L’efficacia di utilizzo delle tecniche di de-escalation nel paziente psichiatrico: revisione narrativa

Antonino Calabrò1, Alessia Marangon2, Maria Chiara Carriero3, Federica Ilari 4, Roberto Lupo5, Lorenzo Bardone6

  1. Infermiere ASL Biella S.P.D.C.
  2. Infermiera libera professionista;
  3. Psicologa Istituto Santa Chiara Roma
  4. Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;
  5. Infermiere ASL Le, Ospedale “San Giuseppe da Copertino”
  6. Infermiere Tutor della didattica professionale UPO sede di Biella;

 

* Corresponding Author: Dott. Antonino Calabrò, Infermiere presso l’ASL Biella S.P.D.C.

E-mail: antonino_calabro@pec.it

DOI: 10.32549/OPI-NSC-34

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Abstract

Introduzione: L’aggressività e la violenza nei luoghi di lavoro rappresentano un fenomeno psicosociale in continuo aumento e questo può causare possibili importanti ripercussioni all’intero processo di cura.

Obiettivo: Valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi del paziente psichiatrico.

Metodi: Per condurre la seguente revisione è stato delineato un quesito di ricerca utilizzando la metodologia PIO. Successivamente, è stata condotta una revisione narrativa della letteratura, attraverso l’utilizzo delle banche dati banche dati PubMed ed EMBASE.

Risultati: Dalla revisione della letteratura internazionale, solamente tre studi soddisfacevano i nostri criteri di inclusione. Dagli studi selezionati emerge che gli operatori della salute mentale reagiscono in modo diverso alla violenza. Alcuni si relazionano con i pazienti generando soluzioni positive, mentre altri gestiscono i pazienti con misure coercitive. Si evince l’efficacia dell’utilizzo delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi e che sia il personale che i pazienti aspirano a raggiungere relazioni non conflittuali e sociali mentre interagiscono in situazioni violente e minacciose.

Conclusioni: La de-escalation risulta essere la tecnica più efficace solo previa conoscenza accurata del paziente, delle sue patologie e degli eventuali segni e sintomi prodromici che possono indicare l’insorgenza di un comportamento aggressivo. Inoltre, risulta più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività. Tuttavia emerge l’assenza di un’adeguata formazione del personale, che possa garantire la corretta messa in pratica dell’intervento e che possa rendere più sicuri gli infermieri nella gestione dell’agito aggressivo e del paziente violento.

 

Parole chiave: Infermiere, Aggressione; Violenza, comportamento aggressivo, prevenzione, sicurezza, psichiatria, de-escalation, paziente disturbo mentale.

The effectiveness of using de-escalation techniques in the psychiatric patient: narrative review.

Abstract

Introduction:. Aggression and violence in the workplace represent an ever-increasing psychosocial phenomenon and this can cause possible important repercussions for the entire treatment process.

Objective: to evaluate the effectiveness of using de-escalation techniques in the management the psychiatric patient’s aggressive actions.

Methods:. To conduct the following review, a research question was outlined using the PIO methodology. Subsequently, a narrative review of the literature was conducted, through the use of the PubMed and EMBASE databases.

Results: From the review of the international literature, only three studies met our inclusion criteria Selected studies show that mental health workers react differently to violence. Some relate to patients by generating positive solutions, while others manage patients with coercive measures. The effectiveness of the use of de-escalation techniques in the management of aggressive actions and that both staff and patients aspire to achieve non-confrontational and social relationships while interacting in violent and threatening situations can be seen.

Conclusions: De-escalation is the most effective technique only after careful knowledge of the patient, his pathologies and any prodromal signs and symptoms that may indicate the onset of aggressive behavior. Furthermore, it is more complicated with subjects having a previous history of aggression. However, the absence of adequate staff training emerges, which can guarantee the correct implementation of the intervention and which can make nurses safer in the management of aggressive action and of the violent patient.

 

Keyword: Nurse, Aggression; Violence, Aggressive behavior, Prevention, Safety, Psychiatry, de-escalation, mental patient.

Introduzione

Nella realtà sanitaria l’aggressività nei luoghi di lavoro è un fenomeno in continuo aumento [1]. Gli operatori sanitari, in particolare gli infermieri, hanno un rischio maggiore di subire episodi di violenza [2] e ciò può danneggiare l’intero processo di cura oltre che incrementare lo stress da lavoro [3]. Vi sono delle aree specifiche di assistenza in cui i comportamenti aggressivi si verificano con maggiore frequenza: i servizi di emergenza [4], le attività domiciliari [5], le geriatrie e i servizi di salute mentale e psichiatria [6]. Molti sono gli studi che hanno analizzato i fattori di rischio che possono scatenare un passaggio all'atto (acting-out). Tra questi ricordiamo: il tempo d’attesa prolungato [7], una comunicazione inefficace, la riduzione del tempo da dedicare al paziente [7], l’età e il genere del paziente [8], patologie psichiatriche [8], demenze e/o lesioni cerebrali [9].

Il National Institute of Occupational Safety and Health [10] definisce l’aggressività come: “ogni atto di aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica nel posto di lavoro”. La violenza nel posto di lavoro invece, è riferita ad “una serie di comportamenti che possono causare danni, ferite o lesioni a un'altra persona, indipendentemente dal fatto che la violenza o l'aggressione siano espresse fisicamente o verbalmente, e il danno fisico sia sostenuto o l'intenzione sia chiara” [9].

In un’ottica preventiva sorge la necessità di un setting che possa prevenire e gestire il fenomeno dell’aggressività. In merito a ciò, il Ministero della Salute ha riportato delle raccomandazioni per la prevenzione e trattamento della violenza nei luoghi di cura [12] e ha erogato “La Raccomandazione n. 8” [13] che prende in considerazione la “prevenzione degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”. Fondamentale risulta, anche, la formazione del personale curante per poter riconoscere in tempo i segnali d’allarme e saper gestire gli ‘acting out’. In uno studio condotto da Heckemann et al. [14], in cui viene proposto un corso di gestione delle situazioni violente, il 50% dei partecipanti non si riteneva in grado di affrontare la situazione. In un altro studio condotto da Lanza et al. [15] si evince che i corsi di aggiornamento, in cui sono illustrate tecniche di prevenzione, non sono funzionali nel momento in cui i partecipanti sono già stati vittime di aggressione.

