic review and methodological critique of the literature.Arch Intern Med 2004;164:1641-1649.
  12. Norris SL, Lau J, Smith SJ, Schmid CH, Engelgau MM. Self-management education for adults with type 2 diabetes: a metanalysis of the effect on glycemic control.Diabetes Care 2002;25:1159-11571.
  13. Norris SL, Engelgau MM, Narayan KM. Effectiveness of selfmanagement training in type 2 diabetes: a systematic review of randomized controlled trial.Diabetes Care 2001;24:561-587.
  14. Istituto Nazionale di Statistica. Il diabete in Italia. Comunicato stampa: ISTAT; 2017.
  15. Nicolucci A, et al. Diabetes Attitudes, Wishes and Needs second study (DAWN2): Cross-national benchmarking of diabetesrelated psychosocial outcomes for people with diabetes. Diabet Med 2013; 30: 767-777.
  16. Koschinsky T. Blood glucose self-monitoring report 2006 reveals deficits in knowledge and action. Diabetes Stoffwechsel Herz 2007; 16:185-92.
  17. Umpierrez GE, Kovatchev B. Glycemic Variability: How to measure and Its Clinical Implication for Type 2 Diabetes. Pub Med 2018; 356 (6): 518 – 527.
  18. Cerasola G, Semplicini A. Ipertensione e diabete 2000; 411: 29.
  19. Italian Health Policy Brief. La comunicazione nel Chronic Care Model per indurre la modificazione degli stili di vita del paziente diabetico. Roma: ALTIS Editore; 2012.
  20. N. Visalli, L. Cipolloni, M. Ciotola, A. Lai, S. Casucci, D. Bloise, A.M. Scarpitta, C. Arnaldi, G. Careddu Indagine conoscitiva delle attività di educazione terapeutica dei centri diabetologici in Italia 2014-2015 Diabetes Education in Italy: un updated GISED Survey; J AMD 2017; VOL. 20:N. 2
  21. Miselli V. Il problema dell’adesione alla terapia in una malattia cronica come il diabete. Giornale italiana di diabetologia e metabolismo 2011; 31:121-124.
  22. Franciosi M, Lucisano G, Pellegrini F, Cantarello A, Consoli A, Cucco L, et al. ROSES: role of self-monitoring of blood glucose and intensive education in patients with Type 2 diabetes not receiving insulin. A pilot randomized clinical trial. Diabet Med 2011 Jul;28(7):789-796.
  23. Palese A. Carbarcas GR. Dotti R. Riboli O. Dossier, Documentazione scritta (consegne e piani di assistenza). Assistenza Infermieristica e ricerca 2006; 25: 32.
  24. Kirk A, De Feo P. Strategies to enhance compliance to physical activity for patients with insulin resistance. Appl Physiol Nutr Metab 2007;32:549-56.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


L'accuratezza delle diagnosi infermieristiche: Cross Mapping in un'unità operativa a gestione infermieristica

Mariachiara Figura1*, Laura Tibaldi2, Massimiliano Chiarini3, Noemi Giannetta4, Sara Dionisi4, Angelo Cianciulli5, Giulia Pintus5, Debora Pettinelli5, Valeria Franzoso1, Emanuele Di Simone4, Marco Di Muzio6.

1. Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive Sapienza, Università di Roma

2. Dottore di Ricerca in Metodologia della Ricerca in Scienze Infermieristiche Direttore di Dipartimento delle Professioni Sanitarie Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I, Roma Docente di Discipline Infermieristiche in Scienze Infermieristiche e Ostetriche Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive Sapienza, Università di Roma

3. Docente di Discipline Infermieristiche Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive Sapienza, Università di Roma

4. Dottorando di Ricerca in Scienze Infermieristiche e Sanità Pubblica Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione Università degli studi di Tor Vergata, Roma

5. Dottore in Infermieristica Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive Sapienza, Università di Roma

6. Dottore di Ricerca in Scienze Infermieristiche e Sanità Pubblica Docente di Discipline Infermieristiche Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare Facoltà di Medicina e Psicologia Sapienza, Università di Roma

* Corresponding author: Mariachiara Figura, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma. E-mail: chiarafigura9@gmail.com

https://doi.org/10.32549/OPI-NSC-28

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduzione: La professione infermieristica richiede che la specificità delle proprie conoscenze venga condivisa attraverso l’utilizzo di efficienti strumenti di misurazione, in grado di valutare in maniera peculiare i risultati degli interventi sanitari. Risulta quindi necessario che la documentazione venga prodotta utilizzando un linguaggio universale e standardizzato.

L’obiettivo dello studio è di identificare le eventuali differenze e incongruenze tra il linguaggio utilizzato nella pratica quotidiana e la tassonomia di riferimento indicato dalle Direttive Aziendali, evidenziando il livello di accuratezza nella formulazione della diagnosi infermieristica.

Materiali e Metodi: Confronto (cross mapping) delle diagnosi infermieristiche formulate in UOGI dell’AOU “Policlinico Umberto I” di Roma con quelle definite dalla tassonomia NANDA-I. L’analisi e la raccolta dei dati è stata effettuata nell’anno 2015 attraverso uno studio di coorte retrospettivo. Il campione preso in esame è di 99 cartelle cliniche e 97 diagnosi infermieristiche. Facendo riferimento al D-Catch, si è tentato di condurre un grading dei termini diagnostici ed esaminare la completezza, l’appropriatezza linguistica, nonché l’accuratezza delle diagnosi formulate, sottoponendo i dati ad analisi statistica descrittiva. Il linguaggio standardizzato a cui si è fatto riferimento è il NANDA-I.

Risultati: “Rischio di infezione correlato a sede di possibile invasione di microrganismo secondaria a intervento chirurgico”, “Rischio di caduta correlato a storia di incidenti”, “Sindrome da immobilizzazione” sono le diagnosi che hanno perfettamente risposto ad un full-match e corrispondono al 9,4% del totale, mentre il 38,1% è stato identificato con un close match.

Discussione: L’utilizzo di risorse quali un vocabolario standardizzato e concetti diagnostici pre-strutturati possono rendere la documentazione infermieristica sistematica, meno ridondante e in grado di tracciare perfettamente il processo assistenziale. Condurre uno studio che permetta di confrontare il linguaggio adottato con la tassonomia di riferimento consente di individuare le lacune presenti e mettere in atto nuove pratiche volte al miglioramento dell’outcome, promuovendo il corretto passaggio di informazioni.

Parole Chiave: Cross mapping; Linguaggio infermieristico standardizzato; NANDA International, documentazione infermieristica; diagnosi infermieristiche NANDA.

THE ACCURACY OF NURSING DIAGNOSIS: CROSS-MAPPING IN AN OPERATIONAL UNIT OF NURSING MANAGEMENT.

ABSTRACT

Introduction: Nursing profession requires that the specificity of one’s own knowledge to be shared through the use of efficient measurement tools, able to assess, in a particular way, health interventions results. Therefore, it is necessary for the documentation to be produced using a universal and standardised language. The aim of the study is to identify any differences and inconsistencies between the language used in everyday practice and the referred taxonomy indicated by the Company Directives, highlighting the level of accuracy in the formulation of the nursing diagnosis.

Materials and Methods: The Cross-mapping of nursing diagnoses formulated in the UOGI of the AOU “Policlinico Umberto I” of Rome, were collected in 2015 through a retrospective cohort study. The sample taken is 99 medical records and 97 nursing diagnoses. Referring to D-Catch, an attempt was made to conduct a grading of the diagnostic terms and to examine the completeness, linguistic appropriateness and accuracy of the diagnoses made, by subjecting the data to descriptive statistical analysis. The standardised language referred to is NANDA-I.

Results: "Risk of infection related to possible invasion of microorganism secondary to surgery", "Risk of falling related to accident history", "Immobilization syndrome" are the diagnoses that have perfectly responded to a full-match and correspond to 9.4% of the total, while 38.1% was identified with a close match.

Discussion: Using resources such as a standardised vocabulary and pre-structured diagnostic concepts can make nursing documentation systematic, less redundant and able to perfectly outline the assistance process. Conducting a study to compare the language adopted with the referred taxonomy allows the identification of existing gaps and the implementation of new practices aimed at improving the outcome, promoting the correct flow of information.

 

Keywords: Cross mapping; Standardized Nursing Terminology; NANDA International; Nursing Documentation; NANDA nursing diagnosis.

 

INTRODUZIONE

Come sancito da autorevoli Enti internazionali [1-4], l’introduzione di una terminologia standardizzata (Standardized Nursing Terminology – SNT) nella pratica clinica permette di definire, descrivere e confrontare i fenomeni di natura assistenziale, raccogliendo informazioni puntuali in merito all’impatto dell’assistenza sugli outcome dei pazienti e fungendo da supporto al decision-making in ambito clinico [5-8].

La struttura e i contenuti del processo di nursing sono riconosciuti a livello internazionale quali elementi chiave e costituenti lo sfondo teorico di una documentazione accurata. È scientificamente provato che una Diagnosi Infermieristica (DI) puntualmente scelta e correttamente formulata attraverso specifici criteri quali il metodo PES (Problem label, Related factors, Signs and symptoms) [7] e supportata da una dettagliata valutazione dei pazienti, fornisce indicazioni chiare e lineari su fenomeni e concetti di natura assistenziale. La DI diventa oggetto centrale nel processo assistenziale del paziente, nonché fondamento per pianificare gli interventi e indirizzare la messa in atto degli interventi più appropriati, orientando gli infermieri verso risultati misurabili [5,7,9–13]. L’esame dello strumento utilizzato permette di valutare la qualità dell’assistenza, con l’obiettivo principe di identificare le potenziali aree di miglioramento [14].

Il connubio tra documentazione e standardizzazione del linguaggio e assistenza infermieristica, trova la massima espressione all’interno delle Unità Operative a Gestione Infermieristica (UOGI), realtà a bassa intensità di cura, istituite per la prima volta nella Regione Lazio e in Italia nel 2013, nate con l’esigenza di risanare l’economia sanitaria al fine di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in un contesto sanitario di maggiore appropriatezza, efficacia ed efficienza, come indicato dal Patto della Salute 2014-2016 e dal Riordino della medicina territoriale. In tale contesto, l’appropriatezza delle cure relative alle esigenze specifiche di ciascun utente, il libero accesso ai servizi sanitari e l’eticità nell’assistenza, fungono da elementi di garanzia di qualità delle prestazioni infermieristiche eseguite: vige, pertanto, una spiccata e diretta responsabilità degli infermieri a tutela della salute degli utenti nell’organizzazione e nella gestione dei servizi offerti ed il miglioramento continuo della qualità assistenziale [15-24].

Come ampiamente dimostrato nel presente studio, svolto nell’UOGI dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria (AOU) Policlinico Umberto I di Roma, la documentazione delle attività clinico-assistenziale rappresenta un tassello fondamentale, indispensabile allo sviluppo e alla tracciabilità del processo di nursing. A fronte della necessità di migliorare l’assistenza all’utente, è importante che il professionista sanitario presti particolare attenzione alla sua compilazione, che deve essere appropriata sia in termini qualità che quantità di contenuti, al fine di rendere visibile e certificato il processo assistenziale personalizzato.

Diversi sono gli strumenti validati ed elaborati in maniera specifica per effettuare una valutazione quali-quantitativa della documentazione infermieristica. Il presente studio prende come riferimento principe il D-Catch [5,7,14,25], sviluppato nei Paesi Bassi nel biennio 2007-2008 e validato in Italia nel 2017 (kappa ponderata ≥ 0.62) [25], considerato dagli autori il più idoneo al contesto di riferimento.

 

OBIETTIVO DELLO STUDIO  

L’obiettivo dello studio è quello di confrontare, attraverso una procedura di cross-matching XX, le diagnosi infermieristiche formulate dal personale infermieristico in servizio presso l’UOGI del Policlinico Umberto I di Roma e quelle del NANDA-I [26]. Il presente lavoro ambisce ad identificare le eventuali differenze e incongruenze tra il linguaggio utilizzato nella pratica quotidiana e la tassonomia di riferimento, evidenziando il livello di accuratezza nella formulazione della diagnosi infermieristica.

 

MATERIALI E METODI

È stata condotta un’analisi retrospettiva delle cartelle infermieristiche compilate nell’anno 2015 nell’UOGI in oggetto e studio delle relative diagnosi in esse contenute. Il protocollo ha ottenuto l’autorizzazione da parte del Dipartimento delle Professioni Sanitarie, garante del trattamento dei dati. Al fine di tutelare la privacy delle informazioni personali e sensibili, a ciascuna cartella è stato assegnato un codice identificativo del tutto casuale.

Dalle cartelle infermieristiche raccolte sono stati estrapolati i dati di interesse di tipo quantitativo (caratteristiche generali della popolazione) e qualitativo (diagnosi infermieristiche formulate dagli operatori); quest’ultima categoria di dati è stata poi tradotta in variabili numeriche quantitative e sottoposte a cross-matching, condotto secondo il metodo di Frauenfelder et al. [6] e considerato dagli autori il più valido e idoneo per la presente tipologia di studio [26–37]. Attraverso un grading dei termini diagnostici, si è tentato di esaminare la completezza, l’appropriatezza linguistica, nonché l’accuratezza delle diagnosi formulate. In relazione alle Direttive Aziendali, il linguaggio standardizzato a cui si è fatto riferimento è il NANDA-I (North American Nursing Diagnosis Association - International) [38], ampiamente proposto in letteratura, per essere esaustivo nella la completezza dei domini, incisivo per la comparazione dei dati ed estendibile all’interno dei sistemi elettronici [6,10,25,39].

 

Popolazione di studio

La popolazione, in prevalenza di genere maschile (60.6%) rispetto a quella femminile (39.4%), presenta un’età media di 63.31 anni (moda e mediana: 66; DS: ±18.62) e una degenza media di 17.35 giorni (moda: 2; mediana: 8: DS ±40.69). I reparti maggiormente rappresentativi dai quali tali degenti provengono sono Medicina generale (15.2%), DEA (13.1%) e Chirurgia d’urgenza (12.1%). La maggioranza dei pazienti ricoverati risulta essere dimessa a domicilio (67.7%) e presso cliniche di riabilitazione (11.1%).

 

Criteri di inclusione

Sono state prese in considerazione tutte le cartelle infermieristiche (per un totale di 99) riguardanti utenti che sono stati registrati e ricoverati nell’ UOGI dal 1°gennaio 2015 al 1°gennaio 2016 e la cui documentazione ha interessato tutto l’iter della degenza. Per 7 pazienti inclusi nello studio (7.07%) sono state formulate due diagnosi infermieristiche.

 

Criteri di esclusione

Partendo da un numero totale di 99 cartelle cliniche incluse, per il 7,07% (ovvero, per 7 cartelle) è stata ritrovata la presenza di due diagnosi infermieristiche. Il campione di potenziali piani assistenziali è stato così ampliato a 106: di questi, 9 casi (8,5%) contenevano esclusivamente informazioni anagrafiche ed erano totalmente carenti di informazioni relative al piano assistenziale. Tali osservazioni sono state escluse dalla procedura di cross-matching. Il totale delle diagnosi analizzate, pertanto è stato di 97.

 

Strumenti

La cartella infermieristica, in uso nell’UOGI in cui si è svolto lo studio, è così strutturata:

Scheda di raccolta dati (in accordo alla teoria dei bisogni di Virginia Henderson)
Parametri vitali
Bilancio dei liquidi e del sangue

Presidi sanitari

Prescrizioni diagnostiche
Scheda di rilevazione delle infezioni
Scala di Conley di valutazione del rischio di caduta del paziente
Valutazione del rischio di insorgenza lesioni da pressione
Monitoraggio clinico delle lesioni da pressione
Monitoraggio del dolore
Scheda delle medicazioni
Scheda infermieristica di dimissione
Scheda infermieristica di trasferimento.

Tabella 1. Struttura della cartella infermieristica in uso un UOGI 

Analisi Statistica

Il totale delle diagnosi analizzate è 97.

Si è proceduto ad una suddivisione preliminare delle diagnosi nelle loro tre componenti principali come di seguito descritto:

  • Focus diagnostico (prima parte)
  • Fattori eziologici e contribuenti (fattori correlati e secondari) (seconda parte)
  • Segni e sintomi (terza parte).

Tramite criteri di analisi quantitativi, applicando il metodo PES, è stato possibile valutare la presenza di tutte le componenti della diagnosi infermieristica: il quesito con cui ci si è orientati è il seguente: “Sono presenti tutti i componenti PES della diagnosi?”. I criteri di analisi qualitativi, che hanno risposto alla domanda: “Qual è la qualità della descrizione rispetto alla pertinenza, non ambiguità e correttezza linguistica?" [14] hanno valutato la corrispondenza linguistico-concettuale con la tassonomia di riferimento [38]. Mediante l’attribuzione di un punteggio, come di seguito indicato, si è tentato di esaminare la corrispondenza con quanto previsto dalla tassonomia NANDA-I (Tabella 2).

Punteggio Descrizione
  Criteri quantitativi Criteri qualitativi
-1 Focus diagnostico presente Sebbene il focus diagnostico sia presente all’interno della diagnosi infermieristica, non risulta contemplato dalla tassonomia NANDA, manifestandosi, pertanto, errato.
 

0

 

Componente assente Componente assente
0,25

 

La componente è presente Sebbene presente, la variabile analizzata non risulta idonea per la diagnosi formulata e non risponde alle direttive linguistiche e concettuali della tassonomia di riferimento.
0,50 La componente è presente Sebbene presente e individuata, la variabile risponde concettualmente alla diagnosi infermieristica di riferimento (NANDA-I), ma linguisticamente non risulta adeguata.
0,75 La componente è presente La variabile si presenta concettualmente adeguata, mostrando tuttavia delle differenze linguistiche con la tassonomia di riferimento.
1 La componente è presente La variabile si mostra perfettamente corrispondente alla tassonomia NANDA-I, sia da un punto di vista concettuale che tassonomico

Tabella 2. Criteri e valori di riferimento per la classificazione delle componenti diagnostiche

Per la valutazione globale, si è proceduto alla somma dei valori attribuiti alle singole componenti diagnostiche e alla categorizzazione in cluster, assegnando un valore finale alla diagnosi che va da un minimo di 0 a un massimo di 3, in base alla corrispondenza con il linguaggio di riferimento [40] (Tabella 3).

Punteggio Denominazione / PES                         Descrizione
 

0

 

No-match

(?+?+?)

Assegnato a tutte quelle diagnosi che presentano un titolo diagnostico non contemplato dalla tassonomia NANDA (esempio: rischio di compromissione della funzionalità epatica -> RC: disfunzione epatica; rischio di insufficienza urinale -> eliminazione urinaria compromessa).
1

 

Partial match

(P+?+?).

Assegnato alle diagnosi che presentano solo il titolo diagnostico (focus) o i fattori correlati e secondari, se presenti, non soddisfano né a livello tassonomico, né concettuale il quesito diagnostico (errati e/o inesistenti). Non sono stati mappati né concettualmente, né da un punto di vista tassonomico (esempio: rischio di infezione della ferita chirurgica -> rischio di infezione correlato a sede di possibile invasione di microrganismo secondaria a intervento chirurgico).
2 Close match

(P+E+S; P+E+?; P+?+S).

 

Adibito alle diagnosi che presentano almeno 2 variabili su 3 e sono corrispondenti da un punto di vista concettuale ma non tassonomico (esempio: compromissione della mobilità correlata a diminuzione delle funzioni motorie -> mobilità compromessa, correlata a riduzione della forza muscolare e della resistenza, secondaria a X, che si manifesta con X ).
3 Full match

(P+E+S)

Attribuito alle diagnosi infermieristiche complete in ogni componente e perfettamente mappate con il linguaggio di riferimento NANDA - I (esempio: rischio di cadute correlato a storia di incidenti -> rischio di cadute correlato a storia di incidenti).

Tabella 3. Valori finali attribuiti alle diagnosi analizzate, dopo categorizzazione in cluster  

Il riferimento utilizzato è il “Manuale delle Diagnosi infermieristiche applicate alla pratica clinica” di Lynda J. Carpenito [40].

I dati sono stati raccolti e analizzati attraverso il software statistico IBM® SPSS® Statistic, versione 21, che ha permesso di condurre un’analisi descrittiva dei dati (indici di tendenza centrale e di dispersione) quantitativi (caratteristiche della popolazione) e di trasformare in quantitativi variabili qualitative (diagnosi infermieristiche), raggruppandoli in categorie.

Per la documentazione priva di informazioni è stato attribuito un valore casuale (999).

 

 

RISULTATI

Focus diagnostico

I primi dati analizzati sono stati i titoli diagnostici.

Sul totale rinvenuto (N=97), “Ansia”, “Dolore acuto”, “Dolore cronico”, “Paura”, “Rischio di infezione”, “Rischio di sindrome da immobilizzazione”, “Sindrome da deficit nella cura di sé”, “Sindrome da immobilizzazione”, e “Rischio di cadute” sono conformi alla tassonomia di riferimento e rivestono la maggioranza dei titoli identificati (42.26%).

I titoli che hanno mostrato come risultato un close- match corrispondono al 40.20% (N=39): nella tabella che segue, è mostrato il corrispettivo appartenente alla tassonomia NANDA-I (Tabella 4).

Focus diagnostico UOGI N Corrispondente NANDA – I
Compromissione dell’integrità cutanea 1 Integrità cutanea compromessa
Compromissione della mobilità 13 Mobilità compromessa
Compromissione dell’integrità cutanea in paziente diabetico allettato 1 Integrità cutanea compromessa in paziente diabetico allettato
Compromissione della comunicazione 2 Comunicazione compromessa
Difficoltà nella comunicazione verbale 1 Comunicazione verbale compromessa
Compromissione della deambulazione 1 Deambulazione compromessa
Compromissione della deglutizione 3 Deglutizione compromessa
Deficit del regime alimentare 1 Nutrizione squilibrata: inferiore al fabbisogno metabolico
Nutrizione inferiore al fabbisogno 1 Nutrizione squilibrata: inferiore al fabbisogno metabolico
Nutrizione superiore al fabbisogno 1 Nutrizione squilibrata: superiore al fabbisogno metabolico
Paziente a rischio caduta 1 Rischio di cadute
Stato in cui la persona ha una aumentata probabilità di caduta accidentale 1 Rischio di cadute
Rischio di complicanze per crisi compulsive 1 RC: stato epilettico
Rischio di compromissione dell’integrità cutanea 2 Rischio di integrità cutanea compromessa
Rischio di emorragia 1 Rischio di sanguinamento
Paziente rischia di non mantenere la temperatura corporea 3 Rischio di squilibrio della temperatura corporea

 

Rischio di alterata temperatura corporea 1 Rischio di squilibrio della temperatura corporea
Rischio aumento temperatura corporea maggiore di 38 1 Rischio di ipertermia
Rischio di inefficace funzionalità respiratoria 2 Rischio funzionalità respiratoria inefficace
Rischio di squilibrio della temperatura corporea 1 Rischio di temperatura corporea squilibrata
Totale                  N=39;             F: 40.2%                    

Tabella 4. Matching dei titoli diagnostici che rispondono ad un Close match e relative frequenze.

È stata riscontrata una minoranza di titoli diagnostici (17.52%) non contemplata dalla tassonomia NANDA (punteggio -1 / No- match). I riferimenti mostrano le motivazioni per cui ai seguenti titoli è stato attributo tale punteggio (Tabella 5) [41–43].

Focus diagnostico UOGI N Corrispondente NANDA - I Motivazione
Rischio di insufficienza urinale 1 Eliminazione urinaria compromessa -
Paralisi parziale 1 Compromissione della mobilità -
Rischio di inefficace autogestione della salute 4 Inefficace autogestione della salute -
Rischio di inefficace gestione della salute 1 Inefficace gestione della salute -
Rischio di compromissione della funzionalità epatica 1 RC: disfunzione epatica La condizione richiede interventi in collaborazione con la medicina. Pertanto, sarebbe auspicabile utilizzare il problema collaborativo.
Rischio di inefficace liberazione delle vie aeree 2 Liberazione delle vie aeree inefficace -
Rischio di nutrizione inferiore al fabbisogno  

1

Nutrizione squilibrata: inferiore al fabbisogno metabolico
Deficit della cura di sé 4 Sindrome da deficit della cura di sé** Qualora siano coinvolti tutti e cinque gli ambiti (alimentazione, bagno, strumentale, uso del gabinetto, vestirsi), sarebbe auspicabile utilizzare la dicitura “Sindrome da deficit della cura di sé”
Funzionalità respiratoria compromessa  

1

Rischio di funzionalità respiratoria inefficace -
Inefficace perfusione tissutale  

1

Rischio di integrità tissutale compromessa In relazione alla Malattia di Raynaud, la diagnosi esatta è la seguente:

“Rischio di integrità tissutale compromessa (ulcere ischemiche), correlato a vasospasmo”.

Totale        N=17;             F: 17.52%                      

Tabella 5. Matching dei titoli diagnostici che non risultano nella tassonomia NANDA-I, relative frequenze e riferimenti

 

Fattori correlati e secondari, segni e sintomi

Per quanto concerne la seconda parte delle diagnosi infermieristiche, risponde ad un full-match il 10.30% e ad un close match il 62.8% mentre il 26.80% delle diagnosi non riporta fattori correlati e secondari (punteggio 0 / no-match). Riguardo la terza parte della diagnosi “Segni e Sintomi”, il 60.8% del risultato risulta esatto, mentre il 39.2% invece, errato (Tabella 6).

Full match Conceptual match No match
N % N % N %
Fattori correlati e secondari 10 10.3 61 62.8 26 26.8
Segni e sintomi 59 60.8 - - 38 39.2

Tabella 6. Matching dei fattori correlati, secondari e segni e sintomi e relative frequenze

 

Cross-matching delle diagnosi infermieristiche

Analizzando le diagnosi nella loro completezza, l’analisi delle frequenze riporta come moda il valore “1” (38.14%) (Tabella 7).

Valore assegnato
0 1 2 3
N % N % N % N %
14 14.43 37 38.14 35 36.08
Full match NANDA-I - - - - . - 11 11.34

Tabella 7. Tabella di contingenza dell’analisi condotta

Sebbene buona parte delle diagnosi nella loro totalità sia stata positivamente mappata, solo per il 11.34% si è verificato un Full match: “Rischio di infezione, correlato a sede di possibile invasione di microrganismi, secondario a intervento chirurgico” (n=8), “Rischio di cadute correlato a storia di incidenti” e “Sindrome da immobilizzazione” (n=1) risultano, nel loro complesso, quelle formulate correttamente.

Raggruppamento diagnostico

È stato effettuato, infine, un raggruppamento diagnostico, in accordo con la classificazione NANDA-I [20]: “Rischio di infezione” (n=13; 13.4%) e “Rischio di cadute” (n=21; 21.64%), tra quelle maggiormente presenti, corrispondono perfettamente al linguaggio di riferimento. “Mobilità compromessa” (n=14; 14.43%), sebbene presente più volte all’interno dell’analisi, corrisponde da un punto di vista concettuale ma non tassonomico. Possiamo dunque considerare la diagnosi “Rischio di infezione” quella più frequentemente utilizzata e con la corretta terminologia.

 

DISCUSSIONE

Lo studio condotto ha permesso di analizzare, attraverso un confronto con la tassonomia NANDA – I, il grado di accuratezza nella formulazione della diagnosi infermieristica dell’UOGI romana. I risultati emersi potrebbero far ipotizzare la poca familiarità con il linguaggio di riferimento e con il processo diagnostico più in generale.

Generalmente, le cause per cui i dati raccolti risultino spesso essere carenti, nonostante si cerchi di introdurre una metodologia sistematica e standardizzata, sembrerebbero essere legate da un lato ai tempi di degenza del paziente che, se eccessivamente brevi, richiederebbero uno strumento di raccolta dei dati più preciso e immediato. Dall’altro, è probabile che l’impegno necessario agli operatori per raccogliere informazioni complete ed esaustive potrebbe ritardare le tempistiche dell’attività clinico-assistenziale ordinaria. Sebbene vi sono importanti prove a carattere scientifico che dimostrano il legame tra DI ed esiti del paziente, è possibile che la fase di raccolta dati e documentazione della cartella sia maggiormente vissuta come una mansione da svolgere e non come importante fase di supporto al giudizio clinico [5,10,44].

Proprio per questo motivo, è fortemente raccomandata l’introduzione di sistemi elettronici (Electronic Patient Records -EPR) e di data set infermieristici affidabili (Nursing Minimum Data Set – NMDS) [39,45–49] all’interno della pratica clinica quotidiana che, associati ad interventi formativi circa l’utilizzo di un SNT nella UOGI di riferimento, si dimostrerebbero di valido supporto al ragionamento critico e scientifico e per il raggiungimento dell’outcome assistenziale [5,10,44]. Sebbene esistano molteplici classificazioni, l’obiettivo di uniformare il vocabolario è ancora lontano dal raggiungimento [10]. In Italia, nonostante esistano sistemi elettronici all’interno delle strutture sanitarie più avanzate, la documentazione infermieristica è in gran parte ancora cartacea e redatta su testo libero [50], molto spesso senza l’utilizzo di una tassonomia universalmente condivisa.

