La qualita’ dell’assistenza infermieristica in cure palliative: uno studio osservazionale.
Miele Graziana1 & Pentella Giovanna1
- Ospedale Fatebenefratelli – Napoli
DOI: 10.32549/OPI-NSC-8
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Abstract
Introduzione: In ambito palliativo, la soddisfazione dei pazienti insieme al raggiungimento di una buona qualità di vita è considerato un importante indicatore di esito e di processo dell’assistenza. Infatti, il grado di soddisfazione dei servizi di Cure Palliative viene considerato un importante outcome da investigare soprattutto ad assistenza conclusa (3) in quanto è valutabile solo dopo il decesso del paziente attraverso la comprensione di quanto il familiare sia rimasto soddisfatto dell’assistenza prestata al suo caro. Lo studio osservazionale ha l’obiettivo di valutare la soddisfazione relativa all’assistenza ricevuta nel centro di Cure Palliative Antea attraverso la somministrazione del FAMCARE2, a un campione di familiari, a un mese dalla morte del proprio caro, in modo da poter avere un riscontro dell’assistenza fornita e cercare di capire quali aspetti dell’assistenza è possibile migliorare.
Materiali e metodi: È stata effettuata una revisione della letteratura utilizzando il quadro teorico dell’EBN al fine di individuare ed analizzare gli strumenti esistenti in letteratura finalizzati a valutare quanto il familiare sia rimasto soddisfatto dell’assistenza prestata al proprio congiunto, poiché in cure palliative sono proprio i familiari a vivere gli effetti della malattia dei loro cari. La revisione è stata effettuata utilizzando le banche dati Pubmed e Chinal con l’utilizzo delle seguenti parole chiave: Satisfaction, palliative care, caregiver, questionnaire, family e utilizzando gli operatori boleani “and” e “or”. Dalla revisione sono emersi una serie di strumenti validati con diverse caratteristiche psicometriche per valutare la soddisfazione in Cure Palliative. È emerso che la scala più utilizzata per valutare la soddisfazione dei familiari dei pazienti in Cure Palliative è il FamCare che, considerati i notevoli sviluppi degli ultimi anni delle Cure Palliative, ha subito diversi aggiustamenti scaturiti infine nella versione definitiva del FamCare2. Lo studio osservazionale retrospettivo è stato condotto da Settembre 2013 a Settembre 2014 prendendo in considerazione un campione di 390 familiari di pazienti assistiti e deceduti nel centro di cure palliative ANTEA ai quali è stato inviato il questionario modificato FAMCARE2.
Risultati: Dei 390 familiari contattati a cui è stato inviato il questionario, hanno risposto un totale di 150 persone. Il 76 % del campione preso in esame, considera positivo il modo in cui l’équipe di cure palliative ha rispettato la dignità del paziente e il 71% è rimasto soddisfatto per la disponibilità mostrata dall’equipe nei confronti della famiglia. Nonostante questi aspetti d’eccellenza, dal questionario è emerso che alcuni familiari non sono rimasti soddisfatti per il 46% riguardo le informazioni loro fornite circa gli effetti collaterali dei trattamenti e per il 56% circa l’assistenza quotidiana fornita al proprio caro.
Conclusioni: I risultati ottenuti sono conformi a quelli della letteratura, sottolineando che l’approccio multidisciplinare al malato terminale rappresenta la strategia più efficace per rispondere alle sue complesse esigenze e per garantirgli la migliore qualità di vita possibile.
Parole chiave: cancro, cure palliative, soddisfazione famiglia, qualità della vita, strumenti di validazione
The quality of nursing care in palliative care: an observational study.
Abstract
Introduction: In palliative care, patient satisfaction along with achieving a good quality of life is considered an important indicator of care outcome and process. In fact, the degree of satisfaction of Palliative Care services is considered an important outcome to be investigated above all after assistance (3) as it can only be assessed after the patient's death by an understanding of how much the family has been satisfied with the assistance given to their loved one.
The observational study aims to assess the satisfaction with the assistance received in the Antea Palliative Care centre through the administration of FAMCARE2, to a sample of family members, one month after the death of their loved one, in order to be able to receive feedback regarding the assistance provided and try to understand which aspects of assistance can be improved.
Materials and methods: A literature review was carried out using the theoretical framework of the EBN in order to identify and analyse the existing tools in the literature aimed at assessing to what extent the family has been satisfied with the assistance given to the relative, as in palliative care family members are the ones who have to experience the effects of their loved ones' illness.
The review was carried out using the Pubmed and Chinal databases using the following keywords: Satisfaction, palliative care, caregiver, questionnaire, family and using the "and" and "or" bolean operators. The review revealed a number of validation tools with different psychometric characteristics to assess satisfaction in Palliative Care.
It has emerged that the most often used scale to evaluate the satisfaction of the families of patients in Palliative Care is FamCare, which, considering the remarkable developments of the last years of Palliative Care, has undergone several adjustments that has finally resulted in the definitive version of FamCare2. The retrospective observational study was conducted from September 2013 to September 2014 taking into consideration a sample of 390 relatives of patients who were assisted and died in the ANTEA palliative care centre to which the modified FAMCARE2 questionnaire was sent.
Results: Of the 390 relatives contacted to whom the questionnaire was sent, a total of 150 people responded. 76% of the sample examined considered the way in which the palliative care team respected the dignity of the patient to be positive and 71% were satisfied about the availability shown by the team towards the family. Despite these aspects of excellence, the questionnaire showed that some family members were not satisfied, with 46% not satisfied with the information provided to them about treatment side effects and about 56% not satisfied with the daily assistance given to their loved one
Conclusions: The results obtained conform to those of the literature, underlining that the multidisciplinary approach to the terminally ill is the most effective strategy to respond to their complex needs and to guarantee the best possible quality of life.
Keywords: cancer, palliative care, family satisfaction, quality of life, validation tools
Introduzione
Le persone malate, ormai, non sono più estranee ai processi di assistenza e sono dunque in grado di giudicare cosa sta loro accadendo. (4) Per tale motivo il paziente è al centro del processo decisionale. Allo stesso modo, la soddisfazione del paziente viene sempre di più considerata come un elemento importante, utile per valutare la qualità delle cure offerte. (2)
Secondo Donabedian, medico e fondatore dello studio della qualità nella sanità, nonché noto come il creatore del “The Donabedian model of care”, la soddisfazione è di fondamentale importanza per misurare la qualità delle cure in quanto ci fornisce informazioni sulla capacità dell’operatore di rispondere alle aspettative e ai valori del malato. (1) Il modello di Donabedian è rappresentato da una catena di tre scatole rappresentanti struttura, processo e risultato collegati da frecce direzionali in questo ordine. “The Donabedian Model of Care”(Fig.1), in cui l’esito contiene tutti gli effetti dell’assistenza sanitaria sui pazienti o popolazioni comprese le modifiche allo stato di salute, i comportamenti, nonché la soddisfazione del paziente e la salute legati alla qualità della vita. Infatti, il grado di soddisfazione dei servizi di Cure Palliative viene considerato un importante outcome da investigare soprattutto ad assistenza conclusa in quanto è valutabile solo dopo il decesso del paziente attraverso la comprensione di quanto il familiare sia rimasto soddisfatto dell’assistenza prestata al suo caro. (5)
Obiettivo dello studio
L’obiettivo dello studio è stato quello di approfondire le dimensioni dell’assistenza che possono concorrere al raggiungimento di risultati assistenziali ottimali in setting di cure palliative descrivendo la qualità di un servizio attraverso la valutazione della soddisfazione riguardo l’assistenza ricevuta da parte dei familiari di pazienti deceduti in un servizio di cure palliative. (6)
Materiali e metodi
Lo studio osservazionale retrospettivo ha utilizzato la versione definitiva del FamCare2 (Fig.2) scaturito da diversi aggiustamenti dal FamCare selezionato dai 23 su 129 articoli reperiti attraverso i database CINAHL e PubMED in quanto risulta essere la scala più utilizzata per valutare la soddisfazione dei familiari dei pazienti in Cure Palliative. Attualmente esistono due principali scale: il FamCare composto da 20 item e il FamCare2 composto da 17 item suddivisi a loro volta nella versione per il paziente e nella versione per il familiare. Il questionario FamCare2 utilizzato è caratterizzato da una prima parte contenente 17 item a domande chiuse i quali prevedono risposte relative alla soddisfazione dell’assistenza quali: molto soddisfatto (MS), soddisfatto (S), non soddisfatto (NS), poco soddisfatto (PS), insoddisfatto (I) e una seconda parte in cui sono presenti i dati relativi alla persona che compila il questionario e i dati relativi al paziente. Tale strumento ha dimostrato ottime caratteristiche psicometriche ed è risultato pratico e maneggevole per un uso clinico routinario.
Lo studio è stato condotto da Settembre 2013 a Settembre 2014 prendendo in considerazione un campione di 390 familiari (31% maschi, 69% femmine con un’età compresa tra 41 e 65 anni) di pazienti assistiti e deceduti nel centro di cure palliative ANTEA di Roma ai quali è stato chiesto di compilare il questionario FAMCARE2. Sono stati inclusi nello studio i familiari dei pazienti deceduti nei servizi di Cure Palliative, da almeno un mese fino a un massimo di tre mesi a partire da Giugno 2013 fino a Dicembre 2013.
Per individuare i familiari sono stati elaborati diversi diagrammi che descrivono le caratteristiche dei familiari che hanno partecipato allo studio. In particolare i diversi diagrammi rappresentano: l’età del familiare, il sesso, il grado di parentela, il titolo di studio, il tipo di lavoro, lo stato civile.
Il campione è stato selezionato due momenti: i primi 100 sono stati familiari di pazienti deceduti tra Giugno e Luglio 2013; i restanti 290 sono stati familiari di pazienti deceduti tra Settembre e Dicembre 2013.
Il familiare di riferimento, è stato identificato dai servizi di Cure Palliative in cui il paziente era in cura e che aveva lasciato i propri recapiti
Dall’analisi dei dati socio-demografici risulta che i familiari corrispondono ai trend culturali e sociali della nostra società; essi infatti hanno un’età compresa tra i 41 e i 65 anni, sono per lo più impiegati, diplomati e sposati. Questo ci fa pensare che il carico assistenziale del caregiver è piuttosto impegnativo e ciò può creare delle problematiche per le quali l’équipe di cure palliative deve intervenire. I familiari sono per lo più figli dei pazienti deceduti e nel 23% dei casi sono mogli o mariti, appartenenti a nuclei familiari medi di massimo 5 persone. I pazienti deceduti sono in maggioranza donne con un’età media superiore ai 65 anni, colpiti soprattutto da neoplasie al torace o all’apparato digerente. Il questionario è stato inviato in duplice copia all’interno di una busta insieme con l’informativa allo studio e il consenso informato. Ai familiari è stato chiesto di compilare dapprima il questionario 01 e dopo circa sette giorni il questionario 02 e re-inviarli in Antea nelle apposite buste pre-affrancate, al fine di portare a termine lo studio di validazione del questionario e poter migliorare sempre più l’assistenza fornita ai pazienti assistiti. Nei mesi di Giugno e Luglio 2014, è stato effettuato un recall telefonico ai familiari dei quali non era ancora pervenuto il questionario. Lo studio è terminato a fine Settembre quando si è conclusa la raccolta dei questionari. I dati raccolti sono stati registrati in accordo con le misure di anonimato e di rispetto della privacy.
Criteri di inclusione ed esclusione
Sono stati inclusi nello studio i familiari dei pazienti deceduti nei servizi di Cure Palliative, da almeno un mese fino a un massimo di tre mesi a partire da Giugno 2013 fino a Dicembre 2013. Non sono stati inclusi nello studio i familiari dei pazienti deceduti, nei servizi di Cure Palliative, oltre i mesi indicati. Inoltre sono stati esclusi i familiari di pazienti non in grado di dare il proprio consenso informato.
Consenso Informato
Prima di somministrare il questionario è stata chiesta l’autorizzazione al familiare durante il primo contatto telefonico. In fase di somministrazione del questionario, ai familiari dei pazienti deceduti nei servizi di Cure Palliative, è stato chiesto il consenso scritto al trattamento dei dati personali ad un foglio informativo riguardante lo studio.
Aspetti etici
Lo studio è stato presentato al comitato di Bioetica del Centro di Cure Palliative Antea nel mese di Marzo 2014 ricevendo formale autorizzazione a procedere.
Analisi Statistica
I dati che sono stati ricavati, dalla compilazione dei questionari da parte dei familiari, sono stati analizzati utilizzando il metodo della statistica descrittiva con il software di calcolo Excel (versione 97/2003). Si è proceduto alla realizzazione di grafici pertinenti alle risposte dei familiari. L’analisi dei risultati è stata effettuata grazie alle risposte ricevute ai questionari inviati al campione preso in esame.
Risultati e discussione
Dei 390 familiari contattati e a cui è stato inviato il questionario, hanno risposto un totale di 150 familiari (31% maschi, 69% femmine con un’età compresa tra 41 e 65 anni). Dall’analisi dei dati socio-demografici risulta che i familiari corrispondono ai trend culturali e sociali della nostra società; essi infatti hanno un’età compresa tra i 41 e i 65 anni, sono per lo più impiegati, diplomati e sposati. Questo ci fa pensare che il carico assistenziale del caregiver è piuttosto impegnativo e ciò può creare delle problematiche per le quali l’équipe di cure palliative deve intervenire. I familiari sono per lo più figli dei pazienti deceduti e nel 23% dei casi sono mogli o mariti, appartenenti a nuclei familiari medi di massimo 5 persone. I pazienti deceduti sono in maggioranza donne con un’età media superiore ai 65 anni, colpiti soprattutto da neoplasie al torace o all’apparato digerente. I familiari hanno trovato le risposte di facile interpretazione e comprensione. Ne è risultato un buon adattamento del questionario dalla lingua e cultura anglosassone alla lingua e cultura italiana. Nel 27% dei casi il familiare alla domanda circa la diagnosi non ha specificato il tipo di tumore. Il setting di assistenza è stato nel 64% dei casi il domicilio del paziente, ma è possibile vedere come nel 20% dei casi i pazienti non siano deceduti nello stesso luogo in cui sono stati assistiti. In particolare il 17% dei pazienti assistiti a domicilio sono poi stati trasferiti in hospice dove sono deceduti; Il 3% dei casi sono stati assistiti in hospice e poi trasferiti a domicilio dove sono deceduti. Nel 62% dei casi i pazienti sono stati assistiti da 1 a 30 giorni in cure palliative, il 24% fino a 60 giorni, solo pochi fino ad un massimo di 4-5 mesi.
Per quanto riguardo in generale il livello di soddisfazione rilevato dai questionari è stato alto. Il 76 % del campione preso in esame, considera positivo il modo in cui l’équipe di cure palliative ha rispettato la dignità del paziente “ITEM 4” (Grafico I) e il 71% è rimasto soddisfatto per la disponibilità mostrata dall’equipe nei confronti della famiglia “ITEM 9” (Grafico II).
Nonostante questi aspetti d’eccellenza, dal questionario è emerso che alcuni familiari non sono rimasti soddisfatti per il 46% riguardo le informazioni loro fornite circa gli effetti collaterali dei trattamenti “ITEM 3” (Grafico III) e per il 56% circa l’assistenza quotidiana fornita al proprio caro “ITEM 11” (Grafico IV). Spesso in assistenza domiciliare le informazioni che vengono date al caregiver, il quale ha già un sovraccarico emotivo importante, sono tante e spesso non alla portata di tutti, soprattutto quando si tratta di informazioni di tipo tecnico come gli effetti collaterali dei trattamenti. Per andare incontro a questo aspetto emerso, l’équipe dovrebbe porre attenzione alla tipologia di familiare, al loro livello culturale e alla capacità di comprendere le informazioni. Potrebbe essere importante graduare le informazioni fornendo dapprima quelle prioritarie e più importanti e diluire le altre nel corso dell’assistenza. Un altro aspetto che ha presentato connotazioni negative sebbene minime, è quello relativo l’assistenza quotidiana. Anche in questo caso bisogna riflettere sul setting in cui tali pazienti sono stati assistiti. Probabilmente le aspettative dei familiari riguardo l’assistenza che l’équipe avrebbe prestato era maggiore di quanto in realtà l’équipe poteva garantire fisicamente.
Tale tipologia di assistenza, non essendo ospedaliera, non coinvolge gli operatori sanitari 24 h su 24, bensì garantisce un accesso quotidiano e la reperibilità full-time. Per evitare di incorrere in aspettative disattese, risulta fondamentale chiarire molto bene questo punto e comprendere quanto il familiare sia disponibile ad assumersi l’onere di questa tipologia assistenziale. I risultati ottenuto dallo studio sono sovrapponibili a quelli riscontrati nei precedenti studi effettuati per valutare la qualità dell’assistenza in cure palliative.
Conclusioni
Nell’ambito delle cure palliative l’infermiere in equipe deve “stare accanto al paziente” per ridurre al minimo l’isolamento, la perdita di significato, l’inattività, la difficoltà nel soddisfare i più elementari bisogni di vita quotidiana. La relazione terapeutica si allarga verso la famiglia per far trovare loro un’interpretazione e una comprensione correlata alla difficoltà del lutto che stanno vivendo. (7) I dati derivati da tale studio caratterizzano in maniera molto positiva l’assistenza fornita dal centro di Cure Palliative “Antea” di Roma. Grande soddisfazione viene manifestata nei confronti della professionalità degli operatori sanitari che riescono a coinvolgere i familiari nelle decisioni cliniche. La risposta ai bisogni dei familiari si esplica in un sostegno morale, ma anche di sostituzione momentanea alle difficili mansioni che sono chiamati a svolgere ogni giorno, per avere dunque un po’ di svago e ricaricare le forze. (8) Fondamentale è il supporto di tipo burocratico, ovvero l’offerta di un unico punto di riferimento in cui la famiglia del paziente possa trovare tutti i servizi di cui ha bisogno senza indugiare in lungaggini burocratiche.
Nonostante le pochissime risposte negative al questionario, emerse dallo studio, per un centro di cure palliative come quello di Antea sarebbe opportuno mettere in discussione e analizzare caso per caso, familiare per familiare, per poter migliorare gli standard d’assistenza. Questi potranno essere da spunto per l’équipe Antea per poter effettuare degli audit interni e verificare cosa non è andato durante il processo assistenziale, per poter poi migliorarsi e offrire un’assistenza ottimale.
Bibliografia
- Saunders C. Foreword. In: Doyle D, Hanks WC, McDonald D. Oxford Textbook of Palliative Medicine. II Ed. Oxford, New York,Tokyo, 1998: v-ix.
- Linda J. Kristjanson, Validity and reliability testing of the FamCare Scale: measuring family satisfaction with advanced cancer care
- Beaumont, FamCare and FamCare-2 guidelines, 2012
- Aoun S. Bird S. Kristjanson L.J Currow D. Reliability testing of the FAMCARE-2 scale: measuring family carer satisfaction with palliative care Palliative Medicine 24(7) 674–681 2010
- Ringdal, Family satisfaction with End-of-Life care for cancer patients in a cluster randomized trial, 2002
- Dong Wook Shin, the development of a comprehensive needs assessment tool for cancer-caregivers in patient-caregiver dyads, 2011
- Linda J. Kristjanson, Family member’s care expectations, care perceptions, and satisfaction with advanced carcer care: results of a multi-site pilot study
- Linda J. Kristjanson, Reliability testing of the FamCare 2 scale: measuring family carer satisfaction with palliative care, 2010
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
L’infermiere di famiglia e di comunita’. Un’indagine conoscitiva condotta nelle regioni Basilicata, Campania e Molise.
Mariacristina Magnocavallo
Infermiere Coordinatore Azienda Sanitaria Regionale del Molise
Corrispondenza: cmagnocavallo@libero.it
DOI: 10.32549/OPI-NSC-7
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ABSTRACT
Introduzione. L’infermiere di famiglia e comunità rappresenta un nuovo modello organizzativo sul territorio, coniugando il bisogno di salute tra medico di medicina generale e paziente. L’obiettivo dello studio è valutare le conoscenze dei cittadini e dei medici di famiglia sul ruolo e le attività attribuiti a tale professionista.