L’Istituto Nazionale per la Salute e il Clinical Excellence [16] hanno riportato l'uso di interventi contenitivi per la gestione del comportamento violento e, secondo le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), i principali sono di tipo farmacologico, fisico e comportamentale [11]. In particolare si ricordano: farmaci Pro re nata (PRN), Tecniche di De-escalation (distrazione, regolazione emotiva, rilassamento della persona ecc.), interventi restrittivi e il rapido rilassamento. Con l’adozione di tali tecniche, l’operatore, sempre dopo aver individuato i segni di un comportamento aggressivo, potrebbe essere in grado di prevenire l’atto violento prima che si verifichi.  Resta quindi fondamentale comprendere e prevenire tali episodi; ad oggi si sa poco sull’efficacia delle tecniche di de-escalation, spesso raccomandate, in termini di riduzione dei danni associati.

Obiettivo dello studio

Valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation per gestire gli agiti aggressivi del paziente psichiatrico.

 

Materiali e Metodi

Per condurre la revisione è stato delineato un quesito di ricerca utilizzando la metodologia Population, Intervention, Outcome (PIO) (Tabella 1).

È stata condotta una revisione della letteratura consultando le seguenti banche dati: PubMed ed EMBASE.

Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “De-escalation”;psychiatry”;psychiatry Nursing”; “psychiatric Deparment”, “Hospital; emergency Services”;aggression”; “anger”;violence”; “mental patient”; “psychomotr agitation”; “aggressive behavior”; “aggressive reaction”. Per la ricerca sono state utilizzate le stringhe riportate nella Tabella 2, composte da termini Mesh e key-words combinati tra loro attraverso gli operatori booleani AND & OR. Gli articoli ottenuti e i relativi full-text sono stati verificati da due valutatori, al fine di identificare i report pertinenti.

Criteri di inclusione ed esclusione, strategia di ricerca nella letteratura scientifica  

Sono stati fissati dei criteri di inclusione ed esclusione.

Criteri di inclusione: (a) studi primari; (b) studi pubblicati in lingua inglese e italiana; (c) studi pubblicati negli ultimi 10 anni (all’atto della stesura del presente manoscritto); (d) studi effettuati su popolazione adulta psichiatrica; (e) studi effettuati su popolazione europea e anglosassone.

Criteri di esclusione: (a) studi secondari; (b) articoli su pazienti di psichiatrica pediatrica e pazienti con deficit neurologici; (c) studi che facevano riferimento al solo intervento farmacologico.

Dopo aver applicato i criteri di inclusione ed esclusione, nella fase preliminare sono stati identificati 130 titoli (53 in PubMed e 84 in EMBASE). Sono stati esclusi 2 titoli poiché doppi. I 128 rimanenti sono stati valutati per titolo e abstract, ne sono stati scartati 116 perché non pertinenti con l’obbiettivo o non rispettavano i criteri d’inclusione e 2 perché studi secondari. Dei 10 rimanenti, dopo lettura del full text, sono stati scartati 7 ritenuti non pertinenti al quesito di ricerca. La procedura utilizzata nella selezione degli articoli è presentata di seguito sotto forma di un diagramma di flusso rappresentato nella Figura 1.

 

RISULTATI

Sono emersi tre studi pertinenti con il nostro quesito e nella Tabella 3 ne sono sintetizzate le caratteristiche e i risultati.

Lo studio di Price O. et al. [17], attraverso un’analisi qualitativa con interviste semi-strutturate, si è posto l’obiettivo di ottenere la descrizione da parte del personale, delle tecniche di de-escalation utilizzate. Sono stati esplorati le barriere e i fattori percepiti abilitanti all’attuazione delle tecniche di de-escalation. Sono stati selezionati 10 reparti, di cui solo 5 hanno accettato di partecipare. Sono stati intervistati coloro che lavoravano nel reparto con almeno 6 mesi di esperienza. I partecipanti hanno descritto 14 tecniche utilizzate in risposta all'aggressione, classificate in 3 categorie: (a) supporto, (b) controllo non fisico, (c) controllo fisico. Tale studio fornisce un quadro per comprendere la relazione tra comportamento del paziente, influenze ambientali e risposta del personale. Lo studio di Mary Lavelle et al. [18], invece, identifica con un’analisi retrospettiva, la sequenza di eventi che precedono la de-escalation, nei reparti psichiatrici ospedalieri.

Sono state valutate le caratteristiche del paziente e dell’ambiente che influenzano l’utilizzo delle tecniche. Sono stati selezionati 522 pazienti delle unità psichiatriche. Per ogni paziente è stato registrato il coinvolgimento durante i conflitti. Più della metà (53%) ha messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del personale entro le prime due settimane di ricovero. Nel 60% dei casi la de-escalation ha avuto successo, ma è la più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività, per cui si richiede l’uso dei farmaci PRN. Infine, in uno studio etnografico di Berring L. et al. [19], si descrive come i pazienti e i membri del personale (N=41) definissero situazioni violente, e come attribuissero un significato al flusso di azioni in situazioni di de-escalation. L'analisi ha indicato che sia il personale che i pazienti aspiravano a raggiungere relazioni non conflittuali mentre interagivano in situazioni minacciose.