Attualmente, essendo l’impatto dell’assistenza infermieristica sugli esiti dei pazienti (NSO) non del tutto messo in luce [51,52] e i risultati documentati sulla base di diagnosi e procedure mediche, Schede di dimissione ospedaliera (SDO) e Diagnosis Related Group (DRG), potrebbe essere auspicabile l’introduzione della Complessità Assistenziale all’interno del sistema di rimborso ospedaliero italiano [25]. Come i DRG, ma costruito su informazioni di natura infermieristica, sarebbe in grado di rafforzare l'identità professionale degli operatori e conferire un grosso valore all’assistenza, ottenendo una efficiente gestione delle risorse, un valido sostegno e maggiore visibilità per l’Ordinamento Professionale e permetterebbe di raggiungere migliore outcome per il paziente [6,8,10,25,51-56].

Condurre una simile valutazione, se possibile con strumenti specifici nati per questo scopo [5, 25], può avere effetti positivi sui processi di nursing, mettendo in luce le criticità presenti da un punto di vista semantico e migliorando così il corretto passaggio delle informazioni [10]. Documentare in maniera accurata il processo di nursing e mettere in relazione tali informazioni con altri dati, potrebbe essere utile per incrementare la ricerca, la pianificazione assistenziale e il management e per dimostrare la relazione tra documentazione infermieristica e outcome del paziente [6,7,25-56]. Uno strumento quale il D-Catch potrebbe fungere da indicatore di accuratezza della diagnosi infermieristica e di tutto il processo assistenziale, dando informazioni anche sulla qualità delle cure erogate [5].

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto alcun finanziamento specifico da parte di agenzie di finanziamento nei settori pubblico, commerciale o non profit.

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio

 

Limiti dello studio

La mancata compilazione ed elaborazione di una diagnosi accurata, non ha permesso agli autori di esplorare il grado di accuratezza e correlazione tra formulazione della diagnosi ed obiettivi e interventi. Inoltre, dato l’esiguo numero di cartelle infermieristiche raccolte, sarebbe auspicabile un ulteriore studio che coinvolga un maggior numero di cartelle infermieristiche, che consentirebbe di migliorare la qualità dei nostri risultati, riducendo possibili bias statistici.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. The Joint Commission. Hospital accreditation standards. Oakbrook, IL. 2012.
  2. World Alliance for Patient Safety, World Health Organization, W.H.O. Guidelines for Safe Surgery. 1st edn. WHO Press, Geneva. 2008:127–128.
  3. CEN- European Committee for Standardization Technical Committee 251. Health Informatics, systems of concepts to support nursing prENV 14032. 2000. Brussels, Belgium: Author.
  4. Direttiva 2011/24 / UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, relativa all'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera. Disponibile a: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:32011L0024  Ultimo accesso: 21 febbraio 2019.
  5. D’Agostino F, Barbaranelli C, Paans W, Belsito R, Vela RJ, Alvaro R, Vellone E. Psycometric evaluation of the D-Catch, an instrument to measure the accuracy of nursing documentation. Int J of Nurs Know. 2017;(28)3:145-152.
  6. Fraunfelder F, Van Achterbeg T, Needham I, Muller-Staub, M. Nursing diagnosis in inpatient psychiatry. Int J of Nurs Know. 2016;(27)1:24-34.
  7. Paans W, Muller-Staub M. Patients care needs: documentation analysis in general hospitals. Int J of Nurs Knowl. 2015;(26)4:178-186.
  8. Ferreira AM, Rocha Edo N, Lopes CT, Bachion MM, Lopes Jde L, Barros AL. Nursing diagnoses in intensive care: cross-mapping and NANDA-I taxonomy. Rev Bras Enferm. 2016;(69)2:307-15.
  9. Lunney M. Nursing assessment, clinical judgment, and nursing diagnoses: How to determine accurate diagnoses. In T. H. Herdman (Ed.) NANDA International nursing diagnoses: Definitions and classification. Oxford: Wiley‐Blackwell. 2012–2014:71–89.
  10. Goossen, W. Cross-mapping between three terminologies with the international standard nursing reference terminology model. Int J Nurs Terminol Classif. 2006;17(4):153-164.
  11. De Carvalho EC, Eduardo AHA, Romanzini A, Simão TP, Zamarioli CM, Garbuio DC, Herdman TH. Correspondence Between NANDA International Nursing Diagnoses and Outcomes as Proposed by the Nursing Outcomes Classification. Int J Nurs Knowl. 2018;29(1):66-78.
  12. Paans W, Sermeus W, Nieweg R, Van der Schans C. Development of a measurement instrument for nursing documentation in the patient record. Studies in Health Technology and informatics. 2009;146:297-300.
  13. Di Simone E, Giannetta N, Auddino F, Cicotto A, Grilli D, Di Muzio M. Medication errors in the emergency department: knowledge, attitude, Behaviour and training needs of nurses. Ind J of Crit Care Med. 2018;22(5):346-352.
  14. Paans W, Sermeus W, Nieweg RM, van der Schans CP (Doenges & Moorhouse 2003). D-Catch instrument: development and psychometric testing of a measurement instrument for nursing documentation in hospitals. J Adv Nurs. 2010 Jun;66(6):1388-400. doi: 10.1111/j.1365-2648.2010.05302.x.
  15. Decreto Commissario ad Acta n. 247 del 25 Luglio 2014. Adozione della nuova edizione dei Programmi Operativi 2013-2015 a salvaguardia degli obiettivi strategici di Rientro dai disavanzi sanitari della Regione Lazio.
  16. Decreto del Commissario ad Acta n. 428/2013. Percorso attuativo delle case della salute.
  17. Decreto del Commissario ad Acta n. 87/2009. Approvazione Piano Sanitario Regionale (PSR) 2010 2012: Integrazioni e modifiche.
  18. Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421. Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 1992, n. 305, S.O.
  19. Decreto-legge 27 agosto 1994, n. 512. Disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle unità sanitarie locali. (Gazzetta Ufficiale 29 agosto, n. 201).
  20. Delibera Commisario ad Acta - Consiglio dei Ministri, 21 marzo 2013. Disponibile alla pagina: http://www.regione.lazio.it/binary/rl_sanita/tbl_normativa/DCA_U00002_09_01_15_Terme_Alba.pdf. Consultato in data: 30 Giugno 2017.
  21. Regione Lazio, Direzione Salute e integrazione sociosanitaria. Istituzione Gruppo di Lavoro per la predisposizione delle linee d'indirizzo regionali su: "Unità di Degenza a Gestione Infermieristica - Modello organizzativo. Atti dirigenziali di Gestione Determinazione 11 settembre 2014;G12842
  22. Regione Lazio. Piano Sanitario Regionale 2010-2012. 2010.
  23. Croce D, Sebastiano A, Genduso G. Le innovazioni nella progettazione degli assetti organizzativi in sanità. In “Sanità Pubblica e Privata”. 2007;4.
  24. Moroni P, Colnaghi E, Bonfanti M, Casartelli L, Croce D, Foglia E, Porazzi E. Nuovi modelli modulari di cura: lintensità di cura a dimensione variabile. Il caso dellAzienda Ospedaliera di Desio e Vimercate. In Sanità Pubblica e Privata. 2011;3:46-57.
  25. D'Agostino F, Zeffiro V, Vellone E, Ausili D, Belsito R, Leto A, Alvaro R. Cross-Mapping of Nursing Care Terms Recorded in Italian Hospitals into the Standardized NNN Terminology. Int J Nurs Knowl. 2018;0(0):1-10.
  26. Gonçalves Pires V, Ferreira Santana R, Mendes de Araùjo C, Ramos Rosembach de Vasconcellos I, de Almeida Marques Oliveira L, Solange de Silva M. Postoperative home visit in orthopedics: diagnosis mapping and nursing interventions. Journal of Nursing UFPE/Revista de Enfermagem UFPE. 2018;12(6):1593-1602.
  27. Tosin MHS, Campos DM, Blanco L, Santana RF, de Oliveira BGRB. Mapping nursing language terms of Parkinson's disease. Revista da Escola de Enfermagem. 2015;49(3):409-416.
  28. Alves VC, Freitas WCJ, Ramos JS, Chagas SRG, Azevedo C, Mata LRFD. Actions of the fall prevention protocol: mapping with the classification of nursing interventions. Rev Lat Am Enfermagem. 2017;21(25):e2986.
  29. Tannure MC, Salgado Pde O, Chianca TC. Cross-Mapping: diagnostic labels formulated according to the ICNP® versus diagnosis of NANDA International. Rev Bras Enferm. 2014;67(6):972-8.
  30. Da Silva MR, Silva DO, Dos Santos TI, Rodrigues AB, Barbosa DA. Mapping of nursing diagnoses, results and interventions in an oncology unit. Revista Enfermagem. 2017;25(1):e15133
  31. Silva RA, Martins AKL, De Castro NB, Butcher HK, Da Silva VM. Analysis of the concept of powerlessness in individuals with stroke. Investigacion y Educacion en Enfermeria. 2017;35(3):306-319.
  32. Silva VG, De Pereira JMV, Da Figueiredo, LS, Guimarães TCF, Cavalcanti ACD. Nursing diagnoses in children with congenital heart disease: Cross mapping. ACTA Paulista de Enfermagem. 2015;28(6):524-530.
  33. Campos DM, De Siqueira Tosin MH, Blanco L, Santana R.F, De Oliveira BGRB. Nursing diagnoses for urinary disorders in patients with Parkinson's disease. ACTA Paulista de Enfermagem. 2015;28(2):190-195.
  34. Moreira RAN, Caetano JA, Barros LM, Galvão MTG. Nursing diagnoses, related factors and risk factors during the postoperative period following bariatric surgery. Revista da Escola de Enfermagem. 2013;47(1):165-172.
  35. Aquino RD, Fonseca SM, Lourenço EPL, Leite AL, De Càssia Bettencourt AR. Mapping nursing diagnoses in a pulmonology unit. ACTA Paulista de Enfermagem. 2011;24(2):192-198.
  36. Azevedo C, Ferreira de Mata LR, Costa Faleiro J, Aparecida Ferreira M, Pedroso de Oliveira S, Campos de Carvalho E. Classificação de intervenções de enfermagem para planejamento de alta médica a pacientes come stomia intestinais. Journal of Nursing. Revista de Enfermafem ufpe. 2016;10(2):531-38.
  37. North American Nursing Diagnosis Association National Conference Miami, FL. NANDA International. Diagnosi Infermieristiche, definizioni e classificazione 2012-2014, Milano, Casa Editrice Ambrosiana. 2012.
  38. Schwirian PM, Thede L. Informatics: The Standardized Nursing Terminologies: A National Survey of Nurses' Experience and Attitudes--SURVEY II: Participants, Familiarity and Information Sources. Online J Issues Nurs. 2012; 17(2): 1-1. 1p.
  39. Carpenito-Moyet L.J. Diagnosi infermieristiche. Applicazione alla pratica clinica. Ambrosiana, Milano, VI ed. 2014.
  40. Carpenito, LJ. Manuale tascabile delle diagnosi infermieristiche. 6° ed. Casa Editrice Ambrosiana. 2014:506.
  41. Carpenito, LJ. Manuale tascabile delle diagnosi infermieristiche. 6° ed. Casa Editrice Ambrosiana. 2014:644).
  42. Carpenito, LJ. Manuale tascabile delle diagnosi infermieristiche. 6° ed. Casa Editrice Ambrosiana. 2014:799.
  43. Palese A, Colognese S, Pellicciari C, Mecugni D, VISPA's group. Implementation strategies of Measurement Instruments and Their Validity as Adopted in Italian Hospital Nursing Practice: An Italian cross-sectional study. Int J Nurs Know. 2012;23(2):75-85.
  44. Palese A, Zanini A, Carlevaris E, Morandin A, Carpanelli I, Dante A. Hidden outpatient oncology Clinical Nursing Minimum Data Set: Findings from an Italian multi-method study. Eur J Oncol Nurs. 2013;(17):423- 428.
  45. Zega M, D’Agostino F, Bowles KH, De Marinis MG, Rocco G, Vellone E, Alvaro R. Development and validation of a computerized assessment form to support nursing diagnosis. Int J Nurs Knowl. 2014;25(1):22-9.
  46. D’Agostino F, Zega M, Rocco G, Luzzi L, Vellone E, Alvaro R. Impact of a nursing information system in clinical practice: a longitudinal study project. Ann Ig. 2013;25(4):329-41.
  47. Beckers Marques de Almeida DM, Mendes Bertoncello Fontes C. Creating electronic screens in a hospital information system using nursing classifications. Revista Eletronica de Enfermagem. 2013; 15(4): 956-964.
  48. D’Agostino F, Vellone E, Tontini F, Zega M, Alvaro R. Development of a computerized system using standard nursing language for creation of a nursing minimum data set. Prof Inf. 2012; 65(2):103-109.
  49. Palese A, Tameni A, Ambrosi E, Albanese S, Barausse M, Benazzi B, De Togni S, Doro R, Eccher C, Fattori M, Franchini P, Girlanda M, Gobbetti D, Guarino L, Lazzeri R, Moreale R, Ricci N, Venturini M, Villa G, Zonzini E, Saiani L. Clinical assessment instruments validated for nursing practice in the Italian context: a systematic review of the literature. Ann Ist Super Sanità. 2014;50(1):67-76.
  50. Tibaldi L, Figura M, Chiefari RL, Roncone A, Giannetta N, Dionisi S, Cianciulli A, Fiorinelli M, Chiarini M, Di Simone E, Di Muzio M. Assistenza Infermieristica ed esiti sensibili. Unità operativa a gestione infermieristica: uno studio retrospettivo. Health Professionals Magazine, HPM 2019;7(1):1-6. (ISSN: 2282-3425), DOI: 10.12864/HPM.2019.166 - INDEXED IN ROAD, the Directory of Open Access scholarly.
  51. Tibaldi L, Figura M, Di Muzio M, Rocco G. Gli esiti sensibili all’assistenza infermieristica in un’unità operativa a gestione infermieristica. Centro di Eccellenza per la Cultura Infermieristica. Scientific Annual Report. 2018:94-98.
  52. Cesa S, Casati M, Galbiati G, Colleoni P, Barbui T, Chiappa L, Capitoni E. Gli esiti sensibili alle cure infermieristiche e i sistemi elettronici per la raccolta di dati clinici: una revisione della letteratura. L’infermiere. 2014;51(3):e37-45.
  53. Zega M, D’Agostino F, Alvaro R, Rocco G. Impatto del professional assessment instrument. Utilizzo del Nursing Minimum Data Set del PAI per descrivere lassistenza infermieristica e valutare il suo impatto. Centro di Eccellenza per la Cultura Infermieristica. Scientific Annual Report. 2016:79-84.
  54. Oliveira FP, Oliveira BG, Santana RF, Silva Bde P, Candido Jde S. Nursing interventions and outcomes classifications in patients with wounds: cross-mapping. Rev Gaucha Enferm. 2016 Jun;37(2):e55033.
  55. Sansoni J, Luzzi L, Degan M, Woinowski G, La Torre E, Giustini M, Bonardi S, Palese, A, Colognese, S, Pellicciari, C, Mecigni, D. Italian translation and validation of the ICNP Beta (International Classification for Nursing Practice. Prof Inferm. 2002;55(2):66-77.
  56. Farrow C. A Comparison between the feeding practices of parents and grandparents. Eating Behaviors. Eat Behav. 2014;15(3):339-42.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


La correlazione tra self-efficacy e aderenza alla restrizione di liquidi nei pazienti in trattamento con emodialisi. Una revisione della letteratura

Guillari Assunta1*, Lanzuise Aniello2, Santopaolo Giuseppe3, Cristiano Domenico Ciro4, Damiano Francesco Ottaiano3, Rea Teresa1.

1. Dipartimento di Sanità Pubblica, AOU Federico II di Napoli
2. Direzione Infermieristica P.O. S. Maria della Pietà, Camilliani Casoria (NA)
3. Infermiere Libero Professionista
4. U.O. di Pediatria, P.O. S. Maria della Speranza, Battipaglia (SA)

*Corresponding Author: Guillari Assunta, Dipartimento di Sanità Pubblica, A.O.U. Federico II di Napoli (Italia). E-mail: aguillari70@gmail.com

https://doi.org/10.32549/OPI-NSC-27

Cita questo articolo

ABSTRACT
Introduzione: La Malattia Renale Cronica è diventata un importante problema di salute globale, con una prevalenza che va da 8% a 16% nella popolazione adulta. Il paziente con Malattia Renale all’ultimo Stadio in trattamento con emodialisi, deve aderire ad una terapia complessa, impegnativa e di lunga durata. Il controllo dei fluidi nei pazienti in dialisi rappresenta un importante fattore predittivo di esito ma è una restrizione difficile da raggiungere. La percezione della self-efficacy risulta avere un ruolo fondamentale nell’aderenza terapeutica; pertanto l’obiettivo della revisione è stato quello di identificare le relazioni tra la self-efficacy nei soggetti in trattamento emodialitico e il livello di adesione al corretto introito di liquidi.

Materiali e Metodi: La revisione è stata condotta utilizzando il database PubMed, nel periodo tra gennaio 2007 ed agosto 2017. Sono stati inclusi studi primari, revisioni sistematiche e Linee Guida. Le parole chiave utilizzate sono state Malattia Renale allo Stadio Terminale; emodialisi, auto-efficacia; restrizione di liquidi.

Risultati/Discussione: Dalla revisione è emerso che la self-efficacy è stata positivamente correlata con la cura di sé. Pertanto è necessaria la rilevazione del livello di self-efficacy per la valutazione predittiva dell’aderenza alla restrizione dei liquidi. Programmi di miglioramento, di autogestione e di auto-efficacia possono influenzare l’aderenza al controllo di liquidi nei soggetti affetti da malattia renale cronica in trattamento emodialitico.

Parole Chiave: Malattia Renale allo Stadio Terminale; Emodialisi, Auto-efficacia; Restrizione di liquidi.

CORRELATION BETWEEN SELF-EFFICACY AND ADHERENCE TO FLUID RESTRICTION IN PATIENTS RECEIVING HAEMODIALYSIS. A LITERATURE REVIEW

ABSTRACT
Introduction: Chronic kidney disease has become a major global health issue, with a prevalence ranges from 8% to 16% in the adult population. A patient with End-Stage Kidney Disease receiving haemodialysis must adhere to complex, challenging and long-lasting therapy. Fluid control in patients on dialysis is an important predictor of outcome but is a difficult restriction to achieve. The perception of self-efficacy turns out to have a fundamental role in therapeutic adherence. Therefore, the aim of this review was to identify the relation between self-efficacy in patients undergoing haemodialysis and the compliance to a correct fluid intake.

Material and Methods: The review was performed through the PubMed database, in the period from January 2007 to August 2017. Primary studies, systematic reviews and Guide Lines have been included. Keyword used were End-Stage Kidney Disease; haemodialysis; self-efficacy; fluid restriction.

Results/Discussion: The review showed that self-efficacy has been positively associated to the self-care. It is therefore necessary to detect the self-efficacy level to make a predictive assessment of the compliance to fluid restrictions. Improvement, self-management and self-efficacy programs can influence the adherence to the fluid control in End-Stage Renal Disease patients on haemodialysis.

Keywords: End Stage Renal Disease; Hemodialysis; Self-Efficacy; Fluid intake restriction.

INTRODUZIONE
La Malattia Renale Cronica (MRC) rappresenta oggi un problema rilevante nel mondo [1-4], con una prevalenza che va dall’ l'8% al 16% nella popolazione adulta [3]. Lo stadio terminale di tale patologia (End Stage Renal Disease o ESRD) è generalmente definito dal ricorso a terapia dialitica o al trapianto di rene per consentire il proseguimento della vita ai soggetti che ne sono affetti. A livello mondiale, il numero di persone che riceve la terapia sostitutiva renale (RRT) è stimato in oltre 1,4 milioni, con un'incidenza in crescita di circa l'8% all'anno. Alla fine del 2014 erano circa 3.346.000 persone ad aver avuto diagnosti di malattia renale cronica allo stadio terminale (ESRD); di queste, 2.358 milioni di persone, sono state trattate in 36.000 centri di dialisi. Vi è una crescita annua del trattamento emodialitico del 6,5% a livello mondiale [5]. Trattamento risolutivo è rappresentato dal trapianto di rene [6], ma oltre ad essere complesso da attuare e costoso, non tutti i pazienti possiedono i requisiti per essere candidati al trapianto; per la RRT si stima una spesa annuale di circa 50.000 dollari in Europa[1]. Il paziente con malattia cronica all’ultimo stadio (ESRD) in trattamento con emodialisi, deve aderire ad una terapia complessa, impegnativa e di lunga durata, caratterizzata da uno schema dietetico restrittivo e da una cospicua assunzione di farmaci e deve, inoltre, modificare il proprio stile di vita[7] .
La restrizione di liquidi è una delle principali indicazioni di cui la persona nefropatica con diuresi contratta necessita per il corretto mantenimento del bilancio idrico, proprio perché, nonostante le sedute dialitiche comportino una perdita di liquidi, la riduzione di questi ultimi, sia per il ridotto quantitativo che per la moderata velocità non dannosa, risulta insufficientemente apprezzabile per il mantenimento dell’equilibrio idrico.
La mancata aderenza alla restrizione di liquidi in soggetto sottoposto a trattamento dialitico per malattia renale cronica significa un aumento incontrollato dei liquidi presenti nell’organismo. Quindi un aumento del peso corporeo oltre il 4,5% del peso totale post dialisi con l’assunzione di oltre 1 l di liquidi può determinare una ritenzione idrica che è causa di scompenso cardiaco e ipertensione arteriosa che aumenta sensibilmente il rischio di malattie cardiovascolari come ictus cerebrale e infarto del miocardio, oltre al peggioramento della malattia renale attraverso il danneggiamento dei glomeruli renali. Il tutto può essere preceduto da una sintomatologia di nausea, crampi muscolari e vertigini[8]. La percezione della self-efficacy gioca un ruolo fondamentale nell’aderenza terapeutica [9]; una persona con una bassa autosufficienza raramente cerca di fare un qualsiasi sforzo per soddisfare un nuovo comportamento di salute o per alterare un comportamento a cui sono abituati [5]. L'auto-efficacia, o self-efficacy, è la convinzione di una persona sulla sua capacità di svolgere un compito o di affrontare le sfide della vita [10], ovvero la forza della propria convinzione nella propria capacità di completare i compiti e raggiungere gli obiettivi[11, 12]. Come per quasi tutte le patologie croniche e per il mantenimento di un corretto stato di salute prestare attenzione ai rischi per la salute e allo stile di vita personale sono aspetti fondamentali [13, 14].
I comportamenti che promuovono la salute sono comportamenti o azioni che le persone svolgono perché tendono a migliorare il loro stato di salute [15, 16]. La promozione della salute comporta una significativa riduzione delle spese per l'assistenza sanitaria e sociale[17]. Secondo OMS dal 70 all'80% della mortalità nei paesi sviluppati e dal 40 al 50% della mortalità nei paesi in via di sviluppo sono dovute a malattie legate allo stile di vita. Per tale motivo l'obiettivo più importante dell'organizzazione è mantenere e migliorare uno stile di vita sano[18]. Da un’analisi della letteratura scientifica è emerso che la valutazione accurata delle abilità e della capacità di autogestione è cruciale per l’effettiva efficacia dell'intervento sanitario. Nei loro studi, Du [19] e Chiou [20] hanno dimostrato che la chiave per promuovere l'autogestione è la collaborazione tra personale sanitario e i pazienti e che le attività di questa partnership comprendono, tra le altre, la valorizzazione della valutazione della self-efficacy, con l'obiettivo di creare cambiamenti positivi nel comportamento e promuovendo l'interpretazione e la segnalazione dei sintomi riferibili ad una minor aderenza restrittiva. Poiché quest’ultima risulta essere disattesa in un numero di pazienti pari in percentuale al 50% [21], ne consegue che la gestione della malattia renale passa attraverso la rilevanza che riveste l’educazione sanitaria in correlazione alla self-efficacy [22] e che essa risulta ricoprire un ruolo significativo per il controllo e la gestione e nel trattamento della malattia cronica renale. La misurazione della self-efficacy promuove, dunque, una maggiore efficacia gestionale della patologia renale con riduzione delle conseguenze sintomatologiche e fisiopatologiche connesse, oltre a rappresentare, nell’accezione di indicatore, uno stato di valutazione, o integrazione, degli interventi educativi e relazionali. Come finora è emerso, l’importanza dell’educazione e dell’aderenza al piano nutrizionale nel paziente emodializzato risulta essere di fondamentale importanza, dalla letteratura è ampiamente emerso quali siano i principali impedimenti dell’educazione ai pazienti, quali siano le principali complicanze derivanti da una non aderenza e quali siano i vantaggi di un efficace educazione/informazione al paziente. Tuttavia in letteratura non emergono indicazioni sulle strategie da seguire per raggiungere un aderenza ottimale e gli studi in letteratura che rilevano i metodi più efficaci per educare i pazienti risultano tutt’ora limitati e poco chiari.

2.2 Materiale E Metodi
L’obiettivo della revisione è stato quello di identificare le relazioni tra la self-efficacy nei soggetti in trattamento emodialitico e il livello di adesione al corretto introito di liquidi.

Quesito di ricerca
Quale correlazione esiste tra l’aderenza alla restrizione di liquidi ed il livello di self efficacy nei soggetti in trattamento con emodialisi per malattia renale cronica?

Elementi del PICO (Tab 1). Il PICO specifica la tipologia del paziente, l’intervento, eventuale intervento di comparazione e gli esiti.

Il processo di revisione è stato condotto seguendo le seguenti cinque fasi: identificazione del problema di ricerca, ricerche bibliografiche, la valutazione dei dati, l’analisi dei dati e la presentazione della sintesi del risultati. Individuato il problema di ricerca, la seconda fase è stata la ricerca della letteratura. La ricerca è stata condotta utilizzando il database PubMed. I termini MeSH di ricerca inclusi, come Chronic Kidney Disease, Self-Care, Self-Efficacy, Education, Barriers To Dietary Restriction, Barriers To Fluid Restrictions, Hemodialysis e Nursing, sono stati combinati tra di loro con l’utilizzo di operatori booleani. I limiti per la ricerca elettronica erano che gli articoli dovevano essere pubblicati in lingua inglese o italiano tra gennaio 2007 e Agosto 2017. Sono stati considerati gli studi che rispondono alle ipotesi di ricerca bibliografica. Sono stati inclusi studi primari, revisioni sistematiche e Linee Guida (vedi Tab.2 – Stringhe di ricerca e Tab. 3 Strategie di ricerca). Gli abstracts sono stati valutati in base ai criteri di inclusione e di esclusione di seguito descritti al fine di determinare se proseguire o meno nella ricerca e recupero dei full text. Tutti i full text sono stati a loro volta valutati in base ai criteri generali e specifici di inclusione/esclusione (vedi Tab. 4) per identificare quelli eleggibili per la revisione. La ricerca bibliografica è stata condotta dal giorno 3 aprile 2017 al giorno 31 agosto 2017. I 72 articoli iniziali sono stati selezionati in quattro fasi, in base al titolo (n = 17), all’abstract (n = 10), ai full-text (n = 2) e utilizzo criteri di inclusione e criteri di esclusione (n = 39). Ciò ha portato alla selezione di 4 articoli (vedi Tab. 5)

2.3 Analisi dei Risultati
Le fonti selezionate hanno permesso l’acquisizione dei dati necessari allo sviluppo del quesito posto, rilevando la correlazione tra la self-efficacy e l’aderenza alla restrizione di liquidi nei soggetti con malattia renale cronica vertendo sulla valutazione della self-efficacy e l’educazione sanitaria dell’équipe di dialisi in riferimento all’ accrescimento dell’autoefficacia attraverso l’incoraggiamento. L’aderenza del soggetto emodializzato rispetto la dieta idrica risulta essere un problema clinico importante per favorire l’efficacia nel trattamento terapeutico e la prevenzione di complicanze. La valutazione della self-efficacy è un processo strategico nella gestione della malattia renale cronica in trattamento emodialitico perché favorisce l’aderenza terapeutica in fatto di bilancio idrico, responsabile di complicanze nel trattamento della patologia renale. Gli studi hanno mostrato le aspettative rispetto gli outcome e l’influenza della self-efficacy circa l’aderenza terapeutica. La compliance dei soggetti emodializzati può dipendere sia da fattori individuali come la presenza di comorbilità, status socio-economico svantaggiato, ansia o depressione che da fattori di supporto come la rete familiare o sociale e dell’èquipe sanitaria con una corretta educazione terapeutica. Infatti negli studi selezionati si è posta l’attenzione sui fattori e gli effetti della self-efficacy dei soggetti con malattia renale cronica, sulle caratteristiche dei soggetti con difficoltà nell’adesione terapeutica, sul rapporto tra la non-aderenza fluida, i sintomi depressivi, e i benefici dell'esercizio fisico, e sul rapporto tra l’incoraggiamento del personale della dialisi e l’aderenza terapeutica. Dallo studio di Shu-Fang Vivienne Wu et al [23] condotto su 247 soggetti con malattia renale cronica è emerso che l'autoefficacia è un mediatore cruciale tra la conoscenza e la cura di sé. Pertanto gli operatori sanitari devono offrire strategie che possono migliorare l'autoefficacia al fine di aumentare e favorire i comportamenti curativi e terapeutici per la gestione della malattia renale cronica. Risultati similari sono stati evidenziati dallo studio di Yokoyama Y et al [24] condotto su 72 soggetti emodializzati, rilevando l'importanza dell’incoraggiamento del personale di dialisi per migliorare l'adesione terapeutica all’assunzione di liquidi. Una minor aderenza terapeutica è stata dimostrata in soggetti giovani [25] e/o con depressione [26].