Materiali e metodi. L’indagine conoscitiva, multicentrica, è stata realizzata nelle Regioni del Coordinamento Interregionale Basilicata, Campania, Molise da giugno a ottobre 2015. Il campione è costituito da assistiti e medici di medicina generale a cui è stato somministrato un questionario volto ad indagare la conoscenza del ruolo e delle attività dell’infermiere di famiglia e comunità.
Risultati. Sono stati somministrati e ritirati 556 questionari- in Basilicata, 2014 in Campania e 266 nel Molise (100% di adesione) per un totale di 2836 utenti e 368 questionari tra i medici di famiglia. Lo studio evidenzia la diversa e difforme considerazione nelle tre regioni dell’infermiere di famiglia e comunità da parte dell’utenza, che comunque lo percepisce protagonista nel risvolto pratico del concetto “Salute”. L’integrazione e la modalità di interazione con il medico di medicina generale, permetterebbe di avvalersi di specifiche competenze di tale figura per perseguire la “mission” curativa.
Conclusioni. L’infermiere di famiglia e comunità aiuta gli individui ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica fornendo consulenza su stili di vita e fattori di rischio. Necessaria una maggiore conoscenza del ruolo e delle competenze di questa figura nelle regioni dove non è stata ancora implementata: la formazione con specifici master per infermieri di famiglia e di comunità e corsi di formazione per i medici di medicina generale potrebbe migliorare tali conoscenze.
Keywords: Infermiere di famiglia, Infermiere di comunità, conoscenze, utenti
Family and community nurses. A fact-finding survey conducted in the Basilicata, Campania and Molise regions.
ABSTRACT
Introduction The family and community nurse represents a new organisational model in the area, combining the need for health care between general practitioner and patient. The objective of the study is to evaluate the knowledge of citizens and family doctors on the role and activities attributed to this professional.
Materials and methods. The multi-centre cognitive survey was carried out by the Interregional Coordination for Basilicata, Campania, Molise from June to October 2015. The sample consists of assistants and general practitioners who had been given a questionnaire to investigate the knowledge of the role and activities of the family nurse and community.
Results 556 questionnaires were administered and returned in Basilicata, 2014 in Campania and 266 in Molise (100% adherence) for a total of 2836 users and 368 questionnaires among family doctors. The study highlights the various and different considerations in the three regions of the family nurse and community by the user, who however perceives them as the protagonist in the practical aspect of the "Health" concept. The integration and the modality of interaction with the general practitioner, would allow to make use of specific skills of this figure to pursue the healing "mission".
Conclusions Family and community nurses help individuals adapt to chronic illness and disability by providing advice on lifestyles and risk factors. More knowledge of the role and skills of this figure is needed in the regions where it has not yet been implemented: training with specific Masters for family and community nurses and training courses for general practitioners could improve this knowledge.
Keywords: Family nurses, community nurses, acquaintances, users
INTRODUZIONE
L’Infermiere di Famiglia e Comunità (IFeC) è un professionista sanitario che progetta, attua e valuta interventi di promozione, prevenzione, educazione e formazione sanitaria; si occupa dell’assistenza infermieristica sia dell’individuo che della comunità¹
Il ruolo dell’infermiere nella comunità è quello di prendersi cura delle persone², seguendole nel contesto familiare, ad affrontare la malattia o la disabilità cronica³.
Con una preparazione specifica, universitaria, post laurea, è in grado di agire sul territorio, di conoscere la mappa dei servizi sociali, di avere competenza per instaurare un rapporto diretto con il malato ma anche con la persona sana, occupandosi delle sue necessità⁴. L’ambito d’intervento è quello di fornire assistenza infermieristica a domicilio e di agire da tramite tra famiglia e Medico di Medicina Generale (MMG)⁵.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare la conoscenza degli utenti e MMG sul ruolo e attività dell’IFeC⁶’⁷.
MATERIALI E METODI
L’indagine conoscitiva, multicentrica, è stata realizzata nelle province delle Regioni del Coordinamento Interregionale di Avellino, Benevento, Campobasso-Isernia, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno.
Per un corretto dimensionamento del campione si è preso in considerazione il numero di abitanti residenti nelle province per ogni singola Regione (tabella 1, 2, 3), in funzione dell’incertezza (5%) e del livello di confidenza (95%) per una popolazione tra centomila ed un milione di abitanti. Successivamente è stata stimata la numerosità del campione per quanto riguarda gli assistiti (tabella 4) e i MMG di ogni singola provincia.
L’indagine è stata effettuata nella settimana da Giugno e Ottobre 2015 ed ha coinvolto assistiti e MMG, i risultati di quest’ultimi saranno presentati nel prossimo numero della rivista.
Per il reclutamento sono stati contattati i MMG, a cui è stata chiesta l’autorizzazione a somministrare dei questionari ai propri assistiti nelle sale d’attesa degli ambulatori.
A seguito dell’autorizzazione dello studio da parte della Federazione Nazionale Collegi Ipasvi, alcuni infermieri, iscritti ai collegi delle rispettive regioni e adeguatamente formati al protocollo dello studio, hanno consegnato agli assistiti il questionario, spiegandone la finalità e la modalità di compilazione, assicurando l’anonimato ed il rispetto della privacy. Vista la tipologia dei dati da rilevare, i questionari sono stati ritirati presso un unico punto di raccolta della sala d’attesa, dagli stessi infermieri coinvolti nello studio.
L’adesione del campione allo studio è stata totale. Il questionario, utilizzato per l’indagine, è stato strutturato “ad hoc” da alcuni componenti del coordinamento interregionale ed è stato somministrato preventivamente su di un campione di n° 20 assistiti e n° 5 MMG per ciascuna realtà territoriale, allo scopo di verificarne la comprensione: successivamente solo l’item n. 7 (l’IFeC garante di assistenza) è stato modificato.
Lo strumento è stato strutturato in una prima parte, volto a rilevare le caratteristiche socio anagrafiche (sesso, età, titolo di studio ed altro) ed una seconda parte costituita da 5 item a risposta chiusa, volta a valutare le conoscenze relative al ruolo e alle attività dell’IFeC (ambiti di attività e tipologia di interventi infermieristici, etc).
Sono stati inclusi nello studio gli assistiti che hanno raggiunto la maggiore età; sono stati esclusi dall’indagine coloro che non comprendevano la lingua italiana e quelli che presentavano disturbi cognitivi, valutati dai collaboratori dello studio.
Analisi statistica
I dati raccolti dal campione sono stati inseriti in un file Microsoft ® Excel, del pacchetto Office ed analizzati con calcolo di medie, percentuali, deviazioni standard, intervallo di confidenza al 95%. Ogni questionario è stato numerato e, accanto ad ogni numero, è stata posta una sigla corrispondente all’ambulatorio di appartenenza. I dati raccolti sono stati inseriti in un file Microsoft ® Excel, del pacchetto Office, mediante cui si è costruito un foglio di lavoro (data base), dove sono state inserite le singole variabili del questionario.
RISULTATI
Sono stati somministrati e ritirati 2836 questionari con un’adesione del 100% degli utenti: 556 unità per la Basilicata, 2014 unità per la Campania e 266 unità per il Molise.
L’età media degli assistiti del Molise è di 43.97 anni (DS 17), quella della Basilicata 54.04 anni (DS 16,5) e quella della Campania ~53.21 anni (DS 14), maggiormente di sesso femminile in tutte le tre regioni (53.2% nella Basilicata, 59.3% in Campania e 57.5% nel Molise) ed in possesso di un diploma di scuola superiore: 53% per la Basilicata, 59% per la Campania e il 57% per il Molise. La Basilicata ha il 23.4% dei laureati mentre, nel Molise, il campione intervistato presenta il 7.9% di scolarità elementare, la licenza di scuola media inferiore per il 5.6% ed il 29% sono laureati.
La Campania presenta un 23.2% con solo titolo di scuola elementare.
Dallo studio si rileva che l’85% degli utenti della Basilicata e Campania ritiene che il luogo di lavoro principale dell’infermiere sia l’ospedale, mentre il 56% del Molise non individua la sola attività in ambito ospedaliero.
Le persone, nel Molise, sanno della presenza dell’infermiere nell’ambulatorio del MMG (circa 50%) al pari quasi della sua presenza nelle altre realtà territoriali (cliniche, ecc. …).
Meno conosciuta nella regione Campania la presenza dell’infermiere nell’ambulatorio medico (fig. 1).
Entrando nello specifico dell’item relativo “all’opportunità” della presenza dell’infermiere nell’ambulatorio del MMG, nel Molise l’82.3% ha risposto di sì, la Basilicata risponde in maniera analoga; bassa invece la percentuale della regione Campania dove solo il 60.5% ne vede l’utilità.
All’item che chiedeva se l’IFeC potesse svolgere il compito di promozione, prevenzione, educazione alla salute (si è quindi ripreso l’articolo 2 del profilo dell’infermiere, in merito alle sue funzioni) il Molise con il 70.3 % ha confermato questa possibilità, mentre la restante percentuale non conosce tale ambito. In Basilicata il 78,4% ha risposto affermativamente, mentre la Campania con una bassa percentuale, di poco più il 60% (fig. 2).
Si è chiesto all’assistito del suo comportamento in caso di malessere ed i risultati hanno evidenziato il Molise come regione più virtuosa, rispetto alla Basilicata e Campania: il cittadino del Molise ricorre soprattutto al MMG (63.2%) e a seguire, seppur per una percentuale nettamente più bassa di risposta (33.5%), all’autocura; minimo il ricorso al Pronto Soccorso (PS). Mentre i cittadini della Basilicata e Campania tendono a far ricorso, molto spesso, al PS con percentuali rispettivamente del 18 e 22% rispetto ad appena il 4.5% del Molise (fig. 3).
In Campania il 51% degli assistiti ritiene l’infermiere il professionista che può garantire la stessa qualità assistenziale in una visita di controllo dal MMG, a seguire il Molise con il 42.9 % e il 39.4% della Basilicata; una percentuale non trascurabile è incerta nella risposta: 30% per la Basilicata, 17.8% per la Campania e il 38.7% per il Molise (fig. 4).
DISCUSSIONE
Il Molise risulta mediamente una regione più giovane rispetto le altre di circa dieci anni, forse dovuto ad una “migrazione” di giovani di queste ultime due regioni (Campania e Basilicata) verso altre regioni o in Europa. La motivazione potrebbe essere dettata da una scelta lavorativa che il territorio attuale non offre.
Colpisce abbastanza una percentuale del ben 23.2% con solo titolo elementare della Campania (ben tre volte il Molise, anche se la bassa numerazione del campione di quest’ultimo porta con sè una maggiore indeterminazione sul valore della popolazione) e con 18% di laureati (10% in meno del Molise). Queste percentuali del Molise rispecchiano abbastanza bene la popolazione: la percentuale con diploma è il segno di una popolazione prevalentemente adulta e ormai consolidata, si potrebbe dire con una propria stabilità di vita familiare e professionale.
Al di là delle aspettative, infatti, risulta che le persone, almeno nel Molise, sanno della presenza dell’infermiere nell’ambulatorio del MMG, al pari quasi della sua presenza nelle altre realtà territoriali (cliniche, etc…). Meno conosciuta la presenza dell’infermiere nell’ambulatorio medico nella Campania.
Sembrerebbe, quindi, che l’infermiere sia rivalutato nella sua professionalità e qualificazione come professionista della salute laddove si conosce il suo ruolo definito e marcato; meritevole di rispetto e di attenzione.
Colpisce invece la percentuale veramente bassa di più del 20% della Campania, dove solo il 60.5% ne vede l’utilità, questa evidenza non dovrebbe meravigliare più di tanto vista la disinformazione ed il livello di scolarizzazione della popolazione la quale, evidentemente, considera il medico figura insostituibile ed inaffiancabile, tanto meno da un infermiere, nel percorso assistenziale del paziente all’interno dell’ambulatorio.
Se si associano le persone con più basso livello di istruzione e l’età, si evince che sono tali utenti i maggiormente “papabili” ad un intervento a domicilio dell’infermiere: evidentemente, appunto, sono gli anziani, in autonomia o tramite caregiver, a richiedere tale assistenza. Il tutto con le dovute eccezioni. Non mancheranno casi di giovani e adulti malati, costretti a cure e assistenza domiciliare. L’anziano resta l’utente principale come, si ribadisce, si evince dall’anzianità della popolazione di riferimento.
CONCLUSIONI
L’IFeC è il soggetto di una rivalutazione del sistema sanitario perché ne ha le giuste competenze: la popolazione lo considera e lo vede tale nel quotidiano e nel risvolto pratico del concetto “SALUTE”. Uno sforzo maggiore andrebbe fatto nelle regioni dove questa figura non è ancora implementata, tramite appositi master universitari per infermieri e corsi di formazione per i MMG, per sancire ufficialmente questo prezioso aiuto e valido riconoscimento perché nei contenuti, andando al cuore dell’assistenza, l’infermiere si conferma autorevole, un intreccio perfetto tra sapere, saper essere e, appunto, saper fare e saper dare. Nuovi scenari, quindi, per l’assistenza infermieristica per una fitta rete con il ruolo medico.
Si è consapevoli, infine, che si necessita anche di costruire una maggiore visibilità dell’IFeC al fine di accrescere le conoscenze della popolazione e le potenzialità connesse al ruolo. Gli infermieri e i MMG sono gli operatori “in prima linea” che debbono intraprendere e stimolare specifiche azioni promotrici per l’implementazione di una continuità assistenziale, in un momento in cui la riorganizzazione del sistema di erogazione di cure primarie rappresenta la sfida più difficile e il contributo infermieristico appare decisivo e irrinunciabile.
LIMITI DELLO STUDIO
Il campione selezionato per l’indagine non è indicativo di tutte le realtà territoriali regionali e quindi non ha permesso di evidenziare meglio alcune criticità emerse nello studio.
Altro limite è rappresentato dallo strumento di indagine strutturato “ad hoc”, non essendo stato sottoposto all’analisi statistica di affidabilità, validità, fattoriale e proprietà degli item, per ciò che si intende realmente misurare. Tuttavia l’ampio campionamento arruolato consentirebbe una successiva analisi statistica sullo strumento; sarebbe, comunque, auspicabile estendere questo tipo di indagine in tutte le realtà territoriali delle regioni, al fine di ottenere un quadro più completo della situazione attuale, riguardo la figura dell’IFeC.
Working group
I presidenti dei collegi IPASVI della Basilicata – Campania – Molise
IPASVI Avellino: Mariconda Pellegrino, Maurizio Roca
IPASVI Benevento: Giovanna Annese, Patrizia Callaro, Antonella Mottola, Loredana Napoletano
IPASVI Campobasso: Cinzia Berchicci, Valeria Bernardo, Olimpia Lubrano
IPASVI Caserta: Giacinto Basilicata, Mario Falco, Concetta Galasso
IPASVI Matera: Nunziata Cotugno, Carmine Frangione, Vita Spagnuolo
IPASVI Napoli: Margherita Ascione, Concetta Pane, Chiara Sepe
IPASVI Potenza: Carmelina Bruno, Pierangelo Galasso, Vito Milione
IPASVI Salerno: Cosimo Cicia, Annamaria Del Corvo
L’ingegnere Donato Carbone per l’analisi statistica
BIBLIOGRAFIA
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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
L'adesione alla vaccinazione antinfluenzale degli infermieri a contatto con pazienti immunocompressi
D’Auria A.1, Lopes S.4, Panico C.4, Sansone V.5, Gargiulo G1., Simeone S.2, Rea T3.
- Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli
- Dipartimento di Terapia Intensiva CardioChirurgica dell’Adulto e del bambino, A.O.U. Federico II di Napoli.
- Dipartimento di Sanità Pubblica, Università Federico II di Napoli
- Infermiere, libero professionista
- Studente, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università Federico II di Napoli
DOI: 10.32549/OPI-NSC-6
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Abstract
Introduzione: la vaccinazione antinfluenzale (VA) rappresenta uno degli interventi raccomandati per proteggere non solo operatori sanitari e pazienti ad alto rischio, ma la popolazione tutta. Lo scopo dello studio è stato valutare l’adesione alla VA da parte del personale infermieristico dedicato all’assistenza dei pazienti immunocompromessi presso l’A.O.U. “Federico II” di Napoli negli ultimi cinque anni. Ulteriori obiettivi sono stati: rilevare il fabbisogno formativo e comprendere i motivi della mancata adesione alla VA.
Metodo: lo studio osservazionale è stato condotto da giugno a settembre 2015; è stato somministrato un questionario rivolto agli infermieri utilizzando un modulo di analisi on-line creato con la piattaforma G-Drive di Google.
Risultati: sono stati somministrati un totale di 227 questionari con un tasso di adesione del 67.8%. Il 61.3% del campione creda nelle vaccinazioni quali strumenti importanti per la riduzione/eliminazione delle malattie. Nell’anno 2014-15, l’89% del campione non ha praticato la vaccinazione antinfluenzale. Negli ultimi 5 anni il 20.8% dichiara di essersi vaccinato soltanto una volta, l’11% due o più volte, mentre il 68.2% non si è mai vaccinato. Un ulteriore bisogno di informazioni è emerso nell’80% del campione.
Conclusioni: l’assenza di un protocollo aziendale e le misconception sulla VA sembrano essere i principali elementi che hanno determinato i risultati. Vi è la necessità di attuare interventi capaci di stimolare gli operatori a comprendere l’importanza della VA, sviluppando una maggiore l’adesione.
Keywords: vaccinazione antinfluenzale, infermieri, attitudini, comportamenti, adesione.
Adherence to flu vaccination for nurses in contact with immunosuppressed patients
Introduction: Influenza vaccination (IV) is one of the recommended measures to protect not only health workers and high-risk patients, but the whole population. The aim of the study was to evaluate adherence to the IV by nursing staff dedicated to the assistance of immunocompromised patients at the Federico II University Hospital in the last five years. Further objectives included: to identify training needs and to understand the reasons for the lack of adherence to the IV.
Method: the observational study was conducted from June to September 2015; a questionnaire for nurses was administered using an online analysis module created with Google's G-Drive platform.
Results: a total of 227 questionnaires were administered with a participation rate of 67.8%. 61.3% of the sample believed in vaccinations as important tools for the reduction/elimination of diseases. In the year 2014-15, 89% of the sample did not have the flu vaccination. Over the last 5 years 20.8% said they have only been vaccinated once, 11% two or more times, while 68.2% had not been vaccinated. A need for further information was expressed by 80% of the sample.
Conclusions: the absence of a company protocol and misconceptions regarding the IV seem to be the main elements that determined the results. There is the need to implement actions that can motivate operators to understand the importance of the IV, developing greater adherence.
Keywords: flu vaccination, nurses, attitudes, behaviour, adherence.