 

DISCUSSIONE

La presente revisione ha l’obiettivo di valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation per gestire gli agiti aggressivi del paziente psichiatrico. Le 14 tecniche di de-escalation oggetto di indagine nello studio di Price O. et al, sono applicate su un continuum che và dal supporto al controllo e si suddividono in: 6 tecniche dette di “Supporto” (intervento passivo, rassicurazione, distrazione, problema identificazione, risoluzione, riformulazione) con lo scopo di consentire al paziente di utilizzare le proprie risorse per autoregolare l'aggressività; 4 tecniche di “Controllo non fisico” (manipolazione ambientale, rimprovero, deterrenti, istruzione) con interventi più autorevoli che hanno esplicitamente affermato il controllo del personale nel contenere comportamenti dannosi;  4 tecniche di “Controllo fisico” (medicinali psicotropi , isolamento, contenimento, psicotropi intramuscolari forzati) con lo scopo di eliminare ulteriori aggressioni attraverso l’applicazione di pratiche restrittive. Le decisioni di adottare tecniche di controllo non fisiche sono state influenzate da: funzione percepita dell’aggressività, trial-and-error, rituali e routine locali che riguardano la gestione dell’aggressività, rischio e conoscenza del paziente. Il personale riscontra che se venissero messe in atto tecniche di controllo non fisico più efficaci, potrebbero portare ad un’escalation più elevata con conseguente utilizzo di pratiche restrittive. Inoltre si è riscontrato che la de-escalation risulta inefficace se messa in atto con pazienti aventi disturbi di personalità. I fattori ambientali e organizzativi risultano essere influenti nella buona pratica del controllo non fisico. I dati ottenuti da questo studio sono stati generati dalla sintesi delle opinioni e delle esperienze dei partecipanti. Questo potrebbe non fornire delle prove esaustive sui risultati, ma la ricerca rappresenta comunque, un punto di partenza per gli studi futuri. Inoltre, per limitare l’eterogeneità del campione e per renderlo quanto più rappresentativo possibile, è stato incluso solo il personale che aveva esperienza nelle tecniche di de-escalation ed è stato escluso, invece, il personale manager di reparto. Questo può aver omesso dati potenzialmente rilevanti. Un'ulteriore limitazione riguarda la concettualizzazione delle tecniche di de-escalation. In particolare, i partecipanti allo studio hanno visto le tecniche di“controllo non fisico” come coercitive e parte importante del processo di de-escalation. È possibile, quindi, che i partecipanti, abbiano concepito in modo impreciso le tecniche di de-escalation, come un intervento terapeutico coercitivo piuttosto che psicosociale. È probabile che una maggiore formazione ai partecipanti su queste tecniche, avrebbe dato risultati più esaustivi e importanti approfondimenti sulle realtà cliniche in cui vengono utilizzate. Ad esempio, come e perché vengono selezionate dal personale alcune tecniche, la relazione tra i due livelli di intervento, supporto e controllo non fisico, e la riuscita o l’uso di pratiche restrittive. Inoltre, capire quando e perché cessano di essere utilizzate le tecniche di supporto avrebbe dato prove importanti per ridurre la violenza e l'uso di queste pratiche. Tuttavia la formazione attuale riguardo le tecniche di de-escalation appare poco consona per permette al personale di regolare e gestire l’ansia con conseguente corretta messa in atto dell’intervento.  Lo studio di Mary Lavelle et al. [18], identifica gli eventi che precedono la de-escalation nei reparti psichiatrici, valutando le caratteristiche del paziente e dell’ambiente che influenzano l’utilizzo delle tecniche, ha portato alla luce che più della metà dei pazienti (53%) ha messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del personale e nel 60% dei casi la de-escalation ha avuto successo, anche se  risulta più complicata con i soggetti aventi una storia pregressa di aggressività, dimostrando che una scarsa fiducia nell’efficacia di queste tecniche quando il rischio di violenza è maggiore. Lo studio, va a confermare i dati presenti in letteratura, per cui molte volte gli infermieri vivono la violenza come“normale” e questa “normalizzazione” rende difficile l’identificazione della gravità della problematica[20]. Nello studio di Mary Lavelle, infatti, eventi che verrebbero classificati come di de-escalation non sono considerati incidenti significativi da parte degli infermieri. Inoltre, questo studio è un'analisi retrospettiva su un campione di pazienti consenzienti, e ciò potrebbe non fornire un quadro accurato della realtà clinica. Un'altra criticità identificata dall’autore è riferita all'intervallo di tempo analizzato. Viene analizzato ciò che accade di un turno di lavoro, perdendo possibili relazioni tra eventi che si verificano distanti nel tempo. Diventa, perciò, fondamentale incrementare una formazione per migliorare la fiducia nel personale ad utilizzarla e nel rilevare i sintomi prodromici dell’agito aggressivo, in quanto l’efficacia della de-escalation è ottimale se viene messa in atto all’inizio del ciclo dell’aggressività.

L’ultimo studio selezionato, condotto da Berring L. et al. [15], descrive il modo in cui i pazienti e il personale sanitario definiscono situazioni violente e il significato che ne è attribuito. Attraverso lo studio etnografico e multiplo, i partecipanti sono stati incoraggiati a contattare il ricercatore dopo aver riscontrato una situazione di de-escalation. Dopo aver riferito una situazione del genere, il primo autore avrebbe condotto delle interviste per indagare sul caso. L'analisi ha indicato che sia il personale che i pazienti aspiravano a raggiungere relazioni pacifiche quando interagivano in situazioni violente. Inoltre, lo studio ha anche rivelato come tutte le parti usassero gli stessi schemi di base nel definire le situazioni. A tal proposito, le soluzioni di de-escalation venivano definite: (a) sulla base di credenze mentali esistenti, (b) le credenze venivano cambiate, perché si rifletteva su ciò che aveva portato alla situazione e si raggiungeva un apprendimento. I ricordi di situazioni vissute creavano aspettative anticipatorie nel paziente e queste avevano un impatto nel definire la situazione attuale. Perciò, la conoscenza del paziente e il suo passato possono garantire la possibilità di agire nel modo più adeguato e tempestivo in momenti di agitazione. Risulta, dunque, quanto sia importante il momento riflessivo, in quanto porta il paziente a creare pensieri positivi della situazione e promuovere la risoluzione dei problemi. Nello studio di Berring la visione dell’interazione sociale è su piccola scala, ma fornisce delle informazioni utili su come le esperienze passate influenzano le presenti nella pratica clinica. Pertanto, lo studio approfondisce le pratiche organizzative per comprendere meglio i comportamenti violenti e minacciosi.

 

 

LIMITI

Il presente studio aiuta a comprendere i comportamenti violenti ma non è esaustivo sul fenomeno indagato e necessita di una più approfondita analisi. Il lavoro presenta alcuni limiti. È stata presa in considerazione solo la letteratura più recente degli ultimi 10 anni e sono state interrogate le banche dati PubMed ed EMBASE, non coinvolgendo quelle minori. Il campione di studi era orientato verso specifiche popolazioni e questo fattore può aver ridotto la generalizzabilità dei risultati.