2.4 Discussione dei Risultati
Il cambiamento del comportamento, compresa l'alterazione del comportamento disadattivo, è una sfida per i pazienti, per la loro famiglia e per i professionisti. Dalla letteratura è emerso che la self-efficacy ha un effetto positivo sui comportamenti sanitari, l'auto-gestione della malattia, e la condizione di salute per i pazienti con malattie croniche. Lo scopo della revisione è stato quello di individuare la correlazione tra l’aderenza al controllo di liquidi e la self-efficacy. Dalla revisione è emerso che l'auto-efficacia è stata positivamente correlata con la cura di sé e che programmi di miglioramento di autogestione e di auto-efficacia possono influenzare l’aderenza al controllo di liquidi nei soggetti affetti da malattia renale cronica in trattamento emodialitico. I fattori che influenzano l’aderenza sono dati da caratteristiche individuali come l’età, il sesso, e dalla percezione del proprio stato di salute e da variabili psicosociali. Le fonti selezionati, evidenziano in maniera netta l’importanza dell’educazione sanitaria per migliorare la self-efficacy.
L’infermiere, come membro dell’equipe sanitaria di dialisi, deve partecipare attivamente a questo processo educativo, non solo in quanto previsto dal profilo professionale regolamentato dal D.P.R. 739/94 attraverso la definizione dell’assistenza infermieristica come preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa, e di natura tecnica, relazionale ed educativa, ma proprio perché l’utilizzo di interventi educativi permette agli assistiti di modificare un inadeguato stile di vita con abitudini che rispecchiano le indicazioni terapeutiche necessarie per il controllo e la gestione della malattia renale cronica. Gli studi hanno mostrato una necessità di intervento educativo, fornendo reali evidenze sull’efficacia degli interventi designati a portare un cambiamento comportamentale e a favorire l’autogestione e l’autoefficacia. Gli infermieri, quindi, nel rispetto della propria mission professionale, aumenteranno la probabilità di adesione terapeutica dei pazienti in dialisi instaurando un rapporto professionale di fiducia che miri a fornire all’assistito un’educazione sanitaria, un supporto e un incoraggiamento continuativo nel tempo. Infatti, una buona relazione tra paziente e provider di assistenza insieme all’utilizzo dell’ascolto attivo e delle abilità comunicative sono fondamentali per coinvolgere gli individui, affetti da patologie croniche, nella cura di sé. Si ritiene che ulteriori studi debbano essere compiuti per valutare gli interventi di un team multidisciplinare a favore dell’incremento della self-efficacy, con un campione rilevante e un coinvolgimento dei caregiver. Negli individui in trattamento emodialitico si ritiene necessaria la misurazione delle capacità cognitive, attraverso uno strumento di indagine standardizzato e utilizzabile allo scopo predittivo, per la valutazione dell’aderenza terapeutica che possa indirizzare gli operatori sanitari nell’attuazione di specifiche azioni educative.

BIBLIOGRAFIA
1. Najafi, A., Peritoneal dialysis in Iran & world. Tehran, Pel Publication, 2013. 36.
2. Mahmood, U., et al., Spectrum (characteristics) of patients with chronic kidney disease (CKD) with increasing age in a major metropolitan renal service. BMC Nephrol, 2017. 18(1): p. 372.
3. Jha, V., et al., Chronic kidney disease: global dimension and perspectives. Lancet, 2013. 382(9888): p. 260-72.
4. Cass, A., et al., The economic impact of end-stage kidney disease in Australia: Projections to 2020. Melbourne: Kidney Health Australia, 2010.
5. Kiajamali, M., et al., Correlation between social support, self-efficacy and health-promoting behavior in hemodialysis patients hospitalized in Karaj in 2015. Electron Physician, 2017. 9(7): p. 4820-4827.
6. Zeighami, M.S., F. Asadifard, and B.T. Bahrami, Distressing symptoms among patients with chronic renal failure undergoing hemodialysis and its relationship with quality of life. 2013.
7. John, A., et al., The relationship between self-efficacy and fluid and dietary compliance in hemodialysis patients. Clinical Scholars Review, 2013. 6(2): p. 98-104.
8. Lurati, C. and R. Grilli, L'alimentazione della persona in trattamento dialitico. Agorà, 2013. 53: p. 50-51.
9. Rambod, M. and F. Rafii, Perceived social support and quality of life in Iranian hemodialysis patients. Journal of Nursing Scholarship, 2010. 42(3): p. 242-249.
10. Bandura, A., Autoefficacia. Teoria e applicazioni. 2000, Trento: Erickson.
11. Bandura, A., Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioral change. Psychological review, 1977. 84(2): p. 191.
12. Abdolahi, B., The role of self-efficacy in empowering employees. Tadbir, a Monthly Magazine on Management, 2006. 21(168): p. 35-40.
13. Haddad, L., et al., A comparison of health practices of Canadian and Jordanian nursing students. Public Health Nursing, 2004. 21(1): p. 85-90.
14. Hosseini, M., et al., Health-promoting behaviors and their association with certain demographic characteristics of nursing students of tehran city in 2013. Global journal of health science, 2015. 7(2): p. 264.
15. Hosseini, M., et al., Health-promoting behaviors in persons admitted to the health center selected in Tehran. 2014.
16. Peterson, S.J. and T.S. Bredow, Middle range theories: application to nursing research. 2009: Lippincott Williams & Wilkins.
17. Mohammadian, H., et al., Evaluation of pender's health promotion model in predicting adolescent girls' quality of life. Article in Persian]. Sci J School of Public Health Institute Public Health Res, 2011. 8(4): p. 1-13.
18. Davaridolatabadi, E. and G. Abdeyazdan, The Relation between Perceived Social Support and Anxiety in Patients under Hemodialysis. Electron Physician, 2016. 8(3): p. 2144-9.
19. Du, S. and C. Yuan, Evaluation of patient self‐management outcomes in health care: a systematic review. International nursing review, 2010. 57(2): p. 159-167.
20. Chiou, C.-P., Y.-C. Lu, and S.-Y. Hung, Self-management in patients with chronic kidney disease. Hu Li Za Zhi, 2016. 63(2): p. 5.
21. Chan, M., F.K. Wong, and S.K. Chow, Investigating the health profile of patients with end‐stage renal failure receiving peritoneal dialysis: a cluster analysis. Journal of clinical nursing, 2010. 19(5‐6): p. 649-657.
22. Enworom, C.D. and M. Tabi, Evaluation of Kidney Disease Education on Clinical Outcomes and Knowledge of Self-Management Behaviors of Patients with Chronic Kidney Disease. Nephrology Nursing Journal, 2015. 42(4).
23. Wu, S.F.V., et al., Prediction of self‐care behaviour on the basis of knowledge about chronic kidney disease using self‐efficacy as a mediator. Journal of clinical nursing, 2016. 25(17-18): p. 2609-2618.
24. Yokoyama, Y., et al., Dialysis staff encouragement and fluid control adherence in patients on hemodialysis. Nephrol Nurs J, 2009. 36(3): p. 289-97.
25. Clark-Cutaia, M.N., et al., Adherence to hemodialysis dietary sodium recommendations: influence of patient characteristics, self-efficacy, and perceived barriers. J Ren Nutr, 2014. 24(2): p. 92-9.
26. Khalil, A.A., et al., Predictors of dietary and fluid non‐adherence in Jordanian patients with end‐stage renal disease receiving haemodialysis: a cross‐sectional study. Journal of Clinical Nursing, 2013. 22(1-2): p. 127-136.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


L'influenza della morte endouterina fetale sulla salute emotiva degli operatori sanitari

Dott.ssa Pulpito Rita1; Dott.ssa Cavone Graziana2; Dott.ssa Prussiano Giusy Flavia3; Dott. Silvio Simeone4; Dott.ssa Filomena Stile5*

  1. Docente a contratto presso Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” - Scuola di Medicina Corso di Laurea in Ostetricia. CPS Ostetrica presso P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca
  2. Laureata in Ostetricia presso Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
  3. CPS Ostetrica presso P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca
  4. Assegnista di Ricerca, Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
  5. Docente a contratto presso Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” - Scuola di Medicina Corso di Laurea in Ostetricia. CPS Ostetrica presso P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca

 

* Corresponding Author: Dott.ssa Filomena Stile, Dipartimento di Ostetricia - P.O. “Valle d’Itria” – Martina Franca , Docente a contratto Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”  (Italia). E-mail: filo_memy@hotmail.it

https://doi.org/10.32549/OPI-NSC-26

Cita questo articolo

ABSTRACT 

Introduzione: La morte endouterina fetale rappresenta un problema rilevante per la mortalità perinatale colpendo 2,6 milioni di famiglie ogni anno. Tale evento influenza anche il benessere psicofisico degli operatori sanitari ponendoli a rischio di sviluppare una Sindrome da Burnout

Obiettivo: Valutazione dell’influenza del percorso assistenziale in caso di morte endouterina fetale sulla salute emotiva degli operatori sanitari.

Materiali e Metodi: Indagine osservazionale multicentrica effettuata con campionamento di convenienza. Il campione risulta formato da 110 professionisti quali Ostetriche, Medici e medici in formazione. Si sono utilizzati il questionario di Ravaldi, l’Impact of Event Scale e la MaslachBurn-out Inventory.

Risultati: Più della metà degli intervistati (60.9%) affermano di non aver ricevuto nessun tipo di preparazione se non quella post base acquisita autonomamente (54,5%). Dall’analisi dell’IES risulta che l’ostetrica sia la figura maggiormente colpita da sintomi da stress post traumatico in seguito ad assistenza in caso di MEF. Dall’analisi del MBI si nota come possa esserci una stretta correlazione tra MEF e Burnout in mancanza di una adeguata preparazione, in particolare nei medici in formazione.

Discussione e conclusione

Una formazione specifica nell’assistenza alle famiglie colpite da MEF può aiutare gli operatori sanitari nella gestione dell’evento.

Parole chiave: professionista sanitario, lutto perinatale, sindrome di Burnout, studi qualitativi, formazione

 

 

THE IMPACT OF PERINATAL LOSS ON THE HEALTH PROFESSIONALS’ EMOTIONAL WELL-BEING

 

ABSTRACT

Introduction: Fetal endouterine death is a significant problem for perinatal mortality affecting 2.6 million families each year. This event also influences the psychophysical well-being of health workers placing them at risk of developing a Burnout Syndrome

Objective: Evaluation of the influence of the care pathway in the event of fetal endouterine death on the health professionals’emotional well-being.

Materials and Methods: Multicentric observational survey carried out with convenience sampling. The sample consists of 110 professionals such as Midwives, Doctors and Post graduated. We used Ravaldi’ questionnaire, the Impact of Event Scale and the MaslachBurn-out Inventory

Results: More than half of the respondents (60.9%) say they have not received any kind of preparation other than the basic post acquired independently (54.5%). From the IES analysis it appears that the midwife is the figure most affected by post traumatic stress symptoms following assistance in case of MEF. An analysis of the MBI shows a close correlation between MEF and Burnout in the absence of adequate preparation, particularly in doctors in training.

Discussion and conclusion

Specific training in assisting families affected by MEF can help health professionals manage the event.

Keywords: health professional, perinatal loss, Burnout Syndrome, qualitative studies, training

 

 

INTRODUZIONE

La morte endouterina fetale (MEF), rappresenta un problema rilevante di mortalità perinatale1, oltre a essere un evento emotivo devastante per la madre2-3. La natimortalità colpisce circa 2,6 milioni di famiglie ogni anno1, coinvolgendo il 6-7% di tutte le gravidanze10.

La MEF è uno dei maggiori problemi che l’ostetricia moderna si trova ad affrontare e ha diverse definizioni a seconda che si basi sull’età gestazionale, o sul peso del nato morto. L’OMS5definisce col termine “morte in utero” tutte le perdite che avvengono dopo la 22 settimana di gestazione. Tuttavia in ambito internazionale comunemente si tende ad utilizzare una definizione basata sul criterio del peso alla nascita superiore a 1000g o età gestazionale superiore a 28 settimane (morti in utero terzo trimestre)3.

In Italia il tasso di natimortalità varia da 2,86 a 4,7 nati morti ogni 10005, con una notevole variabilità geografica (con un tasso pari a 4,7/1000 in Sicilia e 3,6/1000 in Lombardia)5

La morte in utero è ancora un evento sottostimato7, troppo spesso minimizzato in considerazione del fatto che il lutto dei genitori dopo la morte del loro bambino non è ancora legittimato o compreso né dai professionisti della salute, né dalle loro famiglie, né dalla società.6-7

Se non adeguatamente affrontata, questa situazione può alterare l’equilibrio affettivo e psicologico dei genitori in maniera definitiva6. La perdita in epoca perinatale, infatti, rappresenta un fattore di rischio psicologico e comportamentale anche per le eventuali gravidanze successive, tanto da compromettere potenzialmente lo stile di attaccamento genitoriale in termini psico-affettivi al figlio successivo7-8.

La morte perinatale ha un profondo impatto anche sul benessere psicofisico degli operatori sanitari9: i sentimenti di tristezza, incompetenza e impotenza, vengono spesso celati per proteggere la propria immagine professionale9.

Le strategie frequentemente utilizzate per limitare la tensione emotiva, possono limitare l’impegno assistenziale verso il paziente9-10. Inoltre vi è una preoccupazione medico legale che frena gli operatori nel mostrare empatia9.

Un percorso condiviso per gli operatori che si trovano di fronte tale situazione, un supporto di tipo istituzionale, spesso assente, è invece ritenuto essenziale10.

La letteratura scintifica9;11;29;30mostra come l’essenzialità della formazione circa la gestione del dolore da parte del personale possa influenzare la qualità delle cure erogate, il lavoro con i colleghi e l'intera organizzazione dello stesso processo assistenziale9;11.

Assistere una donna e una coppia colpita da morte perinatale può essere un’esperienza estremamente difficile e stressante per l’operatore sanitario, tanto da porre quest’ultimo a rischio di sviluppare una Sindrome da Burnout13. Descritta dalla psichiatra Maslach32 come una sindrome multidimensionale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale, tale sindrome è caratterizzata da tre componenti: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e riduzione delle prestazioni personali. Causata da una condizione di sovraccarico cronico della sfera interpersonale ed emotiva, riduce drasticamente la capacità di attendere ai propri compiti efficacemente29,31.

 

Obiettivo della ricerca

Finalità dello studio è valutare l’aspetto emotivo del personale sanitario dedito ad assistenza in caso di MEF.

 

MATERIALI E METODI

È stata condotta un’indagine osservazionale multicentrica. Si è utilizzato un campionamento di convenienza, contattando diverse Strutture Sanitarie distribuite sul territorio nazionale italiano. Sei delle venti strutture contattate hanno aderito allo studio: A.O.U. Policlinico di Bari, l’A.O.U. di Modena, l'A.O. "G. Brotzu" di Cagliari, l’A.O. “Bianchi Melacrino Morelli” di Reggio Calabria, l’A.O.U. "Maggiore della Carità" di Novara e il P.O.R. “Umberto Parini” di Aosta. È stato raccolto consenso informato tra gli operatori di dette strutture, dopo aver ottenuto l’autorizzazione a procedere con lo studio da parte delle direzioni generali e sanitarie degli istituti coinvolti. Ai professionisti che hanno aderito oltre ad essere stato spiegato lo scopo dell’indagine è stato assicurato di potersi ritirare in qualsiasi momento. Ne è risultato un campione composto da 110 professionisti sanitari: Ostetriche, Medici eMedici in formazione. Lo studio rispetta i principi della Convenzione di Helsinki.

 

Criteri di inclusione

  • Operatori sanitari,disponibili alla partecipazione allo studio, previo consenso (ostetriche, medici e medici in formazione)
  • Esperienza diretta di assistenza a MEF nell’ultimo semestre
  • Perfetta comprensione della lingua italiana

 

Criteri di esclusione

  • Operatori sanitari non disponibili alla partecipazione allo studio
  • Ritiro dallo studio

 

Raccolta dati

I dati sono stati raccolti tramite la somministrazione,ad ogni partecipante, di uno specifico questionario elaborato da     F. Ravaldi35 atto  a valutare la condotta e il bisogno di formazione dei professionisti sanitari nell’assistenza alle donne interessate da lutto perinatale e  già adottato in un’indagine35 condotta in Italia volta ad indagare i sintomi di Burnout  tra gli operatori sanitari35. Contemporaneamente sono state somministrate due Scale di valutazione l’ Impact of Event Scale (IES)14-15  e la MaslachBurn-out Inventory (MBI)16

La diffusione degli strumenti d’indagine è stata possibile solo tramite le Direzioni sanitarie dei diversi presidi che hanno a loro volta provveduto ad inviarli tramite posta aziendale di ogni singolo operatore facendo confluire i dati in unico database, afferente alla piattaforma “Google Drive” e qui elaborati.

 

Strumenti

Il questionario elaborato da F. Ravaldi35 è composto da quattro sezioni a risposta multipla, ed ha lo scopo di valutare la condotta dei professionisti sanitari nella cura delle donne interessate da un lutto perinatale e altresì il loro bisogno di formazione nella gestione dell’evento28.

L’Impact of Event Scale (IES)14-15, composta da 15 item con punteggio variabile da 0 a 4 indaga l’esperienza vissuta considerando l’intrusione e l’evitamento come modalità di risposta ad eventi di vita stressanti. Scala ampiamente utilizzata in letteratura25(Cacciatore J,2007) è stata già validata per la popolazione italiana (Pietrantonio F, 2003)26.

LaMaslachBurn-out Inventory (MBI),16 finalizzata alla valutazione del burn-out nel personale che opera nei servizi sociosanitari17.  Composta da 22 item che misurano le 3 dimensioni indipendenti della Sindrome di Burn-out, ovvero esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione personale. Ogni item è graduato da 0 a 6. La validità di tale strumento, risulta confermata anche sulla popolazione italiana33

 

RISULTATI

 

Lo studio vuole indagare come l’evento MEF possa influenzare la salute emotiva degli operatori sanitari ed il bisogno formativo richiesto dagli stessi  al fine di garantire cure efficaci ed efficienti.

Dopo una breve descrizione sociodemografica del campione l’analisi dei risultati è stata suddivisa in sezioni.

Il nostro campione(Tabella .1) risulta composto da 110 professionisti con una maggiore prevalenza del sesso femminile (93.6%). L’età media riscontrata è di 31,3± 3,4 (20-50+). In merito alla figura professionale quella maggiormente rappresentata è l’ostetrica (71,6%), seguita dallo specializzando (19,3%)ed infine dal medico (9,2%). In relazione all’anzianità di servizio, si riscontra, un’esigua percentuale di senior (27,3%) che ha dichiarato di lavora da più di 20 anni contro poco meno della metà dei partecipanti (45,5%) con un’esperienza lavorativa da 1-5 anni

Tabella 1 Caratteristiche socio demografiche del campione.

 

Tabella 1- caratteristiche generali del campione
  N %
Sesso      
M 15 6.4
F 85 93.6

 

Età 31,3±3,4 (20-50+)*
 

Ruolo

     
Ostetrica 65 71.6
Medico 8 9.2
Specializzando 18 19.3
 

Anzianità

7,14±4,5 (1-20+)*

1-5 50 45.5
6-10 30 27.3
11-19 19 17.3
20+ 11 10
 

 

*Mean±Standard deviation (range)

 SEZIONE A

Con il questionario di F. Ravaldi35 si è indagato come l’aver fatto o meno formazione influisca sulla condotta del personale sanitario, e laddove ci sia stata, si è anche chiesto come è stata acquisita. Più della metà degli intervistati (60.9%) ha dichiarato di non averne ricevuta durante l’iter universitario, al contrario, invece, molti operatori (54,5%) hanno dichiarato di aver preso parte a corsi post base in merito. La conferma dell’importanza della formazione è stata la differenza significativa tra le risposte degli operatori. Ponendo attenzione ad alcune domande somministrate (Tabella.2), infatti, si è visto come si ha una differente gestione dell’evento in tutti i suoi aspetti a seconda che si sia frequentato o meno. È palese come la condotta degli operatori formatisi differenzi in alcune pratiche quali, ad esempio, il riferirsi sempre al bambino con il proprio nome (46,6%), incoraggiare i genitori a vedere e toccare il bambino (66,6%), che non vengono invece attuate da chi non ha fatto formazione e che non adotta mai questo tipo di comportamento sia nel primo (62%) che nel secondo caso (40%). (Tabella.2)

Tabella 2. Influenza della formazione sul comportamento assistenziale

  Tabella 2 FR. CORSI MAI % RARAMENTE % SPESSO % SEMPRE %
1 Riferirsi o meno al bambino con il proprio nome SI

NO

13.33

62

10

6

30

18

46.67

14

2 Raccolgo una ciocca di capelli e le impronte del bimbo da donare alla famiglia SI

NO

21.67

68

5

10

10

2

63.33

20

3 Dopo il parto mi occupo del corpo del bambino (lavaggio, vestizione …) SI

NO

10

38

6.67

14

18.33

6

65

42

4 Incoraggio i genitori e a vedere e toccare il bambino SI

NO

10

40

5

12

18.33

18

66.67

30

5 Al momento della dimissione affronto con la coppia l’argomento sessualità SI

NO

53.33

56

28.33

28

15

14

3.33

2

6 Al momento della dimissione spiego alla donna le metodiche a disposizione per inibire la lattazione SI

NO

3.33

6

5

2

13.33

16

78.33

76

SEZIONE B- IMPACT OF EVENT SCALE (IES)

Con la somministrazione della Scala di valutazione (IES), si è voluto indagare la correlazione tra sintomatologia e gravità dei sintomi correlati allo stress causato dall’evento traumatico dell’assistenza ad una paziente colpita da morte in utero. Sia la sintomatologia che la gravità risultano maggiormente presenti nelle ostetriche e nei medici che nei medici in formazione. In relazione alle categorie precedentemente analizzate, la natura dei sintomi da stress post-traumatico risulta essere più grave per le ostetriche (16,75%) e i medici strutturati (10,71%) mentre, nei medici in formazione tali sintomi sono di lieve entità (57,14%). (Grafico 1.)

 

 

 

 

SEZIONE C – MASLACHBURN-OUT INVENTORY (MBI)

Con la Scala di valutazione (MBI) si è voluto indagare la presenza di eventuali sintomi di Burnout.

In merito alla gravità della sintomatologia, per quanto concerne il Burnout, invece, non sembra esservi una tendenza preponderante in relazione alla categoria professionale (Tabella 3).

Al contrario di quanto evidenziato nella sezione precedente si riscontra un alto tasso di Burnout appannaggio dei medici in formazione (57,14%)

 

Tabella 3. Presenza di sintomi di Burnout
  Ostetriche % Medici % Medici in formazione  %
Alto 52.26 55.17 57.14
Medio 42.21 31.03 33.33
Basso 5.53 13.79 9.52

 

 

DISCUSSIONE

Finalità dello studio è stata valutare l’influenza della MEF sulla salute emotiva degli operatori sanitari. Dall’analisi dei nostri risultati si evince come l’assenza di una formazione specifica post-base in merito all’assistenza alla famiglia colpita da MEF, possa influenzare la salute degli operatori. Questa nostra affermazione trova forte riscontro in letteratura 9;17-19; nello specifico viene enfatizzato come lacune nella formazione di base abbiano un impatto significativo sui professionisti, sia personalmente che professionalmente in merito alla qualità dell’assistenza erogata17.

Dall’analisi dei dati del nostro studio risulta una maggiore partecipazione da parte della figura professionale dell’ostetrica (71,6%) con una scarsa presenza di operatori sanitari “senior” (27,3%) a favore di quelli più giovani con esperienza lavorativa da 1-5 anni (45,5%). In merito alla maggiore partecipazione della figura professionale ostetrica con anzianità di servizio >ai 5aa ritroviamo dati simili in letteratura16. In merito alla formazione del personale sanitario lo studio rispecchia quanto affermato in letteratura7-9;11, ovvero una scarsità di formazione e training22-23, evidenziando come più della metà degli intervistati sostenga di non aver ricevuto nessun tipo di preparazione né universitaria (60,9%) né tanto meno aziendale e, che l’unica formazione è quella post-base fatta in modo autonomo (54,5%). A conferma di quanto appena detto, affrontare l’argomento durante gli anni di studio universitario non sembra essere sufficientemente efficace nel garantire una preparazione adeguata degli operatori6;10. Per questi ultimi, inoltre, fornire assistenza ad una donna con diagnosi di MEF è risultato essere un momento di forte stress e coinvolgimento emotivo, associato ad inadeguatezza nel fronteggiare l’evento7;9. A tal proposito ovunque, a livello globale29-30,  si sottolinea l’importanza della formazione, del supporto e della necessità di costituire strategie didattiche e metodi attivi di coping29 come ad esempio il ricorso alla pratica del debriafing30.  Le ostetriche sembrano essere la figura professionale più intensamente colpita dalla morte perinatale, in termini psicologici, in quanto essere la figura di riferimento nella gestione del parto2;23.

Pur non avendo potuto eseguire statistica inferenziale sembra poter esserci una forte relazione tra evento traumatico e Burnout. Ciò, se confermato, potrebbe ulteriormente influenzare l’assistenza erogata.

Professionisti maggiormente colpiti dai sintomi da stress post-traumatico sono le ostetriche (51.27%) in quanto hanno un forte impatto psicologico legato alla gestione di tale evento24 tanto essere riconosciuto come una malattia professionale9;23-24.Dall’analisi si evince che il medico (50%) e l’ostetrica (51,27%) sono coinvolti allo stesso modo da sintomi da stress post-traumatico di tipo moderato, mentre i medici in formazione risultano essere meno coinvolti(28%). Infine, per quanto concerne la presenza o meno di sintomi legati al Burnout ritroviamo un ribaltamento dei risultati, con la figura del medico in formazione maggiormente colpita (57.14%), seguiti dai medici strutturati (55.27%) e dalle ostetriche (52,26%). Situazione differente, invece, si riscontra in uno studio australiano29(Mollart L., 2011) in cui, sebbene il campione fosse rappresentato esclusivamente da ostetriche (152) e quindi non completamente sovrapponibile al nostro studio in virtù delle differenti professioni arruolate, si evidenzia la presenza di elevati livelli di Burn-out in due terzi dello stesso (60,7%)29,  dovuta all’assenza di una formazione specifica che permetta di affrontare l’evento.Gli operatori sanitari in Burnout possono vedere limitate le proprie capacità comunicative20;21, e non essere di conseguenza in grado di assistere in maniera adeguata la famiglia colpita dal lutto20-21.

 

Limiti della ricerca

Lo studio presenta alcune limitazioni : campionamento di convenienza e quindi non rappresentativo dell’intero territorio nazionale; difficoltà burocratiche in merito all’autorizzazione alla raccolta dati. Una scarsa conoscenza delle apparecchiature informatiche da parte del personale, soprattutto medico, ha ostacolato la somministrazione dei questionari. Oltre ciò, si è presentato anche uno scarso interesse degli intervistati alla completa compilazione del questionario e Scale somministrate. Questa refrattarietà nel gestire una tale situazione, potrebbe riflettersi anche nell’ erogazione dell’assistenza che si presenta frammentaria, fatta di informazioni discordanti e contraddittorie tra di loro causando non pochi disagi alla famiglia nell’affrontare una così delicata situazione.

 

CONCLUSIONI

La finalità dello studio è stato valutare la gestione dell’evento MEF a livello emotivo. L’alterazione emotiva del personale può modificare l’assistenza erogata. In quest’ottica si rende necessaria la realizzazione di specifici interventi mirati, da un lato, a garantire la migliore assistenza possibile, e dall’altro a sostenere correttamente le figure professionali coinvolte7;11;16;21;24.

 

Eventuali Finanziamenti                                                                                                                                     

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

Conflitti di interesse                                                                                                                                                                      

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse associati a questo studio.