Introduzione
Il rischio infettivo associato all’assistenza socio-sanitaria rappresenta una condizione rilevante in ragione della complessità dei determinanti e del trend epidemiologico in aumento delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) [1]. In particolare, a seguito dei risultati di studi sul contagio in ambiente ospedaliero, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) e l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) raccomandano fortemente l’immunizzazione attiva del personale sanitario per la prevenzione di numerose patologie prevenibili, tra cui l’influenza stagionale [2]. Le epidemie di influenza, infatti, causano ogni anno un aumento della morbilità e della mortalità nelle strutture sanitarie, in particolare in gruppi ad alto rischio quali i bambini, le persone immunocompromesse o con patologie croniche. I CDC [3, 4] raccomandano che tutti gli operatori sanitari vengano sottoposti a vaccinazione antinfluenzale con tre obiettivi principali:1) ridurre il rischio per i pazienti di contrarre l’influenza dagli operatori, 2) proteggere gli operatori ed i loro familiari dall’influenza e 3) ridurre le assenze degli operatori durante il periodo influenzale, riducendo così i costi per il sistema sanitario. Una strategia vaccinale basata su questi presupposti presenta un favorevole rapporto costo-beneficio e costo-efficacia [5]. Nonostante la dimostrata efficacia delle vaccinazioni e le raccomandazioni nazionali ed internazionali – tra cui la direttiva comunitaria 2000/54/CE “Protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro” [6]- la copertura vaccinale fra il personale sanitario, anche se varia da Paese a Paese (dal 90% negli USA al 24% in Portogallo) [7, 8], rimane bassa in tutto il mondo. Sebbene in Italia i dati di copertura vaccinale del personale sanitario non siano raccolti abitualmente, studi ad hoc mostrano tassi bassi sia durante le stagioni epidemiche sia in corso di pandemia [9]. Per rispondere alla necessità di promuovere la vaccinazione tra gli operatori sanitari, secondo quanto indicato dagli obiettivi di copertura del Piano Sanitario Nazionale (PSN) 2012-14 [10, 11], è stato realizzato un progetto europeo intitolato “HProImmune – Promozione dell’immunizzazione degli operatori sanitari in Europa”. Il progetto, della durata di tre anni, ha prodotto e testato uno strumento di comunicazione e informazione (toolkit) per promuovere la vaccinazione degli operatori sanitari. La scelta di indagare la copertura vaccinale degli infermieri a contatto con i pazienti immunocompromessi è giustificata dalle raccomandazioni di organizzazioni sanitarie e governative internazionali e da diversi studi, i quali affermano che la vaccinazione antinfluenzale degli operatori sanitari e dei pazienti ad alto rischio sia il metodo più efficace di prevenzione dell’influenza [5, 12, 13]. Nella fase progettuale dello studio è stato verificato che nell’A.O.U. “Federico II” non è presente alcun documento aziendale in merito a tale tematica, pertanto lo scopo principale di questo studio è stato quello di valutare la percentuale di infermieri, infermieri pediatrici e coordinatori infermieristici dedicati all’assistenza a pazienti immunocompromessi che si sono sottoposti a copertura vaccinale antinfluenzale nell’A.O.U. “Federico II” negli ultimi cinque anni e confrontare tali dati con quelli di studi condotti nelle altre regioni italiane, in Europa e negli USA. Ulteriori obiettivi sono stati: rilevare il fabbisogno formativo del personale intervistato, comprendere i motivi di non adesione alla vaccinazione e proporre possibili strategie di promozione della vaccinazione antiinfluenzale.
Materiali e Metodi
È stato condotto uno studio osservazionale da giugno a settembre 2015. Sono state incluse nell’indagine le seguenti UU.OO. caratterizzate dalla presenza di pazienti in condizioni di immunocompromissione: Anestesia e Rianimazione e Terapia Intensiva Chirurgica; Terapia Intensiva Neonatale; Neonatologia; Ematologia e Trapianti di Cellule Staminali Emopoietiche; Oncologia; Malattie Infettive; Cardiochirurgia e Cardiochirurgia Pediatrica; Chirurgia dei Trapianti; Geriatria e Fibrosi Cistica; Fibrosi Cistica Pediatrica; Allergologia e Immunologia Clinica. Per le finalità dello studio è stato elaborato uno specifico questionario, attraverso una revisione del questionario utilizzato per il progetto europeo HProImmune. Al fine di renderlo più agevole e per permettere ai ricercatori di acquisire confidenza con lo strumento, il questionario è stato somministrato ai membri del gruppo di studio (4) e ad altri studenti del secondo anno del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Il questionario si compone di 20 item, a risposta aperta e con scale di Likert, ed è diviso in due parti: una prima parte, in forma anonima, che raccoglie dati socio anagrafici (età, sesso, titolo di studio, anni di esperienza, ecc.), e una seconda che esplora le conoscenze e i comportamenti circa la VA. Prima di procedere alla somministrazione dei questionari, è stata richiesta ed ottenuta autorizzazione scritta alla Direzione Sanitaria Aziendale. I dati raccolti, in forma anonima e aggregata, sono stati raccolti utilizzando un modulo di analisi on-line creato con la piattaforma G-Drive di Google.
Risultati
Dei 227 questionari somministrati, ne sono stati restituiti 154 compilati, mentre 73 non sono stati restituiti o non compilati, determinando una percentuale di adesione del 67.8 %. Gli infermieri in servizio presso le UU.OO. incluse, hanno aderito allo studio in misura diversa, determinando un eterogeneo tasso di adesione (Tabella 1). Il campione era così distribuito (Grafico 1). La seconda parte del questionario indagava inizialmente le convinzioni del personale infermieristico in relazione ai vaccini in generale. Dai risultati si evidenzia che il 61.3% dei soggetti intervistati crede nelle vaccinazioni quali strumenti importanti per la riduzione/eliminazione delle malattie. (Grafico 2)
110 infermieri (71.4%), 36 infermieri pediatrici (23.4%) e 8 coordinatori infermieristici (5.2%). I partecipanti allo studio hanno un’età media di 47 anni, la maggioranza è di sesso femminile.
Il livello culturale è medio-alto, con esperienza pluriventennale sia lavorativa che inerente lo specifico ambito lavorativo (Tabella 2).
Tuttavia, proseguendo con l’analisi dei dati si rileva che nell’anno 2014-15 solo l’11% degli operatori intervistati si è sottoposto alla vaccinazione antinfluenzale, mentre il restante 89% dichiara di non essersi vaccinato. Il personale vaccinato ha motivato tale scelta dichiarando la propria convinzione circa l’efficacia della vaccinazione e la volontà di voler evitare sia di contagiare che di essere contagiato (Grafico 3). Nei soggetti che non hanno aderito alla VA, nell’anno 2014-15, tra le principali ragioni è emersa l’assenza di direttive aziendali (Grafico 4).
Negli ultimi 5 anni il 20.8% del personale infermieristico intervistato (n 32) si è vaccinato soltanto una volta, l’11% (n 17) due o più volte mentre il 68.2% (n 105) non si è mai vaccinato. Si è successivamente indagata la conoscenza degli infermieri circa la presenza di un registro del personale vaccinato e di documenti aziendali. Il 63.4% (n 97) non è informato in merito all’esistenza o meno di un registro; il 35.9% (n 55) sa che non esiste; lo 0.7% (n 1) invece ne riconosce l’esistenza. Il 25.3% (n 39) è al corrente dell’inesistenza di documenti aziendali relativi alla VA; il 63.6% (n 98) dichiara di non sapere se questi esistono o no. Una esigua minoranza dell’11,1% (n 17) invece ritiene che esistono documenti in merito, in particolare: una Linea Guida (6.5%), un Protocollo (0,6%) e una Circolare (4%). In linea con questi ultimi risultati, alla domanda riguardo la richiesta da parte dell’azienda di vaccinarsi contro l’influenza stagionale annuale, il 90.3% (n 139) dichiara che tale vaccinazione non è richiesta. Una minoranza del 9.7% (n 15) dichiara il contrario. È stato chiesto chi proponesse la VA e quale potrebbe essere, in futuro, la modalità di proposta più efficace. I risultati rilevati (Tabella 3) evidenziano che 103 partecipanti (77%) non hanno ricevuto nessun invito a sottoporsi alla vaccinazione, mentre una proposta di vaccinazione da parte della Direzione Sanitaria in è stata riferita da 11 soggetti (8.2%), dall’Ufficio Igiene Aziendale in 9 soggetti (6.7%) e dal Coordinatore Inf.co o Dirigente Medico dell’U.O in 10 casi (7.7%). Nella parte finale del questionario sono stati valutati sia l’eventuale organizzazione e partecipazione a un intervento educativo passato, sia il fabbisogno formativo futuro del personale infermieristico coinvolto. 107 partecipanti (69.5%) dichiarano che non è stato organizzato nessun evento durante il proprio periodo di lavoro presso l’AOU “Federico II”, 39 (25.3%) non ricordano o non ne sono a conoscenza, 4 (2.6%) affermano che è stato organizzato un evento a cui però non hanno partecipato e altri 4 affermano che effettivamente hanno partecipato ad uno specifico evento sul tema.
Discussione
L’adesione allo studio da parte del personale ha raggiunto una percentuale soddisfacente (> 65%) in quasi tutte le diverse UU.OO. ad eccezione del personale infermieristico delle UU.OO. di Neonatologia e di Fibrosi Cistica (< del 40%) e di Malattie Infettive (< al 10%) in cui è risultata insufficiente. La quantità di questionari non restituiti o consegnati non compilati rappresenta circa un terzo dei questionari totali (32.2%), mentre in altri studi sono state riscontrate percentuali di informazioni mancate variabili dal 15% al 28% [14, 15]. Tra le possibili motivazioni della mancata adesione di altri colleghi allo studio, riportate da gran parte del campione incluso, vengono riportate l’eccessivo carico di lavoro e uno scarso interesse verso le attività di ricerca e formazione; in ogni caso l’80% degli stessi intervistati afferma che ritiene utile un intervento formativo, a cui parteciperebbe circa il 70% laddove fosse effettivamente organizzato. Altri possibili fattori correlabili alla ridotta adesione allo studio sono una mancata attività di formazione e aggiornamento relativa alla problematica vaccinale e l’età media piuttosto alta degli intervistati (il 35% ha un’età superiore ai 55 anni). Appaiono in contrasto anche altri risultati analizzati: infatti, sebbene il 61.3% degli infermieri (n 92) creda che, in generale, “i vaccini siano importanti per ridurre o eliminare malattie gravi”, solo l’11% (n 17) si è sottoposto concretamente alla VA nell’anno 2014-15. Tale risultato evidenzia che solo una esigua minoranza (11%) della popolazione oggetto dello studio ha effettuato la VA, un dato sovrapponibile ai risultati emersi da alcuni studi simili condotti a livello nazionale, mentre risulta essere inferiore ad altre ricerche in cui la copertura vaccinale dichiarata è del 24.8% [16].A livello europeo uno studio condotto nel 2009 ha individuato i tassi di copertura VA degli infermieri in diversi Paesi: Regno Unito 39.4%, Germania 36.7%, Austria 33.6%, Finlandia 52.2%, Irlanda 38.1%, Polonia 33.6%, Portogallo 24.0% [8]. La percentuale italiana di adesione alla VA da parte del personale infermieristico risulta, pertanto, inferiore rispetto ai sopraccitati Paesi europei, eccezion fatta per il Portogallo. In confronto ai dati riscontrati da studi internazionali (tassi di adesione di circa il 90%), la copertura vaccinale raggiunta all’A.O.U. “Federico II” risulta nettamente inferiore, probabilmente in virtù della diversa politica sanitaria [8]. Il 68.2% (n 105) degli intervistati, benché presti assistenza a pazienti immunocompromessi, non ha mai praticato la VA negli ultimi 5 anni. In linea con studi internazionali [17], si evince che gli infermieri hanno diverse misconception circa la VA e che l’efficacia di tale vaccinazione dovrebbe essere enfatizzata [18, 19]. In quest’ottica sarebbe auspicabile porre in essere azioni per incrementare la copertura vaccinale degli infermieri, tra le quali: la stesura di un protocollo aziendale; l’organizzazione di un corso di formazione gratuito; il remind per la vaccinazione inviato via mail dall’Ufficio comunicazione a tutti gli operatori; un invito ai coordinatori infermieristici a proporre la vaccinazione; la distribuzione dei vaccini per gli operatori direttamente ai reparti (vaccinazione autogestita) o la convocazione degli stessi presso gli ambulatori di vaccinazione; l’affissione di manifesti specifici nelle UU.OO. Pur ritenendo necessarie ulteriori indagini di valutazione della copertura vaccinale antinfluenzale – da estendere a tutti gli operatori sanitari, a livello aziendale e regionale – lo studio ha fornito utili indicazioni sui limiti conoscitivi e sull’errata percezione dei rischi connessi alla malattia influenzale, aspetti che condizionano fortemente l’adesione degli operatori alla vaccinazione.
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Prevenzione delle malattie da sostanze tossiche
Massimo Esposito1 & Carmela Mele2
- Infermiere, ASL Na2 Nord, P.O San Giuliano
- Laureanda in Infermieristica, Tor Vergata, sede Castel Volturno
DOI: 10.32549/OPI-NSC-5
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Abstract
Introduzione: La civiltà contemporanea ha introdotto enormi modifiche nella vita delle persone. L’evoluzione della tecnologia, soprattutto dal punto di vista industriale, ha portato con se una serie di “effetti collaterali”. Uno di questi è rappresentato dell’impatto che le delle sostanze tossiche hanno che ha sulla salute della popolazione.
Metodi: È stata effettuata una ricerca bibliografica che ha previsto la consultazione delle banche dati The Cochrane Library e PubMed. Sono stati inoltre consultati documenti di organismi ufficiali, nazionali ed internazionali, quali OMS e ISS
Risultati: Gli studi suggeriscono che molti agenti chimici presenti nell’ambiente quali metalli pesanti, prodotti agrochimici, e vari tipi di idrocarburi possiedono una tossicità che causa svariati danni alla salute, soprattutto ai polmoni, al sistema immunitario ed al sistema nervoso centrale.
Conclusioni: Gli effetti delle sostanze tossiche sulla salute, prodotte principalmente dall’uomo, sono di notevole importanza. L’impatto della chimica e dei metalli pesanti, sulla salute rappresenta un problema emergente contro il quale si fa ancora poco. La prevenzione riveste un ruolo cruciale e gli infermieri secondo il CD partecipano alla promozione della salute e diffusione della tutela dell’ambiente.
Parole chiave: sostanze tossiche, prevenzione, salute.
Prevention of diseases from toxic substances. A Literature review
Abstract
Introduction: Contemporary civilisation has introduced enormous changes to people's lives. The evolution of technology, especially from an industrial point of view, has brought with it a series of "side effects". One of these is the impact that toxic substances have on the health of the population.
Methods: Bibliographic research was carried out which has provided for the consultation of the Cochrane Library and PubMed databases. Documents of official, national and international bodies, such as WHO and ISS were also consulted
Results: Studies suggest that many chemicals in the environment such as heavy metals, agrochemicals, and various types of hydrocarbons have a toxicity that causes various kinds of health damage, especially to the lungs, the immune system and the central nervous system.
Conclusions: The effects of on health of toxic substances, produced mainly by humans, are of considerable importance. The impact of chemistry and heavy metals on health is an emerging problem against which little has been done. Prevention plays a crucial role and nurses according to the CD participate in the promotion of health and the spread of environmental protection.
Keywords: toxic substances, prevention, health
Introduzione
L’esposizione alle sostanze tossiche prodotte dall’uomo come effetto della civiltà industriale, sta compromettendo seriamente lo stato di salute della popolazione.
Sono considerati tossici tutti quei preparati e quelle sostanze che per inalazione, ingestione o penetrazione attraverso la pelle possono comportare rischi gravi, acuti o cronici, o morte, causando lesioni anatomiche o funzionali e dei disturbi reversibili o irreversibili dei normali processi fisiologici.
Gli agenti tossici, che siano essi di natura chimica o fisica, sono estremamente diffusi, sia nell’ambiente che nei prodotti di largo consumo, essi penetrano in maniera insidiosa nel nostro organismo attraverso cibi, bevande, aria, acqua, cosmetici, farmaci, vestiti, vernici e oggetti di uso quotidiano e sono pericolosi in quanto tendono a bioaccumularsi, cioè ad aumentare la propria concentrazione lentamente e progressivamente nelle ossa, nel fegato, nei reni, nei tessuti connettivi, nel cervello e in altri organi. I più pericolosi sono quelli che provocano mutamenti delle strutture fondamentali dell’organismo, ossia le cellule. Fanno parte di questa categoria, i cancerogeni, i mutageni, che causano alterazioni alla struttura genetica, e i teratogeni, cioè che provocano anomalie nello sviluppo del feto.
L’eccessiva presenza nel nostro corpo di queste sostanze, blocca l’attività di molti complessi enzimatici, determinando un danno metabolico e generando così una vasta gamma di sintomi che molto spesso sono difficili da interpretare. Gli effetti delle sostanze tossiche sulla salute umana possono essere generali o localizzati e sono influenzati dalle proprietà chimiche e fisiche delle sostanze, dal tempo di esposizione, dalla dose assorbita, dalla modalità di introduzione nell’organismo e dalle condizioni fisiche della persona esposta. In ogni caso queste sostanze tendono a colpire principalmente organi specifici, definiti organi o tessuti bersaglio e, pertanto, si parla di epatotossine, neurotossine, immunotossine, tossine cardio-muscolari e quelle che colpiscono il sistema respiratorio e riproduttivo, oppure specifici distretti dell’organismo, come la pelle, i reni, la tiroide, il sangue, etc.
In particolare il sistema respiratorio può essere il bersaglio di una quantità innumerevole di sostanze tossiche oppure può fungere da punto di entrata per tutti quegli agenti che, venendo a contatto con il sangue, si diffondono poi nel resto del corpo. L’inalazione di sostanze tossiche porta alla produzione di molteplici citochine e altri mediatori, che a loro volta producono molteplici effetti infiammatori (1). Il compito di tale apparato è quello di rifornire l’organismo dell’ossigeno necessario alla sopravvivenza ed eliminare allo stesso tempo i gas residui della respirazione. Queste funzioni però non permettono di distinguere le varie sostanze aerodisperse, per cui i vari agenti tossici, possono penetrare all’interno del corpo con estrema facilità. Gli effetti tossici a riguardo possono spaziare da una semplice irritazione e costrizione del passaggio dell’aria, alla fibrosi, all’edema, al cancro etc.
In genere gli effetti irritanti sono reversibili tuttavia l’esposizione cronica ad un irritante può comportare l’insorgenza di un danno permanente a livello cellulare.
Le cellule nervose hanno un’elevata velocità metabolica e per questo richiedono un maggiore apporto di ossigeno rispetto alle altre cellule del corpo, condizione che rende il sistema nervoso particolarmente esposto alle sostanze tossiche.
Il fegato invece, svolge un’azione detossificante nei confronti della maggior parte delle sostanze tossiche, anche se la sua azione metabolica può rivelarsi dannosa, in alcuni casi modifica la struttura delle sostanze pericolose, trasformandole in sostanze tossiche e causando così un danno più o meno grave.
Particolarmente sensibili all’insulto delle sostanze tossiche, sono i bambini. L’inquinamento atmosferico, contiene molte sostanze tossiche, note per la loro influenza sulla funzione neurologica e per gli effetti sul feto (3). Alcuni agenti tossici infatti, possono comportarsi da potenti teratogeni, causando delle anomalie fisiche ai figli oppure determinando un ritardo della loro crescita fisica o mentale o vari effetti tossici a carico di organi specifici. Possono comportare anche alterazioni dello sviluppo degli organi sessuali e la definitiva compromissione delle capacità riproduttive.
I bambini possono entrare in contatto con queste sostanze anche attraverso il latte materno, per cui l’esposizione a questi agenti è assolutamente da evitare anche nel periodo dell’allattamento naturale e non solo durante la gestazione. Studi recenti, infatti hanno riportato l’associazione tra l’esposizione perinatale all’inquinamento atmosferico e disturbo dello spettro autistico (ASD) nei bambini (4).
Recensioni US EPA hanno evidenziato, da studi condotti sia sugli umani che sugli animali, che gli inquinanti possono suscitare effetti sul sistema nervoso e sul feto (5). L’arsenico, il cadmio, il cromo, il mercurio, il cloruro di metilene, il nichel, lo stirene, il tricloroetilene e il cloruro di vinile, sono anche noti o sospettati mutageni e sono stati implicati nell’eziologia per ASD.
Studi epidemiologici hanno stimato che l’esposizione prenatale al mercurio in utero, è associata allo scarso sviluppo cognitivo ed a disturbi comportamentali nei bambini (6).
Da una recente revisione della letteratura sull’esposizione prenatale al metilmercurio (MeHg) (7), si evince che vi sono prove coerenti che tale sostanza abbia importanti ricadute sulla disfunzione neuro cognitiva in prima infanzia; limitata evidenza per effetti cardiovascolari e possibili associazioni con la crescita del feto tra i gruppi a rischio di esposizione.