 

CONCLUSIONI

L’obiettivo di questa indagine era quello di valutare l’efficacia delle tecniche di de-escalation, per la prevenzione e la gestione degli agiti aggressivi nei confronti del personale sanitario. Gli operatori della salute mentale reagiscono in modo diverso alla violenza. Alcuni si relazionano con i pazienti in modi che producono soluzioni positive [21], mentre altri gestiscono i pazienti con misure coercitive. È emersa l’efficacia dell’utilizzo delle tecniche di de-escalation nella gestione degli agiti aggressivi. Tuttavia, emerge che un’adeguata formazione del personale, può garantire interventi in più tempestivi e rendere gli infermieri nella gestione dell’agito aggressivo. Infatti, si nota che la de-escalation è efficace previa conoscenza del paziente, delle sue patologie e dei segni che possono indicare l’insorgenza di un comportamento aggressivo, da poter applicare le tecniche fin dal primo momento. Vi è il bisogno di formulare ipotesi di miglioramento qualitativo delle situazioni di rischio e di aggiornare le competenze professionali dell’infermiere, attraverso corsi di formazione in cui introdurre approcci di gestione del paziente. Inoltre, potrebbe essere interessante indagare il tasso di denunce e segnalazioni degli operatori sanitari all’autorità giudiziaria, a causa degli attacchi violenti e delle conseguenze fisiche. Secondo alcuni studi, non sono state registrate denunce [22,23] e questa osservazione potrebbe suggerire che l’aggressione da parte di un paziente può essere giustificata da un operatore sanitario, a differenza della violenza perpetrata da persone sane.

Questo potrebbe portare a pensare che già durante la situazione di escalation ci sia una predisposizione passiva dell’infermiere nei confronti del paziente. Dai dati presenti in letteratura risulta che anche le attitudini degli infermieri siano un elemento importante da prendere in esame se si vogliono ridurre gli episodi di violenza. Tutto questo porta la nostra attenzione sul concetto di prevenzione, sull’offrire una formazione del personale sanitario sulle modalità comunicative e di gestione e sul dare un supporto psicologico ed una preparazione psicologica per accrescere la consapevolezza delle proprie reazioni ed emozioni di fronte al rischio di violenza. Si potrebbe, quindi, rendere l’operatore più preparato a prevedere e gestire le situazioni di pericolo, non solo per “essere in grado” ma anche per “sentirsi in grado” di affrontarle, con un esito efficace.

 

Abbreviazioni
NICE (National Institute for Health and Care Excellence)

Acting-out (passaggio all'atto)

PRN (Pro re nata)

PIO (Population, Intervention, Outcome)

 

BIBLIOGRAFIA

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Benessere organizzativo e soddisfazione lavorativa: studio cross-sectional in una popolazione di infermieri

Anna Arnone1*, Maria Vicario2

  1. Dipartimento di Emergenza e Accettazione U.O. Medicina d’Urgenza, A.O.R.N. ‘’Antonio Cardarelli’’, Napoli (Italia)
  2. Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi della Campania ‘’Luigi Vanvitelli’’, Napoli (Italia); Presidente FNOPO

Corresponding Author: Anna Arnone, infermiera presso Dipartimento di Emergenza e Accettazione U.O. Medicina d’Urgenza, A.O.R.N. ‘’Antonio Cardarelli’’. E-mail: anna.arnone93@live.it                               

DOI: 10.32549/OPI-NSC-33

Cita questo articolo

 

ABSTRACT

Introduzione: La soddisfazione lavorativa impatta su molteplici aspetti nell’ambiente di lavoro influenzando la produttività, la performance, l’assenteismo, la permanenza, l’assunzione, l’impegno organizzativo, l’assistenza. Lo scopo dello studio è stato quello di documentare la percezione del livello di benessere organizzativo e di soddisfazione lavorativa individuando i determinanti di malessere organizzativo presso l'ASL 3 Genovese ''Ospedale Villa Scassi''.

Materiali e Metodi: Lo studio cross-sectional è stato condotto da aprile a giugno 2019; le informazioni sono state raccolte attraverso un questionario somministrato ad un campione di 318 infermieri composto da 72 items e da diverse variabili sociodemografiche di cui 22 per indagare il livello di burnout e gli altri 50 per indagare l’influenza dei fattori psicosociali sullo stato di benessere dei lavoratori.

Risultati: Sono stati somministrati un totale di 318 questionari con un tasso di adesione del 36.16%. Il 76.52% della popolazione non è soddisfatta della propria condizione lavorativa, mentre il 20.86% lo è. I livelli di sfinimento emotivo sono risultati elevati in quanto il 30% del campione intervistato risulta essere ''più volte al mese'' emotivamente stressato a causa del lavoro svolto. Il 33.9% e il 42.6% del campione hanno giudicato complesso e interessante il proprio lavoro con un voto pari a 10.

Discussione: Vi è la necessità di rendere le organizzazioni sanitarie maggiormente consapevoli che avere una classe di infermieri che mostrano passione e interesse nei confronti della propria professione migliora la qualità del lavoro stesso e la qualità delle cure fornite agli assistiti.

Parole Chiave: Soddisfazione, lavorativa, motivazione, infermieri, burnout, benessere organizzativo, autonomia

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Organizational well-being and job satisfaction: cross-sectional study in the nursing population

ABSTRACT

Introduction: Job satisfaction impacts on many aspects of the work environment, influencing productivity, performance, absenteeism, permanence, hiring, organizational commitment, assistance. The aim of the study was to document the perception of the level of organizational well-being and job satisfaction by identifying the determinants of organizational malaise at the ASL 3 Genovese '' Villa Scassi Hospital ''.

Materials and Methods: The cross-sectional study was conducted from April to June 2019. Data were acquired with a questionnaire administered to 318 nurses and composed by 72 items and different socio-demographic variables, 22 to investigate the level of burnout and 50 to investigate about influence of psychosocial factors on the welfare state of workers.