BIBLIOGRAFIA

  1. J Frederik Frøen, Joy E Lawn, Alexander E P Heazel et al. “Prevenire le morti in utero evitabili” The Lancet, 2016
  2. Nuzum DMeaney SO'Donoghue K, “The impact of stillbirth on consultant obstetrician gynaecologists: a qualitative study.”,  2014 Jul;121(8):1020-8. doi: 10.1111/1471-0528.12695
  3. Li-Chun Liu el al., “Major risk factors for stillbirth in different trimesters of pregnancy A systematic review “, Taiwan J Obstet Gynecol.2014 Jun;53(2):141-5. doi: 10.1016/j.tjog.2014
  4. Diamond DJDiamond MO, “Parenthood after reproductive loss: How psychotherapy can help with postpartum adjustment and parent-infant attachment.”; Psychotherapy (Chic).2017 Dec;54(4):373-379. doi: 10.1037/pst0000127. Epub 2017 Oct 2.
  5. Joy E Lawn, Mary Kinney,“La morte in utero - Un Executive Summary”, The Lancet 2011 April
  6. Ravaldi C., “La morte perinatale: il ruolo terapeutico del personale medico e paramedico nel sostegno ai familiari” Anep Italia 2016 March
  7. Chen FHHu WY. “The impact of perinatal death on nurses and their coping strategies”; Hu Li Za Zhi.2013 Feb;60(1):87-91. doi: 10.6224/JN.60.1.87.
  8. Markin RDZilcha-Mano S “Cultural processes in psychotherapy for perinatal loss: Breaking the cultural taboo against perinatal grief”. Psychotherapy (Chic).2018 Mar;55(1):20-26. doi: 10.1037/pst0000122.
  9. Diamond DJDiamond MO, “Parenthood after reproductive loss: How psychotherapy can help with postpartum adjustment and parent-infant attachment.”; Psychotherapy (Chic)2017 Dec;54(4):373-379. doi: 10.1037/pst0000127. Epub 2017 Oct 2.
  10. Shorey S, André B, Lopez V, “The experiences and needs of healthcare professionals facing perinatal death: A scoping review.” Int J Nurs Stud. 2017 Mar; 68:25-39. doi: 10.1016/j
  11. Markin RDZilcha-Mano S “Cultural processes in psychotherapy for perinatal loss: Breaking the cultural taboo against perinatal grief”. Psychotherapy (Chic).2018 Mar;55(1):20-26. doi: 10.1037/pst0000122.
  12. Sands,“Pregnancy loss and the death of a baby: Guidelines for professionals”,2016 - IV edizione
  13. Ravaldi C., Torrini D. et al. “Vivere il lutto nella professione assistenziale. Sequele post-traumatiche e rischio di burn-out negli operatori sanitari”- Psicobiettivo, volume XXIX, 2009
  14. Horowitz et al. “Revised Impactof Event Scale– IES”, 1979
  15. Christianson S, Marren J“The Impact of Event Scale-Revised (IES-R)”MedsurgNurs.2012 Sep-Oct;21(5):321-2
  16. RegoLinsFumis et al.“Moral distress and its contribution to the development of burnout syndrome among critical care providers”2017 Jun 21. doi:10.1186/s13613-017-0293-2
  17. Nuzum D, Meaney S, O'Donoghue K - “The impact of stillbirth on consultant obstetrician gynaecologists: a qualitative study”- BJOG.2014 Jul;121(8):1020-8. doi: 10.1111/1471-0528.12695. Epub 2014 Mar
  18. Prentice TM, Gillam L. et al. “The use and misuse of moral distress in neonatology.”- Semin Fetal Neonatal Med. 2018 Feb;23(1):39-43.doi: 0.1016/j.siny.2017.09.007. Epub 2017 Sep 28.
  19. Heazell AE, McLaughlin MJ. et al. “A difficult conversation? The views and experiences of parents and professionals on the consent process for perinatal postmortem after stillbirth”. - BJOG. 2012 Jul;119(8):987-97. doi: 10.1111/j.1471-0528.2012.03357.x. Epub 2012 May 16
  20. Kelley MC, Trinidad SB - “Silent loss and the clinical encounter: Parents' and physicians' experiences of stillbirth-a qualitative analysis” - BMC Pregnancy Childbirth. 2012 Nov 27;12:137. doi: 10.1186/1471-2393-12-137
  21. Peters MD, Lisy K et al. “Caring for families experiencing stillbirth: Evidence-based guidance for maternity care providers.” - Women Birth. 2015 Dec;28(4):272-8. doi: 10.1016/j.wombi.2015.07.003. Epub 2015 Aug
  22. Doherty JCullen SCasey B. “Bereavement care education and training in clinical practice: Supporting the development of confidence in student midwives”. 2018 Nov;66:1-9. doi: 10.1016/j.midw.2018.06.026. Epub 2018 Jul
  23. Patricia Willis. “Nurses' Perspective on Caring for Women Experiencing Perinatal Loss “MCN, The American Journal of Maternal/Child Nursing. 44(1):46–51, JAN 2019 DOI: 10.1097/NMC.0000000000000490
  24. Leinweber JCreedy DKRowe HGamble J, “Responses to birth trauma and prevalence of posttraumatic stress among Australian midwives.”, Women Birth. 2017 Feb;30(1):40-45. doi: 10.1016/j.wombi.2016.06.006. Epub 2016 Jul 15.
  25. Cacciatore J. “ Effects of support groups on post traumatic stress responses in women experiencing stillbirth.” Omega (Westport). 2007;55(1):71-90
  26. Perez MN1, Sharkey CM1, Tackett AP. “Post traumatic stress symptoms in parents of children with cancer: A mediation model.” Pediatr Hematol Oncol. 2018 .May;35(4):231-244. doi: 10.1080/08880018.2018.1524954. Epub 2018 Nov 5.
  27. Chen LLiu JYang H et al.” Work-family conflict and job burn-out among Chinese doctors: the mediating role of coping styles”. Gen Psychiatr.2018 Aug 21;31(1):e000004. doi: 10.1136/gpsych-2018-000004. eCollection 2018.
  28. 2018 Sep;64:53-59. doi: 10.1016/j.midw.2018.05.008. Epub 2018 Jun 7.Stillbirth and perinatal care: Are professionals trained to address parents' needs?Ravaldi C1, Levi M2, Angeli E3, Romeo G2, Biffino M2, Bonaiuti R4, Vannacci A5.
  29. Mollart, V.M. Skinner, C.Newing et al. “Factors that may influence midwives work-related stress and burn-out”, 2011 Women and Birth 26,26-32
  30. Willis P. “Nurses' Perspective on Caring for Women Experiencing Perinatal Loss”. MCN Am J Matern Child Nurs.2019 Jan/Feb;44(1):46-51. doi: 10.1097/NMC.0000000000000490.
  31. Thalhammer M1, Paulitsch K. [Burnout: a useful diagnosis?]. 2014;28(3):151-9. doi: 10.1007/s40211-014-0106-x. Epub 2014 May 20.
  32. Maslach C., Leiter M.P., (1997) The truth about burnout: How organizations cause personal stress and what to do about it. Jossey-Bass, San Francisco (tr. it.: Burnout e organizzazione: Modificare i fattori strutturati della motivazione al lavoro. Erickson, Trento, 2000
  33. Sirigatti, S., & Stefanile, C. (1993). Adattamento e taratura per l’Italia. In C. Maslach & S. Jackson, MBI Maslach Burnout Inventory. Manuale. (pp. 33-42). Firenze: Organizzazioni Speciali
  34. Pietrantonio F., De Gennaro L. , Di Paolo MCSolano L. “The Impact of Event Scale: validation of an Italian version”. J Psychosom Res.2003 Oct;55(4):389-
  35. CiaoLapo ONLUS – BLOSSoM- Burnout after perinatal LOSS in Midwifery – Disponibile a : https://www.surveymonkey.com/r/ciaolapo-blossom. Ultimo accesso 06 maggio 2019
  36. Willis P., “Nurses' Perspective on Caring for Women Experiencing Perinatal Loss”. MCN Am J Matern Child Nurs. 2019 Jan/Feb;44(1):46-51.doi: 10.1097/NMC.0000000000000490.
  37. Pastor Montero SMRomero Sánchez JMHueso Montoro C et al., "Experiences with perinatal loss from the health professionals' perspective.”. Rev Lat Am Enfermagem. 2011 Nov-Dec;19(6):1405-12.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Valutazione dei bisogni dei genitori di soggetti affetti da Disturbi Alimentari e l’efficacia dell’home treatment (HT): revisione narrativa della letteratura

Antonino Calabrò1 , Sara Beduglio2 , Roberto Lupo3 , Lorenzo Bardone4

1) Infermiere ASL Biella;

2) Infermiera libera professionista;

3) Infermiere ASL Le, Ospedale “San Giuseppe da Copertino”;

4) Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;

Corresponding author: Antonino Calabrò, viale Macallè 43 biella

DOI: 10.32549/OPI-NSC-25                                                                                            

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduzione: I Disturbi dell’Alimentazione (DA), rappresentano un problema di salute pubblica in costante crescita nei Paesi industrializzati. Il nucleo familiare di chi è affetto da tali DA sembra essere incluso marginalmente nei programmi terapeutici, con possibile danno per l’intero processo di cura.

Obiettivo/scopo Valutare i bisogni assistenziali dei genitori di soggetti affette da DA e l’efficacia dell’home treatment (HT)  rivolto a persona giovane, affetta da Disturbo del Comportamento Alimentare.

Metodo: revisione della letteratura condotta sulle banche dati elettroniche di Medline, Cinahl ed Embase.

Risultati: Dagli studi selezionati si evincono i principali bisogni individuati dalle famiglie di soggetti affetti da DA in HT.

Conclusioni: La ricerca conferma l’esistenza di situazioni nelle quali la famiglia necessita supporto ed educazione nella gestione dei figli con DA, tale sostegno va garantito da un'equipe multidisciplinare. L'Infermiere potrebbe supportare l'intero percorso adattando le proprie competenze allo specifico contesto.

Parole chiave: nurse, eating disorders, education family, family relation.

Evaluation of the parent's needs of subjects suffering to eating disorders and  effectiveness of home treatment (HT):  narrative review

Abstract

Introduction: Eating Disorders (ED) represent a constantly growing public health problem in industrialised countries. The family  of those subjects affected by  DAs appears to be marginally included in therapeutic programs, with possible damage to  care process

Objective / Purpose: Evaluate the care needs of parents of subjects with DA and the effectiveness of home treatment (HT) aimed at young people suffering from Food Behavior Disorder.

Method: narrative review of the literature conducted through a method of systematic research of evidence and qualitative synthesis of results, conducted through the electronic databases of Medline, CINAHL and Embase.

Results: from the selected studies we can deduce the main needs identified by the families of subjects suffering from AD in HT.

Conclusions: the research confirms the existence of situations in which the family needs support and education in the management of children with DA, this support must be guaranteed by a multidisciplinary team. The nurse could support the whole process by adapting his / her skills to the specific context.

Keywords: nurse, eating disorders, education family, family relation.

INTRODUCTION

I Disturbi dell’alimentazione (DA)  sono comportamenti che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica e/o il funzionamento psicosociale[1]; comprendono una serie di disturbi raggruppati in categorie diagnostiche quali l'Anoressia Nervosa (AN),  la Bulimia Nervosa (BN), il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED) e Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati (NAS). I DA sono definite dagli esperti della Accademy of Eating Disorders “severe mental illness”, che necessitano di trattamenti specializzati ad alto livello di integrazione [2-3].

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i DA rappresentano un problema di salute pubblica in costante crescita nei Paesi industrializzati [2]. L’età media di insorgenza dei DA a livello globale è compresa tra i 15 e 24 anni, tuttavia negli ultimi decenni si è registrato un progressivo abbassamento dell'età di insorgenza, con diagnosi prima del menarca ed in taluni casi anche in età di 8-9 anni [4]. Un esordio così precoce può comportare conseguenze molto gravi sul corpo, sulla mente e rischi maggiori di danni permanenti secondari a malnutrizione, soprattutto a carico dei tessuti che non hanno ancora raggiunto la piena maturazione come le ossa e il sistema nervoso centrale [5-6].  Secondo le stime ufficiali, il 95,9% delle persone colpite dai disturbi alimentari sono donne. L’incidenza globale dell’anoressia nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi.  Invece, per quanto riguarda la bulimia ogni anno si registrano 12 nuovi casi per 100mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini.[5]. La prevalenza nelle donne europee dell'AN varia dall'1 al 4%, ed è compresa tra l'1 e il 2% la prevalenza della BN e tra l'1 e il 4% per il BED; per quanto riguarda gli uomini, si riscontra una prevalenza dei DA tra lo 0.3% e lo 0.7%[7]. In Italia sono ormai circa 3 milioni le persone affette da DA[8]. Non si è in grado di fare una stima condivisa della prevalenza di anoressia e bulimia, per la difficoltà di uniformare gli studi volti a definirla; in Italia gli studi scientifici valutanti tali dati sono pochi e perlopiù limitati a realtà locali [9].

La complessità dei DA e le particolari caratteristiche dei pazienti che ne sono affetti (soggetti molto giovani, con difficoltà nel riconoscersi essere affetti da DA,) [10] rendono necessaria la pianificazione di interventi negli ambiti della prevenzione, della cura e della riabilitazione gestiti da equipe multidisciplinari [11-12]. L’infermiere può e deve svolgere un ruolo chiave a sostegno del singolo e della famiglia[13-14]. Il primo contatto con la persona e il nucleo familiare è essenziale per porre le basi per un efficace avvio, continuazione e conclusione della terapia [13]. L'infermiere attraverso la relazione d'aiuto, l'empatia e l'assistenza diretta può creare ottimali condizioni di fiducia nei confronti del giovane, fondamentali per la scelta volontaria alla corretta adesione terapeutica [15-16].

Il Ministero della Salute negli ultimi anni ha redatto una serie di documenti allo scopo di costruire un modello di riferimento per un percorso ottimale del paziente con DA [17], evidenziando quanto siano fondamentali l'appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei DA[18]. Tutti questi documenti hanno inoltre enfatizzato l’importanza di   promuovere il benessere mentale nei bambini, adolescenti e giovani[19]. Sono state inoltre realizzate le prime linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei pazienti con Disturbi dell’Alimentazione (DA)[20-21]. All'interno dell'equipe multidisciplinare, l'infermiere ha grande responsabilità nell'educazione terapeutica, pertanto deve determinarne le strategie e i metodi più adatti, in relazione ai bisogni specifici, al fine di raggiungere gli obiettivi prestabiliti attraverso la partecipazione del paziente. In letteratura è ben noto il ruolo educativo dell’infermiere[17-22], tuttavia nell’ambito specifico dei DA è un aspetto ancora da delineare. Ad oggi per la maggior parte dei pazienti affetti da disturbi alimentari il trattamento d’elezione è rappresentato dalla presa in carico ambulatoriale del medico-psichiatra e da psicoterapie individuali e/o di gruppo; per alcuni casi invece  tali pazienti hanno bisogno di un trattamento più intensivo che può delinearsi su vari livelli (ospedaliero, in day-hospital, residenziale, domiciliare) in modo da proporre interventi differenziati, appropriati rispetto alla situazione specifica del paziente. I familiari sono generalmente il supporto principale per i giovani che soffrono di un Disturbo Alimentare ma spesso corrono il rischio di mettere in atto modelli di comportamento non salutari che potrebbero mantenere ed aggravare i comportamenti alimentari patologici[10-13].

Tuttavia ad oggi il nucleo familiare che circonda la persona affetta da tali disturbi è stato solo marginalmente inglobato nel percorso di cura. Al fine di garantire corretti, efficaci ed efficienti interventi mirati è fondamentale comprendre l’attuale situazione italiana. Comprendere come le famiglie delle persone affette da DA vivano questi interventi e soprattutto quali bisogno tali famiglie vorrebbero fossero il goal setting dei percorsi terapeutici.

Obiettivo: Valutare i bisogni dei genitori di soggetti affette da AN e l’efficacia dell’home treatment (HT) rivolta a  persona giovane, affetta da Disturbo del Comportamento Alimentare.

MATERIALS AND METHODS

Per condurre la revisione è stato delineato precedentemente un quesito di ricerca utilizzando la metodologia PIO. (tabella 1).

Tabella 1. Quesito secondo la metodologia PIO.
Population Famiglie di giovani affetti da DA
Intervention comprensione dei bisogni della famiglia; valutazione dell’HT
Outcome Bisogni richiesti dai genitori di soggetti affetti da DA

È stata condotta una revisione della letteratura (da Agosto 2017 a Ottobre 2017), consultando le seguenti banche dati: CINAHL, PubMed ed EMBASE. Per la ricerca sono state utilizzate le stringhe riportate nella tabella 2, composte da termini Mesh e key-words combinati tra di loro attraverso gli operatori booleani (tabella 2). Gli articoli ottenuti sono stati verificati da due valutatori indipendenti, al fine di identificare i report pertinenti. Successivamente sono stati analizzati i relativi full-text con il medesimo criterio. Inoltre gli articoli sono stati valutati attraverso le check-listCritical Appraisal Skills Programme” (CASP)[23].

Inclusion criteria

Sono inclusi studi osservazionali quantitativi, qualitativi, sperimentali, randomizzati e controllati sia in lingua inglese che italiana pubblicati dal 1/09/2007 al 1/9/2017 ed effettuati su popolazione di età compresa tra i 13 e i 25 anni di entrambi i sessi, che rispondano al quesito di ricerca e rispettino i criteri di inclusione.

Exclusion criteria

Sono stati esclusi studi secondari, pazienti in regime di ricovero, con comorbidità e studi pubblicati da paesi orientali.

Tabella 2. Metodologia della ricerca.
Banca Dati                                    Stringa    Limiti Risultati
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CINAHL

((MH "Patient Education+") OR (MH "Patient Education (Iowa NIC)+") OR "education patient"OR "education family"OR (MH "Education, Non-Traditional+") OR (MH "Outcomes of Education") OR (MH "Teaching Methods+") OR (MH "Teaching Materials+") OR "caregiver education") AND ((MH "Nursing Role") OR "nursing role+"OR (MH "Caregivers/ED") OR (MH "Nurse-Patient Relations") OR (MH "Professional-Patient Relations+") OR (MH "Professional-Family Relations") OR (MH "Patient-Family Relations") OR (MH "Total Patient Care Nursing")) AND ((MH "Eating Disorders+") OR "eating disorders"OR (MH "Eating Disorders Management (Iowa NIC)") OR (MH "Food Habits") OR (MH "Eating Behavior+") OR (MH "Eating/ED"))  

 

 

 

 

 

 

 

 

Data di pubblicazione: 2007-2017

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

78

 

 

 

 

 

 

 

CINAHL

((MH "Nursing Role") OR "nursing role+"OR (MH "Caregivers/ED") OR (MH "Nurse-Patient Relations") OR (MH "Professional-Patient Relations+") OR (MH "Professional-Family Relations") OR (MH "Patient-Family Relations") OR (MH "Total Patient Care Nursing")) AND ((MH "Eating Disorders+") OR "eating disorders"OR (MH "Eating Disorders Management (Iowa NIC)") OR (MH "Food Habits") OR (MH "Eating Behavior+") OR (MH "Eating/ED")) AND ((MH "Adolescent Health") OR (MH "Adolescent Health Services"))  

 

 

 

 

 

 

Nessuno

 

 

 

 

 

 

 

14

 

 

 

 

 

CINAHL

((MH "Nurse-Patient Relations") OR (MH "Professional-Patient Relations+") OR (MH "Professional-Family Relations") OR (MH "Patient-Family Relations") OR (MH "Total Patient Care Nursing")) AND ((MH "Eating Disorders Management (Iowa NIC)") OR (MH "Food Habits") OR (MH "Eating Behavior+") OR (MH "Eating/ED")  

 

 

 

Data di pubblicazione: 2007-2017

 

 

 

 

 

281

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PubMed

(((((((((("Patient Education as Topic"[Mesh] OR "Patient Education Handout"[Publication Type]) OR ( "Education"[Mesh] OR "education"[Subheading] OR "Health Education"[Mesh] )) OR "Family/education"[Mesh]))) OR ((("Patient Outcome Assessment"[Mesh]) OR "Caregivers/education"[Mesh]) OR "Teaching/methods"[Mesh])) OR "education family"[Title/Abstract]) OR "family education"[Title/Abstract])) AND ((((("Nurse's Role"[Mesh]) AND "Caregivers"[Mesh]) OR "Nurse-Patient Relations"[Mesh]) OR "Professional-Family Relations"[Mesh]) OR "Family Relations"[Mesh])) AND ((("Feeding and Eating Disorders"[Mesh]) OR "Feeding Behavior"[Mesh]) OR "Eating"[Mesh])  

 

 

 

 

 

 

Data pubblicazione: 2007-2017

Età: 13-18 anni  e 19-24 anni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

148

 

 

 

 

 

PubMed

((((((("Nurse's Role"[Mesh]) AND "Caregivers"[Mesh]) OR "Nurse-Patient Relations"[Mesh]) OR "Professional-Family Relations"[Mesh]) OR "Family Relations"[Mesh])) AND ((("Feeding and Eating Disorders"[Mesh]) OR "Feeding Behavior"[Mesh]) OR "Eating"[Mesh])) AND ("Adolescent Health"[Mesh] OR "Adolescent Health Services"[Mesh])  

 

 

 

Data pubblicazione: 2007-2017

 

 

 

 

 

4

 

 

 

 

PubMed

(((((((("Nurse's Role"[Majr]) AND "Caregivers"[Majr]) OR "Nurse-Patient Relations"[Majr]) OR "Professional-Family Relations"[Majr]) OR "Family Relations"[Majr])) AND ((("Feeding and Eating Disorders"[Majr]) OR "Feeding Behavior"[Majr]) OR "Eating"[Majr])))  

Data pubblicazione: 2012-2017

Età:13-18  anni e 19-24 anni

 

 

 

 

 

293

 

 

 

 

 

EMBASE

(('nursing role'/exp OR 'caregiver'/exp OR 'nurse patient relationship'/exp OR 'nursing intervention'/exp OR 'family nursing'/exp) AND ('eating disorder'/exp OR 'eating'/exp OR 'feeding behavior'/exp OR 'eating habit'/exp) AND ('education'/exp OR 'outcome of education'/exp OR 'educational model'/exp OR 'education program'/exp OR 'patient education'/exp OR 'health education'/exp OR 'family education'/exp))  

 

Data pubblicazione: 2007-2017

Età: adolescenti e giovani adulti

 

 

 

 

 

57

RESULTS

Dalla ricerca bibliografica sono emersi 2 studi pertinenti con il nostro quesito. Non sono emerse discrepanze tra i valutatori. Nella figura 1 è descritta la cronologia di ricerca.

Nella fase preliminare sono stati identificati 875 titoli,  attraverso l’utilizzo dei termini liberi come: family education, patient education, feeding behavior, eating disorder; e termini mesh come “eating behavior”, “eating disorders management”, “education family”, “food Habit”, “nurse-patient relations”, “nursing role”, “outcomes of education”, “patient education”, “professional-patient relations, “teaching materials”, “teaching methods”, “total patient care nursing”, “patient-family relations”, “adolescent Health”. I termini sono stati combinati tra di loro attraverso gli operatori booleani AND, OR e NOT. Attraverso una prima analisi del titolo che rispondevano all’obiettivo generale della revisione, sono stati selezionati 164 articoli tra i quali 13 sono stati esclusi per abstract doppi, 698 non pertinenti all’obbiettivo. Dei 164 abstract rimanenti sono stati esclusi: abstract (n=42) che non rispettavano criteri di inclusione, 92 (sono abstract o articoli) che non rispondono agli obiettivi specifici della ricerca e 7 perché doppi. Nella fase finale, dei rimanenti 23 articoli; vengono esclusi 21 articoli (full text) perché non pertinenti al quesito di ricerca. Vengono identificati 2 studi che riflettono solo ed esclusivamente la valutazione dei bisogni di cui necessitano i genitori di ragazze affette da AN, e l’efficacia dell’ l'home treatment (HT) (n= 2). Di seguito il flow diagram (figura n.3).

Nella tabella 3 sono sintetizzate le caratteristiche e i risultati degli studi selezionati. Lo studio di Honey A et al. 2008, utilizzando l'analisi qualitativa delle risposte alla domanda :"Che sostegno vogliono i genitori di adolescenti con anoressia dai professioisti sanitari?” ha voluto valutare i bisogni dei genitori di ragazze affette da AN. L’analisi dei dati, con interviste  condotte su campione di 24 genitori, di ragazze adolescenti (14-20 anni), ha mostrato la necessità dei genitori di essere inclusi nel percorso, di essere supportati e guidati nel prendersi cura della figlia richiedendo l'assunzione di un atteggiamento positivo nei loro confronti da parte dei professionisti sanitari. Bezance J et al. 2014, utilizzando l'analisi fenomenologica interpretativa, intervistando un campione di 9 madri di adolescenti (13-16 anni), con l’obiettivo di valutare l’efficacia dell’home treatment (HT) ricevuto dalle figlie,attraverso l’analisi fenomenologica interpretativa utilizzata mostra come  tale trattamento riesca a fornire gli strumenti, e il supporto pratico ed emotivo adeguati per recuperare le proprie risorse e riprendere il controllo.

Figura 1 flow-chart della selezione degli articoli

DISCUSSION

La presente revisione ha l’obiettivo di valutare i bisogni di cui necessitano i genitori di ragazze affette da DA, e l’efficacia dell’ l'home treatment (HT)  erogato dell' equipe multidisciplinare  alla persona giovane, affetta da Disturbo del Comportamento Alimentare. Il primo articolo selezionato è uno studio qualitativo condotto da Honey A et al. nel 2008 [24], il cui obiettivo è cercare di dare una risposta alla domanda di quale tipo di supporto sanitario necessitano i genitori di ragazze affette da AN. Come già riportato in altri studi [25-26] condotti dalla stessa autrice, prendersi cura di adolescenti affetti da questo disturbo è complesso e può provocare nei genitori stress ed ansia.. Nonostante i genitori riconoscano le competenze dei professionisti incontrati e la qualità dei servizi di cura, l'analisi dei dati raccolti dalle interviste identifica tre principali modi in cui i genitori desiderano essere supportati dai professionisti e dai servizi, vale a dire essere inclusi nel percorso, essere supportati e guidati nel prendersi cura della propria figlia e percepire un atteggiamento positivo nei loro confronti. Nel momento in cui i genitori si presentano al primo incontro sono in uno stato di estrema ansia anche a causa dei sentimenti di colpa e fallimento rispetto al loro ruolo genitoriale, temono infatti spesso di essere visti come “cattivi genitori” e causa del disturbo della figlia; i primi contatti tra professionisti e famiglia sono i più complessi e delicati, va subito chiarito ai genitori che l'equipe non li colpevolizza, che è normale provare i loro sentimenti e che sono una importante risorsa per la figlia e per l'equipe terapeutica. I professionisti sanitari devono assicurarsi che i genitori ricevano l'adeguato supporto nel difficile compito di prendersi cura della figlia affetta da AN, va quindi dedicato loro tutto il tempo necessario; i genitori vengono informati sulla patologia e sull'impatto che questa ha sull'intera famiglia, sulle possibili cause del disturbo, vengono dati consigli su strategie da utilizzare a casa, percorsi riabilitativi e di follow-up, strategie di coping, counselling e supporto emotivo anche attraverso l'incontro con altre famiglie così da sviluppare con esse reti di supporto. Per quanto lo studio australiano sia stato condotto su piccola scala, tuttavia si delineano situazioni in cui la famiglia richiede maggiore supporto e, solo prendendo in considerazione le esperienze dei genitori, l'equipe può adattare gli interventi in modo da soddisfare il bisogno di aiuto delle famiglie, supportandoli in ogni fase del percorso terapeutico della figlia. Dallo studio si evidenzia comunque la necessità di ulteriori ricerche sulle interazioni e relazioni genitori-professionisti, area ancora trascurata nella ricerca nell'ambito dei DA.

Dallo studio di Bezance J e Holliday J, condotto  nel Regno Unito nel 2014[27], con una Analisi Interpretativa Fenomenologica (IPA), ha portato alla luce

le esperienze delle madri le cui figlie affette da AN hanno ricevuto l'home treatment (HT) [27]. L’HT è un approccio terapeutico innovativo e di recente elaborazione; è focalizzato sull'adolescente ma centrato sulla famiglia; attraverso questa terapia si cerca di rispondere ai bisogni del giovane nell'ambiente familiare domestico, educando e sostenendo i genitori, così da ridurne lo stress e consentendo loro di vivere una vita familiare il più normale possibile. Le esperienze estrapolate sono state raggruppate in tre temi principali, condivisi dalle partecipanti allo studio, e definiti come “rimanere intrappolate”, “toccare il fondo” e “l'esperienza dell'aiuto”.  Il tema “rimanere intrappolate” tratta il circolo vizioso che si crea nel prendersi cura delle proprie figlie affette da AN; le madri diventavano sempre più coinvolte nel disturbo isolandosi dagli altri, con la conseguente perdita della propria identità, immergendosi ancora di più nel rapporto problematico con la figlia.  “Toccare il fondo” è un tema che ha permesso di capire il profondo livello di disperazione, ansia e stress che provano le madri precedentemente l'inizio dell'HT[27].  L'ultimo tema affrontato è “l'esperienza dell'aiuto”, la ricerca di aiuto rappresenta un bisogno difficile, addirittura molte madri sostengono che l'offerta dell'HT sia arrivata troppo tardi e che la durata del programma sia stata insufficiente, sottolineando quindi l'importanza di una revisione dei tempi e della lunghezza del trattamento. Dove l'HT è stato costruito su di un approccio coerente, basato sulla disponibilità, sulla comprensione, sulla collaborazione, sul supporto e sulla fondamentale condivisione di informazioni, l'approccio ha avuto un impatto positivo sia per i membri dell'equipe che per le madri e le figlie. I due principali vantaggi dell'HTsono l'acquisizione di competenze da parte delle famiglie per sostenere la figlia e il supporto pratico ed emotivo per recuperare le proprie risorse e riprendere il controllo. Il programma va costruito sulla specificità della singola famiglia, adattando il percorso, fornendo un supporto efficace, cercando di dare tutte le informazioni necessarie ai genitori per rendere possibile il loro coinvolgimento nel trattamento e per far comprendere loro il ruolo che assumeranno. L'equipe deve essere disponibile, dedicare tutto il tempo necessario per rispondere ai bisogni dei caregivers, definire il ruolo che andranno a ricoprire all'interno del nucleo familiare, senza diventare un componente invadente. L'assenza di modelli applicabili a tutti i Paesi europei oltre che di linee guida comuni nella costruzione del percorso, impongono di valutare lo studio inglese legandolo allo specifico contesto. Dato che l'HT [27]si presenta come un'alternativa al ricovero ospedaliero, sono necessari ulteriori studi per valutare la validità di questa alternativa; infatti nei casi di 5 adolescenti riportati in questo studio il trattamento non è stato sufficiente ad evitare il ricovero. Ciò potrebbe essere dovuto ad una serie di variabili, come la gravità dell'AN, la motivazione dell'adolescente, la capacità della madre di farsi carico del trattamento.