A livello domestico si parla di inquinamento indoor: a riguardo, tra le sostanze tossiche maggiormente riscontrabili distinguiamo i Composti organici volatili (VOC), ossia composti liberati dai prodotti a base di sostanze sintetiche, utilizzati per la finitura di pareti, pavimenti, soffitti e materiali isolanti. L’emissione di tali vapori tossici è più alta durante l’applicazione e l’asciugatura, e tende a diminuire nel corso degli anni. Gli effetti sulla salute dei VOC vanno dall’irritazione al cancro.
Le sostanze chimiche estremamente tossiche che rimangono nell’ambiente per molto tempo e che si accumulano nella catena alimentare prendono il nome di Inquinanti Organici Persistenti (POP) (8). In Europa, alcuni POPs come PCB e DDT, sono stati banditi diversi anni fa ma nonostante ciò, queste sostanze stanno ancora inquinando l’ambiente e la nostra catena alimentare, mentre altri composti tossici vengono tuttora prodotti o utilizzati in tutto il mondo industrializzato. Tra questi ultimi, il più cancerogeno e il più studiato è il Benzo(a)pirene, a causa della sua citotossicità, proprietà mutagene, genotossiche e cancerogene, l’esposizione a BaP è associato a molti effetti biologici avversi, tra cui l’immunosoppressione, la formazione del tumore, teratogenicità, e disturbi ormonali (9).
Quando si parla degli effetti sull’organismo umano che hanno gli inquinanti ambientali e tutte le sostanze tossiche, non si può non parlare dell’epigenetica, definita come lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione genica che non sono causati da cambiamenti nella sequenza del DNA. Negli ultimi dieci anni la ricerca epigenetica ha dimostrato che i modelli di DNA trasmessi attraverso i geni non sono fissati alla nascita. Questo significa che le influenze dell’ambiente, compresa l’alimentazione, lo stress e le emozioni possono modificare i geni senza modificarne il modello di base. In particolare, quando viene richiesta l’attività di un gene, è un segnale proveniente dall’ambiente, e non una proprietà derivante dal gene stesso, che attiva l’espressione di quel gene.
Un esempio di tali sostanze è il metilmercurio (MeHg), secondo recenti ricerche, vi sono prove sufficienti per affermare che l’esposizione dell’uomo con questa singola sostanza, oppure correlata con altri metalli, come l’arsenico (As), possa comportare danni genetici, sono infatti definiti “agenti tossici epigenetici”. Uno studio epidemiologico in donne in gravidanza, nell’area del Mediterraneo ha riportano una correlazione positiva moderata tra biomarker di Hg e l’esposizione a questi agenti tossici epigenetici (10). Tale studio ha individuato una correlazione positiva tra la presenza di elementi tossici come il mercurio ed il consumo di pesce, soprattutto in correlazione alla tipologia e alla quantità di pesce di cui le donne oggetto dello studio si sono nutrite.
Obiettivo
L’obiettivo principale della revisione è quello di reperire in letteratura studi effettuati per valutare la correlazione tra sostanze tossiche e salute al fine di avere maggiori conoscenze rispetto ai danni che impattano sull’organismo umano.
Quesito
Le sostanze tossiche disperse nell’ambiente possono determinare patologie sulla popolazione? Quali malattie sono principalmente associate alle sostanze tossiche?
P: popolazione a rischio di esposizione tossicologica
I: strategie di identificazione delle malattie tossico correlate
C:
O: identificazione delle malattie associate
Materiali e Metodi
La ricerca bibliografica è stata condotta sulle principali banche dati scientifiche: Pubmed e Cochrane Library. Sono stati utilizzati i termini Mesh ed eventualmente i loro sinonimi (Entry Terms) e le parole a testo libero. È stato impostato, inoltre, il filtro temporale relativo agli ultimi cinque anni in modo da escludere citazioni precedenti già incluse nella letteratura corrente. Sono state esclusi articoli che contenessero la parola “Cancer” al fine di focalizzare la letteratura sulle malattie croniche. La ricerca bibliografica è stata condotta dal 13 novembre 2015 al 30 giugno 2016.
Per rendere più sensibile la ricerca, sono stati combinati i risultati con gli operatori booleani. Per trovare tutti gli articoli contenenti le parole che rispondono allo stesso concetto, sono state combinate con “OR”, mentre è stato usato “AND”, al fine di individuare quei records che contengono simultaneamente tutte le parole chiave inserite. Sono stati selezionati studi epidemiologici, revisioni e metanalisi cui fosse accessibile il full text.
Keywords:
Environmental toxicants; immune system; heavy metals; chronic disease; neurological effects; neurodevelopment; organophosphate pesticide exposure; neuro degeneration; air pollution; sclerosis multiple
Risultati
Nella tabella 1 viene riportata la strategia di ricerca e la selezione degli studi. Nella tabella2 sono riportati i risultati della ricerca sintetizzati per obiettivi, tipologia di studio, popolazione e conclusione dei singoli studi reperiti.
Tabella 1
Keywords | Risultati | Selez. | Articoli reperiti |
enviromental toxicants AND chronic disease
((“environment”[MeSH Terms] OR “environment”[All Fields] OR “environmental”[All Fields]) AND toxicants[All Fields]) AND (“chronic disease”[MeSH Terms] OR (“chronic”[All Fields] AND “disease”[All Fields]) OR “chronic disease”[All Fields]) AND (Review[ptyp] AND “loattrfree full text”[sb] AND “2011/07/19″[PDat] : “2016/07/16″[PDat] |
9 | 1 | Lung inflammation caused by inhaled toxicants: a review.
|
enviromental toxicants AND neurological effects
((“environment”[MeSH Terms] OR “environment”[All Fields] OR “environmental”[All Fields]) AND toxicants[All Fields]) AND (neurological[All Fields] AND effects[All Fields]) AND (“2011/07/19″[PDat] : “2016/07/16″[PDat])
|
14 | 3 | 1) Chronic Administration of Benzo(a)pyrene Induces Memory Impairment and Anxiety-Like Behavior and Increases of NR2B DNA Methylation.
2) Mechanistic overview of immune modulatory effects of environmental toxicants. |
enviromental toxicants AND neurodevelopment
((“environment”[MeSH Terms] OR “environment”[All Fields] OR “environmental”[All Fields]) AND toxicants[All Fields]) AND neurodevelopment[All Fields] AND (“loattrfree full text”[sb] AND “2011/07/19″[PDat] : “2016/07/16″[PDat])
|
14 | 3 | 1) Prenatal exposure to the organophosphate insecticide chlorpyrifos enhances brain oxidative stress and prostaglandin E2 synthesis in a mouse model of idiopathic autism. |
organophosphate pesticide exposure and neurodegeneration
((“organophosphates”[MeSH Terms] OR “organophosphates”[All Fields] OR “organophosphate”[All Fields]) AND (“pesticides”[Pharmacological Action] OR “pesticides”[MeSH Terms] OR “pesticides”[All Fields] OR “pesticide”[All Fields]) AND exposure[All Fields] AND (“nerve degeneration”[MeSH Terms] OR (“nerve”[All Fields] AND “degeneration”[All Fields]) OR “nerve degeneration”[All Fields] OR “neurodegeneration”[All Fields])) AND Review[ptyp |
5 | 2 | 1)Organophosphate pesticide exposure and neurodegeneration.
|
enviromental toxicants AND cancer AND immune system
((“environment”[MeSH Terms] OR “environment”[All Fields] OR “environmental”[All Fields]) AND toxicants[All Fields]) AND (“neoplasms”[MeSH Terms] OR “neoplasms”[All Fields] OR “cancer”[All Fields]) AND (“immune system”[MeSH Terms] OR (“immune”[All Fields] AND “system”[All Fields]) OR “immune system”[All Fields]) AND (Review[ptyp] AND “2011/07/19″[PDat] : “2016/07/16″[PDat]) |
3 | 1 | Environmental immune disruptors, inflammation and cancer risk.
|
leukemia AND air pollution
((“leukaemia”[All Fields] OR “leukemia”[MeSH Terms] OR “leukemia”[All Fields]) AND (“air pollution”[MeSH Terms] OR (“air”[All Fields] AND “pollution”[All Fields]) OR “air pollution”[All Fields])) AND (Review[ptyp] AND “2011/07/19″[PDat] : “2016/07/16″[PDat]) |
5 | 1 | A review and meta-analysis of outdoor air pollution and risk of childhood leukemia.
|
heavy metals AND sclerosis multiple
((“metals, heavy”[MeSH Terms] OR (“metals”[All Fields] AND “heavy”[All Fields]) OR “heavy metals”[All Fields] OR (“heavy”[All Fields] AND “metals”[All Fields])) AND (“multiple sclerosis”[MeSH Terms] OR (“multiple”[All Fields] AND “sclerosis”[All Fields]) OR “multiple sclerosis”[All Fields] OR (“sclerosis”[All Fields] AND “multiple”[All Fields]) OR “sclerosis multiple”[All Fields])) AND (“loattrfull text”[sb] AND “2011/07/19″[PDat] : “2016/07/16″[PDat] AND “humans”[MeSH Terms]) |
20 | 1 | Trace elements in scalp hair samples from patients with relapsing-remitting multiple sclerosis. |
TABELLA 2 Risultati Descrizione degli studi
TITOLO | AUTORE | TIPO DI STUDIO | CAMPIONE | OBIETTIVO | RISULTATI |
Lung inflammation caused by inhaled toxicants: a review. | Sánchez-Santed F, Colomina MT, Herrero Hernández E. | Descrittivo | Popolazione umana |
Chiarire il percorso di sostanze tossiche per identificare potenziali bersagli terapeutici suscettibili di trattamenti anti-infiammatori. | Il presente studio suggerisce che l’infiammazione polmonare si verifica in risposta a patogeni batterici, virali ed inquinanti ambientali. Le fonti di inquinamento interno includono il fumo di sigaretta, micotossine,le particelle di amianto, silice, e metalli pesanti: l'esposizione a sostanze tossiche presenti nell'aria provenienti da diverse fonti ambientali possono portare a patologie polmonari acute e croniche o addirittura infiammazione sistemica. Microscopiche particelle di amianto e silice (da materiali da costruzione) e quelli di metalli pesanti (da vernice) sono ulteriori fonti di inquinamento dell'aria interna che contribuisce a malattie respiratorie. Dopo la consegna intranasale negli animali, non si localizzano solo nei polmoni, ma anche nel fegato. reni e milza suscitando danni ai diversi organi. |
Chronic Administration of Benzo(a)pyrene Induces Memory Impairment and Anxiety-Like Behavior and Increases of NR2B DNA Methylation. | Zhang W, Tian F, Zheng J, Li S, Qiang M | Caso controllo | Topi C57BL hanno ricevuto BaP in diverse dosi (1,0, 2,5, 6,25 mg / kg) o olio di oliva due volte a settimana per 90 giorni | Esaminare i meccanismi che regolano alla base l'impatto dell'esposizione cronica BaP sulle prestazioni neuro comportamentali. | I topi che hanno ricevuto BaP (2,5, 6,25 mg / kg) hanno mostrato deficit nella memoria a breve termine e un comportamento ansiogeno La vulnerabilità di NR2B rappresenta un bersaglio per gli agenti tossici. L’esposizione cronica al BaP induce un aumento della metilazione del DNA nel promotore del gene NR2B. Ciò può contribuire a determinare i suoi effetti neurotossici sulle prestazioni comportamentali ed alterazioni della memoria a BT |
Mechanistic overview of immune modulatory effects of environmental toxicants. | Bahadar H, Abdollahi M, Maqbool F, Baeeri M, Niaz K | Descrittivo | Popolazione umana | Dimostrare che gli agenti chimici presenti nell’ambiente causano alterazioni a carico del sistema immunitario | Gli studi suggeriscono che molti agenti chimici presenti nell'ambiente quali metalli pesanti, prodotti agrochimici, e vari tipi di idrocarburi possiedono tossicità immunitario e causano sia cambiamenti strutturali, funzionali o di composizione a vari componenti del sistema immunitario che altera la risposta immunitaria. E' presente una relazione bidirezionale complesso tra il sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema immunitario. Recettori per neuropeptidi, neurotrasmettitori e gli ormoni si trovano su organi linfoidi. Pertanto, gli interferenti endocrini (IE) presenti nel nostro ambiente possono essere indirettamente coinvolti nel causare tossicità immunitaria attraverso canali neuroendocrini, e viceversa molti disturbi neurologici possono essere associati ad inquinanti ambientali che utilizzano percorsi immuno-neuro-endocrino |
Perinatal air pollutant exposures and autism spectrum disorder in the children of Nurses' Health Study II participants. | Roberts AL, Lyall K, Hart JE, Laden F, Just AC, Bobb JF, Koenen KC, Ascherio A, Weisskopf MG. | Studio di coorte | 116,430 infermieri da 14 stati degli Stati Uniti | Testare l'ipotesi che l'esposizione perinatale a inquinanti atmosferici è associata con ASD, concentrandosi sugli inquinanti associati a ASD in studi precedenti | Esposizioni perinatali al più alto rispetto al quintile più basso del gasolio, piombo, manganese, mercurio, cloruro di metilene, e una misura globale di metalli sono risultati significativamente associati con ASD, con odds ratio che variano da 1.5 (per la misura metalli complessivi) a 2,0 (per diesel e mercurio).Inoltre, le tendenze lineari sono stati positivi e statisticamente significativo per tali esposizioni ( p <.05 per ciascuno). Per la maggior parte degli inquinanti, le associazioni erano più forti per i ragazzi (279 casi) che per le ragazze (46 casi) e significativamente diversi a seconda del sesso. |
Prenatal exposure to the organophosphate insecticide chlorpyrifos enhances brain oxidative stress and prostaglandin E2 synthesis in a mouse model of idiopathic autism. | De Felice A, Greco A, Calamandrei G, Minghetti L. | Randomizzato | Topi maschi e femmine del ceppo BTBR e C57 | Indagare se gli effetti comportamentali della somministrazione gestazionale CPF sono associati ad un aumento dello stress ossidativo del cervello ed alterazione del metabolismo lipidico | BTBR T + tf / J ceppo è altamente vulnerabile a fattori di stress ambientali durante il periodo di gestazione. L'ipotesi che lo stress ossidativo potrebbe essere il legame tra sostanze neurotossiche ambientali come il CPF e ASD. L'aumento dei livelli di stress ossidativo durante la prima vita postnatale potrebbe comportare alterazioni, ritardo di lunga durata in percorsi specifici rilevanti per ASD, di cui PGE 2 ha un ruolo rappresentativo. L'esposizione prenatale CPF, influenza in modo significativo lo stress ossidativo. |
Differential DNA methylation in umbilical cord blood of infants exposed to mercury and arsenic in utero. | Cardenas A, Koestler DC, Houseman EA, Jackson BP, Kile ML, Karagas MR, Marsit CJ | Caso controllo | 138 coppie madre-neonato dopo il parto. Donne in età compresa tra 18-45 anni che bevevano acqua di un pozzo privato | Dimostrare che l’esposizioni prenatali a sostanze tossiche, quali Hg e As anche a bassi livelli, sono associate a alterazioni epigenetiche che possono contribuire ad alterazioni del profilo immunitario | Una diminuzione complessiva della quota di monociti imputati è stato osservato in relazione ai crescenti livelli di esposizione al mercurio (β = -2.5%; 95% CI: -5.0, -1.0). Dopo stratificazione per sesso, l'associazione è rimasta significativa per le femmine (β = -2,6%; 95% CI: -5.0, -1.0), ma non i maschi (β = -1,9%; 95% CI: -8.0, 4.0). Un aumento della proporzione di cellule B è stata osservata anche con livelli crescenti di esposizione Hg in femmine soltanto (β = 3,5%; 95% CI 1.0, 7.0). L'esposizione al mercurio può influenzare la composizione dei leucociti e perturbare l’epigenoma anche a bassi livelli. Inoltre, l'esposizione ad As e Hg in utero possono interagire congiuntamente e influenzare l’epigenoma ipermetilando regioni rilevanti che hanno il potenziale per influenzare lo sviluppo neurologico. |
Of decrements and disorders: assessing impairments in neurodevelopment in prospective studies of environmental toxicant exposures. | Sagiv SK, Kalkbrenner AE, Bellinger DC | Prospettico | Bambini | Fornire importanti indizi sull’eziologia dei disturbi dello sviluppo neurologico correlando tra i diversi fattori di rischio, l’esposizione a sostanze tossiche ambientali grazie al tipo di studio. | Studi prospettici, che reclutano i partecipanti prima dello sviluppo del risultato, possono migliorare notevolmente la qualità dei dati di esposizione attraverso la quantificazione delle esposizioni la tossicità ambientale durante “finestre” evolutivamente rilevanti (punti di tempo durante lo sviluppo, quando un insulto ha maggiore impatto potenziale sul successivo sviluppo), e impiegando biomarcatori o misure micro-ambientali.Identificare gli effetti di agenti tossici ambientali su disturbi dello sviluppo neurologico è particolarmente importante dal punto di vista della salute pubblica perché molte di queste esposizioni sono modificabili e possono essere oggetto di intervento |
Organophosphate pesticide exposure and neurodegeneration. | Sánchez SF, Colomina MT, Herrero Hernández E. | Descrittivo | Popolazione umana | Individuare i meccanismi comuni che possono essere alla base dei deficit funzionali associati sia esposizione ai pesticidi e neurodegenerazione. | I pesticidi organofosfati (PO) sono ampiamente utilizzati in tutto il mondo. Le principali fonti di contaminazione per gli esseri umani sono l'ingestione alimentare e le esposizioni professionali che comportanto una serie di effetti sia per l’ esposizioni di alto che basso livello, durante la vita. Gli OP sono perciò da considerare fattori di rischio per le malattie del sistema nervoso e malattie croniche croniche. Gli OP inibiscono l’acetilcolinesterasi (AChE), alcuni ormoni, neurotrasmettitori, deficit neurologici e / o cognitive. |
Pesticides exposure as etiological factors of Parkinson's disease and other neurodegenerative diseases--a mechanistic approach. | Baltazar MT, Dinis-Oliveira RJ, de Lourdes Bastos M, Tsatsakis AM, Duarte JA, Carvalho | Descrittivo | Tutta la Popolazione | Chiarire il ruolo dei pesticidi come fattori di rischio ambientali nella genesi del PD idiopatica e altre sindromi neurologiche |
L'eziologia della maggior parte dei disturbi neurodegenerativi è multifattoriale e consiste di una interazione tra fattori ambientali e predisposizione genetica. Il ruolo dei pesticidi esposizione a malattie neurodegenerative è stato a lungo sospettato, ma gli agenti causali specifici e i meccanismi alla base non sono pienamente compresi. Per le principali malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica ci sono evidenze che collegano loro eziologia con un basso dosaggio a lunga esposizione a pesticidi come il paraquat, maneb, dieldrina, piretroidi e organofosfati. La maggior parte di questi pesticidi condividono caratteristiche comuni, vale a dire la capacità di indurre stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e perdita delle cellule neuronali. |
Environmental immune disruptors, inflammation and cancer risk. | Thompson PA, Khatami M, Baglole CJ, Sun J, Harris SA, Moon EY, Al-Mulla F, Al-Temaimi R.et.al | Il ruolo che le sostanze chimiche e miscele hanno sulle cellule del sistema immunitario umano. | Un'area emergente in tossicologia ambientale che è stata più ampiamente perseguita in relazione alle malattie autoimmuni, allergie, asma e cancro: la risposta delle cellule immunitarie ha un ruolo importante nella tumorigenesi. L'attenzione viene posta sulle molecole e percorsi che sono stati meccanicamente collegate con l'infiammazione associata al tumore. Nel contesto di disturbi indotti chimicamente in funzione immunitaria come co-fattori nella carcinogenesi, le prove che collegano l'esposizione tossici ambientali con perturbazione in bilico tra le risposte pro e anti-infiammatori è rivisto. Effetti riportati di bisfenolo A, atrazina, ftalati e altre sostanze tossiche comuni in materia di bersagli molecolari e cellulari sono coinvolti nel processo infiammatorio associata al tumore (ad esempio cicloossigenasi / prostaglandine E 2, fattore nucleare kappa B, sintesi di ossido nitrico, citochine e chemochine) sono presentate come esempio di molecola bersaglio mediata da perturbazioni rilevanti per il cancro. |
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A review and meta-analysis of outdoor air pollution and risk of childhood leukemia. | Filippini T, Heck JE, Malagoli C, Del Giovane C, Vinceti M. | Metanalisi | 20 studi caso-controllo individuati in letteratura di cui sono stati messi in evidenza solo quelli sulla base della scala di Newcastle-Ottawa | Valutare l'esposizione residenziale alle sostanze inquinanti da traffico motorizzato calcolando la densità del traffico nelle strade vicine o vicinanza alle stazioni di servizio. | Poiché è stata osservata eterogeneità tra gli studi, sono stati riportati effetti casuali odds sintesi ratio (OR) e gli intervalli di confidenza al 95% (CI). Quando possibile abbiamo inoltre condotto analisi stratificate che confrontano la leucemia linfoblastica acuta (ALL) e leucemia mieloide acuta (AML). Limitando l'analisi agli studi di alta qualità (Newcastle-Ottawa scala ≥ 7), quelli che utilizzano la densità di traffico come metrica valutazione dell'esposizione ha mostrato un aumento del rischio di leucemia infantile nella massima categoria di esposizione (95% CI) . Tuttavia, abbiamo osservato evidenza di bias di pubblicazione. Risultati per NO 2 l'esposizione e il benzene ha mostrato un OR di 1.21 (95% CI 0,97-1,52) e 1,64 (95% CI 0,91-2,95), rispettivamente. Stratificando in base al tipo di leucemia, i risultati basati su NO 2 erano 1,21 (95% CI 1,04-1,41) per tutti e 1,06 (95% CI 0,51-2,21) per AML; sulla base di benzene era 1,09 (IC al 95% 0,67-1,77) per tutti e 2,28 (95% CI 1,09-4,75) per AML. |
Trace elements in scalp hair samples from patients with relapsing-remitting multiple sclerosis. | Tamburo E, Varrica D, Dongarrà G, Grimaldi LM. | Caso controllo | pazienti con SM e non | Confrontare i livelli di Te a capelli del cuoio capelluto di pazienti con SM e controlli sani della stessa area geografica (Sicilia). | Pazienti con sclerosi multipla hanno mostrato una concentrazione d di alluminio e rubidio nei capelli (valori mediani: Al = 3.76 mcg / g vs 4.49 mcg / g e Rb = 0,007 mg / g vs 0,01 mcg / g;) e la concentrazione più elevata di capelli U ( valori mediani U: 0,014 mg / g vs 0.007 g / g) rispetto ai controlli sani. Le percentuali di pazienti affetti da SM che mostrano nei capelli concentrazioni elementari superiori al 95 ° percentile dei controlli erano 20% per Ni, 19% per Ba e U, e del 15% per Ag, Mo e Se. Viceversa, le percentuali di pazienti con SM mostrano capelli concentrazioni elementari inferiore al 5 ° percentile di controlli sani erano 27% di Al, 25% per Rb, 22% per Ag, 19% Fe, e il 16% per Pb. Dopo la stratificazione per sesso, soggetti sani non hanno mostrato alcuna differenza significativa nei livelli di oligoelemento,a differenza dei pazienti con SM. |
DISCUSSIONE
Dalla ricerca effettuata sono emersi un numero considerevole di articoli in merito agli effetti che le sostanze tossiche hanno sulla salute umana. Emerge che il meccanismo epigenetico è associato a malattie e/o alterazioni. In particolare gli di studi chiariscono come l’esposizione in utero a sostanze tossiche sia coinvolta nello sviluppo dell’ASD, di deficit cognitivi e neuro comportamentali, disabilità dello sviluppo neurologico, tra cui l’autismo, iperattività da deficit di attenzione, dislessia e altri disturbi cognitivi, patologie che colpiscono milioni di bambini in tutto il mondo. La frequenza di queste diagnosi è in aumento in Europa e nel resto del mondo (25).