Results: 318 questionnaires were administered with a 36.16% membership rate. 76.52% of the population is not satisfied with their working status, while 20.86% are. The levels of emotional exhaustion are high because 30% of the interviewed sample appears to be emotionally stressed "several times a month" due to the work done. 33.9% and 42.6% considered their work complex and interesting with a grade of 10.

Discussion: It’s necessary to make health organizations more aware that having nurses who show passion and interest in their profession improves the quality of work itself and the quality of care and attention provided to clients.

Keywords: Job satisfaction, motivation, nurses, burnout, organizational well-being, autonomy.

INTRODUZIONE

In questo periodo storico vi è un’immagine molto variegata della figura infermieristica. Il pieno riconoscimento dell’identità professionale, sempre rivendicata dagli  infermieri, è ancora purtroppo solo teorica. Il motivo dell’incertezza di questo ruolo risente ampiamente senz’altro nei cambiamenti avvenuti nel processo formativo. Infatti la rivoluzione culturale e professionale auspicata dai diversi dispositivi normativi degli ultimi anni non è stata pienamente recepita non solo nell’immaginario collettivo ma anche tra gli stessi infermieri e questo è scaturito dalla rapida crescita che il ruolo dell’infermiere ha avuto attraverso numerosi cambiamenti avvenuti troppo in fretta negli ultimi venti anni [1,2,3]. L’immagine della figura infermieristica è da tempo un aspetto molto dibattuto sia a livello nazionale che internazionale, in quanto il ritratto professionale fornito dai media, la percezione sociale e l’auto-percezione individuale e collettiva degli infermieri sono fortemente influenzate dagli stereotipi negativi riprodotti dai media, con ricadute negative sulle politiche di allocazione delle risorse e sulla strutturazione dell’identità professionale dell’infermiere [4]. Il quadro che ne deriva conduce non solo ad una considerazione errata del ruolo degli infermieri da parte della società e al crearsi di uno scarso rapporto di fiducia tra la popolazione

e questa figura sanitaria, ma anche ad una non adeguata considerazione che gli infermieri hanno di sé, minando la loro autostima, le performance lavorative e di conseguenza, gli outcome assistenziali [5]. Questi professionisti, inoltre, si trovano quotidianamente di fronte a sfide complesse costituite dalle condizioni cliniche degli utenti e dalla relazione spesso conflittuale con l’organizzazione in cui lavorano: più una persona sente di appartenere all’organizzazione più ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi, più trova motivazione e significato nel suo lavoro [6].

Pertanto tutti questi fattori contribuiscono a ridurre l’attrazione per la professione infermieristica, inducendo negli infermieri stessi frustrazione, stress ed insoddisfazione lavorativa, conducendo ad un elevato turnover e conseguentemente incrementando l’intenzione di abbandono nei diversi contesti lavorativi, come supportato dalla letteratura in cui lo stress è considerato un fenomeno con un’incidenza maggiore agli esordi della carriera lavorativa [7,8]. In genere si dà ampia considerazione all'influenza delle caratteristiche personali come elementi di rischio senza considerare il peso dei fattori caratteristici associati al contesto lavorativo. In letteratura, tuttavia, si dà ampia considerazione a tali fattori, causa di stress a lunga durata, tra i quali figurano tensioni eccessive e prolungate e il rapporto interpersonale [9].

Le organizzazioni sanitarie dovrebbero avere maggiore consapevolezza che un migliore funzionamento di una struttura sanitaria è imprescindibilmente legata al grado di soddisfazione lavorativa degli infermieri e degli operatori sanitari che contribuiscono a migliorare il funzionamento operativo della struttura, alla soddisfazione del team e degli utenti e alla loro influenza positiva sugli esiti che vengono raggiunti attraverso un costante impegno garantendo così un’assistenza di qualità [10]. In questa prospettiva la leadership assume un ruolo chiave nel coordinamento e nell’organizzazione che, come supportato da alcuni studi [11,12], influenza la percezione degli infermieri sulla propria organizzazione nonché la cultura organizzativa attraverso la quale, le strutture sanitarie sono ritenute espressione dello sviluppo personale del leader.

Obiettivo dello studio

L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di rilevare in un campione di infermieri la percezione del livello di benessere organizzativo e di soddisfazione lavorativa e conseguentemente, individuare i principali fattori di malessere organizzativo in grado di influenzare il clima aziendale e di determinare lo stato di benessere psico-fisico dei lavoratori [13,14].

MATERIALI E METODI

Lo studio, di tipo cross-sectional, si è svolto nel periodo aprile-giugno 2019 presso l’ASL 3 Genovese ''Ospedale Villa Scassi'' di Genova. Lo studio ha incluso le unità operative (UU.OO.) di Pronto Soccorso, Chirurgia toracica e vascolare, Medicina generale, Ortopedia, Chirurgia generale, Centro ustioni, Cardiologia e Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC), Pneumologia, Neurologia, Nefrologia e dialisi, Oncologia, Rianimazione e Terapia Intensiva. Le UU.OO. suddette sono state incluse nello studio per omogeneità delle attività, delle risorse umane o tecnologiche impiegate e delle procedure operative adottate e per complementarietà organizzativa.

Prima di procedere alla somministrazione dei questionari è stata richiesta e ottenuta autorizzazione scritta dalla Direzione Sanitaria Aziendale e i partecipanti allo studio hanno firmato il consenso informato e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Sono stati considerati eleggibili tutti gli infermieri che hanno aderito su base volontaria all’indagine e operanti al momento della valutazione. Non sono stati offerti incentivi per la partecipazione allo studio.

Per le finalità dello studio è stato utilizzato uno specifico strumento validato [15,16], composto in cinque sezioni per un totale di 77 items.

La prima è costituita da 12 items come inquadramento delle caratteristiche socio-demografiche del campione (età anagrafica, nazionalità, anzianità nella qualifica di infermiere, durata dell’attuale mansione, stato civile, figli di età inferiore ai 18 anni, abitudine al fumo, assunzione cronica di psicofarmaci, vicinanza dell’abitazione al luogo di lavoro, titolo accademico infermieristico (diploma o laurea I livello), categoria di pazienti assistiti (lungodegenti, soggetti affetti da patologie acute), tipologia del luogo di lavoro).