CONCLUSIONS

I risultati della revisione suggeriscono come l’argomento presenti ancora forti ed importanti gap in letteratura. Nonostante sia una problematica importante a livello mondiale e particolarmente sentita, gli studi condotti atti a valutare i bisogni dei genitori di ragazze affette da Disturbi Alimentare, e l’efficacia dell’home treatment, sono davvero esigui. I risultati hanno dimostrato le notevoli difficoltà e la necessità dei familiari di essere supportati nella cura dei figli affetti da disturbi alimentari, sempre più presenti nella popolazione mondiale, aspetto poco esplorato in letteratura. La particolarità e la complessità del disturbo, l'abbassamento dell'età di esordio e la gravità delle conseguenze cliniche e psicologico/psichiatriche ad esso correlate impongono la pianificazione di interventi e percorsi specifici ed efficaci negli ambiti della prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione. La figura dell'infermiere, presente in tutti i setting, potrebbe supportare l'intero percorso del paziente adattando le proprie competenze allo specifico contesto. Il modello di percorso del paziente, elaborato in Italia negli ultimi anni [18-19-20], sostiene l'urgenza di creare per i DA percorsi di prevenzione, terapia e riabilitazione chiari ed il più possibile omogenei a livello nazionale.

Al fine di valutare meglio i bisogni dei genitori di ragazze fette da Disturbi Alimentari e l’efficacia dell’home treatment (HT)[27]sono necessarie ulteriori ricerche che coinvolgano campioni di infermieri, professionisti di diverse discipline e genitori di figli con disturbi alimentari.

BIBLIOGRAPHY

  1. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5 5th ed. Washington, DC: American Psychiatric Association; 2013. 329-354.
  2. Regione Piemonte. Deliberazione della Giunta Regionale 5 febbraio 2013, n. 7-5304. Percorso diagnostico-terapeutico per le persone con Disturbi del Comportamento Alimentare (Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa). Modifica ed integrazione della D.G.R. n. 96-13749 del 29 marzo 2010.
  3. Cosa sono i Disturbi Alimentari. Società Italiana di Psicopatologia dell'Alimentazione, Italia. Disponibile a: www.it/per-i-familiari/cosa-sono-i-disturbi-alimentari/. Ultimo accesso: 1/08/2017.
  4. Favaro A, Caregaro L, Tenconi E, Bosello R, Santonastaso P. Time Trends in Age at Onset of Anorexia Nervosa and Bulimia Nervosa.Journal of Clinical Psychiatry February. 2009; 70: 1715-21.
  5. I disturbi dell'alimentazione sono patologie complesse che portano la persona ad avere un rapporto distorto con cibo, peso e immagine corporea. Ministero della Salute, Italia. Disponibile a: salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?id=63&area=Disturbi_psichici. Ultimo accesso 11/09/2017.
  6. Preti A, De Girolamo G, Vilagut G, Alonso J, De Graaf R, Bruffaerts R, et al. The epidemiology of eating disorders in six European countries: Results of the ESEMeD-WHM project. Journal of Psychiatric Research. 2009; 43(14):1125-32.
  7. Keski-Rahkonen A, Mustelin L. Epidemiology of eating disorders in Europe: prevalence, incidence, comorbidity, course, consequences, and risk factors. Current opinion in Psychiatry. 2016; 29(6):340-345.
  8. Disturbi dell'Alimentazione. Ministero della Salute, Italia. Disponibile a: salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=4470&area=Salute%20donna&menu=patologie. Ultimo accesso: 12 settembre 2017.
  9. Anoressia e bulimia. Epicentro, Italia. Disponibile a: epicentro.iss.it/anoressia/epidemiologia Ultimo accesso: 19 settembre 2017.
  10. Cuzzolaro M. Intervento integrato di prevenzione primaria e secondaria dei disturbi dell’alimentazione e del peso corporeo in una popolazione scolastica adolescenziale. In: Il coraggio di guardare. Prospettive e incontri per la prevenzione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Atti del Seminario “I Giorni Dispari - The Odd Days - Ripensare la prevenzione nei Disturbi del Comportamento Alimentare”, Todi, 16-17 ottobre 2009. Roma: Ministero della Salute, Dipartimento della Gioventù, Istituto Superiore di Sanità; 2012. p. 137-164. Disponibile a: ccm-network.it/documenti_Ccm/pubblicazioni/il-coraggio-di-guardare-DCA.pdf. Ultimo accesso: 18 settembrte 2017.
  11. Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla sul problema dei Disturbi del Comportamento Alimentare. Regione Piemonte. Notizie dell'Assessorato. 13/3/2017. Disponibile a: regione.piemonte.it/sanita/cms2/notizie-87209/notizie-dallassessorato/4941-13-3-2017-o-giornata-nazionale-del-fiocchetto-lilla-per-sensibilizza. Ultimo accesso 12 settembre 2017.
  12. Todisco P. Il gioco delle scatole cinesi nella prevenzione dei Disturbi Alimentari. In: Il coraggio di guardare. Prospettive e incontri per la prevenzione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Atti del Seminario “I Giorni Dispari - The Odd Days - Ripensare la prevenzione nei Disturbi del Comportamento Alimentare”, Todi, 16-17 ottobre 2009. Roma: Ministero della Salute, Dipartimento della Gioventù, Istituto Superiore di Sanità; 2012. p. 119-130. Disponibile a: ccm-network.it/documenti_Ccm/pubblicazioni/il-coraggio-di-guardare-DCA.pdf. Ultimo accesso: 18 settembre 2017.
  13. Daga G A, Quaranta M, Notaro G, Urani C, Amianto F, Fassino S. Terapia familiare e disturbi del comportamento alimentare nelle giovani pazienti: stato dell’arte. Giorn Ital Psicopat 2011; 17: 40-47.
  14. Le Grange D, Lock J, Loeb K, Nicholls D. Academy for eating disorders position paper: The role of the family in eating disorders. International Journal of Eating Disorders 2010; 43(1): 1-5.
  15. D'Ivernois J F, Gagnayre R. (2006). Educare il paziente: un approccio pedagogico. McGraw-Hill. Capitolo I, pp. 1-20.
  16. Raucci V, Spaccapeli G. Fondamenti di Infermieristica in Salute Mentale. Maggioli Editore; 2013.
  17. De Virgilio G, Coclite D, Napoletano A, Barbina D, Dalla Ragione L, Spera G Di Fiandra T. Conferenza di consenso. Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) negli adolescenti e nei giovani adulti. Istituto Superiore di Sanità Roma; 24-25 ottobre 2012.
  18. Appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi dell’alimentazione. Quaderni del Ministero della Salute. 2013; 17/22. Luglio-Agosto; ultimo aggironamento 7 marzo 2017.
  19. Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018.Ministero della Salute. Disponibile a: salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2285_allegato.pdf. Ultimo accesso: 15 settembre 2017.
  20. Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell'alimentazione Quaderni del Ministero della Salute. 2017; 29 Settembre.
  21. Ruocco G. Disturbo dell'alimentazione. LINEE DI INDIRIZZO NAZIONALI PER LA RIABILITAZIONE NUTRIZIONALE NEI DISTURBI DELL但LIMENTAZIONE. Ministero della Salute. Commissione Igiene e Sanità, Senato della Repubblica 20 settembre 2017. Disponibile a: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/005/462/dott._Ruocco_-_Ministero_della_salute.pdf. Ultimo accesso: 22 settembre 2017.
  22. Ryan V, Malson H, Clarke S, Anderson G, Kohn M. Discursive constructions of ‘eating disorders nursing’: an analysis of nurses' accounts of nursing eating disorder patients: European Eating Disorders Review. 2006;14(2):125-135.
  23. Critical Appraisal Skills Programme (2017). CASP Checklist. Disponibilea: casp-uk.net/casp-tools-checklists. Ultimo accesso: 5 ottobre2017.
  24. Honey A, Boughtwood D, Clarke S, Halse C, Kohn M, Madden S. Support for Parents of Children with Anorexia: What Parents Want. Eating Disorders: The Journal of Treatment & Prevention. 2008; 16(1): 40・
  25. Honey A, Halse C. Parents dealing with anorexia nervosa: Actions and meanings. Eating Disorders: The Journal of Treatment and Prevention. 2005; 13: 353–368.
  26. Honey A, Halse C. The specifics of coping: Parents of daughters with anorexia nervosa. Qualitative Health Research. 2006; 16: 611–629.
  27. Bezance J, Holliday J. Mother's Experiences of Home Treatment for Adolescent With Anorexia Nervosa: An Interpretative Phenomenological Analysis. Eating Disorders. 2014;22(5):1-19.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Studio di validazione dell’emPHasis-10 per la popolazione italiana

Antonella Surace1*, Roberto Torre2, Emanuele Di Simone3, Sara Dionisi3, Noemi Giannetta3, Marco Di Muzio4

  1. Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma.
  2. Unità di Ipertensione polmonare, Dipartimento di Scienze Respiratorie e Cardiovascolari, Sapienza Università di Roma.
  3. Dottorando di Ricerca in Scienze Infermieristiche, Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
  4. Dipartimento di Medicina clinica e molecolare, Sapienza Università di Roma.

 

  • Gli autori dichiarano di non aver conflitto di interessi.
  • Gli autori dichiarano che l’articolo non è stato pubblicato in precedenza e non è stato inoltrato presso altra rivista

 

Corresponding Author*: Dr.ssa Antonella Surace, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma, P.le Aldo Moro 5, 00185 Roma; E-mail: surace.1608209@studenti.uniroma1.it

DOI: 10.32549/OPI-NSC-24

Cita questo articolo

ABSTRACT

Introduzione: Gli individui affetti da Ipertensione Polmonare (IP) presentano una Qualità della Vita Correlata alla Salute (HRQoL) gravemente compromessa. L’emPHasis-10, una scala di misura della HRQoL specifica per i pazienti con IP, è stata recentemente sviluppata e convalidata. Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’affidabilità e la validità della versione tradotta in lingua italiana dell’Emphasis-10.

Materiali e Metodi: La scala emPHasis-10 in versione italiana è stata spedita per posta ad un gruppo di 100 pazienti italiani affetti da IP iscritti all’Associazione Malati di Ipertensione Polmonare (AMIP). Insieme al questionario sono state inviate anche due scale validate che misurano la HRQoL, il Medical Outcomes Study 36-item Short Form (SF-36) e il Nottingham Health Profile (NHP), e un foglio di Consenso Informato. 70 pazienti hanno effettuato due compilazioni dei tre questionari a distanza di sette giorni, la prima al T0 e la seconda al T1, e rispedito il tutto con accluso il consenso informato debitamente compilato e firmato. I dati ottenuti sono stati elaborati con analisi statistica effettuata tramite il software SPSS versione 24.

Risultati: l’elaborazione dei dati ha evidenziato che la scala possiede una eccellente coerenza interna (Alpha di Cronbach>0.9) comparabile con i valori della versione originale, e una riproducibilità significativa (p<0.01) valutata comparando le compilazioni T0 e T1. La scala correla con le scale SF-36 e NHP dimostrando una buona validità convergente

Discussione: La versione italiana dell’emPHasis-10 si è dimostrata valida ed affidabile nella popolazione italiana affetta da IP, e può essere raccomanda per l’utilizzo nella pratica clinica.

Parole Chiave: Ipertensione Polmonare; Qualità della Vita; Validità; Studio di Validazione; Questionario.

Validation of the emPHasis-10 for the Italian population.

ABSTRACT

Introduction: Patients with Pulmonary Hypertension (PH) have a severely impaired health-related quality of life (HRQoL). The emPHasis-10, a disease-specific HRQoL instrument for PH, has recently been developed and validated. The aim of this study was to assess the reliability and validity of the translated version of emPHasis-10 in the Italian language.

Materials and Methods: The Italian version of the emPHasis-10 scale was sent by post to a group of 100 PH Italian patients recruited from the Associazione Malati di Ipertensione Polmonare (AMIP). Together with the emPHasis-10 two HRQoL validated scales were also sent: the Medical Outcomes Study 36-item Short Form (SF-36) and the Nottingham Health Profile (NHP). A written Informed Consent was sent with the questionnaires for explicit approval. 70 patients completed the three questionnaires in two occasions seven days apart, the first at T0 and the second at T1, and sent back by post with the signed informed consent. Statistical analysis was performed with the statistical software SPSS version 24.

Results: Data showed that the scale has an excellent internal consistency (Cronbach's Alpha> 0.9) comparable with the values of the original version, and a significant reproducibility (p <0.01) evaluated by comparing the T0 and T1 compilations. The scale correlated with the SF-36 and NHP scales demonstrating a good convergent validity.

Discussion: The Italian version of the emPHasis-10 has been shown to be valid and reliable in the Italian population and can be recommended for use in clinical practice.

Keywords: Pulmonary Hypertension; Quality of Life; Validity; Validation Study; Questionnaire.

INTRODUZIONE

L’ipertensione polmonare (IP) è una condizione emodinamica caratterizzata dall’aumento della pressione arteriosa polmonare media (PAPm) ≥ 25 mmHg a riposo, determinata mediante cateterismo cardiaco destro [1].

L’IP provoca una serie di segni e sintomi vaghi ed aspecifici tra cui dispnea, affaticamento, angina, astenia e nelle fasi più avanzate edemi periferici e sincope [1, 2, 3]. Sebbene sia una malattia poco comune (1-9/100.000) [4], il ricorso a nuove molecole farmacologiche, per quanto efficaci, non sempre permette di migliorare la sintomatologia o di rallentare la patologia; la sua progressione porta all’insufficienza cardiaca destra e al significativo aumento di morbilità e mortalità (50%) [2¸5].

L’IP è una patologia che compromette significativamente la vita dei pazienti, in particolare di quelli anziani [2, 6], e influenza anche la vita dei caregiver [2, 7].  I pazienti affetti da IP sono costretti ad affrontare una malattia estremamente debilitante che esercita un impatto negativo sugli aspetti fisico, sociale ed emotivo [8] con importante compromissione della Qualità della Vita Correlata alla Salute (HRQoL) [2, 9, 10, 11, 12].

Essi “devono imparare a ridefinire la propria vita includendo trattamenti, accettando restrizioni di attività e riconoscendo di dover vivere con una malattia cronica” [13]. Le limitazioni funzionali e il peggioramento della HRQoL risultano, inoltre, strettamente associati all’insorgenza di disturbi mentali quali ansia e depressione [7, 14, 15].

Le modalità di gestione medica e di diagnosi dell’IP stanno rapidamente avanzando [16]. Per valutare l’efficacia delle terapie e il miglioramento del paziente vengono esaminati i valori emodinamici, ottenuti con misurazioni invasive, e la capacità funzionale, quantificata con i test da sforzo come il Test del Cammino in 6 minuti (6MWT). Tuttavia, entrambe le misurazioni sembrano non riflettere lo stato in cui si sente realmente il paziente [17, 18].

Recentemente la misurazione della HRQoL è emersa come un end-point potenzialmente importante per valutare lo stato del paziente e l’efficacia della terapia [8, 9, 16, 17, 18, 19].

Diversi strumenti sono stati impiegati per valutare la HRQoL delle persone affette da IP, la maggioranza dei quali sono scale generiche come il Medical Outcomes Study 36-item Short Form (SF-36) ed il Nottingham Health Profile (NHP) [2, 17, 20]. Le analisi statistiche sulla validità di queste scale generiche hanno, però, evidenziato una ridotta reattività al cambiamento ed è nata la necessità di sviluppare scale di misura della HRQoL specifiche per la patologia IP [2, 17]. Il Cambridge Pulmonary Hypertension Outcome Survey (CAMPHOR) è la prima scala di misura dell’HRQoL specifica per l’IP [21].

La maggior parte di questi strumenti è di natura multidimensionale con sottodomini lunghi ed algoritmi di punteggio complessi, risultando, perciò, poco pratici [21].

Recentemente è stato sviluppato l’emPHasis-10, uno strumento di misura della HRQoL specifico per l’IP e di natura unidimensionale, che risulta compatibile con la visione multidimensionale della HRQoL poiché contiene item che abbracciano una vasta gamma di esperienze tra cui energia, affanno, compromissione sociale ed indipendenza [10].

L’emPHasis-10 è un breve questionario composto da 10 item di facile e veloce somministrazione e interpretazione [10]. Ogni item è formato da una scala differenziale semantica a sei punti, con aggettivi contrari a ciascuna estremità. Ad ogni item si può attribuire un valore che va da 0 a 5 punti, con un punteggio finale che va da un minimo di 0 ad un massimo di 50; un alto punteggio indica una maggiore compromissione della qualità della vita [10].

Sebbene non esista un metodo universalmente accettato per la progettazione di questionari, l’approccio utilizzato nello sviluppo di emPHasis-10 segue le pratiche generali comunemente utilizzate e appare coerente con i principi di base delineati dalla US Food and Drug Administration Guidance for industry patient-reported outcome measures [22, 23].

Lo sviluppo di emPHasis-10 è stato finanziato dalla Pulmonary Hypertension Association UK (PHA-UK) con il fine di garantire il libero accesso allo strumento per uso clinico e accademico [10, 23].

Attraverso il rigoroso processo di traduzione e adattamento culturale, nonché di verifica attraverso interviste cognitive, effettuato dagli autori Foster, Guillen, Lara, et al nel Novembre 2015, le traduzioni del questionario emPHasis-10 in lingua italiana e in altre lingue, sono state rese concettualmente equivalenti e culturalmente idonee [24].

Obiettivo dello studio  

Questo studio ha l’obiettivo di valutare la validità  della versione italiana dell’emPHasis-10 [Figura 1] e permetterne l’utilizzo nella pratica clinica.

Figura 1. Versione italiana dell'emPHasis-10.

MATERIALI E METODI

Popolazione di studio

Il questionario è stato somministrato a un campione di 100 pazienti con IP reclutato dall’elenco degli iscritti all’Associazione Malati di Ipertensione Polmonare (AMIP). L’approvazione dello studio è stata ottenuta dalla commissione etica dell’associazione coinvolta e ciascun partecipante ha sottoscritto un Consenso Informato completo di Nota Informativa.

Gli individui inclusi nello studio dovevano soddisfare alcuni criteri:

Criteri di inclusione

- Età > 18aa;

- Comprensione della lingua italiana;

- Diagnosi di IP confermata con cateterismo cardiaco con PAP Media ≥ 25mmHg.

Criteri di esclusione

- Individui non in grado di completare i questionari per compromissione cognitiva;

- Comorbilità vascolari o polmonari clinicamente significative;

- Individui che hanno subito Endoarterectomia di successo con PAP normalizzata.

Selezionati i candidati idonei, è stata proposta loro la partecipazione allo studio.

È stato effettuato un Recall Telefonico durante il quale sono state poste domande sulla demografia (sesso, città di appartenenza) e sulle condizioni del paziente (intensità e durata dei sintomi e percezione della salute generale). Dopo aver ottenuto tali informazioni, è stata proposta la partecipazione al progetto di validazione dell’emPHasis-10 ed è stato ottenuto il consenso degli aderenti a ricevere per posta i questionari da completare.

Il questionario emPHasis-10, affiancato dai questionari Nottingham Health Profile (NHP) e Medical Outcome Study 36-item Short Form Health Survey (SF-36), è stato spedito ai partecipanti per posta, affiancato anche da una Lettera di Presentazione dello studio, una Nota Informativa e un Consenso Informato per l’adesione.

È stato richiesto ai partecipanti di completare due copie dei medesimi questionari a distanza di sette giorni, la prima copia al Tempo 0 (T0) e la seconda copia al Tempo 1 (T1).

Analisi Statistica

Ricevuti i risultati della somministrazione, i dati sono stati elaborati tramite l’utilizzo del programma di statistica SPSS versione 24. È stata esaminata l’attendibilità test-retest o riproducibilità, la coerenza interna e la validità convergente del questionario emPHasis-10 adattato in lingua italiana.

Attendibilità test-retest o riproducibilità

Per valutare la riproducibilità è stata comparata la compilazione del questionario emPHasis-10 nei due tempi, tempo T0 e tempo T1, e si è calcolato il grado di correlazione tra i punteggi.

La correlazione è stata valutata effettuando il t-test.

Coerenza interna

Per valutare la coerenza interna ogni item viene considerato un test a sé stante, si stima la correlazione media tra tutti gli item e da essa si deriva un coefficiente di stima dell’attendibilità.

È stata valutata sulla compilazione al T0 utilizzando i Coefficienti Alpha di Cronbach. Perché gli item della scala siano sufficientemente collegati tra loro, è necessario che il valore dell’Alpha sia > 0,70.

Validità convergente

Per valutare la validità convergente è necessario comparare il questionario con altre Misure dello stesso costrutto e valutarne la correlazione.

I punteggi della scala emPHasis-10 sono stati correlati con i punteggi delle scale SF-36 e NHP utilizzando i Coefficienti di Correlazione di rango di Spearman.

Alte correlazioni si aspettano tra gli item dell’emPHasis-10 e gli item delle altre scale che misurano costrutti simili.

RISULTATI

Dei 100partecipanti reclutati, 70 hanno aderito allo studio in maniera corretta (tempo 0 e tempo 1) 45 hanno rispedito per posta i questionari compilati, con un tasso di risposta del 64%.

La Tabella 1 mostra le caratteristiche demografiche dei 45 partecipanti [Tabella 1].

Il 66,7% dei partecipanti è di sesso femminile, il 22,2% di sesso maschile con l’11,1% di dati missing.

I partecipanti allo studio appartengono a ben 13 regioni italiane: il 15,6% appartiene a una regione del Nord Italia, il 26,7% a una regione del Centro, il 46,7% a una regione del Sud con l’11,1% di dati missing.

N° partecipanti Maschi Femmine Province Regioni
2 0 2 Novara, Torino Piemonte
3 1 2 Brescia, Pavia Lombardia
2 1 1 Genova Liguria
2 0 2 Massa-Carrara, Prato Toscana
1 1 0 Terni Umbria
1 0 1 Ancona Marche
8 0 8 Roma Lazio
2 1 1 L’Aquila, Teramo Abruzzo
10 3 7 Benevento, Napoli, Salerno Campania
2 1 1 Foggia, Taranto Puglia
1 1 0 Cosenza Calabria
4 1 3 Messina, Palermo, Siracusa Sicilia
2 0 2 Cagliari, Oristano Sardegna
5 Missing Missing Missing Missing

Tabella 1. Campioni demografici dei partecipanti.

Attendibilità test-retest o riproducibilità

La Tabella 2 mostra le statistiche dei campioni. La Tabella 3 mostra le correlazioni tra le compilazioni dell’emPHasis-10 effettuate al T0 e al T1 valutate con il t-test.

Media N Deviazione standard Media errore standard
Coppia 1 Item 1 T0 2,42 45 1,500 ,224
Item 1 T1 2,58 45 1,373 ,205
Coppia 2 Item 2 T0 1,91 45 1,535 ,229
Item 2 T1 1,82 45 1,451 ,216
Coppia 3 Item 3 T0 2,71 45 1,842 ,275
Item 3 T1 2,78 45 1,717 ,256
Coppia 4 Item 4 T0 2,40 45 1,421 ,212
Item 4 T1 2,33 45 1,462 ,218
Coppia 5 Item 5 T0 2,60 45 1,543 ,230
Item 5 T1 2,73 45 1,405 ,209
Coppia 6 Item 6 T0 3,20 45 1,502 ,224
Item 6 T1 3,09 45 1,690 ,252
Coppia 7 Item 7 T0 1,87 45 1,902 ,284
Item 7 T1 1,71 45 1,753 ,261
Coppia 8 Item 8 T0 2,64 45 1,708 ,255
Item 8 T1 2,76 45 1,626 ,242
Coppia 9 Item 9 T0 1,78 45 1,650 ,246
Item 9 T1 1,67 45 1,567 ,234
Coppia 10 Item 10 T0 1,89 45 1,886 ,281
Item 10 T1 1,84 45 1,718 ,256

Tabella 2. Statistiche campioni accoppiati.

N Correlazione Significatività
Item 1 T0 & Item 1 T1 45 ,828 ,000
Item 2 T0 & Item 2 T1 45 ,922 ,000
Item 3 T0 & Item 3 T1 45 ,899 ,000
Item 4 T0 & Item 4 T1 45 ,843 ,000
Item 5 T0 & Item 5 T1 45 ,820 ,000
Item 6 T0 & Item 6 T1 45 ,853 ,000
Item 7 T0 & Item 7 T1 45 ,888 ,000
Item 8 T0 & Item 8 T1 45 ,909 ,000
Item 9 T0 & Item 9 T1 45 ,903 ,000
Item 10 T0 & Item 10 T1 45 ,913 ,000

Tabella 3. Correlazioni campioni accoppiati.

Coerenza interna

La Coerenza interna (Coefficienti Alpha di Cronbach) per i 10 item della scala emPHasis-10 al T0 è 0,928. I Coefficienti Alpha di Cronbach dell’emPHasis-10 sono maggiori del valore minimo 0,7 richiesto e indicano un’adeguata inter-relazione degli item con la scala.

Validità convergente

Sono stati calcolati i coefficienti di correlazione di rango di Spearman tra i punteggi dei 10 item dell’emPHasis-10 e alcuni item delle scale SF-36 e NHP maggiormente correlabili in base alla dimensione esplorata. I livelli di significatività sono stati espressi con intervallo di confidenza del 95% a due code (p=0.05). Nelle tabelle i livelli di significatività dello 0,01 sono evidenziati con “**”, mentre livelli di significatività dello 0,05 sono annotati con “*”.

NHP item 3 NHP item 23 NHP item 32 SF36 item 4a SF36 item 4b SF36 item 4c SF36 item 4d SF36 item 6 SF36 item 9b SF36 item 9c SF36 item 9d SF36 item 9f SF36 item 9h
emPHasis item 1 Coefficiente di correlazione ,449** ,289** ,316** ,537** ,541** ,441** ,319** ,236* ,205 ,349** ,055 ,349** ,055
Significatività (a due code) ,000 ,006 ,002 ,000 ,000 ,000 ,002 ,025 ,053 ,001 ,609 ,001 ,609

Tabella 4. Coefficienti di correlazione tra l’item 1 dell’emPHasis-10 e gli item 3, 23, 32 del NHP e 4a, 4b, 4c, 4d, 6, 9b, 9c, 9d, 9f, 9h dello SF-36.

NHP item 26 SF36 item 4c SF36 item 6
emPHasis item2 Coefficiente di correlazione ,424** ,406** ,424**
Significatività (a due code) ,000 ,000 ,000

Tabella 5. Coefficienti di correlazione tra l’item 2 dell’emPHasis-10 e gli item 26 del NHP e 4c, 6 dello SF-36.

NHP item 1 NHP item 26 SF36 item 9i
emPHasis item 3 Coefficiente di correlazione ,633** ,468** ,633**
Significatività (a due code) ,000 ,000 ,000

Tabella 6. Coefficienti di correlazione tra l’item 3 dell’emPHasis-10 e gli item 1, 26 del NHP e 9i dello SF-36.

NHP item 1 NHP item 12 SF36 item 9g
emPHasis item 4 Coefficiente di correlazione ,507** ,340** ,507**
Significatività (a due code) ,000 ,001 ,000

Tabella 7. Coefficienti di correlazione tra l’item 4 dell’emPHasis-10 e gli item 1, 12 del NHP e 9g dello SF-36.

NHP item 1 NHP item 26 SF36 item 9a SF36 item 9e
emPHasis item 5 Coefficiente di correlazione ,408** ,702** ,408** ,702**
Significatività (a due code) ,000 ,000 ,000 ,000

Tabella 8. Coefficienti di correlazione tra l’item 5 dell’emPHasis-10 e gli item 1, 26 del NHP e 9a, 9e dello SF-36.

NHP item 17 NHP item 26 SF36 item 3d SF36 item 3e
emPHasis item 6 Coefficiente di correlazione ,589** ,694** ,589** ,694**
Significatività (a due code) ,000 ,000 ,000 ,000

Tabella 9. Coefficienti di correlazione tra l’item 6 dell’emPHasis-10 e gli item 17, 26 del NHP e 3d, 3e dello SF-36.

NHP item 3 NHP item 6 NHP item 9 NHP item 15 NHP item 21 NHP item 23 NHP item 34 SF36 item 5a SF36 item 5b SF36 item 6
 emPHasis item 7 Coefficiente di correlazione ,574** ,452** ,164 ,426** ,357** ,290** ,117 ,283** ,117 ,283**
Significatività (a due code) ,000 ,000 ,123 ,000 ,001 ,006 ,271 ,007 ,271 ,007

Tabella 10. Coefficienti di correlazione tra l’item 7 dell’emPHasis-10 e gli item 3, 6, 9, 15, 21, 23, 34 del NHP e 5a, 5b, 6 dello SF-36.

NHP item 3 NHP item 23 SF36 item 11a SF36 item 11b SF36 item 11c SF36 item 11d
emPHasis item 8 Coefficiente di correlazione ,265* ,241* ,159 ,442** ,159 ,442**
Significatività (a due code) ,012 ,022 ,133 ,000 ,133 ,000

Tabella 11. Coefficienti di correlazione tra l’item 8 dell’emPHasis-10 e gli item 3, 23 del NHP e 11a, 11b, 11c, 11d dello SF-36.