I risultati della ricerca supportano inoltre un legame tra l’esposizione ambientale per inquinamento da traffico e il rischio di leucemia infantile.
L’esposizione a sostanze tossiche quindi, comporta modificazioni epigenetiche, alterazioni del sistema immunitario, endocrino, nervoso e stress ossidativo. A riguardo c’è un enorme corpo di prove sulla relazione tra esposizione a pesticidi ed elevato tasso di malattie croniche come diversi tipi di tumori, diabete, malattie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer e SLA, difetti di nascita, disordini riproduttivi, problemi respiratori e malattie cardiovascolari.
La caratteristica delle malattie croniche è un disturbo di omeostasi cellulare che può essere indotto tramite azione primaria da parte di sostanze tossiche come perturbazioni di canali ionici, enzimi e recettori.
E’ stato evidenziato che la tossicità dopo l’inalazione di una dose tossica di micotossine comporta effetti sistemici esclusivi di danno polmonare e l’esposizione cronica ad alcuni IPA induce un aumento della metilazione del DNA nel promotore di particolari geni contribuendo a determinare effetti neurotossici sulle prestazioni comportamentali in particolare alterando la neurotrasmissione centrale (26). Le diverse distribuzioni di elementi nei capelli dei pazienti con SM rispetto ai controlli fornisce una prova indiretta supplementare di squilibrio metabolico di elementi chimici nella patogenesi di questa malattia.
CONCLUSIONI
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto che circa 1/4 delle malattie è causato da fattori ambientali. Secondo le stime, il 23% dei decessi a livello mondiale (e il 26% dei decessi tra i bambini sotto i cinque anni) sono dovute a fattori ambientali modificabili (27).
L’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) sottolinea che l’inquinamento ambientale contribuisce all’insorgenza di gravi malattie di natura cardiaca e respiratorie oltre che a tumori, riducendo la qualità e, di conseguenza, l’aspettativa di vita della popolazione. Essa rileva inoltre che l’Italia è il paese dell’Unione Europea segnato dal record di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita a causa dell’esposizione a tali sostanze tossiche. A riguardo, secondo i dati diffusi dall’Istat nell’agosto del 2015, il numero di morti è aumentato di circa l’11,3% ovvero quasi 46.000 decessi in più rispetto allo stesso periodo del 2014. L’unica soluzione per limitare gli effetti di un inquinamento sempre più pervasivo, è rappresentata dalla prevenzione primaria.
Il legame tra infermieri e la tutela dell’ambiente potrebbe essere implementato, essendo essi tra gli attori più rilevanti nello scenario sanitario. Gli infermieri sono numericamente numerosi e distribuiti in modo molto capillare, caratteristiche che rendono questa figura strategica per promuovere e preservare la salute mediante comunicazione diretta, volta a ridurre l’impatto che l’uomo ha sull’ambiente e le sue conseguenze sulla salute. Inoltre, tale tematica, per gli infermieri, risponde ad un preciso dovere deontologico, come richiamato all’ Articolo 19 del C.D: “L’infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l’educazione”.
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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Progetto educativo per la prevenzione linfedema secondario nelle pazienti con carcinoma mammario: studio di coorte
Sabrina Bindo, Maria1 Rosaria Esposito2 & Assunta Guillari3
- Infermiera, libera professionista.
- Coordinatore Infermieristico CIO, INT G. Pascale-Napoli
- Coordinatore Infermieristico, AOU Federico II- Napoli
DOI: 10.32549/OPI-NSC-3
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ABSTRACT
Introduzione: Il linfedema secondario rappresenta una potenziale complicanza della linfadenectomia ascellare per il cancro della mammella. Il linfedema correlato al cancro della mammella, richiede interventi mirati basati sulle migliori evidenze scientifiche al fine di stimolare le pazienti all’osservazione di comportamenti atti a ridurne il rischio. Scopo dello studio è quello di strutturare un intervento educativo e valutare le conoscenze delle pazienti linfadenectomizzate in tema di prevenzione del linfedema.
Materiali e Metodi: Studio di coorte prospettico, condotto tra maggio e agosto 2014, su pazienti sottoposte ad intervento di linfadenectomia ascellare per cancro della mammella. Le pazienti sono state suddivise in tre coorti, il primo gruppo ha ricevuto l’intervento educativo, il secondo gruppo ha ricevuto le informazioni di routine mentre il terzo gruppo era costituito da pazienti in trattamento per linfedema.
Risultati: il campione è costituito da 45 pazienti, il 57.8% del campione conosce le misure preventive del linfedema; il 13,3% delle pazienti non ha ricevuto nessuna informazione; oltre il 20% del campione identifica l’infermiere come principale fonte di informazioni.
Discussione: Il gruppo delle pazienti cui è stato fornito l’intervento educativo, iniziato nel preoperatorio, hanno maggiori conoscenze in tema di prevenzione, sono maggiormente consapevoli dei rischi rispetto al gruppo che ha ricevuto l’informazione di routine mentre hanno buone conoscenze le pazienti in trattamento per linfedema.
Conclusione: La capacità di gestione delle pazienti migliora sensibilmente con l’aumento del grado di informazioni ricevute. L’intervento educativo inizia nella fase peri-operatoria, gli infermieri devono favorire il processo di autocura dei pazienti migliorando le conoscenze e le abilità nella prevenzione del linfedema.
Parole chiave: linfedema, linfadenectomia, prevenzione, intervento educativo, cancro mammario
Educational project for secondary lymphoedema prevention in patients with breast cancer: cohort study.
ABSTRACT
Introduction: Secondary lymphoedema represents a potential complication of axillary lymphadenectomy for breast cancer. lymphoedema related to breast cancer, requires targeted interventions based on the best scientific evidence in order to motivate patients to observe behaviour that will reduce the risk. The aim of the study is to structure an educational intervention and evaluate the knowledge of patients who have undergone lymph node removal in the prevention of lymphoedema.
Materials and methods: Prospective cohort study, conducted between May and August 2014 on patients undergoing axillary lymphadenectomy for breast cancer. The patients were divided into three cohorts, the first group received the educational intervention, the second group received routine information while the third group consisted of patients being treated for lymphoedema.
Results: the sample consists of 45 patients, 57.8% of the sample knew the preventive measures for lymphoedema, 13.3% of patients did not receive any information, more than 20% of the sample identifies the nurse as the main source of information.
Discussion: The group of patients given the educational intervention, started preoperatively, have more knowledge about prevention, are more aware of the risks compared with the group that received the routine information while patients treated for lymphoedema have good knowledge.
Conclusion: Patient management capacity improves significantly as the level of information received increases. The educational intervention begins in the perioperative phase, nurses must favour the process of self-care of the patients by improving their knowledge and skills in the prevention of lymphoedema.
Keywords: lymphoedema, lymphadenectomy, prevention, educational intervention, breast cancer
INTRODUZIONE
Il carcinoma della mammella è la neoplasia più frequente nel sesso femminile e, secondo le indagini più recenti, il trend è in continuo aumento [1]. L’incidenza del carcinoma mammario è direttamente proporzionale al grado di occidentalizzazione di un Paese, inteso non solo come industrializzazione, ma anche come abitudini di vita (soprattutto dietetiche), con differenze fino a 810 volte tra Paesi come gli Stati Uniti, Paesi africani ed orientali [2]. Per diversi tipi di tumore, a scopo diagnostico vengono escissi anche i linfonodi; questo può determinare un aumento considerevole del rischio di sviluppare linfedemi, anche a distanza di anni. Il linfedema è una condizione patologica caratterizzata da un accumulo di liquido ad elevata concentrazione proteica nello spazio extracellulare e interstiziale. È da considerarsi una patologia evolutiva con progressivo peggioramento nel tempo, fino ad arrivare alla formazione di fibrosi del tessuto, ossia un aumento della consistenza e del volume fino a 2-3 volte la norma con conseguenti deficit funzionali e articolari per l’alta concentrazione delle proteine presenti nel liquido (Figura 1). Il 20% delle donne sottoposte a linfadenectomia ascellare, sviluppa il linfedema [3] ma sono stati riportati tassi di linfedema che vanno dal 6% al 70% tra i pazienti con cancro mammario, dato determinato anche dalla variabilità di misurazione dello stesso [4]. Tra i fattori di rischio, noti alla comunità scientifica, associati a tale insorgenza, vi sono: il numero dei linfonodi e tessuto mammario rimosso chirurgicamente, i vasi linfatici ostruiti o danneggiati, le cicatrici indotte dalle radiazioni, la fibrosi delle strutture linfatiche e dei tessuti circostanti, le infezioni postoperatorie e fattori individuali come l’obesità [5] e l’ipertensione arteriosa [6]. L’avvento della chirurgia conservativa, il miglioramento delle tecniche chirurgiche e radioterapiche, ha migliorato la Qualità di Vita (QoL) nelle pazienti sottoposte a tali trattamenti. Tuttavia l’incidenza è direttamente correlata alla dissezione ascellare dei linfonodi ed è fortemente influenzata dall’associazione della radioterapia.
Le ripercussioni psicofisiche, generate dalla convivenza con questa disfunzione, o dalla sola paura che questa possa sopraggiungere, sono innumerevoli e coinvolgono sia il piano sociale (familiare, relazionale e lavorativa) che quello economico della vita del paziente. Il linfedema è, infatti, una patologia cronica e irreversibile che influenza negativamente la vita del paziente, sia perché ne altera la percezione dell’immagine corporea sia perché determina comporta problemi funzionali e fisici come il dolore, pesantezza del braccio, senso di oppressione e diminuzione dei movimenti della spalla omolaterale [7], tutto questo con un impatto negativo sulla QoL [8].
Per tali ragioni è riconosciuto, da qualche tempo dalle istituzioni scientifiche, il ruolo dell’educazione alla prevenzione del linfedema nelle nei pazienti sottoposte alla dissezione ascellare per cancro della mammella [9]. Tuttavia, in quanto condizione non letale, la particolare gestione di questa complicanza ha ricevuto negli anni ridotti investimenti di ricerca e scarsa attenzione della letteratura. Le ricerche sul linfedema hanno teso a concentrarsi sull’incidenza, sulla prevalenza, fattori di rischio e trattamenti insieme con le sue morbilità [10] senza prestare troppa attenzione al grado di conoscenza dei pazienti di comportamenti preventivi [11]. La sua gestione è stata ampiamente sottovalutata, con conseguente scarsa preparazione degli operatori sanitari sia nel fornire informazioni adeguate sia nel suo trattamento [12] con conseguente scarsa sensibilizzazione dei pazienti ad attuare comportamenti preventivi [13].
Dalla revisione della letteratura è emerso che esistono delle valide “Raccomandazioni” per indirizzare i pazienti colpiti dal cancro della mammella, atti a ridurre il rischio di insorgenza del linfedema. L’importanza della prevenzione post intervento di linfadenectomia ascellare sembra confermata da tutti gli studi, alcuni dei quali vanno ad individuare percentuali interessanti (53%) sulla riduzione della sintomatologia del linfedema in nelle pazienti cui è stato fornito un intervento educativi [14]. Nello schema 1 sono riportate le Raccomandazioni, costituite da indicazioni igienico-comportamentali da fornire nell’intervento educativo [4].
Schema 1 Raccomandazioni per la prevenzione del linfedema
- Evitare gli ambienti caldi e le fonti di calore.
- Evitare l’esposizione prolungata e ripetuta ai raggi del sole nelle ore più calde
- Usare creme protettive ad alto fattore di protezione.
- Immergere il braccio in acqua fresca per 5/10 minuti nelle giornate afose
- Indossare abiti leggeri di fibre naturali ed evitare i colori scuri.
- Evitare i bagni caldi (bagno domestico, acque termali calde, saune).
- È preferibile la doccia al bagno per l’igiene del corpo
- Evitare di rimanere a lungo fermi con il braccio “penzoloni”.
- Durante i viaggi lunghi, utilizzare i braccioli dei sedili e muovere il braccio frequentemente.
- Durante la notte, evitare di tenere il braccio sopra la testa o di dormire sul fianco con il braccio sotto il peso del corpo.
- Se c’è un linfedema, può giovare poggiare l’arto su un cuscino posto al lato del corpo.
- È consigliato l’uso di un reggiseno che non lasci segni né sul torace, né sulla spalla, senza stecche.
- Le borse a mano o a tracolla vanno portate dal lato opposto.
- Orologio, bracciali, anelli, maniche strette non devono stringere il braccio.
- Non consentire controlli della pressione sanguigna né prelievi o iniezioni al braccio interessato.
- Sono sconsigliate tutte le attività che comportino sforzi muscolari intensi, nonché quelle che implichino movimenti ripetitivi e prolungati con le braccia, anche se non faticosi (es. usare il mouse, lavorare a maglia/uncinetto).
- Nelle attività svolte in cucina va posta particolare attenzione per evitare di ferirsi
- Mantenere il peso sotto controllo seguendo una corretta alimentazione.
- Evitare ferite da graffio o da morso di animali domestici;
- Usare opportuni repellenti contro le punture d’insetto
- Durante i viaggi aerei indossate indumenti compressivi.
- La depilazione deve essere effettuata solo con metodi delicati, evitando cerette o rasoi.
- Disinfettare ed applicare una crema antibiotica su ogni ferita, anche minima, o puntura di insetto. Infezioni micotiche od eczemi vanno curati meticolosamente.
Tuttavia emerge la carenza di un programma educativo strutturato e multidisciplinare degli interventi da attuare per la prevenzione del linfedema. Pertanto è sembrato interessante indagare la struttura di un programma educativo efficace e valutare le conoscenze in tema di prevenzione del linfedema.
Obiettivi
L’obiettivo dello studio è quello di:
- valutare le conoscenze sulla prevenzione del linfedema nelle pazienti sottoposte a linfadenectomia ascellare per il cancro della mammella;
- valutare l’intervento educativo nel gruppo selezionato rispetto sia al gruppo che ha ricevuto informazioni di routine che nel gruppo che non ha ricevuto nessuna informazione/intervento educativo;
Obiettivo secondario
- fornire un esempio di pianificazione assistenziale valido per implementare un intervento educativo
MATERIALI E METODI
Studio di coorte prospettico. Sono state arruolate le pazienti ricoverate in un reparto di Senologia di un istituto oncologico della Campania. Il campione di convenienza è costituito da pazienti sottoposte ad intervento di linfadenectomia ascellare per cancro della mammella. Sono state incluse le pazienti che afferivano alla Struttura per follow-up dell’ambulatorio di riabilitazione. Sono state escluse le pazienti con cancro della mammella non sottoposte ad intervento di linfadenectomia. Lo studio è stato effettuato tra maggio e agosto 2014. A tutte le pazienti è stato chiesto il consenso informato per la partecipazione all’indagine e la libera accettazione allo studio, previa autorizzazione dei Responsabili del Reparto e ambulatorio di riabilitazione.
Per il raggiungimento degli obiettivi è stato necessario suddividere le pazienti in tre gruppi.
Il primo gruppo, definito “Intervento educativo”, è costituito dalle pazienti cui è stato fornito l’intervento educativo sulla prevenzione del linfedema. Le informazioni nel periodo pre-operatorio hanno interessato in particolare: la mobilizzazione precoce dell’arto interessato, la possibilità di avere in un drenaggio in situ, per la necessaria aspirazione della linfa del cavo ascellare, la possibilità di essere sottoposti a controlli per la riabilitazione dell’arto, etc. L’intervento educativo è stato rafforzato nel post-operatorio e prima della dimissione, per gli esercizi dell’arto superiore da praticare in modo graduale. È stato utilizzato, inoltre, l’opuscolo dell’AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro) “Il linfedema” n.12 della Collana del Girasole, per facilitare, attraverso le immagini del libretto, i comportamenti che favoriscono una ripresa delle attività quotidiane accompagnate da una breve spiegazione del linfedema e del suo riconoscimento precoce. Le conoscenze sono state valutate alla prima visita del follow-up di riabilitazione, dopo 2 mesi dall’intervento chirurgico (come da percorso assistenziale adottato dalla Struttura).