  • La seconda parte del questionario è costituita dalla versione italiana del Maslach Burnout Inventory [15] composta da 22 items con l’utilizzo della scala Likert a 6 punti che individua tre diverse componenti atte a valutare il livello di Burnout.

La terza e la quarta parte, costituite rispettivamente da 21 e 32 items, indagano l’influenza dei fattori stressogeni e psicosociali sullo stato di benessere dei lavoratori attraverso le sezioni seconda e terza proposte dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale per le indagini epidemiologiche sulla valutazione delle condizioni lavorative [16].

La parte conclusiva è costituita da una scala analogica visiva con un range di valori compresi tra 1 e 10 (da nessuno ad enorme) per indicare il proprio interesse per il lavoro e la complessità del lavoro stesso. I questionari sono stati consegnati ai coordinatori che hanno provveduto a distribuirli in ciascuna U.O. suddetta al personale infermieristico che, a sua volta, ha provveduto a compilarli in modalità anonima e a riconsegnarli al proprio coordinatore per il successivo ritiro.

Analisi Statistica

I dati sono stati espressi come numeri assoluti o percentuali nel caso di variabili qualitative. L’uso di numeri assoluti o percentuali è stato utilizzato anche nel caso di variabili continue, come ad esempio l’età, grazie ad una stratificazione per intervalli eseguita sui rispettivi campi o range di variazione. Infine i risultati di questo studio sono stati rappresentati attraverso distribuzioni di frequenza e, a seconda dei casi, con la rappresentazione grafica più opportuna. Tutte le analisi statistiche sono state eseguite utilizzando Microsoft Excel ver. 2019 per Windows 10.

 

RISULTATI

Sono stati distribuiti 318 questionari in 14 diverse unità operative (UU.OO.) e sono stati ricevuti in totale 115 questionari completi, 1 incompleto, 27 non pervenuti e 175 vuoti.

Come mostrato in Figura 1 si evince la partecipazione della popolazione alla compilazione del questionario: il 55.03 % della popolazione non ha partecipato all’indagine, solo il 36.16 % ha aderito in maniera attiva allo studio, un solo questionario è risultato incompleto (0.3 %) e l’8.4% dei questionari non sono pervenuti.

Il campione analizzato risulta così composto: il 77.39% rispondente appartiene al genere femminile e il 22.61% al genere maschile. Il 52.17% degli intervistati ha un’età superiore ai 45 anni e il 58.26% del campione lavora nella propria struttura da più di dieci anni.

Figura 1 La partecipazione della popolazione alla compilazione del questionario.

Il 97.39 % del campione è di nazionalità italiana mentre solo il 2.60 % è extracomunitario. Il 53.04% del campione possiede il diploma professionalizzante ante D.M. 509/1999 e il restante 46.95 % possiede il titolo di laurea triennale di I livello.

E’ stato chiesto ad ogni intervistato se fosse soddisfatto o meno della sua condizione lavorativa dal punto di vista sia organizzativo che socio-economico: il 76.52 % del campione (cioè 88 individui su 115) non è soddisfatto della propria condizione lavorativa, solo il 20.86 % ha risposto a questa domanda in maniera affermativa ed il 2.6 % si è astenuto dal rispondere. Il risultato sull’assunzione di psicofarmaci da parte degli operatori che hanno partecipato allo studio evidenzia che solo il 3.47% di essi dichiara di farne uso, mostrando che la maggior parte degli operatori sanitari (96.52%) non utilizza psicofarmaci.

Tutti i dati acquisiti relativi alla scheda anagrafica presente nel questionario sono riportati nella seguente Tabella 1.

Tabella 1 Caratteristiche generali del campione

Sono state analizzate, inoltre, le preoccupazioni dei lavoratori, che avevano tre possibili scelte di risposta: 1) No, 2) Professionali, 3) Familiari.

Anche in questo caso sono riportate le risposte ottenute dal campione di infermieri arruolati in questo studio e appartenenti a differenti Unità Operative (UU.OO.) (Figura 2). Il 36.5 % della popolazione presenta preoccupazioni familiari, mentre il 26.1 % preoccupazioni professionali e il 28.7 % non presenta preoccupazioni. Va aggiunto che il 3.5 % della popolazione non ha risposto alla domanda e il 5.2 % ha inserito due risposte: preoccupazioni familiari e professionali.

Figura 2 Andamento delle preoccupazioni dei lavoratori: R1 (nessuna preoccupazione), R2 (preoccupazioni personali), R3 (preoccupazioni familiari).

Un altro tema analizzato in questo studio sono le condizioni lavorative associate al personale infermieristico. Anche in questo caso sono stati selezionati alcuni item che valutano la necessità di essere molto veloci nel lavoro da svolgere, molto produttivi e la quantità di funzioni da svolgere. In questo caso per ogni domanda sono presenti 4 possibili risposte, numerate da 1 a 4, con il seguente significato: 1) raramente, 2) qualche volta, 3) abbastanza spesso, 4) molto spesso

Dalla Figura 3 si nota che per quanto riguarda le mansioni da svolgere, il 47.8 % della popolazione ha affermato che “molto spesso” l’operatore ha molte cose da fare nel suo lavoro giornaliero e solo lo 0.9 % fornisce la risposta 1.

Riguardo l’obbligatorietà ad essere produttivi, il 47 % della popolazione fornisce la risposta 3 e, anche in questo caso, lo 0.9 % fornisce la risposta 1. Un’altra caratteristica valutata è la velocità nel lavoro, la quale per il 39.1 % del campione risulta essere richiesta “abbastanza spesso” (risposta 3).

                                 

Figura 3.  (3a) Andamento delle condizioni lavorative associate al personale infermieristico (mansioni da svolgere). (3b) Andamento delle condizioni lavorative associate al personale infermieristico (produttività). (3c) Andamento delle condizioni lavorative associate al personale infermieristico (velocità nel lavoro).

Nella Figura 4a sono riportate le percentuali delle risposte alla possibilità di scegliere l’ordine con cui svolgere i compiti attribuiti al proprio ruolo e a cui si è attribuita una risposta da 1 a 5 con il seguente significato: 1) Fortemente, 2) Molto, 3) Moderatamente, 4) Un po’, 5) Molto poco.