NHP item 10 NHP item 14 NHP item 25 NHP item 35 SF36 item 3c SF36 item 3d SF36 item 3e SF36 item 3f SF36 item 3h SF36 item 3i SF36 item 3l
emPHasis item 9 Coefficiente di correlazione ,205 ,168 ,428** ,618** ,700** ,780** ,657** ,563** ,605** ,543** ,565**
Significatività (a due code) ,052 ,114 ,000 ,000 ,000 ,000 ,000 ,000 ,000 ,000 ,000

Tabella 12. Coefficienti di correlazione tra l’item 9 dell’emPHasis-10 e gli item 10, 14, 25, 35 del NHP e 3c, 3d, 3e, 3f, 3h, 3i, 3l dello SF-36.

NHP item 30 SF36 item 6
emPHasis item 10 Coefficiente di correlazione ,719** ,355**
Significatività (a due code) ,000 ,001

 

Tabella 13. Coefficienti di correlazione tra l’item 10 dell’emPHasis-10 e gli item 30 del NHP e 6 dello SF-36.

DISCUSSIONE

I risultati ottenuti dallo studio effettuato hanno mostrato che la validazione dell’emPHasis-10 in lingua italiana ha avuto successo.

Le correlazioni tra le compilazioni al Tempo 0 e al Tempo 1 valutate attraverso il t-test hanno confermato la riproducibilità di tutti i 10 item del questionario in maniera statisticamente significativa (p < 0.01).

La versione italiana dell’emPHasis-10 ha dimostrato una coerenza interna eccellente presentando un coefficiente Alpha di Cronbach superiore a 0.9 comparabile con i valori della versione originale del questionario [10].

Lo studio sulla validità convergente ha dimostrato una buona correlazione tra gli item dell’emPHasis-10 e quelli delle scale SF-36 e NHP riguardanti le stesse dimensioni. Solo alcune correlazioni tra gli item dell’emPHasis-10 e gli item delle altre scale hanno presentato un basso coefficiente e una bassa significatività statistica:

L’item 1 “L’affanno mi procura senso di impotenza” ha presentato un basso coefficiente di correlazione con gli item:

  1. 9b dell’SF-36 “Molto agitato”
  2. 9d dell’SF-36 “Calmo e sereno”
  3. 9h dell’SF-36 “Felice”

L’item 7 “Per via della mia ipertensione polmonare non mi sento a mio agio nei luoghi pubblici/affollati” ha presentato un basso coefficiente di correlazione con gli item:

  1. 9 del NHP “Mi sento solo”
  2. 34 del NHP “Mi sta diventando difficile andare d’accordo con gli altri”
  3. 5b dell’SF-36 “Ha reso meno di quanto avrebbe voluto”

L’item 8 “L’ipertensione polmonare controlla la mia vita” ha presentato un basso coefficiente di correlazione con gli item:

  1. 11a dell’SF-36 “Mi pare di ammalarmi un po’ più facilmente degli altri”
  2. 11c dell’SF-36 “Mi aspetto che la mia salute andrà peggiorando”

L’item 9 “Sono completamente dipendente” ha presentato un basso coefficiente di correlazione con gli item:

  1. 10 del NHP “Riesco a muovermi solamente in casa”
  2. 14 del NHP “Sono completamente incapace di camminare”

Bisogna sottolineare che lo studio sulla validità convergente è stato eseguito utilizzando scale di paragone diverse da quelle utilizzate nello studio originale (Minnesota Living With Heart Failure Questionnaire modified for PH, Dyspnoea-12, Hospital Anxiety and Depression Scale, 6MWT) [10]. In questo studio sono state utilizzate le scale SF-36 e NHP, due strumenti validi utilizzati in molti studi di convalida come nel caso del questionario CAMPHOR [18, 25, 26].

L’emPHasis-10 è un costrutto unidimensionale a differenza delle scale SF-36 e NHP che sono mutidimensionali; esso, inoltre, è un questionario che valuta dimensioni proprie dell’Ipertensione Polmonare, mentre le altre due scale valutano il livello di salute generale. Per questi motivi gradi diversi di correlabilità sono accettati.

Per la valutazione della HRQoL dei pazienti con IP, le scale generiche si sono dimostrate utili ma è altamente consigliabile l’utilizzo di scale studiate appositamente per i pazienti con questa patologia poiché meglio rispondenti al cambiamento e mirate a valutare condizioni cliniche specifiche.

Uno dei punti di forza dello studio è l’aver somministrato il questionario emPHasis-10 a soggetti di diverse regioni italiane. La limitazione di questo studio, invece, consiste nell’aver incluso un piccolo numero di soggetti. Ulteriori indagini sull’utilità clinica dell’emPHasis-10 sarebbero vantaggiose.

In conclusione, lo studio effettuato dimostra che la versione italiana dell’emPHasis-10 è uno strumento valido ed affidabile per la valutazione della qualità della vita correlata alla salute dei pazienti affetti da IP.

Il questionario emPHasis-10 in versione italiana può essere utilizzato nella pratica clinica.

 

Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento.

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

BIBLIOGRAFIA

  1. Galiè N, Humbert M, Vachiery JL et al. 2015 ESC/ERS Guidelines for the diagnosis and treatment of pulmonary hypertension: The Joint Task Force for the Diagnosis and Treatment of Pulmonary Hypertension of the European Society of Cardiology (ESC) and the European Respiratory Society (ERS): Endorsed by: Association for European Paediatric and Congenital Cardiology (AEPC), International Society for Heart and Lung Transplantation (ISHLT). Eur Heart J. 2016 Jan 1;37(1):67-119.
  2. Delcroix M, Howard L. Pulmonary arterial hypertension: the burden of disease and impact on quality of life. Eur Respir Rev. 2015 Dec;24(138):621-9.
  3. The impact of pulmonary arterial hypertension (PAH) on the lives of patients and carers: results from an international survey. PDF disponibile al sito: http://www.phaeurope.org/wp-content/uploads/International-PAH-patient-and-Carer-Survey-Report-FINAL1.pdf ultimo accesso 24/02/2019 ultimo accesso 24/02/2019.
  4. Il portale delle malattie rare e dei farmaci orfani. Ipertensione arteriosa polmonare familiare e/o idiopatica. Disponibile al sito: https://www.orpha.net/consor/cgi-bin/Disease_Search.php?lng=IT&data_id=18210&Disease_Disease_Search_diseaseGroup=Ipertensione-polmonare&Disease_Disease_Search_diseaseType=Pat&Malattia(e)/%20gruppo%20di%20malattie=Ipertensione-arteriosa-polmonare&title=Ipertensione%20arteriosa%20polmonare&search=Disease_Search_Simple ultimo accesso 25/03/2019.
  5. Manuale MSD. Ipertensione polmonare. Disponibile al sito: https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-polmonari/ipertensione-polmonare/ipertensione-polmonare ultimo accesso 25/03/2019.
  6. Hoeper MM, Simon R Gibbs J. The changing landscape of pulmonary arterial hypertension and implications for patient care. Eur Respir Rev. 2014 Dec;23(134):450-7.
  7. Guillevin L, Armstrong I, Aldrighetti R, et al. Understanding the impact of pulmonary arterial hypertension on patients’ and carers’ lives. Eur Respir Rev. 2013 Dec;22(130):535-42.
  8. Taichman DB, Shin J, Hud L, et al. Health-related quality of life in patients with pulmonary arterial hypertension. Respir Res. 2005; 6(1): 92.
  9. Zlupko M, Harhay MO, Gallop R, et al. Evaluation of disease-specific health-related quality of life in patients with pulmonary arterial hypertension. Respir Med 2008; 102: 1431–1438.
  10. Yorke J, Corris P, Gaine S, et al. emPHasis-10: development of a health-related quality of life measure in pulmonary hypertension. Eur Respir J. 2014 Apr; 43(4): 1106–1113.
  11. Fernandes CJ, Martins BC, Jardim CV, et al. Quality of life as a prognostic marker in pulmonary arterial hypertension. Health Qual Life Outcomes. 2014 Aug 30;12:130.
  12. Flattery MP, Pinson JM, Savage L, et al. Living with pulmonary arterial hypertension: patient’s experiences. Heart Lung. 2005 Mar-Apr;34(2):99-107.
  13. McDonough A, Matura LA, Carroll DL. Symptom experience of pulmonary arterial hypertension patients. Clin Nurs Res. 2011 May;20(2):120-34.
  14. Löwe B, Gräfe K, Ufer C, et al. Anxiety and depression in patients with pulmonary hypertension. Psychosom Med. 2004 Nov-Dec;66(6):831-6.
  15. Harzheim D, Klose H, Pinado FP, et al. Anxiety and depression disorders in patients with pulmonary arterial hypertension and chronic thromboembolic pulmonary hypertension. Respir Res. 2013 Oct 9;14:104.
  16. Ganderton L, Jenkins S, McKenna SP, et al. Validation of the Cambridge Pulmonary Hypertension Outcome Review (CAMPHOR) for the Australian and New Zealand population. 2011 Nov;16(8):1235-40.
  17. Chen H, Taichman DB, Doyle RL. Health-related quality of life and patient-reported outcomes in pulmonary arterial hypertension. Proc Am Thorac Soc. 2008 Jul 15;5(5):623-30.
  18. Cima K, Twiss J, Speich R, et al. The German adaptation of the Cambridge pulmonary hypertension outcome review (CAMPHOR). Health Qual Life Outcomes. 2012 Sep 13;10:110.
  19. Cenedese E, Speich R, Dorschner S, et al. Measurement of quality of life in pulmonary hypertension and its significance. Eur Respir J. 2006 Oct;28(4):808-15.
  20. Ware JE Jr, Sherbourne CD. The MOS 36-item short-form health survey (SF-36). Conceptual framework and item selection. Med Care. 1992 Jun;30(6):473-83.
  21. McKenna SP, Doughty N, Meads DM, et al. The Cambridge Pulmonary Hypertension Outcome Review (CAMPHOR): a measure of health-related quality of life and quality of life for patients with pulmonary hypertension. Qual Life Res. 2006 Feb;15(1):103-15
  22. US Food and Drug Administration. Guidance for industry patient-reported outcome measures: use in medical product development to support labeling claims. Disponibile al sito: https://www.fda.gov/downloads/drugs/guidances/ucm193282.pdf ultimo accesso 24/02/2019.
  23. Gomberg-Maitland M, Chen H. Measuring health in pulmonary hypertension: emphasising the right end-point? Eur Respir J. 2014 Apr;43(4):960-2.
  24. Foster E, Guillen A, Lara K, et al. Linguistic Validation of The Emphasis-10 Questionnaire: A Patient-Reported Outcome Instrument For Assessing Qol In Pulmonary Hypertension (Ph). Value Health. 2015 Nov;18(7):A744.
  25. Coffin D, Duval K, Martel S, et al. Adaptation of the Cambridge Pulmonary Hypertension Outcome Review (CAMPHOR) into French-Canadian and English-Canadian. Can Respir J. 2008 Mar;15(2):77-83.
  26. Gomberg-Maitland M, Thenappan T, Rizvi K, et al. United States validation of the Cambridge Pulmonary Hypertension Outcome Review (CAMPHOR). J Heart Lung Transplant. 2008 Jan;27(1):124-30.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


L’infermiere nel DEA: una risorsa strategica per la gestione dell’overcrowding e della customer satisfaction

Francesco Petrosino1 - Aniello Lanzuise2

 

  1. Infermiere, Osservazione Breve Intensiva e Pronto Soccorso, A.O.U. “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona – Salerno
  2. Infermiere Dirigente, P.O. “S. Maria della Pietà” – Camilliani, Casoria, Napoli

 

 Doi: 10.32549/OPI-NSC-23

Cita questo articolo

Introduzione

Il fenomeno dell’overcrowding (sovraffollamento) è una delle principali criticità che si trova quotidianamente a dover affrontare la maggior parte dei Pronto Soccorso; si riscontra quando vi è un eccessivo e non programmabile afflusso di pazienti.

L’overcrowding genera conseguenze che coinvolgono l’intero ospedale: nonostante il fenomeno sia stato oggetto di numerosi studi, a oggi, la letteratura internazionale non sembra essere in grado di fornire una soluzione univoca al problema, proprio a causa delle sue caratteristiche, complesse e poliedriche; né, tantomeno si è riusciti a proporre un modello organizzativo in grado di arginare prontamente il problema per erogare assistenza sicura e di qualità.

Obiettivo

Scopo di questo studio è quello di indagare la reale situazione di una specifica realtà di Pronto Soccorso e comprendere se l’introduzione di un infermiere dedicato alla gestione dei flussi possa ridurre il fenomeno dell’overcrowding.

Materiale e metodo

È stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo sui dati relativi gli accessi al Pronto Soccorso dell’AOU di Salerno (anni 2012-2017); sono state considerate le attività utili a una gestione efficace ed efficiente dell’overcrowding e alcune possibili soluzioni.

Risultati

L’attuazione sinergica di strategie pianificate, pur non risolvendo completamente l’overcrowding, può permettere una riduzione e/o una redistribuzione del sovraccarico di lavoro.

Conclusioni

L’implementazione di una metodologia che impegni il personale del DEA nella gestione dei flussi dei pazienti, con la supervisione e il controllo da parte di un infermiere dedicato, può portare a una migliore gestione della value (valore) e della customer satisfaction (soddisfazione del cliente).

Parole chiave

Pronto Soccorso, overcrowding, lean management, customer satisfaction

 

 

 

 

ED nurse: a strategic resource for the management of overcrowding and customer satisfaction

 

Introduction

The overcrowding is one of the main problems that every day has to face most of the Emergency Rooms; it is found when there is an excessive, and non-programmable, inflow of patients.

Overcrowding generates consequences that involve the entire hospital: despite the phenomenon has been the subject of numerous studies, to date, international literature does not seem to be able to provide a univocal solution to the problem, because of its complex and multifaceted characteristics; nor it was possible to propose an organizational model that can readily contain the problem to provide safe and quality care.

Aim

The purpose of this study is to investigate the real situation of a specific emergency room and understand whether the introduction of a nurse dedicated to the management of flows may reduce the overcrowding.

Material and method

An observational retrospective study was conducted on data from Emergency Rooms of Salerno's University Hospital (period 2012-2017); were therefore considered the activities useful for an effective and efficient control of overcrowding and some possible solutions.

Results

The synergistic implementation of planned strategies, even if not completely solving overcrowding, may permit a reduction and/or a redistribution of the work overload.

Conclusions

The implementation of a methodology that engages the ED staff in the management of patient flows, with the supervision and control by a nurse flow coordinator, may lead to a better management of the value and the customer satisfaction.

Keywords

Emergency room, overcrowding, nurse flow coordinator, lean management, customer satisfaction

 

 

 

INTRODUZIONE

Il fenomeno dell’overcrowding (sovraffollamento)[1] è una delle principali criticità per i Dipartimenti di Emergenza e Accettazione (DEA): si riscontra quando vi è un eccessivo e non programmabile afflusso di pazienti, con un importante divario tra richieste dell’utenza e disponibilità di risorse per soddisfarle [2]. In Italia le statistiche confermano la presenza di tale fenomeno: i dati del Programma Nazionale Esiti (PNE)[3] – sviluppato da AGENAS per conto del Ministero della Salute – relativi all’anno 2015 documentano circa 3.6 accessi in Pronto Soccorso (PS) ogni 10 abitanti; di questi, circa il 66% sono costituiti da pazienti con codice verde e circa il 15% viene in seguito ricoverato. Tale ultimo indicatore è alquanto variabile nell’ambito del territorio nazionale.

L’overcrowding  genera conseguenze che coinvolgono l’intero ospedale: maggiore durata della permanenza e aumento della mortalità [4], insoddisfazione degli utenti [5], riduzione della qualità delle cure [6], burnout del personale [7], difficoltà a reclutarne di nuovo e a mantenere quello già in essere [8].

Il fenomeno dell’overcrowding è un tema frequentemente affrontato dalla letteratura internazionale, tanto che sono oramai ben note le cause di questo fenomeno – come ad esempio visite non urgenti, “frequent flyers” o reingressi, patologie stagionali, organico inadeguato, “boarding” o tempo di attesa per l’ospedalizzazione, carenza di posti letto [9][10] – e talora anche le possibili soluzioni. Queste ultime, però, non sempre vengono messe in atto, proprio a causa delle caratteristiche complesse e poliedriche dell’overcrowding [11]. In definitiva, il sovraffollamento riduce o, in casi estremi, annulla la capacità del PS di garantire risposte e interventi tempestivi, adeguati e ottimali [12].

In un contesto di costante dinamicità dei processi di cura, la programmazione strategica non dovrebbe più essere vista come semplice applicazione di leggi e regolamenti, ma seguire piuttosto una logica più complessa, che focalizzi la propria attenzione sugli aspetti strategici, organizzativi e di razionalizzazione delle risorse [13] e della gestione dei posti letto in un' ottica lean [14]. L’introduzione di modelli di gestione manageriale adeguati al governo della complessità e all’orientamento al risultato, richiede una nuova capacità di pianificazione e di controllo strategico: sarà quindi necessario individuare nuovi strumenti che possano integrare quelli esistenti e supportare l’organo di governo nell’individuazione degli obiettivi, nella loro definizione e articolazione, e nella verifica del grado di raggiungimento degli stessi. E in tale quadro il Pronto Soccorso assume un ruolo rilevante: un ambiente critico e in continua evoluzione che deve essere regolamentato con efficaci strategie di leadership infermieristica, affinché si possano produrre validi risultati [15], e nel quale il calcolo del fabbisogno infermieristico – e del workload – assume un ruolo di fondamentale importanza [16][17] sebbene non sia l’unico obiettivo da perseguire [18][19].

Nel 2003, Asplin et al. proposero un modello concettuale che scomponeva il problema dell’overcrowding in tre componenti interdipendenti (Figura 1): input (accesso dei pazienti al PS/DEA, creazione domanda di servizi), throughput (gestione del paziente e sua permanenza in PS) e output (termine delle attività con dimissione, ricovero, trasferimento ad altra struttura, etc.); l’obiettivo dichiarato era di fornire un modello concettuale che aiutasse a comprendere quali fossero le cause del sovraffollamento, al fine di sviluppare possibili soluzioni al problema agendo su ognuna delle diverse componenti [20]. Tale schema si caratterizza per la semplicità e la precisione con cui si individuano, nelle realtà che lo applicano, le tre macrocategorie determinanti l’overcrowding [21]; nella ricerca di possibili soluzioni al problema, nasce la figura dell’infermiere “flussista”, figura preposta a dirigere flussi di pazienti, dall’arrivo in Pronto Soccorso alla registrazione, dal triage alla visita, fino alla dimissione [22]. Il modello di Asplin necessita di più azioni concomitanti per la soluzione dell’overcrowding e l’infermiere di processo è stata individuata come figura che potrebbe farsi carico degli aspetti essenziali del modello [44]. Ne scaturisce un nuovo modello organizzativo che porta a una configurazione essenzialmente dinamica di tutto il processo, improntata alla flessibilità e alla revisione periodica, superando la staticità del modello gerarchico-burocratico che ha caratterizzato, fino a oggi, le aziende pubbliche: dando priorità ai bisogni del flusso di valore, anche la customer satisfaction (soddisfazione del cliente) ne trarrà beneficio. Tutto questo dovrà poi essere implementato in un’ottica lean (snella) [23]: infatti, il pensare snello e creativo in Sanità equivale a cercare di sottrarre “peso” ai processi, evitando al contempo sprechi [24] ed implementando modelli di comunicazione sempre più efficaci [25]

 

 

OBIETTIVO

Obiettivo di questo studio è quello di valutare la situazione dell’overcrowding nel Pronto Soccorso dell’AOU “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno (da ora in poi indicata come “Ruggi”) e individuare se e quale possa essere il ruolo dell’infermiere “flussista”nella gestione dell’overcrowding nella realtà presa in esame.

MATERIALE E METODI

È stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo (anni 2012-2017) sui dati relativi agli accessi del PS del “Ruggi”, dati ottenuti – previa autorizzazione della Direzione Sanitaria – attraverso l’estrazione dalla piattaforma applicativa ERP (Healthcare Enterprise Resource Planning) aziendale; sono state quindi considerate le attività utili a una gestione efficace ed efficiente dell’overcrowding e alcune possibili soluzioni.

RISULTATI

Analisi dei dati

Come è possibile vedere in Figura 2, nel corso degli ultimi 5 anni, c’è stato un aumento considerevole degli accessi al PS del “Ruggi”, con un picco nel 2014, anno dell’apertura della nuova struttura, con numeri che rendono un’idea di quanto il fenomeno dell’overcrowding abbia assunto carattere di criticità.

Prendendo in considerazione i dati degli accessi di n.43 PS della Campania in tutto il 2015 (popolazione residente, fonte ISTAT, 5.861.529), questi risultano essere 1.415.981 con una media di 241.6 accessi per 1000 abitanti: il PS del “Ruggi” è al secondo posto in quanto a numero di ricorsi a esso(n.84170). C’è però da dire che, nonostante l’alto numero di accessi, la permanenza oltre le 24h risulta essere solo del 2.6%. Questa percentuale appare essere molto bassa se paragonata al 6.1% del “Cardarelli” e al 5.2% dell’AO “Moscati” di Avellino e del “Rummo” di Benevento [3]: queste ultime due aziende, infatti, hanno un numero di accessi inferiori di almeno un terzo di quelli del “Ruggi” (Figura 3).

 

Per quanto riguarda, invece, gli accessi al “Ruggi” suddivisi per codice colore (Figura 4), si nota un aumento, in percentuale sugli accessi totali, dei codici Rossi e Gialli: questo dato è verosimilmente legato, a nostro avviso, sia all’aumento dell’età media e alla pluripatologia sia all’allargata offerta di prestazioni sanitarie – e quindi all’attrattività – da parte dell’Azienda, a seguito della sua integrazione con l’Università di Salerno. I codici Verdi, invece, restano più o meno stabili nei 5 anni.

A fronte, però, dell’aumento degli accessi totali, anche al “Ruggi” si assiste a un lieve calo dei ricoveri (Figura 5), così come osservato nei rapporti annuali SDO del Ministero della Salute.

Altra problematica legata all’overcrowding è l’allontanamento dal DEA prima della visita o durante l’attesa. Numerosi studi hanno riportato che la quota di abbandoni di pazienti in PS prima della visita medica si aggira intorno al 5% (0,1-15) [26]. Come si può leggere dal grafico (Figura 6), la percentuale di pazienti che si allontanano dal PS del “Ruggi” si attesta, in media, intorno a un 8-9% annuo sugli accessi totali; la maggior parte degli abbandoni avviene prima della visita e, negli ultimi due anni, vi è stato un aumento degli stessi; questo, verosimilmente, è legato all’aumento del numero degli accessi e del tempo di attesa prima della visita. Altro fattore importante potrebbe essere la sensazione che si avverte di sovraffollamento anche solo restando ad aspettare nei locali del PS.

 

 

 

Monitoraggio dell’overcrowding nel PS del “Ruggi”

Lo stato dell’arte del monitoraggio nel PS del “Ruggi” a oggi prevede esclusivamente l’utilizzo di statistiche puntuali (piattaforma applicativa aziendale) e dati periodici aggregati (flussi EMUR). Mancano invece dati aggiornati in tempo reale e indicatori dinamici su dati aggregati come, per esempio, score di processo per la gestione operativa all’interno dei cruscotti dedicati [10]; nella nostra analisi abbiamo preso in considerazione il CEDOCS (Community Emergency Department Overcrowding Scale) [27]: il suo punteggio è stato calibrato confrontando il risultato che da esso si otteneva con la “percezione” di affollamento che avevano gli operatori durante la rilevazione [28]. Questo score aggregato andrebbe poi utilizzato, in ogni presidio sede di PS, per la redazione di un piano di gestione del sovraffollamento (PGS). Raccogliendo i dati di accesso in una settimana – con una media di 208 accettazioni giornalieri – ricaviamo un grafico (Figura 7) dal quale appare chiaro come il PS del “Ruggi” risulti essere “severamente sovraffollato”i primi e gli ultimi giorni della settimana, mentre risulta essere quotidianamente “affollato” a metà giornata.

 

Ricavare questi dati, e successivamente analizzarli, potrebbe essere utile per la definizione di strategie di escalation in un’ottica lean di gestione dell’overcrowding.

DISCUSSIONE

L’overcrowding del PS/DEA è causato da diversi fattori tutti ascrivibili a ognuna alle tre macrocategorie interdipendenti individuate da Asplin et al. [20]: input factors, throughput factors e output factors; volendo analizzare nello specifico tali fattori, si può definire come i primi riflettano le fonti e le espressioni dell’afflusso di pazienti in Pronto Soccorso, i secondi rispecchino i colli di bottiglia di un Pronto Soccorso mentre i terzi i colli di bottiglia di altre parti del sistema sanitario, con ripercussione sul Pronto Soccorso stesso [21][29].

Nel 2003 uno studio di Liz Lees e Jacki Ferreday [30] – avente come obiettivo quello di  migliorare i tempi relativi ai processi, ridurre la variabilità e migliorare il flusso dei pazienti – individua una figura definita patient-flow coordinator che doveva supportare tutto il personale del PS nell’affrontare alcuni dei problemi che affliggono quotidianamente i DEA. Un consequenziale e significativo miglioramento nel throughput – riduzione del tempo di ammissione, diminuzione dei tempi di permanenza, dei tempi di trasferimento e dei reingressi – è infatti risultato da un altro studio di Preethy et al. [31] del 2016, nel quale si analizza il ruolo di un coordinatore infermieristico delle emergenze per il miglioramento del flusso dei pazienti nel DEA. Tale studio è congruente con i risultati di Asha et al. [32] che ha visto – introducendo nei DEA la figura dell’infermiere coordinatore di processi – un miglioramento del tasso di conformità fra pazienti ammessi e pazienti dimessi (tempo di permanenza). Questa nuova professionalità potrebbe soprattutto influenzare il throughput (riduzione del tempo di permanenza in PS con la diversione dei pazienti, degli allontanamenti e della diversione delle ambulanze) e migliorare, quindi, il flusso dei pazienti e la loro soddisfazione [33].

Nella realtà da noi presa in esame, l’implementazione di un infermiere dedicato, che per brevità chiameremo “flussista”, potrebbe occupare un ruolo fondamentale per il miglioramento di tutto il processo nei vari setting organizzativi: utilizzo della diversione dei pazienti – con l’implementazione di percorsi fast-track e l’impiego (auspicabile) del modello “See and Treat” (input) – e identificazione del ruolo che ha il professionista nel processo di triage (throughput o fattori interni); infatti già oggi, come è possibile vedere in Figura 4, la modifica del sistema di triage al “Ruggi” – nel 2014 è passato da un metodo di valutazione cosiddetto “di bancone” a un modello di “triage globale”, con un infermiere esaminatore, un infermiere valutatore e l’utilizzo di protocolli interni che hanno ridotto la variabilità di tutto il processo – ha portato a un miglioramento dell’identificazione di quei pazienti a potenziale rischio evolutivo che, a volte, venivano “persi di vista” per sottostima del codice (gialli codificati verdi). Altro punto importante è stata l’istituzione dell’infermiere valutatore: potendo oggettivare il problema, non si è più portati a “far entrare” tutti il prima possibile – questo per evitare sia le proteste degli utenti sia contenziosi medico-legali successivi a eventuali eventi avversi –, cosa che potrebbe successivamente spingere coloro che hanno avuto un accesso improprio, a decidere di allontanarsi (Figura 6)[34]. Come è facile comprendere, la presenza di un ulteriore infermiere che possa gestire i processi – assegnando i pazienti a quell’area di trattamento che, per intensità di cure, risulti essere più appropriata alle loro condizioni cliniche, anche in base alla situazione interna del PS e mantenendo un feedback continuo con le aree di assistenza – potrebbe portare a intercettare i casi urgenti e individuare gli outlier (comportamenti fuori norma), governando così in sicurezza anche l’attesa. Egli potrebbe, in particolar modo, curare la rivalutazione, perché momento basilare per governare l’attesa in sicurezza, valutando un “utilizzo attivo dei tempi”, in maniera da rassicurare il paziente.

Stesso discorso vale per il miglioramento dei percorsi fast-track (componente in ingresso) all’interno del PS del “Ruggi: gestiti dagli infermieri di triage, hanno portato a una razionalizzazione dei percorsi e a una sensibile diminuzione dei tempi di attesa e di accesso alle cure, specie per le utenze con i codici a bassa priorità: l’utilizzo di un infermiere dedicato che possa gestire questo flusso (diversione) alleggerirebbe il carico lavorativo e lo stress di questi infermieri, quotidianamente sottoposti a continue richieste, spesso non coerenti alla loro attività, e che potrebbero rallentare il riconoscimento di situazioni invece a rischio. Questo nostro risultato è in parte comparabile (per numero di accessi considerati) a quello del lavoro di Xavier et al. [31] e di Handel et al. [33], nei quali si poneva l’accento sulla diminuzione dei tempi di attesa dei pazienti in PS (relativamente alla loro diversione); la diminuzione degli allontanamenti non è, invece, ugualmente comparabile: quest’ultimo aspetto, nello studio succitato, è migliorato per la presenza di un “paramedico” acceleratore dei flussi, figura non ancora presente nella realtà del “Ruggi” e nella quale si è assistito, viceversa, ad un aumento del loro numero.

Infine, una ulteriore ottimizzazione – rispetto all’attuale organizzazione –, si potrebbe ottenere con l’implementazione di un infermiere “flussista” che gestisca anche gli accessi in Osservazione Breve Intensiva (OBI): questa modalità di ricovero – relativamente al fattore output (componente in uscita) per la riduzione del boarding [35] – ha ricevuto un livello medio-alto di gradimento rilevato attraverso la somministrazione di un questionario di gradimento anonimo al “Ruggi” (Figura 8); risulta quindi essere un percorso da tenere in debita considerazione per il miglioramento di tutto il processo a esso collegato.