Il secondo gruppo, definito “Informazioni di routine”, include pazienti già sottoposte all’intervento di linfadenectomia che non manifestano segni e sintomi di linfedema, afferenti al reparto per altre terapie oncologiche del cancro della mammella.
Il terzo gruppo, identificato “Con linfedema”, è riferito alle pazienti con linfedema clinicamente diagnosticato, arruolate nell’ambulatorio di follow-up riabilitativo per il suo trattamento.
Strumento utilizzato
Il questionario è stato strutturato a seguito di una estesa revisione della letteratura. Gli items sono stati definiti per valutare le conoscenze nella prevenzione del linfedema e le fonti di informazione acquisite.
Il questionario è stato diviso in tre sezioni, A-B-C. In particolare, la sezione A con domande a risposta chiusa, è volta a conoscere le caratteristiche socio-demografiche (età, sesso, tipologia d’intervento), mentre le informazioni ricevute sul rischio e prevenzione del linfedema nel peri-operatorio, sono state indagate con risposta dicotomica si/no, al fine di facilitarne la compilazione dei partecipanti. La sezione B, valutava le conoscenze, con la descrizione sintetica delle raccomandazioni chele pazienti devono aver compreso e adottare, indagate con risposta a tre punti (Si, No, Non so). La sezione C, infine, valutava le fonti di informazione acquisite, l’utilità dell’opuscolo informativo ed il bisogno di ulteriori informazioni in tema prevenzione del linfedema; gli items di quest’ultima sezione sono stati formulati a risposta chiusa.
Per alleggerire la compilazione del questionario è stata scelta una grafica meno aggressiva e più accattivante, accompagnando le risposte sulle conoscenze delle raccomandazioni con faccine smile. Il questionario è stato somministrato in forma anonima secondo quanto previsto dalla normativa in materia di tutela della privacy.
Analisi dei dati
Terminata l’indagine, i questionari sono stati organizzati con un numero di protocollo e inseriti in un data base. Ogni voce di ogni sessione è stata codificata al fine di agevolare l’immissione dei dati in un file Excel per l’opportuna raccolta dei dati. L’analisi statistica è stata eseguita mediante il pacchetto statistico Stata 10.0 e articolata in due momenti: trasporto dei dati da Excel al data base e, successivamente, l’analisi descrittiva.
RISULTATI
Il campione è costituito da 45 pazienti di sesso femminile, uniformemente distribuito in tre coorti di 15 pazienti. L’età media è di 53.2 anni in un intervallo compreso tra 31 e 75 anni. Il 73.3% del campione è stato sottoposto ad intervento di quadrantectomia mentre il 26.7%ad una mastectomia radicale, entrambi gli interventi hanno interessato la dissezione ascellare dei linfonodi. In generale il62.2% del campione riferisce di avere ricevuto informazioni sul rischio di insorgenza del linfedema, solo il 57.8% è stato informato sulle misure di prevenzione. Nella tabella 3 sono riportati i risultati ripartiti per coorte, solo il 33.3% del gruppo che ha ricevuto informazioni di routine è stato informato sul rischio e poco più della metà, il 53.3%, ha ricevuto informazioni sulle misure di prevenzione, anche nel gruppo con linfedema si è rilevata la scarsa informazione, 26.7% e 46.7% rispettivamente per gli items indagati. La Tabella 1 sintetizza i risultati delle conoscenze generali del campione sulle principali “Raccomandazioni” per la prevenzione del linfedema. Nella Tabella 2 sono riportati i risultati del confronto delle conoscenze dei rispondenti sulle diverse Raccomandazioni delle rispettive coorti (“Intervento educativo”, “Informazioni di routine” e “Con linfedema”). Sono state prese in considerazione solo le risposte corrette.
Nella Tabella 3 sono sintetizzate le risposte delle tre coorti di rispondenti circa le informazioni ricevute nel periodo peri-operatorio, sul rischio di linfedema e sulle norme igienico-comportamentali da adottare.
I risultati dell’indagine sulle fonti da cui le pazienti riferiscono di aver ricevuto informazioni sul rischio e la prevenzione del linfedema mostrano che, per il 42.2% l’infermiere è stata la principale fonte, per il 15.6% lo è stato il Medico di famiglia, il 13.3%, invece, non ha ricevuto nessuna informazione, il 13.3% ha ricevuto informazioni dal Fisiatra mente l’8.9%, rispettivamente ricevono informazioni dal proprio medico Oncologo e Chirurgo e solo il 4.4% ha consultato internet (Grafico1).
DISCUSSIONE
Informare i pazienti sul linfedema può contribuire a diminuire il loro rischio di sviluppare tale complicanza, o tra quelli già colpiti, evitare che progredisca ulteriormente.
Relativamente alla sezione A del questionario è emerso che sono state fornite scarse informazioni alle pazienti sul rischio di insorgenza e informazioni per la prevenzione del linfedema, nelle due coorti che non hanno ricevuto l’intervento educativo. La mancanza di un percorso assistenziale strutturato potrebbe spiegare tale dato. Tuttavia i limiti dello studio non permettono di analizzare a tale risultato.
I risultati della coorte di pazienti dell’“Intervento educativo”, valutati al follow-up, mostra in generale che le informazioni e l’educazione effettuata per la prevenzione del linfedema sono state acquisite e trattenute dalle pazienti. Un’attenta analisi dei risultati della prima tabella mostra in generale quali Raccomandazioni sono più note e quali invece richiedono un rinforzo educativo, infatti, il calore eccessivo all’arto, le misure di barriera come indossare i guanti nelle faccende domestiche ed i movimenti dell’arto interessato nei lunghi viaggi, rappresentano dei fattori di rischio. Risultati, di analoghi items, si sono avuti in un’indagine retrospettiva [11] sull’intenzione, delle donne sopravvissute al cancro della mammella, di attuare i comportamenti preventivi. Nella seconda tabella, si analizzano più nello specifico le conoscenze delle pazienti divise nei tre gruppi di osservazione (“Intervento educativo”, “Informazioni di routine” e “Con linfedema”). Tale confronto mostra una migliore conoscenza nelle pazienti cui è stato attuato l’intervento educativo, rispetto al gruppo che ha ricevuto informazioni di routine mentre sono sovrapponibili, i risultati delle conoscenze con il gruppo delle pazienti che hanno ricevuto informazioni a seguito del trattamento per linfedema. Questo dato è in linea a quanto emerge dalla letteratura, i pazienti che ricevono informazioni partecipano maggiormente al processo decisionale, hanno una migliore preparazione nelle procedure mediche, hanno un’elevata soddisfazione per le scelte di trattamento e interazioni con gli operatori sanitari, maggiore controllo di coping, migliore capacità di far fronte allo stress della diagnosi durante e dopo il trattamento [15].
In questo studio emerge che l’infermiere viene riconosciuto dal 42.2% delle pazienti come la principale fonte di informazioni. Tuttavia questo dato è spiegato dall’intervento educativo attuato nel periodo dello studio e si sottolinea che il 13.3% delle pazienti non ha ricevuto alcun tipo di informazione sul rischio di linfedema.
Il gruppo di pazienti cui è stato fornito il materiale cartaceo e le informazioni nel peri-operatorio hanno maggiori conoscenze sui rischi e sulle raccomandazioni, valutate a distanza di 2 mesi al follow-up. Nondimeno è doveroso precisare che, tali conoscenze dovrebbero essere rivalutate a distanza di tempo, per capire se l’intervento è stato realmente efficace, se le pazienti aderiscono ai comportamenti attesi e se si necessita di ulteriori interventi educativi per rafforzare le conoscenze in tema di linfedema. Si evidenzia, comunque, l’importanza del ruolo educativo dell’infermiere nella fase peri-operatoria del carcinoma mammario, nell’applicare un programma educativo, al fine di indirizzare le pazienti all’adesione di comportamenti atti a ridurre il rischio di comparsa del linfedema e gestirne la problematica. Si è consapevoli dei limiti di questo studio, in primis rappresentato dal ridotto campionamento e dalla mancata valutazione delle variabili che intervengono nelle diverse fasi della progettazione dello studio. Ciò nonostante questo lavoro rappresenta un primo tentativo di applicazione nella pratica clinica di quanto riportato in letteratura. Forti della convinzione che un programma educativo strutturato possa ridurre gli eventi negativi, come la comparsa del linfedema, ci si ritiene soddisfatti per poter suggerire qualche intervento nella pianificazione del processo infermieristico nelle pazienti con linfadenectomia ascellare per cancro della mammella.
CONCLUSIONE
Con la crescente popolazione di sopravvissuti del cancro della mammella, aumentare la consapevolezza del paziente, l’educazione sui rischi linfedema e la cura nel primo periodo dopo la diagnosi di cancro, risulta necessario se si vuole garantire il miglioramento della qualità di vita. La capacità di gestione dei pazienti migliora sensibilmente con l’aumento del grado di informazioni ed educazione ricevuta. In alcuni studi emerge che l’associazione tra l’opuscolo informativo accompagnato dall’informazione verbale [16] migliora sensibilmente la capacità di autocura. Emerge anche che la modalità di somministrazione delle informazioni, ovvero il momento in cui esse vengono date e la capacità di trasmetterle in modo adeguato, risultano determinanti per il successo terapeutico.
Dalla letteratura risulta che vi è una scarsa attenzione nella pianificazione infermieristica di interventi educativi indirizzati ai pazienti, nel fornire indicazioni igienico-comportamentali mirate alla prevenzione del linfedema correlato al cancro mammario. La prevenzione del linfedema, tuttavia, investe tutti gli operatori sanitari che prendono in carico i pazienti. Pertanto l’approccio vincente delle cure è quello multidisciplinare, con un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale, come lo è già per il cancro della mammella, in cui si traccia anche il percorso preventivo-riabilitativo del linfedema. Gli infermieri possono contribuire a ridurne il rischio attraverso l’integrazione multidisciplinare nel fornire sostegno efficace alle pazienti linfadenectomizzate. Il rischio è quello che l’infermiere potrebbe sottovalutare non solo il bisogno di informazione, in mancanza di intervento educativo, ma anche le ripercussioni psico-fisiche, piuttosto invalidanti, a cui le pazienti possono andare incontro. Appare, infine, superfluo evidenziare che nessun opuscolo informativo può sostituire il ruolo dell’infermiere come educatore in quanto, la comunicazione e la relazione che si instaura tra paziente e infermiere, permettono di esaurire qualsiasi dubbio o incertezza del paziente, che nessuno opuscolo o qualsiasi materiale informativo può sostituire o soddisfare da solo.
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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
La gestione della ferita chirurgica, medicazione tradizionale o avanzata?
Maria Napolitano1 & Maria Rosaria Esposito1
- Istituto Nazionale Tumori Fondazione “G. Pascale” Naples, (Italy)
DOI: 10.32549/OPI-NSC-4
Cita questo articolo
ABSTRACT
Introduzione: In commercio vi sono svariate tipologie di medicazioni avanzate utilizzate per il trattamento delle ferite chirurgiche e per il contenimento delle complicanze correlate. Tuttavia non è chiaro quale sia quella più appropriata in relazione alla tipologia di ferita. A tale scopo è stata effettuata una ricerca bibliografica per reperire evidenze in letteratura sul corretto utilizzo delle medicazioni al fine di favorire il processo di guarigione della ferita chirurgica.
Metodi: È stata effettuata una ricerca bibliografica che ha previsto la consultazione delle banche dati The Cochrane Library, PubMed e CINAHL. Sono state consultate le linee guida NICE e documenti reperiti da Google Scholar.
Risultati: Sono stati selezionati articoli con un campione di pazienti adulti sottoposti a qualsiasi intervento chirurgico. L’utilizzo delle medicazioni avanzate ha ridotto, prevalentemente, l’incidenza di complicanze quali infezioni, vesciche, sieromi e dolore.
Conclusioni: I risultati mostrano che le medicazioni avanzate sono indicate nel trattamento delle ferite che guariscono per chiusura primaria ritardata, per seconda intenzione, per ferite sporche o infette. Le medicazioni tradizionali sono, invece, indicate per le ferite che guariscono per prima intenzione.
Parole-chiave: medicazione, ferita chirurgica, medicazioni avanzate, medicazioni tradizionali, prevenzione dell’infezione.
Surgical wound management, traditional or advanced medication?
ABSTRACT
Introduction: There are various types of advanced dressings used on the market for the treatment of surgical wounds and for the containment of related complications. However it is not clear which is the most appropriate in relation to the type of wound. For this purpose, bibliographic research was carried out to find evidence in the literature on the correct use of dressings in order to favour the healing process of the surgical wound.
Methods: Bibliographic research was carried out which included consultation of the Cochrane Library, PubMed and CINAHL databases. NICE guidelines and documents found by Google Scholar were consulted.
Results: Articles with a sample of adult patients undergoing any surgery were selected. The use of advanced dressings has mainly reduced the incidence of complications such as infections, blisters, seromas and pain.
Conclusions: The results show that advanced dressings are indicated in the treatment of wounds that heal by delayed primary closure, by secondary intention, for dirty or infected wounds. Traditional dressings, on the other hand, are indicated for wounds that heal by primary intention.
Keywords: medication, surgical wound, advanced dressings, traditional dressings, prevention of infection.
INTRODUZIONE
Le ferite chirurgiche sono una forma particolare di lesioni acute, definite come soluzioni di continuo della cute, prodotte da un agente meccanico, a comparsa programmata, create secondo le più rigorose norme di asepsi, con obiettivi diagnostico-terapeutici, che dovrebbero andare incontro a guarigione senza complicazioni, in un intervallo di tempo definito [1].
La ferita chirurgica può guarire per chiusura primaria, chiusura primaria ritardata o per chiusura secondaria. Nel primo caso i lembi della ferita sono avvicinati e tenuti insieme da suture, graffe metalliche e cerotti adesivi. La chiusura primaria ritardata è utilizzata quando c’è una notevole contaminazione batterica, gli organi e le cavità sono chiusi e gli strati cutanei e profondi vengono lasciati aperti per drenare materiale purulento. La chiusura secondaria è adoperata per le ferite che comportano una grande perdita di sostanza, nelle quali non si possono suturare i margini [2].
Una percentuale significativa delle ferite chirurgiche, dal 17 al 22% [3,4], è gravata da complicanze quali infezione superficiale del sito chirurgico (SSI); cellulite o deiscenza fasciale, con un’incidenza che va dallo 0.25% al 3% nelle laparotomie, dall’ 1.6% al 42.3% nelle incisioni post-cesareo, dallo 0.5% al 2.5% nelle incisioni sternali, sieromi o ematomi che, portano ad un ritardato o alterato processo di guarigione. Inoltre il fallimento della chiusura primaria della ferita chirurgica, determina alti costi nel post operatorio [5].
In base alla definizione proposta dai CDC per infezione del sito chirurgico (Surgical Site Infection, SSI), si intende qualsiasi stato morboso caratterizzato da segni locali e/o generali di infezione insorto entro 30 giorni (o entro un anno se sono state utilizzate protesi) da un intervento chirurgico [6].
La deiscenza, invece, è intesa come apertura totale o parziale della ferita chirurgica per prima intenzione; può coinvolgere alcuni strati dermici, fino alla fascia muscolare, attraversandola ed esponendo i visceri sottostanti. Può essere definita anche come il fallimento meccanico della guarigione della ferita stessa.
Il trattamento della ferita deve permettere la restitutio ad integrum: una riparazione tessutale efficace è possibile se la ferita viene messa nelle condizioni di esprimere al meglio il suo potenziale biochimico con il solo ausilio di medicazioni.
Negli ultimi anni sono state sviluppate diverse tipologie di medicazione, ma ai fini di una maggiore comprensione, verranno suddivise in due categorie: medicazioni tradizionali e medicazioni avanzate. Per medicazione tradizionale si intende un materiale posto a diretto contatto con la sola funzione di emostasi, copertura e protezione, mentre quella avanzata ha come scopi mantenere un microambiente umido e una temperatura costante, rimuovere essudati e materiale necrotico, proteggere da infezioni esogene, essere permeabile all’ossigeno e ridurre i traumi al cambio [7].
All’interno della classe delle medicazioni avanzate, quelle principali sono gli alginati, gli idrocolloidi, le idrofibre e le schiume di poliuretano.
Gli alginati a base di calcio e/o sodio, interagiscono con l’essudato della lesione e formano un gel morbido che mantiene umido l’ambiente di cicatrizzazione della lesione. Possono essere impiegati come medicazioni primarie nel caso di lesioni drenanti a spessore parziale o a tutto spessore, di lesioni con un essudato da moderato ad abbondante, di lesioni a tunnel, di lesioni infette o non infette, e di lesioni “umide” rosse e gialle.
Gli idrocolloidi sono medicazioni semiocclusive, presenti in una serie di forme, dimensioni, proprietà adesive e formati, comprendenti adesivi, paste e polveri. Sono impermeabili ai batteri e ad altre contaminazioni, possono favorire il debridement autolitico, a causa della loro scarsa permeabilità. Possono essere usati nelle medicazioni primarie o secondarie di lesioni con presenza di necrosi o escara con lieve o scarso essudato.
Le idrofibre (carbossilmetilcellulosa) sono fibre di carbossilmetilcellulosa sodica in grado di assorbire rapidamente e di trattenere liquidi. La medicazione interagisce subito con l’essudato grazie alla sua trasformazione in gel coesivo che crea un ambiente umido. Sono medicazioni primarie e/o secondarie in base all’abbinamento con l’alginato e con prodotti di copertura come le schiume. Sono indicate per le lesioni da moderatamente a fortemente essudanti, anche in fase di granulazione.
I film di poliuretano sono pellicole trasparenti costituite da una membrana in poliuretano adesiva e semipermeabile che variano in spessore e dimensione. Esse sono impermeabili all’acqua, ai batteri e agli agenti contaminanti in genere; tuttavia permettono al vapore acqueo di attraversare la barriera. Queste medicazioni mantengono un ambiente umido favorendo la formazione di tessuto di granulazione e l’autolisi del tessuto necrotico. Non hanno potere assorbente.
Le medicazioni a base di schiume di poliuretano sono assorbenti, possono essere di vario spessore ed essendo antiaderenti non comportano nessun trauma durante la loro rimozione. Esse sono impiegate come medicazioni primarie e secondarie per le lesioni a spessore parziale o a tutto spessore con un drenaggio lieve, moderato o abbondante e possono anche essere usate per assorbire il drenaggio attorno ai tubi e alle cannule tracheostomiche [8].
Un’altra variante delle medicazioni avanzate è quella antimicrobica che presenta, all’interno della struttura, anche un antisettico locale (i più comunemente utilizzati sono lo iodio, l’argento e il Poliesametilen Bioguanide PHMB) particolarmente indicate nelle ferite con moderata o elevata produzione di essudato.
Gli elementi chiave della cura delle ferite post-operatorie includono tempestivo riesame della ferita, appropriata detersione/antisepsi e medicazione, così come il riconoscimento precoce e il trattamento attivo di complicazioni della ferita. Tuttavia la vasta disponibilità delle medicazioni presenti in commercio possono generare confusione e mancata appropriatezza degli operatori sanitari nella scelta della medicazione rispetto alla ferita chirurgica o sua complicanza.
Obiettivi
Obiettivo della revisione è quello di reperire evidenze scientifiche sull’appropriata medicazione rispetto alla tipologia di complicanza della ferita chirurgica al fine di favorire il processo di guarigione.
Al fine di formulare una valida strategia di ricerca, per un’efficace interrogazione delle banche dati biomediche e per un ottimale reperimento delle citazioni pertinenti l’argomento considerato nello studio è stato sviluppato un quesito clinico seguendo la metodologia PICO (patient, intervention, comparison, outcome) [9] nella tabella 1.