Il 26.1 % della popolazione ha fornito la risposta 4 e solo il 10.4 % ha fornito la risposta 1. In Figura 4b, invece, sono riportate le risposte del campione analizzato riguardo la scelta della parte del lavoro da effettuare con 4 possibili risposte, numerate da 1 a 4, con il seguente significato: 1) Enormemente, 2) Molto, 3) Un po’, 4) Per niente.

       

Figura 4. (4a) Andamento dell’indipendenza lavorativa (ordine con cui svolgere i compiti). (4b) Andamento dell’indipendenza lavorativa (scelta del lavoro da effettuare)

Il 47 % del campione ritiene che le funzioni da svolgere siano molto numerose e, in media, il lavoro richiede di essere “abbastanza spesso” veloce (39.1 %) e produttivo (47 %). Al contrario, però, analizzando la possibilità di scegliere l’ordine con il quale svolgere i compiti lavorativi e analizzando la possibilità che gli infermieri hanno di decidere quale parte del loro lavoro effettuare, è stato notato che in entrambi i casi i lavoratori hanno relativa autonomia (Figure 4a e 4b).

Nello studio sono stati analizzati i livelli di sfinimento emotivo a cui sono associati sintomi tipici quali ansia, irritabilità, insonnia (Figura 5) dai quali il nostro campione non è esente. Esso, infatti, presenta livelli medi di tali sintomatologie che, secondo i risultati del questionario, si presentano, in media, con una frequenza pari a “qualche volta”. I sintomi più comuni risultano ansia e tensione (52.2 %), irritabilità (62.2 %) e nervosismo (58.3 %).

In questo caso per ogni domanda sono presenti 4 possibili risposte, numerate da 1 a 4, con il seguente significato: 1) Mai/raramente; 2) Qualche volta; 3) Abbastanza spesso; 4) Molto spesso/costantemente

                             

Figura 5. (5a) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (ansia). (5b) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (stati depressivi). (5c) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (fatica intensa o spossatezza). (5d) Presenza di sintomi tipici derivanti da condizioni di intenso stress e disagio (irritabilità).

In ultimo, è stato chiesto ad ogni operatore di esprimere, con un voto nel range da 1 (nessuno) a 10

(enorme), l’interesse che esprime nei confronti del proprio lavoro e il giudizio sulla complessità di quest’ultimo.

Come si nota dalla Figura 6, il 33.9 % della popolazione ha giudicato con un voto pari a 10 la complessità del proprio lavoro e, per quanto riguarda l’interesse, il 42.6 % della popolazione ha un elevato interesse nei confronti del proprio lavoro, fornendo un voto pari a 10.

 

Figura 6.  (6a) Giudizio sulla complessità del lavoro. (6b) Interesse nei confronti del lavoro.

 

DISCUSSIONE

Solo il 36.16 % della popolazione ha partecipato in maniera attiva alla compilazione del questionario, mentre il 55.03 % non ha compilato (Figura 1). Tra le possibili motivazioni vi è lo scarso interesse in esame, nonostante fosse rivolto a comprendere le condizioni lavorative di questi ultimi per avere a disposizione materiale utile per un futuro miglioramento. Altra possibile motivazione è rappresentata dalla intensa attività lavorativa quotidiana degli infermieri che, come mostrato, è molto elevata.

Il campione analizzato risulta essere composto dal 77.39 % da donne e solo dal 22.61 % da uomini, a conferma degli studi statistici effettuati nel corso degli anni che attestano che il lavoro in ambito infermieristico risulta essere in prevalenza scelto dalle donne [17]. Il 52.17 % dei partecipanti ha un’età superiore ai 45 anni e il 26.08 % ha un’età inferiore ai 30 anni; tale dato è in linea con recenti studi sull’ ‘’invecchiamento” della popolazione infermieristica in Italia, un fenomeno ormai diffuso nella società italiana che vede una progressiva riduzione del numero degli infermieri nonché l’aumento dell’età media della popolazione lavorativa e che potrebbero determinare problemi rilevanti sia in termini di "tenuta” che di “qualità” del sistema assistenziale in riferimento alla particolare e delicata tipologia delle funzioni e prestazioni erogate [18]. In letteratura, a tal proposito, si evidenzia che i soggetti anagraficamente e professionalmente più anziani risultano significativamente più insoddisfatti e più a rischio di Burnout [19].

Al dato anagrafico va anche aggiunto e correlato il dato sul tempo di lavoro in struttura: il 58.26 % degli intervistati lavora presso l’ASL 3 Ospedale Villa Scassi da un tempo superiore a 10 anni, evidenziando che la maggior parte del campione analizzato ha grande esperienza sia in ambito lavorativo che dal punto di vista della conoscenza del luogo di lavoro. Ciò è molto importante ai fini dello studio perché una migliore conoscenza del luogo di lavoro permette di avere informazioni veritiere sia sulle condizioni lavorative che sullo stress derivante dal luogo di lavoro.

Il dato che risulta più preoccupante, però, è la soddisfazione della condizione lavorativa dal punto di vista organizzativo e socio-economico del singolo lavoratore: il 76.52 % del campione non è soddisfatta della propria condizione lavorativa, mentre il 20.86 % lo è. Tale dato è indice di un diffuso malessere presente nella categoria degli infermieri e ciò è dovuto sia al carico e alle condizioni di lavoro sia al forte stress emotivo a cui sono soggetti; questo comporta un'ulteriore diminuzione delle risorse disponibili e un impatto psicologico negativo sui pazienti ricoverati che avvertono una minor sicurezza sul loro stato di salute, fonte di stati di ansia e depressione che provocano un deterioramento delle condizioni cliniche generali [20]. Studi statistici dimostrano che i livelli di burnout risultano più elevati negli infermieri rispetto ad altre categorie lavorative e sono legati al contatto diretto e prolungato con i pazienti, con rischio di coinvolgimento emotivo e a bassi livelli di soddisfazione sul lavoro [21,22].