Dai dati raccolti è emerso che oggi al “Ruggi” il ruolo dell’infermiere “flussista” è in parte lasciato ai colleghi di turno: risulta dunque evidente come questa figura potrebbe divenire di primo piano nei vari setting organizzativi del PS/DEA e che, quindi, necessiti di personale dedicato.

Quanto descritto porterebbe, in definitiva, a un modello organizzativo con un impatto sicuramente importante sulla gestione della value, dell’esperienza vissuta dai pazienti e della customer satisfaction, nonostante la sua implementazione necessiti di ulteriori ricerche e valutazioni in merito alla concreta attuazione.

 

CONCLUSIONE

L’overcrowding è riconosciuto come un grave problema nei PS di tutto il mondo, come verificato dalla ampia letteratura a riguardo [36]. Con le soluzioni suindicate si modifica il paradigma proprio del DEA: non si dovrà più gestire solo il pushing dei pazienti ma cercare un equilibrio ottimale in tutto il flusso, sia in entrata sia in uscita, attraverso meccanismi standardizzati che portino alla “built-in quality”.

Appare chiaro che oggi un’azienda così complessa, quale può essere quella sanitaria, non può pretendere di ottenere risultati solamente attraverso il miglioramento delle sue singole funzioni, ma anche nella definizione del problema stesso [37] e deve introdurre al suo interno un concetto nuovo che è quello della gestione per processi. I processi, intesi come sequenze standard di attività fra loro logicamente collegate, vanno ottimizzati per fornire un servizio migliore, contenere i costi, razionalizzare le risorse interne e diventare maggiormente competitivi: l’introduzione di una figura professionale come quella dell’infermiere “flussista” potrebbe essere il punto di partenza per sviluppare nuovi modelli che meglio rispecchino la situazione, al fine di poter prendere decisioni e attuare azioni che vadano a ridurre effettivamente l’overcrowding in maniera efficace ed efficiente. Bisognerà dare priorità al cittadino, identificando l’intero suo percorso all’interno della struttura sanitaria in una logica che sarà di tipo pull e non più push, ovvero entro la quale saranno i bisogni dei pazienti a definire e “tirare” il flusso di lavoro, piuttosto che l’organizzazione a “spingere” le attività verso di essi [24]. L’attuazione sinergica di strategie pianificate, pur non risolvendo completamente il problema dell’overcrowding, permetterebbe, in questo modo, una riduzione/redistribuzione del sovraccarico di lavoro, una gestione di spazi e risorse più appropriata, una maggior appropriatezza di alcune prestazioni e una riduzione del rischio per i pazienti [38]. Sarà inoltre necessaria un’integrazione con sistemi e strumenti di controllo e di misurazione delle performance aziendali a supporto degli organi di gestione e governo [39], come per esempio la Balanced Scorecard – strumento di gestione altamente flessibile e affidabile che  considera alcune variabili chiave per un’azienda associandole al concetto di “equilibrio” – per essere sempre orientati alla missione non alla produzione di profitto [40].

CONFLITTI DI INTERESSE E FONTI DI FINANZIAMENTO

Nessuno degli autori ha conflitti di interesse né ha ricevuto finanziamenti per la stesura dell’articolo.

BIBLIOGRAFIA

  1. Australasian College for Emergency Medicine. Access Block and overcrowding in emergency departments. 2004.
  2. American College of Emergency Physicians. Crowding. Ann Emerg Med. 2006; 47:585.
  3. Disponibile a: http://95.110.213.190/PNEedizione16_p/index.php. Ultimo accesso: 30 dicembre 2018.
  4. Sun BC, Hsia RY, Weiss RE, Zingmond D, Liang LJ, Han W, et al. Effect of Emergency Department crowding on outcomes of admitted patients. Ann Emerg Med. 2013 Jun; 61(6):605-611.e6.
  5. Tekwani KL, Kerem Y, Mistry CD, Sayger BM, Kulstad EB. Emergency department crowding is associated with reduced satisfaction scores in patients discharged from the emergency department. West J EmergMed. 2013;14(1):11–5.
  6. Zhou JC, Pan KH, Zhou DY, Zheng SW, Zhu JQ, Xu QP, et al. High hospital occupancy is associated with increased risk for patients boarding in the emergency department. Am J EmergMed. 2012;125:416.e1–.e7.
  7. Hwang U, Richardson L, Livote E, Harris B, Spencer N, Sean Morrison R. Emergency department crowding and decreased quality of pain care. Acad Emerg Med. 2008;15(12):1248–55.
  8. Estey A, Ness K, Saunders LD, Alibhai A, Bear RA. Understanding the causes of overcrowding in Emergency Departments in the Capital Health Region in Alberta: a focus group study. 2003 Mar; 5(2):87-94.
  9. Hoot NR, Aronsky D. Systematic review of emergency department crowding: causes, effects, and solutions. Ann Emerg Med. 2008, 52(2), 126-136.
  10. Pines JM, Hilton JA, Weber EJ, Alkemade AJ, Al Shabanah H, Anderson PD, et al. International perspectives on emergency department crowding. Academic Emergency Medicine.2011;18(12), 1358-1370.
  11. Committee on the Future of Emergency Care in the United States Health System. Hospital-Based Emergency Care: At the breaking point. Washington, DC; National Academies Press; 2006.
  12. Emergency Nurses Association. (2006). Emergency Nurses Association position statement: crowding in the emergency department. Journal of Emergency Nursing, 32(1), 42-47.
  13. Finamore V. La valutazione della strategia negli enti locali: l’applicazione della Balanced Scorecard. Tesi di Dottorato, Scienza Aziendali, Università degli Studi di Napoli – Federico II; 2005.
  14. Converso G, Di Giacomo S, Murino T, Rea T. A System Dynamics Model for Bed Management Strategy in Health Care Units. Intelligent Software Methodologies, Tools and Techniques. 2015;pp 610-622
  15. Raup GH. The impact of ED nurse manager leadership style on staff nurse turnover and patient satisfaction in academic health center hospitals. J Emerg Nurs.2008; 34(5):403-9.
  16. Gräff I, Goldschmidt B, Glien P, Klockner S, Erdfelder F, Schiefer JL, Grigutsch D. Nurse Staffing Calculation in the Emergency Department - Performance-Oriented Calculation Based on the Manchester Triage System at the University Hospital Bonn. PLoS One. 2016 May 3;11(5):e0154344.
  17. Carayon P, Gurses AP. Nursing Workload and Patient Safety - A Human Factors Engineering Perspective Agency for Healthcare Research and Quality (US); 2008 Apr.
  18. Berry L, Curry P. Nursing Workload and Patient Care. CFNU, 2012.
  19. Asplin BR, Rhodes KV, Flottemesch TJ, WearsR, Camargo Jr CA, Hwang U. Is this emergency department crowded? A multicenter derivation and evaluation of an emergency department crowding scale (EDCS). Acad Emerg Med.2004; 11(5), 484.
  20. Asplin BR, Magid DJ, Rhodes KV, Solberg LI, Lurie N, Camargo CA Jr. A conceptual model of Emergency Department crowding. Ann Emerg Med. 2003; 42:173-180.
  21. Hoot NR, Zhou C, Jones I, Aronsky D. Measuring and forecasting emergency department crowding in real time. Ann Emerg Med. 2007; 49(6), 747-755.
  22. Kelen GD, Scheulen JJ, Hill PM. Effect of an emergency department (ED) managed acute care unit on ED overcrowding and emergency medical services diversion. Acad Emerg Med. 2001; 8(11), 1095-1100.
  23. Vose C, Reichard C, Pool S, Snyder M, Burmeister D. Using LEAN to improve a segment of emergency department flow. J Nurs Adm.2014 Nov;44(11):558-63.
  24. Jones D, Mitchell A. Lean thinking for the NHS. NHS Confederation, 2006.
  25. Rea T, Simeone S, Annunziata M, Serio C, Esposito MR, Gargiulo G, Guillari A . Effectiveness of the Situation-Background-Assessment-Recommendation, (SBAR) methodology in patient handovers between nurses, Italy. Igiene e Sanità Pubblica. 2018;74(3):279-293.
  26. Rathlev NK, Chessare J, Olshaker J, Obendorfer D, Mehta SD, Rothenhaus T, Crespo S, Magauran B, Davidson K, Shemin R, Lewis K, Becker JM, Fisher L, Guy L, Cooper A, Litvak E. Patients who leave before being seen in an urgent care setting. Eur J Emerg Med. 2013 Dec; 20(6):420-4.
  27. Weiss SJ, Rogers DB, Maas F, Ernst AA, Nick TG. Evaluating community ED crowding: the Community ED Overcrowding Scale study. Am J Emerg Med. 2014 Nov; 32(11):1357-63.
  28. MekjavichL, BartlesonBJ, WeissS, Wolff A. Using ED overcrowding tools to improve care and throughput. 2014, Webinair. California Hospital Association.
  29. Kelen GD, Scheulen JJ, Hill PM. Effect of an emergency department (ED) managed acute care unit on ED overcrowding and emergency medical services diversion. Acad Emerg Med. 2001; 8(11), 1095-1100.
  30. Lees L, Ferreday J. The role of a patient-flow coordinator in an emergency assessmentunit. Nursing Times; 2003; 99:32, 32–34.
  31. S P, Xavier T, N R, Robin M, Agrawal D. Impact of an Emergency Nurse Coordinator on Work Flow Optimization in an Emergency Department in Delhi, India. Stud Health Technol Inform. 2016; 225:875-6.
  32. Asha SE, Ajami A. Improvement in emergency department length of stay using a nurse-led 'emergency journey coordinator': a before/after study. Emerg Med Australas. 2014;26(2):158–63.
  33. Handel DA, Ma OJ, Workman J, Fu R. Impact of an expeditor on Emergency Department patient throughput. Western Journal of Emergency Medicine, 2011, 12(2), 198-203.
  34. Polevoi S, Quinn J, Kramer N. Factors associated with patients who leave without being seen. Academic Emergency Medicine, 2005, 12, 232-236.
  35. Johnson KD, Winkelman C. The effect of emergency department crowdingon patient outcomes: a literature review. Adv Emerg Nurs J. 2011; 33(1), 39-54.
  36. Moskop JC, Sklar DP, Geiderman JM, Schears RM, Bookman KJ. Emergency department crowding, part 1 - concept, causes, and moral consequences. Ann Emerg Med. 2009; 53(5), 605-611.
  37. Pines JM. Moving closer to an operational definition for ED crowding [letter]. Acad Emerg Med. 2007; 14:382-383.
  38. Kollberg B, Dahlgaard J. Measuring lean thinking initiatives in health care services. International Journal of Productivity and Performance Management, 2005; 56(1):7-24.
  39. Baroma B, Bellisario A, Chirico A. Lean Philosophy and Balanced Scorecard: what’s new? In performance Measurement and Management Control: global Issues. Bingley: Emerald Group Publishing Limited, October 2013.
  40. Reeder TJ, Burleson DL, Garrison HG. The overcrowded emergency department: a comparison of staff perceptions. Acad Emerg Med. 2003; 10(10), 1059-1064.
  41. Dunn R. Reduced access block causes shorter emergency department waiting times: an historical control observational study. Emerg Med. 2003; 15(3), 232-238.
  42. Weiss SJ, Arndahl J, Ernst AA, Derlet R, Richards J, Nick TG. Development of a site sampling form for evaluation of ED overcrowding. Med Sci Monit. 2002; 8(8), CR549-53.
  43. Bernstein SL, Aronsky D, Duseja R, Epstein S, Handel D, Hwang U, et al; Society for Academic Emergency Medicine, Emergency Department Crowding Task Force. The effect of Emergency Department crowding on clinically oriented outcomes. Acad Emerg Med. 2009 Jan; 16(1):1-10.
  44. Morley C, Unwin M, Peterson GM, Stankovich J, Kinsman L. Emergency department crowding: A systematic review of causes, consequences and solutions. PLoS ONE, August 2018; 13(8):e0203316.
  45. Murphy SO, Barth BE, Carlton EF, Gleason M, Cannon CM. Does an ED flow coordinator improve patient throughput? J Emerg Nurs. 2014 Nov;40(6):605-12.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Unitary Caring Science - Universals of Human Caring and Global Micro practices of Caritas

By Jean Watson, PhD, RN, AHN-BC, FAAN, LL (AAN).

Founder/Director Watson Caring Science Institute, a non-profit organization.

Distinguished Professor/Dean Emerita University of Colorado Denver, College of Nursing.

Jean@watsoncaringscience.org

www.watsoncaringscience.org

 Doi: 10.32549/OPI-NSC-22

Cita questo articolo

Abstract:

This manuscript offers a reflective pause to consider an overview of Unitary Caring Science as a philosophical-theoretical discipline-specific, professional nursing practice/praxis model for human caring nursing.  It provides the background of the 10 Caritas Processes, considered universals of human caring phenomena and practices. The underlying starting point for unitary caring science is informed by an ‘Ethic of Belonging ‘- that is, we all belong to the infinite field and sacred circle of life itself. – belonging to the cosmic energy of universal Love.   Thus our ‘Belonging’ becomes before our separate ‘Being’.  So, in this foundational unitary starting point - ‘ethics comes before ontology’. With this philosophical-ethical foundation nursing practice moves from technical industrial forms of practice to Praxis, that is discipline specific, value guided, informed, knowledgeable, moral practice (praxis). This shift transcends technology and objective task- focused- physical care, to critiquing, repatterning practices from tasks and skills to Caring -Healing Arts and micro-practices that allow for human face- to- face, heart- to- heart – energetic human caring touch and transpersonal caring moments that unite.

 

Key words: Unitary Caring Science, Praxis, Caritas Processes, Disciplinary.

 

Introduction  

This manuscript offers a reflective pause to consider an overview of Unitary Caring Science as a philosophical-theoretical discipline-specific, professional nursing practice/praxis model for human caring nursing.  It provides the background of the 10 Caritas ProcessesÔ, considered universals of human caring phenomena and practices. The underlying starting point for unitary caring science is informed by an ‘Ethic of Belonging ‘- that is, we all belong to the infinite field and sacred circle of life itself. – belonging to the cosmic energy of universal Love.   Thus our ‘Belonging’ becomes before our separate ‘Being’.  So, in this foundational unitary starting point - ‘ethics comes before ontology’. [1,2].

With this philosophical-ethical foundation nursing practice moves from technical industrial forms of practice to Praxis, that is discipline specific, value guided, informed, knowledgeable, moral practice (praxis). This shift transcends technology and objective task- focused- physical care, to critiquing, repatterning practices from tasks and skills to Caring -Healing Arts and micro-practices that allow for human face- to- face, heart- to- heart – energetic human caring touch and transpersonal caring moments that unite.

This disciplinary focus for Nursing science serves as a guide toward an evolved quantum worldview for Unitary Caring Science. This evolved unitary caring science worldview (quantum universe) is in sharp contrast to the industrial -fragmented, dominant, separatist worldview of Western science and the current ‘modern’ hospital, product- line system of care delivery. This conventional, outdated industrial worldview is informed by a separatist ontological worldview, whereby everything is separated out from the whole.  Whereas within a quantum universe, and a unitary caring science lens, everything is connected; all humans are connected with reality of a shared globe, which unites, transcending differences.

 

Method

This is a theoretical exposition manuscript using a descriptive exploratory method to highlight the evolving disciplinary scientific development of nursing, from conventional technical physical, objective mindsets to theory guided moral, philosophically guided praxis, informed by Watson’s Theory of Human Caring and universals of human caring: The 10 Caritas Processes Ô; and new criteria of Caritas literacy evidenced through micro-practices.

 

Unitary Caring Science

The underlying starting point for unitary caring science is informed by an ‘Ethic of Belonging ‘- that is, we all belong to the infinite field and sacred circle of life itself. – belonging to the cosmic energy of universal Love.   Thus our ‘Belonging’ becomes before our separate ‘Being’.  So, in this foundational unitary starting point- ‘ethics comes before ontology’ [1-2]. With this philosophical-ethical foundation nursing practice moves from technical industrial forms of practice to Praxis, that is discipline specific, value guided, informed, knowledgeable, moral practice (praxis).

Unitary Caring science moves from dominate empirical objectivist, epistemological methods to expanding, emancipatory forms of inquiry; asking new questions about what counts as knowledge. With this philosophical-ethical foundation nursing practice moves from technical industrial forms of practice to Praxis, that is discipline specific, value guided, informed, knowledgeable, moral practice (praxis). This shift transcends technology and objective task- focused-physical care, to critiquing, repatterning practices from tasks and skills to Caring -Healing Arts and micro-practices that allow for human face- to- face, heart- to- heart – energetic human caring touch and transpersonal caring moments that unite.

It takes 100 years for a profession to mature as a distinct discipline; nursing is at a critical turning point in its history as it reached the centenary of Nightingale in 2010. Either nursing advances as a distinct discipline, with its distinct values, phenomena, theories, and worldview to honor its covenant with humanity to address the whole person/whole system needs for all, or it succumbs to being a very fine technological practice, within an evolved, totally transformed world of caring, health and healing.   Within our Western system of healthcare, we have yet to actualize the Nightingale model of Nursing – calling upon nature and natural caring processes for healing, beyond treatment and curing. As nursing engages in its own advancement as a distinct discipline for caring-healing/health, we create a circle of knowledge development; moving from theory, to informed conscious, intentional caring/healing practices to research and forms of inquiry and new forms of caring healing evidence and person- population- specific outcomes.

 

Results

Unitary Caring Science an evolved model of Nursing Praxis

Caring science (and now unitary caring science (Watson, 2018) has been evolving over the past 30 years, based upon the advancement of Watson’s Theory of Human Caring and developments of Human Caring Science,beyond Western medical science [3 – 8]. Whereby Western medical science focuses on objective, distant empirical, physical phenomenon, separating wholes into parts for study and for diagnosing and treatment plans and program, caring science focuses on human caring –healing, wholeness, health, including subjective, inter-subjective, non-physical, energy patterns and processes, as well as physical phenomena, with focus on whole person, whole health, personal meaning, context, relations and vicissitudes of human complexity.

 

Discussion

The next section identifies and discusses commonalities of unitary caring science praxis. For example, Universal Values; Shared Language of human caring; Global Premises; Caritas Literacy, Micro-practices as evidence of new criteria of authentic human caring practice/praxis.

Unitary Caring Science is based upon Universal Values of Humanistic-Altruism – as a sacred calling since Nightingale, nursing exists for purpose of offering compassionate caring, healing and health care for all.  This foundational value system guides the expanded worldview for caring science, a consciousness beyond physical Western worldview – emphasizing the reality of a relational worldview whereby everything is connected, acknowledging we are now living in a quantum universe. Thus Caring Science theory can be approached, studied and practiced, as a philosophy, an ethic, a theory and/or an evolved model of unitary science.

 

Universal Shared Language-Nursing

If one is to study the Theory of Human Caring formally, then the language of the theory becomes important to use to capture the phenomenon of human caring.

Without language to capture the caring phenomenon of what nurses are practicing every day, nursing becomes invisible. As part of a postmodern world it is acknowledged if you do not have your language, you do not exist.

The language of human caring has been named and described through the 10 Caritas Processes™, which provide the structure and language of the Caring Science Theory of Human Caring.  These Caritas Processes have been validated as reflecting universals of human caring, in that they apply to our shared humanity and all cultures and beliefs around the world. They have been validated for patient care relevance in countries and continents globally, for example, in the Middle East, Asia Pacific, China, South American, South Africa, Europe, Thailand, Japan and Latin American countries.

 

Meaning of Caritas

Caritas comes from the Latin word meaning to cherish, to appreciate, to give special, if not loving attention to. It represents charity and compassion, generosity of spirit. It connotes something very fine. Indeed, something precious that needs to be cultivated and sustained [7]

Watson’s theory of Transpersonal caring and the 10 Caritas Processes is one theory that can help to advance, discipline specific theory-guided nursing practice.

The 10 Caritas Processes ™ serve as the basis for ‘universals of human caring ‘, whereby our Being is connected and we all Belong to nature and our shared humanity around the globe. In other words we all Belong to the infinite field of Universal Cosmic Love [1, 6 -8].    

An ethic and relational ontology and Ethic of Belonging, is in direct contrast to the dominant Western science ethic and ontology of separation. Thus, when nursing acknowledges and acts from a consciousness of the ethic of ‘Belonging’, the whole human and all the vicissitudes of shared humanity are honored. When the nurse and embraces concepts such as Caritas and Love, combined with universals of human caring, we have to acknowledge that we have an evolved model of science.  Unitary Caring Science is the scientific context the 10 Caritas Processes™ as ‘universals of human caring’ - universals that unite humankind, transcending differences across cultures, religions, customs, borders, boundaries and geographic locations in the world.

 

The Ten Caritas Processes™ - (From Jean Watson – used with permission)

The Ten Caritas Processes provide a common language for nursing to discover, ‘see’, explore, further develop and authentically live out through practice, using these processes as a guide to personal/professional life practices.

They include the following:

  1. Sustaining Humanistic –altruistic values by practice of loving kindness, compassion and equanimity with self/other.
  2. Being Authentically present, enabling faith/ hope/belief system; honoring subjective, inner life-world of self/other.
  3. Being sensitive to self and others by cultivating own spiritual practices; beyond ego-self to transpersonal presence.
  4. Developing and sustaining loving-trusting-caring relationships.
  5. Allowing for expression of positive and negative feelings – authentically listening to another person’s story.
  6. Creatively problem-solving – ‘solution-seeking’ through caring process; full use of self and artistry of caring-healing practices via use of all ways of knowing/Being/Doing/Becoming = Caritas Praxis.
  7. Engaging in transpersonal teaching-learning within context of caring relationship; staying within other’s frame of reference – shift toward coaching model for expanded health/wellness.
  8. Creating a healing environment at all levels; subtle environment for energetic authentic caring-healing presence.
  9. Reverentially assisting with basic needs as sacred acts; touching unity of mind-body-spirit of other; sustaining human dignity.
  10. Opening to spiritual mystery, unknowns – Allowing for miracles.

No matter what country; what culture; what customs; what religion; what borders and boundaries – geographic, political or otherwise, these 10 Caritas Processes™ hold across the globe as common denominators for humanity and their need for human caring for health and healing.

These Caritas Processes have been philosophically and theoretically validated in diverse countries and cultures worldwide, including, for example Islamic –Muslim Middle East Cultures - Iran and Saudi Arabia, Turkey, Jordan, Palestine, Israel, Lebanon; European Countries – Italy, Spain, France, Portugal, Poland, Switzerland, United Kingdom, Greece, Germany; Africa – South Africa; Latin& South  America – Spanish- Speaking, countries, such as Mexico, Venezuela, Colombia, Costa Rico, Panama, Peru, Chile, Bogota., Cuba; In Asia Pacific countries such as Thailand, Japan, China, Taiwan, Korea, Singapore, Macau, Hong Kong, Philippines, among others; States throughout USA and North America – Canada, Quebec.

These processes are universal because they represent a professional covenant nursing has with humanity worldwide.  These processes are built upon Global Human Caring Values.

 

*– Universals Premises human caring worldwide:

* reprinted with permission University Press of Colorado [7].

  1. Human caring and Love are the most universal, the most tremendous and the most mysterious of cosmic forces. They comprise the primal and universal psychic energy for survival [9].
  2. Often, this wisdom and these needs are overlooked. Although we know people need each other in loving and caring ways, often we do not behave well toward each other. If our humanness and humanity is to survive and if we are to evolve toward a more loving, moral community and civilization, we need to become more caring and loving to nourish our humanity and evolve as a civilization and live together on Planet Earth. [9].
  3. Because nursing is a caring profession, its ability to sustain its caring ideals, ethics and philosophy for professional practices affect the human development of civilizations and nursing’s mission to society. Sustaining a caring ethical ideal affect the human development of civilization and determines nursing’s contribution to society.
  4. As a beginning we have to learn how to offer caring, love, forgiveness, compassion, and mercy to ourselves before we can offer authentic caring, tenderness, compassion, love, and dignity to others. [8,9].
  5. Nursing has always held a human care and caring stance with respect to people and their health-illness-healing concerns.
  6. Knowledgeable, informed, ethical human caring is the essence of professional nursing values, commitments and competent actions. It is the most central and unifying source to sustain its covenant with society and ensure its survival [10].
  7. Human caring at the individual and group/community level has received less and less emphasis in the healthcare delivery system, but now has to be restored if systems are to survive as ethically and scientifically responsible and accountable to society, and if nursing is to survive as a distinct profession and discipline to fulfill it social mandate.
  8. Caring values of nurses and nursing have been submerged. Nursing and society are therefore in a critical situation today in sustaining human caring ideals and a caring ethic and ideology in practice. The human caring role is threatened by increased medical technological-economic- bureaucratic and managerial institutional constraints in this post- post-modern era of dramatic and chaotic, unprecedented change in human history. At the same time there has a proliferation of radical treatments and cure techniques to save lives, often without regard to costs or loss of meaning to human existence.
  9. Human caring can be most effectively demonstrated and practiced only interpersonally. The inter-subjective human processes keep alive a common sense of shared humanity. It teaches us how to be human by identifying ourselves with others, whereby the humanity of one is reflected in the other. However, paradoxically, caring consciousness transcends time, space, and physicality and affects the evolving consciousness of humanity at large. [8,12].
  10. The caring moment is where the Caritas processes are lived out. The moment is transpersonal in that it has a field of its own which is greater than the occasion itself. As such the process also becomes transcendent because it goes beyond itself and of each person and becomes part of some larger, deeper complex pattern of life[8].

 

Caritas Literacy

These universals of human caring and values, which support them, also raise the notion of Caritas Literacy. For example, some of the current social-system and political structures in health care and in our world, governance can be considered ‘illiterate’ with respect to human caring and universals of shared humanity as one world, one humanity.  “Illiteracy consists of task-conscious practices; use of lower vibration objectifying language, ‘scientizing’ of human emotions and expressions and repressive, insensitive dehumanizing, dividing – separating actions and policies, crafting a commodification of caring and people” [11,12].

The opposite of Illiteracy is Caritas Literacy which is based upon the evolved consciousness and intentionality of nurses and nursing to shift from medical science/technology to caring –healing for self/other. Caritas literacy is based upon

A special way of Being – Ontology as to how to Be a loving, caring, compassionate human being. Literacy involved wisdom and dimensions of the art and artistry of our being, not just dominant science dimensions of objectivity, where humans get reduced to moral status of objects.  Literacy and Caritas evokes heart intelligence, of level of moral efficacy and a lifelong journey of self-healing, self-growth and deliberate spiritual evolving practices.  The Caritas Processes serve as ontological and ethically guided Caring Praxis – Praxis conveys informed practice, an oneness of Knowing/Being/Doing/Becoming Caritas – bringing compassion and love back into our life our work, our world – moving beyond traditional skill/task- based technically dominated practices.

The next section provides some global guidelines for Caritas Literacy.

 

Caritas Literacy Global:

 

  • Ethics of Face The only way we can sustain our humanity at this point in human history is through the face to face connection [1,7]. It is through the face-to-face connection – we ‘see’ the other; when we look into face of other, it mirrors the infinity of human soul and reflect back the infinity of our own soul, which unites us in our shared humanity.
  • Caritas Heart MethodologyÓthe human heart sends more messages to the brain than the brain sends to the heart; caring, compassion, love, beauty, truth all reside in our heart; when we radiate higher vibration feelings, such as love, caring, compassion from our heart, we affect the whole field of our work and world of humanity as one heart/one world uniting.
  • Human Touchhuman touch and intentional energetic touch is one form of healing; nurses engage in touch as a dominant form of human caring. We never know how we are touching the life of another person; when we touch someone else, we also are being touched.

 

Caritas Literacy Micro-practices for Sustaining a Caritas Relationship: Adapted from Watson, [7] - with permission.

 

  1. Pause before entering the patient’s room;
  2. ‘Read the field’ to detect energetic field of space and humans;
  3. ‘Be present’ – authentically
  4. Seek to ‘see’ ; to ‘hear’ person, beyond the diagnosis, treatment, disease;
  5. Suspending role and status, honoring each person their unique gifts and skills;
  6. Speaking and listening without judgment, working from one’s heart –centered space, working toward shared meaning and common values;
  7. Listening with compassion and open heart without interrupting; listening to another’s story as perhaps as one of the greatest healing gifts;
  8. Learning to be still, to center self, while able to dwell in silence, hold silence for reflection, contemplation and clarity;
  9. Recognizing that transpersonal Caritas Presence and practices transcend the ego-self and connect us human spirit to human spirit to where our life and work are divided no more;
  10. Honoring the reality that we are part of each other’s journey- we are all on our own journey toward healing as part of the infinity of the human condition. When we work to heal ourselves, we contribute to healing the whole.

Conclusions

This paper has provided an overview of Unitary Caring Science and how it differs from conventional Western Science, based upon the Ethic and Ontology of Belonging versus a worldview of Separation of humanity. This evolved view as foundation for the discipline of nursing, unites our oneness with each other and Planet Earth.  The Theory of Transpersonal Human Caring and 10 Caritas Processes are embedded within the evolved ethic and worldview of Unitary Caring Science and includes universals of human caring.  Foundational values that underpin the evolving quantum, world view of unitary caring science was presented. Global Caritas literacy practices are identified, such as Ethics of Face; Heart to Heart connections and Human Touch are introduced, along with more specific micro-practice/praxis guidelines for Caritas literacy. These basic, simple micro-practices, bring theory to life in concrete ways to sustain human caring and healing for nursing’s covenant with humanity.  It can be concluded, based upon the global experiences and programs of the author, the 10 Caritas Processes are relevant to all humans and are important universals for sustaining an evolved civilization for humankind.