MATERIALI E METODI
La ricerca bibliografica è stata eseguita nel mese di giugno 2015 che ha previsto la consultazione delle banche dati quali The Cochrane Library, PubMed e Cinahl. Inoltre sono state consultate le linee guida NICE e Google Scholar. Nelle varie ricerche si è fatto uso di parole chiavi utilizzando termini Mesh ed eventualmente i loro sinonimi (Entry Terms) e le parole a testo libero. La strategia di ricerca ha previsto l’utilizzo di termini sia controllati sia liberi combinati con gli operatori booleani “AND”, “OR” e “NOT” (Tabella 2) senza porre limiti alla lingua di pubblicazione e all’impostazione dello studio, ad eccezione di quelli temporali pari agli ultimi cinque anni in modo da escludere citazioni precedenti già oggetto di revisioni.
Per essere considerati pertinenti, e quindi eleggibili per la revisione, gli articoli dovevano riguardare la strutturazione del quesito clinico, in riferimento al PICO. Sono stati inclusi tutti i tipi di studio, comparativi e non, randomizzati controllati e non randomizzati, studi retrospettivi, revisioni sistematiche, studi caso-controllo, su persone di età adulta (>19 anni), sottoposti a qualsiasi tipo di intervento che prevedesse un’incisione chirurgica. Sono stati selezionati studi e revisioni sull’utilizzo delle medicazioni avanzate e tradizionali che avessero come outcome la guarigione della ferita chirurgica e la riduzione delle complicanze. Nella flowchart viene rappresentata la selezione degli articoli.
RISULTATI
Gli articoli congruenti al quesito clinico sono risultati 15. Nella figura 3 è rappresentato il processo di selezione e valutazione della letteratura presa in esame. I contenuti dei singoli studi considerati nella revisione sono riportati in maniera sintetica nella tabella 1.
DISCUSSIONE
Dalla revisione della letteratura è emerso che l’impiego di medicazioni avanzate si accompagna ad una serie di vantaggi sia in termini di prevenzione delle complicanze che di qualità di vita. Per garantire un completo ripristino dell’integrità della cute, le linee guida NICE oltre a fornire una buona delucidazione sulle fasi che precedono l’utilizzo della medicazione, quali detersione ed antisepsi (non devono essere utilizzate le soluzioni colorate come ad esempio il mercurio cromo, la fuxina, il violetto di genziana, la tintura rubra di Castellani in quanto esplicano una ridotta azione antisettica, non permettono la valutazione della ferita per es. favorendo l’occultamento di arrossamenti e sono sconsigliati dalle principali linee guida internazionali. Anche gli antibiotici topici in tutte le forme non devono essere applicati perché provocano la formazione di ceppi batterici resistenti, possono essere allergizzanti e sono sconsigliati dalle principali linee guida), indicano quali medicazioni sono utilizzate per la gestione della ferita che guarisce per seconda intenzione, quelle interattive, e quali non devono essere usate, EUSOL® e garza, garza di cotone umido.
Per quel che concerne il tasso delle infezioni del sito chirurgico le medicazioni idrocolloidi e quelle argentiche rispetto alle garze antiaderenti e alle idrofibre determinano una riepitelizzazione di più breve durata e una minore incidenza di infezioni (Brolmann e Schwartz). Un caso a parte è rappresentato dalla medicazione Aquacel Ag® che, rispetto alla tradizionale, non ha prodotto una superiore significatività statistica nel ridurre le infezioni della ferita (Biffi).
Un nuovo approccio al trattamento delle ferite chirurgiche è la VAC, l’impiego della terapia a pressione negativa, che trova il suo campo di applicazione nelle ferite che guariscono per seconda intenzione, in quelle laparotomiche ed ortopediche (COI). Sebbene mostrino una riduzione delle infezioni del sito chirurgico rispetto alla medicazione sterile standard e una minore incidenza di complicanze quali sieromi o ematomi, rimane incerto se l’utilizzo della NPWT possa essere applicato a tutte le ferite chiuse.
Una questione che richiede particolare zelo in tale contesto, è la spesa sanitaria. I costi legati alla gestione delle ferite chirurgiche in caso di lesioni cutanee maligne, assorbono impegno economico significativo quando non vi è la guarigione delle medesime rispetto ad un completo ripristino delle funzioni cutanee nel post-operatorio [10].
CONCLUSIONI
Nonostante siano scarse le raccomandazioni circa l’uso dei diversi tipi di medicazioni in relazione alla ferita chirurgica in esame, appare evidente che le medicazioni avanzate rappresentino un’ottima strategia per la risoluzione della ferita e per il contenimento delle complicanze correlate al sito chirurgico. In seguito all’utilizzo delle stesse è stato rilevato un maggiore comfort da parte del paziente sia in termini di diminuzione del dolore al cambio della medicazione che di un tasso di infezioni ridotto anche se statisticamente non significativo. Tuttavia l’alto costo sostenuto nelle cure post operatorie per ferite chirurgiche complicate, impone agli operatori sanitari un’adeguata appropriatezza nel loro utilizzo anche al fine di favorire la riparazione tessutale e migliorare gli esisti assistenziali dei pazienti chirurgici.
Implicazioni per la pratica
Le ferite chirurgiche che guariscono per prima intenzione vanno trattate con medicazioni sterili standard utilizzando nelle prime 24-48 ore solo acqua sterile. Non è possibile raccomandare, al momento, l’uso di una medicazione specifica rispetto alla garza sterile. Probabilmente la rimozione della medicazione da ferite pulite o pulite-contaminate prima delle 48 ore dall’intervento chirurgico non aumenta il rischio di infezione. Tuttavia sono necessarie altre prove a sostegno [11]. Per le ferite che guariscono per chiusura primaria ritardata sono controindicate le garze iodoformiche perché non promuovono un ambiente umido, provocano dolore alla rimozione e possono causare un’intossicazione da assorbimento sistemico di iodio.
Le ferite chirurgiche che guariscono per seconda intenzione possono essere trattate con schiume di poliuretano e medicazioni interattive, ma sono controindicate dalle linee guida NICE, Eusol® e garza, o garza di cotone umido o soluzioni antisettiche di mercurio [12]. Risulta interessante lo studio condotto presso i Dipartimenti della Charité-Universitäts Medizin a Berlino dove è stata registrata una più rapida guarigione delle ferite (che guariscono per seconda intenzione) utilizzando il seguente trattamento sequenziale [13]: Promo Gran Plus®, Tielle®, Servicel®.
Per la gestione delle ferite post-artroplastica al ginocchio e all’anca sono raccomandate medicazioni che combinano idrofibre e un film semipermeabile in poliuretano poiché riducono i tassi di infezione e di formazione di vesciche. Nel caso di infezione ossea profonda, in pazienti con ferite ortopediche, sembra rappresentare una valida alternativa alle medicazioni tradizionali, il trattamento con KytoCel® e SorbXtra®, specie nella gestione dell’essudato e nel controllo degli odori [14].
Le ferite sporche giovano delle medicazioni non occlusive come la medicazione in cellulosa ossidata rigenerata.
In caso di ferite infette, dovrebbero essere utilizzate medicazioni avanzate che abbiano all’interno della struttura anche un antisettico locale (i più comunemente utilizzati sono lo iodio, l’argento e il Poli Esa Metilen Bioguanide (PHMB): tale antisettico, in aggiunta ad una antibiotico-terapia sistemica, permette di risolvere il quadro infettivo in atto. Non vanno utilizzate medicazioni occlusive come idrocolloidi e schiume di poliuretano.
Per quel che concerne la complicanza della deiscenza non sono stati trovati articoli che indicassero il tipo di medicazione che potesse prevenirla. Se la deiscenza è piccola possono essere impiegati idrogel e idrofibre.
Un nuovo approccio, nell’ambito delle medicazioni avanzate, è il trattamento delle ferite chirurgiche che guariscono per seconda intenzione o di esiti di deiscenza con una medicazione a pressione negativa [15]: consiste nell’applicazione di una medicazione (in garza o in schiuma di poliuretano) a contatto con il letto della ferita, coperta con un film trasparente e collegata a una pompa d’aspirazione; tale dispositivo permette di creare una pressione negativa, drenando l’essudato in eccesso. Sebbene tale metodica sia utilizzata a livello internazionale da più di un decennio, non è ancora del tutto chiara la sua efficacia. L’utilizzo abituale, pertanto, non può essere raccomandato anche per gli alti costi da sostenere, è risultata maggiormente efficace, invece, nel trattamento delle ferite chirurgiche toraciche e laparotomiche. Altra zona grigia da chiarire, infatti, è se la sua applicazione possa essere esteso anche a tutte le ferite chiuse. Le evidenze scientifiche, in merito alla riduzione del dolore durante il cambio, sostengono l’utilizzo di medicazioni idrofibre e lipocolloidi flessibili specie nel trattamento della chirurgia della mano.
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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Studio quali-quantitavo con l’utilizzo dello Student Evaluation of Clinical Environment (SECEE).
Valentina Annese, Infermiera indipendente. E-mail: valentina.annese@hotmail.it
Doi: 10.32549/OPI-NSC-2
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Abstract
La qualità dell’ambiente di apprendimento risulta essere un importante fattore influenzante l’esperienza degli studenti infermieri. La valutazione della qualità dovrebbe includere la classificazione delle percezioni dello studente sui fattori che influenzano il loro apprendimento clinico.
L’obiettivo di questo studio è comprendere come gli studenti infermieri percepiscono l’ambiente clinico di apprendimento nei Corsi di Laurea in Infermieristica della Regione Molise utilizzando lo strumento “Student Evaluation of the Clinical Education Environment Inventory”(SECEE)[1].
Il campione è rappresentato dagli studenti del secondo e del terzo anno dei Corsi di Laurea in Infermieristica della Regione Molise.
I risultati evidenziano una significativa predisposizione degli studenti infermieri ad esprimersi positivamente circa il proprio ambiente clinico di apprendimento.
L’originalità del presente progetto di ricerca risiede fondamentalmente nella volontà di proporre un’analisi che considera e osserva le percezioni e le opinioni degli studenti infermieri attraverso un metodo quali-quantitativo.
Parole chiave: Clinical learning environment, nursing education, clinical training.
Evaluation of the clinical learning environment in the Nursing Degree Courses in the Molise Region: quali-quantitative study with the use of the Student Evaluation of Clinical Education Environment (SECEE).
Abstract
The quality of the learning environment is an important factor influencing the experience of nursing students. Quality assessment should include the classification of the student's perceptions about the factors influencing their clinical learning. The objective of this study is to understand how nursing students perceive the clinical learning environment in the Nursing Degree Courses in the Molise Region using the "Student Evaluation of the Clinical Education Environment Inventory" (SECEE) tool. The sample is represented by the students of the second and third year of the Degree Courses in Nursing in the Molise Region.
The results show a significant predisposition of nursing students to positively express themselves on the subject of their own clinical learning environment. The originality of this research project basically lies in the desire to propose an analysis that considers and observes the perceptions and opinions of nursing students through a quali-quantitative method.
Keywords: Clinical learning environment, nursing education, clinical training.
Introduzione
In Italia, la lunga tradizione formativa ha posto da sempre attenzione alle strategie didattiche e organizzative in grado di assicurare un’esperienza di tirocinio di qualità. L’apprendimento clinico, denominato negli attuali ordinamenti didattici come “attività formative professionalizzanti” o “tirocinio” è parte integrante del percorso di studi dello studente infermiere[2]. Il tirocinio rappresenta l’ambito privilegiato per l’acquisizione delle competenze professionali dell’infermiere, l’opportunità per tradurre il sapere acquisito in sapere esperto[3]. In esso trovano sintesi gli aspetti cognitivi, relazionali, tecnici e deontologici atti a garantire il possesso delle competenze professionali nell’ambito dell’assistenza generale infermieristica, competenze immediatamente spendibili con il completamento del percorso di studi, stante il valore abilitante dell’esame finale. È quel luogo dove su progetto individuale si perfeziona il sapere teorico, si rendono esplicite le abilità personali, si favorisce l’emersione e la formazione delle capacità di relazione, ascolto ed elaborazione dei problemi per la loro soluzione, che sono patrimonio di difficile trasmissione con metodologie passive; apprendimenti che devono essere facilitati e guidati da figure dedicate, quali il tutor, sviluppate come metodologia didattica, inserite in contesti coerenti a tali principi anche nella gestione aziendale ordinaria[4]. Un mezzo per individuare e valutare i fattori che influiscono sull’efficacia dell’esperienza di insegnamento è quello di osservare l’ambiente di apprendimento attraverso gli occhi degli studenti. Le percezioni degli studenti sull’ambiente di apprendimento clinico, possono fornire al personale docente, ai direttori didattici e tutor didattici delle informazioni preziose relative all’apprendimento dello studente in questi ambienti[5]. L’idea di uno studio che ponga sotto i riflettori le percezioni degli studenti infermieri sul proprio ambiente clinico di apprendimento nasce dal desiderio di comprendere gli aspetti più nascosti e inespressi dell’esperienza clinica degli studenti.
Obiettivo
L’obiettivo di questo studio è la valutazione dell’ambiente di apprendimento clinico nei Corsi di Laurea in Infermieristica della Regione Molise attraverso uno studio quali-quantitativo con l’utilizzo dello Student Evaluation of Clinical Education Environment (SECEE).
Materiali e Metodi
Lo studio quali-quantitativo è stato condotto in tre diverse sedi di Corso di Laurea in Infermieristica della Regione Molise.
Il campione è rappresentato dagli studenti del secondo e del terzo anno dei Corsi di Laurea in Infermieristica della Regione Molise per un totale di circa 390 studenti e tre sedi di formazione afferenti a tre grandi Università:
- Università Cattolica del Sacro Cuore,
- Università degli Studi del Molise,
- Università degli studi di Roma La Sapienza.
Sono stati esclusi dallo studio gli studenti del primo anno.
Lo strumento utilizzato è lo Student Evaluation of Clinical Education Environment (SECEE)costituito da 32 item all’ interno di 3 subscale che sono: Instructor Facilitation of Learning, Preceptor Facilitation Learning e Learning Opportunities.
Gli studenti rispondono a queste domande formulate secondo una scala di tipo Likert a 5 punti, che va da molto in disaccordo a molto d’accordo. Oltre alle 5 possibili alternative di risposta vi è una sesta categoria che è rappresentata dal non so rispondere attraverso la quale gli studenti possono fornire una spiegazione sulla riga sottostante la domanda.
Inoltre lo strumento è costituito da 2 domande semistrutturate che vanno a valutare gli aspetti che hanno promosso e/o ostacolato l’apprendimento clinico[6]. Il questionario è stato somministrato nel periodo compreso tra maggio e giugno 2015, il tempo medio di compilazione è stato pari a 5-10 minuti, i direttori didattici e i docenti erano presenti al momento della somministrazione. L’analisi e l’elaborazione dei dati è stata effettuata con l’SPSS versione 17 italiana.
Risultati
Ai fini dello studio sono risultati eleggibili 278 questionari somministrati relativamente nelle tre sedi di Corso di Laurea in Infermieristica della Regione Molise. Dai risultati si evince che il 48% degli studenti è di genere maschile mentre il 51,4% è invece di genere femminile. La fascia di età è compresa tra i 21-22 anni e l’anno di corso è rappresentativo per il 48,8% dal II anno e per il 51,8% dal III anno (Figura 1).
Per quanto riguarda le unità operative liberamente valutate dagli studenti emerge che una gran percentuale di studenti non esprime interesse rispetto all’unità operativa, si osserva però una leggera preponderanza dell’unità operativa di pronto soccorso. Dall’ analisi dei 32 item, nonché dall’analisi dimensionale si evince che nella dimensione 1: Instructor Facilitation of Learning la maggior parte degli studenti si esprime d’accordo rispetto a quelli che sono gli item contenuti in questa dimensione (Figura 2).
Anche nella seconda dimensione 2: Preceptor Facilitation Learning gli studenti si sono espressi con le categorie d’accordo e molto d’accordo. È da evidenziare una netta preponderanza del molto in disaccordo rispetto alle altre due dimensioni (Figura 3).
Importante e da non sottovalutare che in tutte le dimensioni gli studenti hanno utilizzato spesso la categoria neutrale. Secondo Marradi, tale categoria, offre un appiglio importante per non prendere una posizione ed essere responsabili di una scelta anche critica[7]. Infine anche nella dimensione 3:Learning Opportunities la maggior parte degli studenti si è espressa d’accordo rispetto agli item contenuti all’interno della dimensione stessa (Figura 4).
Tale risultato potrebbe essere un limite della scala Likert e di conseguenza dello studio stesso.
Interessante è stata l’analisi delle domande semistrutturate.
Per quanto riguarda gli aspetti che hanno promosso l’apprendimento clinico elementi come la professionalità, la preparazione e la competenza del personale infermieristico, la disponibilità dei professionisti sanitari a rispondere alle domande, a fornire feedback e ad essere modelli di ruolo, l’organizzazione delle unità operative e l’ambiente favorevole all’apprendimento clinico sono stati riconosciuti come elementi fondamentali durante l’esperienza clinica dello studente infermiere (Figura 5).
Tra gli aspetti che invece hanno ostacolato l’apprendimento clinico, la maggior parte degli studenti ha confermato di aver svolto un’esperienza di tirocinio clinico in un ambiente favorevole all’apprendimento, dato che rende poco significativo il numero di studenti che invece ritiene che il personale infermieristico sia poco aggiornato. Va però evidenziato che anche nelle domande semistrutturate un gran numero di studenti non risponde (Figura 6).
Discussione
Lo strumento SECEE versione 3, è stato sviluppato e riveduto sulla base di un’analisi dello studio, del feedback del personale docente e dello staff delle Unità Operative e delle versioni precedenti, allo scopo di rispecchiare accuratamente le percezioni dello studente infermiere sul proprio ambiente di apprendimento clinico.
Sono stati sviluppati altri questionari come il CLESI, il CLEI e il CLEDI, ma questi strumenti valutano un’esperienza clinica di infermieristica profondamente diversa da quella messa in pratica dal tipico studente italiano.
Lo strumento fornisce delle informazioni utili al corpo docente, ai Direttori Didattici di sede nonché allo staff infermieristico, sulle percezioni degli studenti riguardo l’adeguatezza delle opportunità di apprendimento nelle diverse UU.OO. sedi di tirocinio clinico specifico e per fornire informazioni ai Direttori Didattici sulle percezioni degli studenti circa le proprie esperienze, permettendo di evidenziare e di applicare correttivi alla metodologia di apprendimento inerente la formazione sul campo che, per gli studenti di Infermieristica risulta essere professionalizzante.
Il campione preso in esame risulta essere rappresentativo e caratterizzante della popolazione presa in esame in quanto riferibile a tre diversi Atenei di riferimento.
Lo strumento, in definitiva, risulta essere di facile utilizzo in quanto chiaro e coinciso e include le informazioni atte a verificare le eventuali criticità nella programmazione dei cicli di apprendimento previsti nel tirocinio clinico.
Nel 2012, infatti, lo stesso strumento (SECEE) è stato utilizzato per condurre uno studio quali quantitativo nei Corsi di Laurea della Regione Campania con l’obiettivo di valutare la qualità dell’ambiente clinico di apprendimento.
I risultati emersi dall’analisi quali – quantitativa sono pressoché sovrapponibili a quelli emersi dall’indagine effettuata nella regione Molise nonostante la Campania ha visto un campione pari a 727 studenti infermieri distribuiti in 15 sedi di formazione infermieristica.
Conclusioni
La valutazione del grado di soddisfazione degli studenti sulle esperienze di apprendimento clinico è un aspetto cruciale durante l’intero percorso di formazione dello studente infermiere. Nei contesti dove è elevata la soddisfazione degli studenti, gli esiti di apprendimento sembrano migliori.
L’obiettivo di questo progetto di ricerca è comprendere come gli studenti infermieri percepiscono l’ambiente clinico di tirocinio, e di verificare ed adattare al contesto gli strumenti presenti in letteratura come lo Student Evaluation of the Clinical Environment Inventory (SECEE).