 

Conflict of Interest

The author declares there is no conflict of interest regarding publication of this paper.

 

References

  1. Levinas, E. (1969). Totality and Infinity. Pittsburgh, PA: Duquesne University.
  2. Watson, J. (2018). Unitary Caring Science. The Philosophy and Praxis of Nursing. Boulder, CO: University press of Colorado.
  3. Watson, J. (1979) The philosophy and science of caring. Boston: little Brown.
  4. Watson, J. (1988) Human Caring Science. Boston: Jones & Bartlett.
  5. Watson, J. (1999) Postmodern Nursing & Beyond. Edinburgh: Churchill-Livingstone.
  6. Watson, J. (2006) Caring Science as Sacred Science. Philadelphia: FA Davis.
  7. Watson, J. (2008). Nursing the Philosophy and Science of Caring. Second revised edition. Boulder, CO: University Press of Colorado.
  8. Watson, J. (2012) Human Caring Science. A theory of Nursing. Sudbury, MA: Jones and Bartlett.
  9. de Chardin, T. (1967). On Love. New York: Harper & Rowe.
  10. Leininger, M. (Ed.) (1981). Caring the essential human need. Thorofare, NJ: Charles B. Slack.
  11. Watson, J. (2017) Watson, J. Global Advances in Human Caring Literacy. In Lee, S. Palmieri, P, Watson, J. Global Caring Literacy. NY: Springer.
  12. Lee, S. Palmieri, P, Watson, J. Global Caring Literacy. NY: Springer.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


La percezione della Qualità di vita del paziente con scompenso cardiaco: indagine sul campo

Mottola Antonella1, Cefalo Maria Grazia2, Di Martino Maurizio3, Continisio Grazia Isabella4

  1. Dottore in Infermieristica e Sanità Pubblica, Responsabile Servizio Infermieristico/Ostetrico, Azienda Ospedaliera Rummo, Benevento
  2. Infermiera, Benevento
  3. Infermiere Pediatrico, A.O.U. Federico II, Napoli
  4. Psicologa, A.O.U. Federico II, Napoli

*Corresponding Author: Antonella Mottola, RN, MSN, PhD. E-mail: mottola.antonella@libero.it

 

 Doi: 10.32549/OPI-NSC-21

Cita questo articolo

 

ABSTRACT

Introduzione

Lo Scompenso Cardiaco ha un impatto importante sui pazienti, le famiglie e la spesa sanitaria. Il peggioramento della tolleranza agli sforzi, la dispnea, lo sviluppo di patologie multi organo e la necessità di cambiamenti di stili di vita e di una complessa terapia farmacologica possono determinare un impatto negativo sulla qualità di vita di questi pazienti. Gli aspetti psicologici e socioculturali contribuiscono all’espressione dei sintomi e alla percezione da parte del paziente della malattia. Pertanto risulta essenziale esplorare il vissuto del paziente nell’ambito di cura.

Obiettivo

Definire il vissuto del paziente con Scompenso Cardiaco. Rilevare, analizzare e comprendere gli aspetti della vita quotidiana che vengono influenzati dallo Scompenso Cardiaco.

Metodo

Indagine osservazionale condotta de settembre 2015 a marzo 2016. Sono stati inclusi 41 pazienti con diagnosi di Scompenso Cardiaco, nella provincia di Benevento. Per il raggiungimento degli obiettivi dello studio sono stati somministrati ai soggetti inclusi il Six-Item Screener, Questionario Socio Demografico, Epworth Sleepiness Scale, Hospital Anxiety and Depression Scale, Multidemensional Scale of Perceveid Social Support.

Risultati

Dai risultati dello studio, non sono emersi “fattori barriera” che compromettono la qualità della vita dei pazienti e l’efficacia della loro autocura. Sono emerse, tuttavia, importanti differenze tra le categorie individuate. Le donne, così come i soggetti under 65, si sono rivelati essere più fragili in termini di “performance emotiva” e di “percezione” di una rete sociale che le supporti (oltre la famiglia).

Conclusioni

I risultati emersi sono in linea con i dati della letteratura scientifica. Gli aspetti psicoemotivi possono rappresentare delle fragilità e condizionare il vissuto del paziente con Scompenso Cardiaco. Lo studio può offrire uno spunto per una ulteriore indagine orientata alla individuazione ed all’implementazione di un nursing che non solo “curi” e “guarisca”, ma che supporti, orienti il paziente.

 

Keywords: QoL, Scompenso Cardiaco, esperienze del paziente, percezione del supporto sociale, ansia e depressione percepita.

 

Quality of Life in heart failure patients: survey of perception

 

ABSTRACT

Background

Heart Failure has a major impact on patients, families and healthcare spending. Worsening stress tolerance, dyspnea, the development of multi-organ pathologies and the need for lifestyle changes and a complex drug therapy can have a negative impact about the quality of life of these patients. Psychological and socio-cultural aspects contribute to the expression of symptoms and to the patient’s perception of the disease. Therefore it is essential to explore the patient’s experience in the care setting

Objective

To explore the patient’s experience with Heart Failure. Measure, analyze and understand aspects of daily life of subjects that are affected by the Heart Failure.

Method

Observational study was conducted since September 2015 to March 2016. We have included 41 patients diagnosed with Hearth Failure, in the province of Benevento. To achieve the objectives of the study we used specifics tools: Six-Item Screener, Demographic  Questionnaire, Epworth Sleepiness Scale, Hospital Anxiety and Depression Scale, Multidemensional Scale of Perceveid Social Support.

Results

From the results of the study, no “barrier factors” have emerged that compromise the quality of life of patients and the effectiveness of their self-sufficiency. However, important differences emerged between the categories identified. Women, as well as the subject under 65, have proved to be more fragile in terms of “emotional performance” and “perception” about a social  supports them (beyond the family).

Conclusion

The results emerged are in line with the data of the scientific literature. Psycho-emotional aspects can represent fragility and condition the patient’s experience with Heart Failure. The study can offer an opportunity for a further investigation oriented to the identification and implementation of a holistic nursing that not only “give care”, but that supports, orient the patient.

 

Keywords: QoL, Hearth Failure, patient’s experience, patient’s perceived social support, perception of anxiety and depression.

 

BACKGROUND

Lo Scompenso Cardiaco (SC) è una malattia cronica in forte aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione. Infatti, mentre solo lo 0.5-2% della popolazione generale è affetta da SC, negli ultrasettantacinquenni questa patologia interessa una persona su cinque [1]. In Italia si stima che siano 1 milione i pazienti affetti da SC e questa cifra aumenta se si considerano anche coloro che sono asintomatici. Lo SC è la causa del 5% delle ospedalizzazioni, è presente nel 10% dei pazienti ricoverati e rappresenta il 2% della spesa del Sistema Sanitario Nazionale [1-3]. La mortalità per SC è pari al 50% a 4 anni dalla diagnosi mentre il 40% dei pazienti ricoverati per SC muore o viene riospedalizzato entro 1 anno [2, 4]. La storia naturale della malattia è caratterizzata da fasi di esacerbazione clinicamente evidenti, intervallate da periodi di stabilità clinica, con un progressivo scadimento della capacità funzionale e della qualità di vita. La prognosi dei pazienti affetti da SC è stata spesso paragonata a quella delle neoplasie maligne. Studi di popolazione in pazienti ambulatoriali documentano una mortalità intorno al 5-7% durante il ricovero, del 10% a 30 giorni, 20-25% ad 1 anno e 50% a 5 anni dalla diagnosi(5). La letteratura scientifica descrive come un self care inadeguato produca un abbassamento della qualità di vita ed un aumento delle riospedalizzazioni e dell’utilizzo dei servizi di emergenza [6, 7]. Infatti viene evidenziato come la cura di sé, nei diversi momenti della malattia, sia fondamentale per migliorare i risultati e ridurre il tasso delle riospedalizzazioni.

Il problema importante nella gestione dei pazienti è quello di comprendere come i sintomi dello SC, quali la dispnea, gli edemi diffusi, l’affaticabilità, le alterazioni del sonno, mancanza di appetito ed astenia, possono essere la causa di una riduzione della qualità della vita. Inoltre per alcuni pazienti si rende necessario, anche, considerare la presenza di tali sintomi con gli stadi della malattia e/o la presenza contemporanea di diverse malattie e qualità della vita [8, 9]. Pertanto si è deciso di condurre questo studio per indagare gli aspetti relativi della qualità di vita di un campione di 41 pazienti con SC.  Analizzare il vissuto significa analizzare l’approccio della persona alla malattia ed alla cura, permettendo di individuare tutti quei comportamenti modificabili e che influenzano l’andamento della malattia.

 

MATERIALI E METODI

Disegno dello studio

Indagine osservazionale condotta da settembre 2015 a marzo 2016. Sono stati inclusi 41 pazienti con diagnosi di Scompenso Cardiaco, nella provincia di Benevento. Il reclutamento è stato effettuato presso lo studio di un MMG previa acquisizione dell’autorizzazione alla conduzione dello studio. Prima della raccolta dei dati è stato acquisito da tutti i partecipanti il consenso alla conduzione dell’indagine, garantendo il pieno rispetto della privacy. Per il raggiungimento degli obiettivi dello studio sono stati somministrati ai partecipanti dello studio il Six-Item Screener (Screening della compromissione cognitiva in 6 domande), Questionario Socio Demografico, Epworth Sleepiness Scale (Scala di Epworth per la valutazione della sonnolenza), Hospital Anxiety and Depression Scale, Multidemensional Scale of Perceveid Social Support (Scala Multidimensionale del Sostegno Sociale Percepito).

 

Criteri di inclusione ed esclusione

In questo studio sono stati inclusi i pazienti:

– con età superiore a 18 anni; che hanno rilasciato il consenso alla partecipazione all’indagine; senza alcun deterioramento cognitivo; in grado di comprendere e parlare la lingua italiana; con diagnosi di scompenso cardiaco da almeno due mesi; pazienti in classe NYHA II (ovvero in una condizione di malattia meno grave e senza sintomi); pazienti non ospedalizzati o non ospitati in RSA.

Non sono stati inclusi i pazienti:

-con età inferiore a 18 anni; con alterazioni dello stato cognitivo; che non hanno rilasciato il consenso alla partecipazione all’indagine; che non parlavano e comprendevano la lingua italiana; pazienti in classe NYHA III e IV; pazienti ospedalizzati o residenti in RSA.

 

Strumenti.

Per esplorare il la percezione della qualità di vita dei pazienti sono state utilizzate le scale di seguito elencate:

  • Six-Item Screener [10, 11]: si tratta di un test di screening che individua l’eventuale presenza di deterioramento cognitivo attraverso domande che richiedono l’uso della memoria e la capacità di orientamento temporale. Il punteggio da 0-3 indica Probabile compromissione mentre un punteggio 4-6 indica Compromissione meno probabile.
  • Questionario Socio Demografico: per indagare le caratteristiche socio-anagrafiche (genere, età, classe sociale, titolo di studio, condizione occupazionale, stato civile)
  • Epworth Sleepiness Scale [12]: somministrato per quantificare la sonnolenza diurna attraverso domande sulla probabilità del soggetto di addormentarsi in diverse situazioni della vita quotidiana; la scala può rivelare eventuali disturbi del sonno. Interpretazione: un risultato < 12 indica un soggetto con normale sonnolenza diurna; un risultato compreso tra 12 e 14 indica un soggetto con ipersonnolenza diurna mentre un risultato >14 indica un soggetto affetto da un’importante ipersonnolenza diurna.
  • Hospital Anxiety and Depression Scale HADS [13]: consente di indagare la sfera psichica relativamente ai due principali disturbi dell’umore: l’ansia e la depressione. L’HADS si avvale di due scale di 7 domande ciascuna, con risposta Likert a 4 punti (0= nessuna, 3= massima gravità). Una scala valuta la componente d’ansia e l’altra la componente di depressione. Per ogni domanda il paziente deve indicare qual è l’opzione che meglio indica il livello attuale del suo stato emotivo; è possibile una sola risposta. I pazienti che ottengono un punteggio da 0 a 7 sono indicati come nella norma (Non Cases), quelli con un punteggio da 7 a 11 sono indicati come pazienti a rischio, che potrebbero trasformarsi in casi psicopatologici (Borderlines), mentre i pazienti con punteggio superiore a 11 vengono indicati come casi conclamati (Cases).
  • Multidemensional Scale of Perceveid Social Support [14]: la scala multidimensionale del supporto sociale valuta il supporto sociale percepito, proveniente dalla famiglia, dagli amici e da una persona particolarmente significativa. É composta da 12 item, utilizza un formato di risposta di tipo Likert a sei punti e si compone di tre subscale, ognuna di 4 item, che permettono di rilevare la percezione del sostegno proveniente da tre fonti: famiglia (MSPSS/F), amici (MSPSS/A), altro significativo (MSPSS/O).

 

Analisi dei dati

I dati raccolti sono stati inseriti, ai fini dell’analisi, nel software di statistica SPSS, successivamente sono state estrapolate delle categorizzazione avendo come riferimento due variabili, scelte sulla base dei riscontri frequenti in letteratura, previste all’interno del questionario socio demografico: la variabile del sesso e dell’età. Per valutare se le due variabili dei pazienti prese in considerazione fossero associate alle caratteristiche della qualità di vita indagate, sono state create tabelle delle tavole di contingenza.

 

RISULTATI

Empworth Sleepiness Scale (ESS) e delle relative tavole di contingenza con le variabili/classi “sesso” e “classi di età”. I dati raccolti dalla somministrazione di questa scala hanno consentito di rilevare che il campione non presenta problemi di disturbi del sonno/insonnia. Ad items più critici quali “in automobile, fermo per pochi minuti nel traffico” o “seduto mentre parlo con qualcuno” o “seduto inattivo in un luogo pubblico” la risposta “non mi addormento mai” è risultata la più frequente con una percentuale compresa tra l’80,5% e il 97,6% dei partecipanti.  Non sono state dunque riscontrate situazioni potenzialmente pericolose relative alla sfera del sonno [15]. Non sono emerse associazioni con le categorie “sesso” e “classi di età” (under 65 anni ed over 65 anni),

Hospital Anxiety and Depression Scale e delle relative tavole di contingenza con le variabili “sesso” e “classi di età”. L’analisi dei dati non ha evidenziato nel campione aspetti particolarmente preoccupanti che possano indicare la presenza di disturbi dell’ansia e/o depressione, contrariamente da quanto emerge dalla letteratura [16] . In particolare, la maggiore frequenza di risposte non del tutto “negative” è stata riportata per 2 items indaganti la sfera dell’ansia e per 1 item indagante la sfera della depressione. Per la risposta all’item “mi sono venuti in mente pensieri preoccupanti” è stato osservato che una percentuale minima dei partecipanti si è collocata all’estremo negativo “per la maggior parte del tempo”, tuttavia una percentuale maggiore, è risultata essere in direzione della risposta “a volte ma non spesso”, ammettendo dunque di avere pensieri preoccupanti Grafico 2.

Benché non siano emerse associazioni significative con la variabile sesso, si riscontra una certa disomogeneità tra i maschi e le femmine. Le femmine hanno risposto scegliendo “a volte” con una maggiore frequenza rispetto ai maschi che hanno risposto più frequentemente con “mai”. All’item “sono riuscito ancora a provare piacere per le cose che ho sempre fatto volentieri” la percentuale maggiore di risposte date dai maschi si sono distribuite tra quelle “positive” (“proprio come una volta”, “non proprio come una volta”), mentre le femmine hanno dato in percentuale nettamente maggiore la risposta più “negativa” prevista (“solo in parte”) Grafico 1. Tale risultato mette in evidenza come i maschi riescono ancora a provare piacere per le cose che hanno sempre fatto volentieri proprio come una volta o non proprio come una volta, mentre le femmine decisamente solo in parte.

Le influenze sull’umore, in relazione alle risposte date per l’item “mi sono sentito di buon umore” ha evidenziato una percentuale di risposta prevalente nei maschi maggiormente “positiva”, ovvero “per la maggior parte del tempo”, mentre quella data dalle femmine (nettamente più preponderante rispetto ai maschi) è stata di un grado meno positivo, ovvero “a volte”. Pertanto i maschi si sentono di buon umore per la maggior parte del tempo, le femmine solo a volte, infatti il campione femminile ha dato risposte meno ottimistiche/positive rispetto ai maschi. Dall’analisi dei dati ottenuti dall’elaborazione della tavola di contingenza con la variabile “classe di età” non sono emerse differenze significative tra le risposte date dagli under 65 anni e quelle date dagli over 65 anni, ma in ogni caso gli under 65 tendevano a dare risposte più pessimistiche. Nei grafici 6, 7, sono descritte i dati relativi alle risposte disomogenee, divise tra quelle indaganti la depressione (6 risposte disomogenee su 7 items) e quelle indaganti l’ansia (2 su 7).  Dati ottenuti dall’indagine del quesito relativo alla depressione.

Dai dati ottenuti con l’elaborazione della contingenza con la variabile “classe di età” è emerso che: a) gli under 65, rispetto agli over, hanno dato risposte meno positive (solo in parte/non proprio come un tempo/un po’ meno); b) le disomogeneità sono quasi tutte collocate nel sottotest indagante la depressione (solo 1 collocata nel sottotest indagante l’ansia), cioè gli under 65 hanno dato risposte meno positive/ottimistiche ai quesiti sulla depressione, leggibile come: l’umore degli under 65 è potenzialmente influenzabile in termini depressivi; c) tra le disomogeneità, le uniche che hanno fatto emergere un punto di vista meno ottimistico/positivo da parte degli over 65 rispetto agli under 65 (e non viceversa come la tendenza principale) sono rilevabili nei due quesiti che indagano un aspetto più “fisico” (“mi sono sentito rallentato/ho perso interesse per il mio aspetto fisico”), interpretabili come: gli over 65 si sentono rallentati e non pensano di prendersi cura dell’aspetto fisico come dovrebbero.

– Risultati della Scala Multidimensionale della Percezione del Supporto Sociale e delle relative tavole di contingenza con le variabili/classi “sesso” e “classi di età”. Ad una prima osservazione è emersa una evidente percezione positiva del supporto sociale da parte dei pazienti. Le uniche risposte con un riscontro percentuale maggiore che possano indurre a pensare che il paziente non abbia questa percezione del tutto positiva sono state quelle relative alla percezione del supporto offerto dagli amici.

Anche in questa scala, analizzando nel particolare i dati ottenuti con l’elaborazione delle tavole di contingenza correlate alla variabile “sesso” ed alla variabile “classe di età” sono emerse delle disomogeneità. Le disomogeneità nelle risposte tra maschi e femmine e quelle tra over 65 anni e under 65 anni sono per lo più similarmente relative agli items indaganti la percezione del supporto offerto dagli amici. Infatti, maschi e femmine e under 65 e over 65 sono decisamente concordi su come viene percepito il supporto offerto dalla famiglia, con una piccola differenza nella percezione di quest’ultimo tipo di supporto tra maschi e femmine: le femmine percepiscono un po’ in meno, rispetto ai maschi, il supporto offerto dalla famiglia in termini di “aiuto nel prendere decisioni”. Tale disomogeneità viene rappresentata di seguito nell’ambito della variabile “sesso” e della variabile “classe di età”. I dati ottenuti dalla contingenza con la variabile sesso sono rappresentativi di come i maschi tendano verso risposte estreme positive/ottimistiche (“fortemente in accordo”) e invece le femmine tendano ad essere meno estreme in queste risposte positive, preferendo risposte quali “molto in accordo/lievemente in accordo” e calandosi, inoltre, più frequentemente in una posizione “neutrale”. Altre due considerazioni evidenti: 1) le femmine rispetto ai maschi percepiscono meno il supporto offerto dagli amici; 2) le risposte omogenee tra maschi e femmine sono tutte “fortemente in accordo”. Infine, le disomogeneità tra maschi e femmine sono riscontrabili:  a) nelle risposte date agli items indaganti il supporto offerto dagli amici, con risposte meno positive da parte delle femmine; b) nelle risposte date agli items indaganti il supporto offerto dalla famiglia in termini di “aiuto nel prendere decisioni”, con risposte meno positive da parte delle femmine; c) nelle risposte date agli items indaganti il supporto offerto da una persona in particolare (che non specificano se entro o non la famiglia), con risposte meno positive da parte delle femmine

I dati ottenuti dalla contingenza con la classe di età hanno messo in evidenza che le uniche risposte disomogenee tra under 65 e over 65 sono state quelle relative agli amici, tutte tendenzialmente meno positive da parte degli under 65, interpretabile come gli under 65 non percepiscono il supporto offerto dagli amici, che le risposte omogenee tra under 65 e over 65 sono tutte in termini di “fortemente in accordo”, interpretabile come under 65 e over 65 sono fortemente in accordo nel percepire il supporto offerto dalla famiglia Grafico 3.

 

DISCUSSIONE

L’indagine condotta per esplorare il vissuto dei pazienti con S.C., non ha fatto emergere sostanziali problemi in merito agli aspetti indagati quali: sonno, percezione del supporto sociale, ansia/depressione, i partecipanti alla indagine non hanno manifestato effetti “barriera” correlati alla patologia tali da compromettano il self care. Pertanto si ritiene auspicabile che questo stesso campione sia indagato nell’ambito del self care messo in atto da ciascun partecipante, i cui risultati, qualora fossero coerenti con questa indagine, permetterebbero di rafforzare l’affermazione sopra esposta. Entrando nello specifico dell’indagine, le considerazioni rilevanti sono state, piuttosto, in merito alle differenze tra le categorie del campione sulle quali si è deciso di indagare: maschi/femmine e over 65/under 65, diversamente dagli outcomes correlati ai sintomi clinici (17). Le differenze che sono emerse nelle risposte date alle scale indaganti l’ansia/depressione e la percezione del supporto sociale, ma non a quelle date alla scala indagante i disturbi del sonno. Gli uomini hanno mostrato una sicurezza tale da averli portati a prendere posizioni estreme nel senso “positivo”, in particolare nella scala multidimensionale sulla percezione del supporto sociale: si sono sentiti quasi sempre “fortemente in accordo” nell’affermare la presenza di una rete di supporto da parte della famiglia e degli amici.  Le donne, invece, hanno difficilmente preso tali posizioni estreme, dando risposte sempre meno positive rispetto a quelle dagli uomini, in particolare alla scala indagante l’ansia/depressione, non rivelando evidenti disturbi dell’umore, ma comunque una certa labilità. Incertezza che si mostra anche sulla percezione del supporto sociale: le donne, al contrario degli uomini, non percepiscono il supporto degli amici tanto quanto gli uomini, avvertendo invece quello della famiglia; l’aspetto particolare in merito a quest’ultimo tipo di supporto è che non lo sentono “fortemente” solo relativamente alla possibilità di appoggiarsi alla famiglia nel prendere decisioni, la cosa è leggibile come: le donne sentono la presenza della famiglia, ma o sentono di essere più indipendenti o avvertono una sensazione di solitudine. È verosimile quindi affermare che le donne hanno manifestato una certa fragilità in termini di “performance emotiva”, che sarebbe auspicabile indagare per poter comprendere da dove nasce tale fragilità e poter individuare gli strumenti più utili a “diagnosticarla” in una ipotetica dimissione, al fine di individuarne i fattori predittivi e intervenire precocemente con un supporto psicologico. L’altra considerazione rilevante riguarda la correlazione tra la diversità tra l’andamento di risposte date dagli under 65 e di quella date dagli over 65: la tendenza principale, è stata che gli over 65, che potremmo definire categoria fragile/più debole, in quanto appartenente alla classe anziana, si sono rivelati essere più sicuri di sé e più positivi rispetto agli under 65: hanno dimostrato di guardare con ottimismo al futuro e di non aver risentito di cambiamenti nell’umore dovuti alla patologia, se non unicamente un rallentamento fisico. Gli under 65, invece, hanno dimostrato subire maggiormente la patologia, con ripercussioni sull’umore; ripercussioni che però non sono assolutamente collocabili a livelli preoccupanti.

 

CONCLUSIONI

Si può affermare che lo scompenso cardiaco ha effettivamente delle influenze sul vissuto del paziente, affermazione supportata dai numerosi studi nazionali e internazionali [10]; tali ricadute, però, non sembrano dipendere tanto dal grado di gravità della patologia, quanto da fattori del tutto personali inerenti alla categoria di appartenenza del paziente (maschio/femmina, anziano/non anziano) e inerenti al suo personale vissuto e alle sue precedenti esperienze. Alla luce delle considerazioni sopra descritte, frutto dell’analisi dei dati, sarebbe interessante esplorare gli aspetti emotivi che hanno determinato una differenza nel vissuto, a fronte della patologia, tra le donne e gli uomini, al fine di orientare interventi infermieristici mirati. È auspicabile lo sviluppo di interventi assistenziali che, attraverso strumenti specifici, indaghino ed individuino precocemente quelle che possono essere le vulnerabilità emotive che, come è emerso da questo studio, rendono le donne potenzialmente più fragili rispetto agli uomini. Un’assistenza infermieristica in grado di farsi carico, supportare e indirizzare le donne verso un corretto stile di vita, che non guardi solo al mantenimento delle condizioni fisiche, ma sia volta a garantire una buona qualità di vita alla luce delle evidenze sull’accertata relazione di interdipendenza tra la qualità della vita e l’andamento della patologia, relazione che vede la malattia influenzare e allo stesso tempo essere influenzata dal vissuto del paziente.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Nieminen M, Brutsaert D, Dickstein K, Drexler H, Follath F, Harjola V, et al. EuroHeart Survey Investigators; Heart Failure Association, European Society of Cardiology. EuroHeart Failure Survey II (EHFS II): a survey on hospitalized acute heart failure patients: description of population. Eur Heart J. 2006;27(22):2725-36.
  2. Tavazzi L, Senni M, Metra M, Gorini M, Cacciatore G, Chinaglia A, et al. Multicenter prospective observational study on acute and chronic heart failure: one-year follow-up results of IN-HF (Italian Network on Heart Failure) outcome registry. Circulation: Heart Failure. 2013;6(3):473-81.
  3. Maggioni A, Spandonaro F. Lo scompenso cardiaco acuto in Italia. G Ital Cardiol. 2014;15(2):3-4.
  4. Oliva F, Ammirati E, Campana C, Carubelli V, Cirò A, Di Tano G, et al. La frequenza cardiaca e la prognosi nello scompenso cardiaco acuto e cronico. Giornale Italiano di Cardiologia. 2016;17(3):3S-16.
  5. Piepoli MF, Hoes AW, Agewall S, Albus C, Brotons C, Catapano AL, et al. 2016 European Guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice: The Sixth Joint Task Force of the European Society of Cardiology and Other Societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice (constituted by representatives of 10 societies and by invited experts) Developed with the special contribution of the European Association for Cardiovascular Prevention & Rehabilitation (EACPR). European heart journal. 2016;37(29):2315-81.
  6. Riegel B, Dickson VV, Faulkner KM. The situation-specific theory of heart failure self-care: revised and updated. Journal of Cardiovascular Nursing. 2016;31(3):226-35.
  7. Riegel B, Lee CS, Dickson VV, Carlson B. An update on the self-care of heart failure index. The Journal of cardiovascular nursing. 2009;24(6):485.
  8. scientifiche a cura di Gianna I, Fabbri MG, Maggioni AP. Scompenso cardiaco: pazienti critici. G Ital Cardiol. 2007;8(9):568-73.
  9. Juenger J, Schellberg D, Kraemer S, Haunstetter A, Zugck C, Herzog W, et al. Health related quality of life in patients with congestive heart failure: comparison with other chronic diseases and relation to functional variables. Heart. 2002;87(3):235-41.
  10. Brooke P, Bullock R. Validation of a 6 item cognitive impairment test with a view to primary care usage. International journal of geriatric psychiatry. 1999;14(11):936-40.
  11. Callahan CM, Unverzagt FW, Hui SL, Perkins AJ, Hendrie HC. Six-item screener to identify cognitive impairment among potential subjects for clinical research. Medical care. 2002:771-81.
  12. Johns MW. A new method for measuring daytime sleepiness: the Epworth sleepiness scale. Sleep. 1991;14(6):540-5.
  13. Zigmond AS, Snaith RP. The hospital anxiety and depression scale. Acta psychiatrica Scandinavica. 1983;67(6):361-70.
  14. Dahlem NW, Zimet GD, Walker RR. The multidimensional scale of perceived social support: a confirmation study. Journal of clinical psychology. 1991;47(6):756-61.
  15. Ferrier K, Campbell A, Yee B, Richards M, O’Meeghan T, Weatherall M, et al. Sleep-disordered breathing occurs frequently in stable outpatients with congestive heart failure. Chest. 2005;128(4):2116-22.
  16. Katon W, Lin EH, Kroenke K. The association of depression and anxiety with medical symptom burden in patients with chronic medical illness. General hospital psychiatry. 2007;29(2):147-55.
  17. Misuraca G, Di Tano G, Camerini A, Cloro C, Gorini M. I dati del registro IN-HF Outcome. G Ital Cardiol. 2012;13(5 Suppl 1):23S-30S.

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.