In ultima analisi, l’obiettivo dell’impiego di tale strumento è quello di condurre risoluzioni e comportamenti sia da parte del corpo docente sia del personale dell’ente per fornire il miglior ambiente di apprendimento possibile per il maggior numero di studenti infermieri.
Per i corsi di laurea, sarebbe opportuno, disporre periodicamente (anche annualmente) di dati sul grado di soddisfazione degli studenti rispetto ai tirocini da loro frequentati con lo scopo di monitorare i contesti di apprendimento, riflettere sugli ambiti critici, discutere con i Direttori Didattici la percezione degli studenti e attivare strategie di miglioramento.
In conclusione possiamo affermare quindi che lo strumento è in grado di fornire informazioni utili circa le percezioni degli studenti infermieri sul proprio ambiente clinico di apprendimento e, i risultati evidenziano una predisposizione degli studenti infermieri ad esprimersi positivamente circa il proprio ambiente clinico di apprendimento.
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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
Corso FAD sull'interpretazione dell'elettrocardiogramma: Valutazione, Apprendimento ed Impatto nell'Organizzazione
Annamaria Bulgarelli1 & Annamaria Ferraresi2
- Infermiera Azienda USL Ferrara
- Infermiera Responsabile Servizio Interaziendale Formazione e Aggiornamento Azienda Ospedaliero Universitaria e USL di Ferrara
DOI: 10.32549/OPI-NSC-1
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ABSTRACT
Background.
L’Interpretazione dell’ECG è una conoscenza fondamentale da acquisire attraverso la formazione, in particolare per gli infermieri e le ostetriche che operano in un ospedale per acuti. Infatti, un’interpretazione dell’ECG rapida ed accurata, è fondamentale per riconoscere precocemente alterazioni che possono mettere a rischio la vita del paziente ed allertare il medico per la refertazione. Studi precedenti hanno dimostrato che la competenza nell’interpretazione dell’ECG tra i gli infermieri è molto variabile e la relativa diagnosi precoce può essere compromessa.I programmi più comuni per la formazione degli infermieri nell’interpretazione dell’ECG sono la lezione frontale e l’analisi di casi. Poiché alcuni studi dimostrano l’efficacia della Formazione a Distanza (FaD) nello sviluppo di conoscenze relative all’interpretazione dell’ECG, nell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, è stato sviluppato un programma di e-learning per l'acquisizione di tali conoscenze.Gli scopi del nostro studio sono di valutare le capacità di interpretazione dell’ECG tra gli infermieri e le ostetriche a seguito della partecipazione dopo un percorso formativo on-line basato su lezioni ed analisi di casi clinici e di misurare l’impatto organizzativo.
Materiali e metodi. Il corso è stato realizzato utilizzando la piattaforma Moodle che prevede un sistema di reportistica in grado di rilevare e tracciare il percorso didattico di ogni partecipante. La popolazione considerata nell’indagine di impatto è di 316 professionisti infermieri ed ostetriche con contratto sia a tempo indeterminato che a tempo determinato presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Anna di Ferrara, che hanno partecipato al corso FaD dal 4 novembre 2013 al 31 agosto 2014. Per la valutazione del corso, le variabili analizzate sono: genere, ora di termine del corso, punteggi ottenuti del test di apprendimento, questionario di gradimento, questionario di impatto organizzativo.
Risultati. Per quanto riguarda il questionario di gradimento i partecipanti risultano essere 312; poiché al momento del download il corso di formazione a distanza era ancora attivo. Il questionario di impatto organizzativo è stato inviato a tutti coloro che avevano terminato il corso da almeno sei mesi. A questa indagine hanno aderito 63 infermieri.
I tre tipi di questionari valutati hanno evidenziato risultati abbastanza soddisfacenti:
- la quasi totalità dei partecipanti, utilizzando il questionario di gradimento, ha espresso piena soddisfazione sul corso che si è dimostrato utile ed apprezzato.
- le variabili analizzate del questionario di apprendimento quali il punteggio medio ottenuto dai partecipanti risulta essere 17.01/18; gli orari di compilazione del questionario evidenziano una equa ripartizione nei tre turni di lavoro.
- le variabili analizzate nel questionario di impatto organizzativo, come l’età media dei partecipanti (circa 46 anni); una distribuzione di provenienza dai reparti abbastanza bilanciata tra dipartimento medico, chirurgico e di emergenza; il riscontro da parte dei partecipanti dei casi clinici trattati nel corso risulta abbastanza rappresentativo come anche l’applicazione delle conoscenze acquisite, ha realizzato un miglioramento nella qualità delle cure erogate.
Discussione. I dati analizzati sono preliminari: al momento si può dedurre che i professionisti sono interessati ad aumentare le proprie competenze in materia di ECG e che la formazione on line sia utile a migliorare tali competenze, che sono applicate nella pratica clinica.
Parole chiave: e-learning, ECG, Corso FaD, operatori sanitari
DL course on electrocardiogram interpretation: Evaluation, Learning and Impact within the Organization
ABSTRACT
Background. ECG interpretation represents fundamental knowledge to be acquired through training, particularly for nurses and midwives working in an acute care hospital. In fact, quick and accurate interpretation of the ECG is essential for early recognition of alterations that may endanger the patient's life and alert the doctor to reporting. Previous studies have shown that ECG interpretation skill varies widely among nurses and related early diagnosis may be compromised. The most common training programmes for nurses in ECG interpretation involve lectures and case analysis. Since some studies show the effectiveness of Distance Learning (DL) in the development of knowledge related to ECG interpretation, an e-learning programme has been developed at the University Hospital of Ferrara for the acquisition of this knowledge. The aims of our study are to evaluate the ECG interpretation skills between nurses and midwives following an on-line training course based on lectures and analysis of clinical cases and to measure organisational impact.
Materials and methods. The course was created using the Moodle platform that provides a reporting system that can detect and track the learning path of each participant. The population considered in the impact survey is 316 nursing and obstetric staff employed on open-ended and fixed term contracts at the Sant’Anna University Hospital of Ferrara who took part in the DL course from the 4th of November 2013 to the 31st of August 2014. For the evaluation of the course the variables analysed are: gender, course completion time, scores obtained from the learning test, satisfaction questionnaire, organisational impact questionnaire.
Results. As for the satisfaction questionnaire, there are 312 participants; since at the time of download the distance training course was still active. The organisational impact questionnaire was sent to all those who had finished the course at least six months ago, 63 nurses joined the survey.
The three types of questionnaires evaluated showed quite satisfactory results:
- almost all the participants, using the satisfaction questionnaire, expressed full satisfaction with the course as it proved to be useful and appreciated.
- the analysed variables of the learning questionnaire such as the average score obtained by the participants is 17.01/18; the times for completing the questionnaire show a fair distribution in the three work shifts.
- the variables analysed in the impact questionnaire include the average age of the 46-year-old participants; a distribution of fairly balanced departments between the medical, surgical and emergency departments; the feedback from the participants of the clinical cases treated in the course is quite representative as also the application of the acquired knowledge has achieved an improvement in the quality of the care provided.
Discussion. The data analysed are preliminary: at the moment it can be inferred that professionals are interested in increasing their skills in the ECG field and that online training is useful for improving these skills which are applied in clinical practice.
Keywords: e-learning, ECG, Continuing Medical Education courses (CME), healthcare professional
BACKGROUND
Le professioni sanitarie negli ultimi anni hanno subito grandi cambiamenti con una graduale crescita delle professionalità attraverso studi universitari e aggiornamenti continui.
L’Unione Europea definisce l’“apprendimento permanente” come: qualsiasi attività di apprendimento intrapresa nelle varie fasi della vita al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale. Nella società europea basata sulla conoscenza, l'istruzione e la formazione permanente hanno acquisito un’importanza fondamentale. Oggi, l’accesso ad informazioni e conoscenze aggiornate, nonché la volontà e la capacità di utilizzare tali risorse in maniera intelligente a fini personali o nell’interesse della collettività, sono indispensabili per migliorare le capacità professionali.
Le conoscenze e le competenze apprese da giovani, non possono più ritenersi valide per tutta la vita e, per la realizzazione dell’istruzione e formazione permanente, è importante anche ciò che si apprende in età adulta.
L'on-line education si introduce nell’ambiente informale, il quale rappresenta una riserva considerevole di sapere e potrebbe costituire un’importante fonte d’innovazione nei metodi d’insegnamento e di apprendimento (Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles, 30.10.2000). In relazione a tali scenari il Servizio formazione delle Aziende Sanitarie di Ferrara ha creato un sito web dedicato all'e-learning e lo sviluppo di comunità di pratica, all'interno del quale è stata installata una piattaforma web 2.0 Moodle allo scopo di svolgere corsi di formazione distanza per il personale dell'azienda sanitaria.
La piattaforma Moodle e è un Open Source Course Management System (CMS) o Sistema di gestione di corsi online, ossia una applicazione web libera, pacchetto software, che si installa direttamente su un server Web e rende, così, possibile l’effettuazione della Formazione a Distanza.
Moodle è fornito liberamente come software Open Source (GNU General Public License)[1].
E’ opinione diffusa che l’interpretazione dell'ECG sia una competenza fondamentale da acquisire attraverso la formazione, in particolare per gli infermieri e le ostetriche che operano in un ospedale per acuti. Infatti, tale azione, esercitata in forma rapida è fondamentale per riconoscere precocemente alterazioni che possono mettere a rischio la vita del paziente ed allertare il medico per la refertazione. Studi precedenti riportano che la competenza di interpretazione dell'ECG tra i gli infermieri è molto variabile e la relativa diagnosi precoce può essere compromessa [1-4].I programmi più comuni per la formazione degli infermieri nell’interpretazione dell’ECG sono la lezione frontale e l’analisi di casi. Poiché alcuni studi dimostrano l’efficacia della formazione FaD nello sviluppo di conoscenze relative all’interpretazione dell’ECG [5-6], è stato sviluppato un programma di e-learning per l'acquisizione di tali conoscenze.Gli scopi del nostro studio sono di valutare le capacità di interpretazione ECG tra gli infermieri e le ostetriche dopo un percorso a base di lezioni e casi clinici on-line e di misurare l’applicabilità percepita dai partecipanti al corso.
MATERIALI E METODI
Il giorno 4 novembre 2013 è stato attivato un corso FaD, nella piattaforma di formazione a distanza aziendale.
Il corso è costituito da quattro moduli:
- le basi dell’elettrocardiogramma;
- Il ritmo sinusale e le principali alterazioni del tracciato di origine patologica;
- Le sindromi coronariche acute;
- esercitazioni, casi clinici.
La popolazione considerata nello studio è di 316 professionisti che hanno partecipato al corso dal 4 novembre 2013 al 31 agosto 2014. Il questionario di impatto organizzativo è stato inviato solo a coloro che avevano concluso il corso da almeno sei mesi. Per la raccolta dati sono stati utilizzati i seguenti strumenti:
Il questionario di gradimento costituito da 14 item, di cui quattro risposte aperte, per permettere ai compilatori di esprimersi liberamente e nel modo desiderato sugli aspetti negativi e positivi del corso, e stimolare sugli stessi quesiti proposti nel forum. Per i restanti quesiti è stata utilizzata la scala Likert a 5 declinazioni (1 per nulla, 2 poco, 3 abbastanza, 4 molto, 5 del tutto) per rendere più semplice ed immediata la risposta e per ottenere, una volta codificate le risposte, una più accurata analisi dei dati. Il questionario di apprendimento, costituito da 18 domande a risposta multipla (inclusi otto tracciati elettrocardiografici) con quattro alternative di risposta.
Per poter essere superato, era necessario rispondere correttamente all'80% dei quesiti proposti. Il partecipante aveva a disposizione solo tre tentativi per il superamento del corso.
Il questionario di impatto organizzativo era costituito da 25 domande relative alle seguenti aree di indagine:
- Caratteristiche socio demografiche dei partecipanti
- Percezione di applicabilità delle competenze apprese
- Percezione dell’apprendimento per l’individuo e per l’organizzazione
Le informazioni sono state elaborate attraverso il programma Microsoft Excel.
RISULTATI
La popolazione considerata nello studio è rappresentata da 316 partecipanti che si sono collegati alla piattaforma per eseguire il corso di aggiornamento e che hanno completato il test di apprendimento dalla data di attivazione fino al 31 agosto 2014, giorno in cui è stato effettuato il download dei dati. Il questionario di impatto è stato inviato solo a coloro che avevano terminato il corso da almeno sei mesi, hanno aderito all’indagine 63 infermieri.
I partecipanti hanno espresso molta soddisfazione riguardo il corso di aggiornamento ponendosi nella fascia medio-alta di gradimento, con un valore medio finale di 4.31 (Tabella 1).
Risulta solo una diminuzione nella risposta relativa alla domanda due riguardante l’innovazione dei contenuti trattati; i partecipanti ritengono mediamente innovativo l'argomento essendo la media delle risposte pari a 3.8.
La maggior parte dei partecipanti esprime un’ottima pertinenza tra contenuti ed obiettivi. Il 62% dei partecipanti ritiene infatti “del tutto” pertinenti i contenuti del corso rispetto agli obiettivi prefissati, il 27% “molto” pertinenti, il 10% ha attribuito il valore 3 ovvero “abbastanza” soddisfatto, solo una persona ritiene i contenuti poco pertinenti e “per nulla” pertinenti rispetto agli obiettivi prefissati.
Il 97% dei partecipanti al corso ha considerato positivamente chiarezza ed accuratezza delle istruzioni: del tutto (54%), molto (29%), abbastanza (14%) chiare ed accurate.
Le percezioni espresse dai partecipanti del corso in merito al livello di coinvolgimento durante lo svolgimento del corso sfociano in dati nettamente positivi.
Rispetto alla metodologia didattica utilizzata, si mantiene il trend fortemente positivo: il 98% dei partecipanti infatti esprime giudizi soddisfacenti. Il 51% ritiene la metodologia didattica del corso “del tutto” adeguata, il 33% sceglie il termine “molto”, il 14% “abbastanza”.
Anche per quanto riguarda il materiale didattico predisposto per il corso, il 97% dei discenti ne è soddisfatto.
Molto buoni sono i dati riferiti al grado di soddisfazione dei partecipanti nei confronti del corso: più della metà dei partecipanti (61%) ha gradito “del tutto” il corso, il 29% si ritiene molto soddisfatto, mentre il 9% dichiara di esserlo “abbastanza”. Solo tre persone (1%) hanno gradito “poco” il corso, a due persone non hanno gradito il corso per nulla.
Questionario di apprendimento
La popolazione considerata nello studio è rappresentata da 316 partecipanti che si sono collegati alla piattaforma per eseguire il corso di aggiornamento e che hanno completato il test di apprendimento il giorno in cui è stato effettuato il download dei dati (31 Agosto 2014). Il test era costituito da 18 domande di cui 8 erano interpretazioni di tracciati elettrocardiografici (Fig. 1). Il 44% ha ottenuto il massimo risultato conseguibile: 18 punti; il 26% dei partecipanti ha ottenuto 17 punti; il 20% 16 punti, il 10% 15 punti.
Lo svolgimento della formazione FaD è stato prevalente nelle ore notturne e pomeridiane.
Questionario di impatto organizzativo
Il range di età dei 63 partecipanti all’indagine di impatto organizzativo è compreso tra i 30 ed i 57 anni con una media di età di 46.06 anni.
I partecipanti risultano provenire per un 33% dal Dipartimento Medico; per un 32% dal Dipartimento Chirurgico; per un 21% dal Dipartimento di Emergenza e per un 14% da altri dipartimenti.
L'83% dei partecipanti dichiara di aver eseguito elettrocardiogrammi dalla conclusione del corso sino alla data di compilazione del questionario.
Le percezioni espresse dai partecipanti del corso in merito alla valutazione sulla corretta tecnica di esecuzione dei tracciati elettrocardiografici che essi eseguono, evidenzia dati nettamente positivi. Per quanto riguarda la percezione dei partecipanti in merito al miglioramento delle conoscenze sulla rilevazione delle anomalie dell'ECG a seguito della partecipazione al corso, una percentuale pari all'83% ritiene che le conoscenze siano migliorate.
L'8% partecipanti dichiarano di aver rilevato spesso anomalie nei tracciati elettrocardiografici, il 38% a volte, il 32% raramente ed il 22% mai.
Alla domanda riguardante la rilevazione, negli ECG eseguiti, di almeno uno dei casi clinici trattati nella formazione, il 25% dei partecipanti ha risposto affermativamente.
Si chiedeva inoltre ai partecipanti come le conoscenze acquisite, in almeno un caso clinico identificato avevano influito sull’evoluzione clinica e in pratica come le avevano applicate (Tabella 2).
Come si osserva dalla tabella ben quattordici infermieri hanno richiesto l'intervento urgente del medico, tre hanno potuto effettuare un migliore inquadramento del caso clinico, cinque hanno riferito di aver applicato solo una parte delle competenze fornite dal corso perché necessitavano di maggiori approfondimenti, tre dichiarano di non aver mai applicato le competenze acquisite.
Infine sull'ultima domanda del questionario che richiedeva ai partecipanti quali altri quadri clinici avrebbero approfondito con un corso; i quadri clinici che i partecipanti al questionario vorrebbero approfondire con altro corso FaD sono molteplici. Si evidenzia una prevalenza di richiesta di corsi sulla simulazione delle situazioni di emergenza da sviluppare però all'interno dei reparti. Alcuni infermieri hanno richiesto un corso sulla gestione dei pazienti neurologici e per la gestione degli accessi venosi.
Discussione
La formazione nell’attuale contesto organizzativo non può più essere considerata un evento eccezionale da spendere in occasioni e momenti particolari, ma piuttosto deve essere vista come una necessità che riguarda tutta la vita lavorativa. Il focus si sposta dunque dai ‘corsi’ ai ‘percorsi’ e dalla formazione ‘una tantum’ alla formazione continua, lifelong learning.
Dai dati raccolti si può osservare come in corso FaD sia stato molto gradito dagli infermieri e che la metodologia utilizzata sia risultata efficace per l’apprendimento. Il numero importante di infermieri formati evidenzia come la metodologia FaD consenta di diffondere conoscenze molto più capillarmente e con costi ridotti rispetto alla formazione residenziale. Inoltre, dagli orari di accesso alla piattaforma risulta come tale formazione sia svolta in orario di servizio utilizzando gli orari di minore intensità lavorativa.
Le percezioni espresse dai partecipanti del corso in merito alla corretta tecnica di esecuzione dei tracciati elettrocardiografici eseguiti dopo il corso ha dato un esito positivo; ancora più evidente è la positività dell’impatto della formazione sulla performance lavorativa dei dipendenti che hanno dichiarato di constatare un miglioramento sul riconoscimento delle principali anomalie dell'ECG sul lavoro.
La frammentarietà e l’eterogeneità delle risposte aperte al questionario di impatto in merito alle ulteriori tematiche da approfondire ha permesso di individuare delle macroaree di classificazione utili per la presentazione dei dati, a discapito chiaramente della varietà dei suggerimenti annotati che potranno essere analizzati dal Servizio Formazione ai fini di una programmazione e progettazione delle attività il più possibile coincidente e coerente con quanto registrato.
Nonostante i risultati incoraggianti di questo studio in merito all’impatto, sono necessari ulteriori studi per misurare, oltre al gradimento e all’apprendimento, anche l’impatto organizzativo delle formazioni FaD che negli ultimi anni è stata svolta da molti infermieri.
Bibliografia
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- Montassier E, Hardouin JB, Segard J, Batard E, Potel G, Planchon B, Trochu JN,Pottier P. e-Learning versus lecture-based courses in ECG interpretation for undergraduate medical students: a randomized non inferiority study. Eur J Emerg Med. 2014 Nov 10. [Epub ahead of print]
[1] Open source, in informatica, indica un software i cui autori (detentori dei diritti) ne permettono e favoriscono il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l'applicazione di apposite licenze d'uso (in genere gratuite). (http://docs.moodle.org/dev/License)
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