Conclusioni

I dati dello studio confermano la necessità di rendere le organizzazioni sanitarie maggiormente consapevoli che avere una classe di infermieri che mostrano passione e interesse nei confronti della propria professione migliora la qualità del lavoro stesso e la qualità delle cure e delle attenzioni fornite agli assistiti [23].

Gli elementi di prevenzione nei luoghi di lavoro individuati in letteratura sono la promozione della salute, la riduzione del sovraccarico orario e la gestione di sessioni di supervisione [24].

Tra le strategie che concorrono alla motivazione e alla soddisfazione lavorativa sui quali è necessario intervenire si possono considerare il rafforzamento delle risorse individuali per aumentare la capacità di gestione dello stress lavorativo e il miglioramento delle dinamiche relazionali [7].

Limiti dello studio

In questo studio preliminare è stata sviluppata un’indagine statistica puramente descrittiva condotta solo in una singola struttura ospedaliera in cui solo il 36.16 % del campione ha partecipato in maniera attiva alla compilazione del questionario. Sarebbe interessante sottoporre alla stessa indagine anche altre strutture per comprendere quale sia, nei vari luoghi d’Italia, da nord a sud, l’interesse che la classe infermieristica mostra nei confronti della propria professione per poterla poi correlare alle statistiche sulla qualità del lavoro svolto dagli infermieri stessi.

 

Eventuali Finanziamenti

Questa ricerca non ha ricevuto nessuna forma di finanziamento

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano che non hanno conflitti di interesse associati a questo studio.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano gli Infermieri dell’ASL 3 Genovese ‘’Ospedale Villa Scassi’’ chiamati quotidianamente a garantire ai pazienti un’assistenza di qualità, efficace, efficiente, personalizzata, sicura e competente.

 

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This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Efficacia della membrana amniotica nel trattamento delle ulcere del piede diabetico: una revisione della letteratura

Martina Raviglione1, Mariella Genta2, Lorenzo Bardone3

  1. Infermiera presso S.C. Medicina Interna, Ospedale degli Infermi, Ponderano
  2. Infermiera presso Ambulatori di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale degli Infermi, Ponderano
  3. Infermiere presso Università del Piemonte Orientale UPO, sede di Biella

* Corresponding Author: Martina Raviglione, Infermiera presso S.C. Medicina Interna, Ospedale degli Infermi, Ponderano (Italy). E-mail: martina.raviglione11@gmail.com                         

DOI: 10.32549/OPI-NSC-32

RIASSUNTO

Introduzione: Il piede diabetico è una complicanza del diabete, che può comportare  gravi limitazioni nelle attività della vita quotidiana, generare complicanze come infezioni e amputazioni.

La membrana amniotica, considerata un materiale di scarto post-parto, grazie alla ricerca e ai recenti progressi, è riconosciuta come importante risorsa per le medicazioni.

Materiali e Metodi: Revisione della letteratura condotta sulle banche dati CINAHL, PubMed ed EMBASE.

Risultati: Dagli studi selezionati si evince come la membrana amniotica abbia molteplici proprietà, come ruolo nella gestione delle lesioni cutanee, contribuendo ad aumentare il comfort del paziente oltre a diminuire il periodo di degenza ospedaliera ipotizzando una riduzione dei costi a livello sanitario.

Conclusione: La letteratura scientifica conferma che la membrana amniotica è ottimale nella risoluzione delle ulcere del piede diabetico, tuttavia ulteriori studi sono raccomandati.

 

Parole chiave: Piede diabetico, ulcera del piede diabetico, membrana amniotica, idratazione, standard di cura

 

EFFECTIVNESS OF THE AMNIOTIC MEMBRANE IN THE TREATMENT OF DIABETIC FOOT ULCERS: A LITERATURE REVIEW

ABSTRACT

Introduction: One of the complications of diabetes is the diabetic foot, whose main negative outcomes are ulcers, which can become chronic wounds leading to severe limitations in the activities of daily life, up to infection and amputation. The main objectives of nurses specialized in wound care are to promote a rapid and complete wound healing, which is why it is important to improve the awareness of new products that can help provide optimal care. The placenta, in particular the amniotic membrane, is considered a postpartum waste material but, thanks to research and recent progress, it is starting to be recognized as an important resource for dressings.

Materials and Methods: Review of the scientific literature, the databases were interrogated: CINAHL, PubMed and EMBASE.

Results: The analyzes carried out show that the amniotic membrane has multiple properties, in addition to reducing the length of hospital stay, visits, home care and increase the comfort of the patient and can result in a reduction of health costs.

Discussion: By evaluating the effects on clinical practice, it is possible to state that the amniotic membrane dressings associated with standard dressings are preferable compared to standard dressings only. Despite the large number of skin substitutes developed so far, there is no synthetic medication with these complex and multidirectional properties.

Conclusion: Research confirms that the amniotic membrane is optimal in resolving diabetic foot ulcers, however further studies are needed.

 

Keywords: “diabetic foot” “diabetic foot ulcer” “amniotic membrane” “moist dressing” “standard of care”

INTRODUZIONE

Il diabete è un importante problema di salute pubblica [1]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2030 sarà diagnosticato in 336 milioni di persone in tutto il mondo, contro i 171 milioni del 2000 [1]. A lungo termine provoca alterazioni vascolari, in particolare agli arti inferiori con lo sviluppo del cosiddetto “piede diabetico” [2], importante problema medico, sociale ed economico [1]. In molti casi, le lesioni cutanee non riescono a guarire rapidamente evolvendo in ulcere con conseguente perdita di mobilità con gravi limitazioni nelle attività della vita quotidiana fino ad arrivare a complicanze gravissime come l’amputazione [2]. L'amputazione può a sua volta aumentare la morbilità e i costi sanitari, riducendo allo stesso tempo la produttività e la qualità della vita di un individuo, oltre ad aumentare il livello di mortalità [3].

L’impatto sociosanitario di questa malattia cronica, è estremamente oneroso, in termini di spesa sociale, perdita della qualità della vita, morbilità e mortalità [4]. Negli USA i costi complessivi per curare una persona con ulcera agli arti inferiori oscillano tra $ 10,000 e quasi $ 60,000 all’anno a seconda della gravità dell'ulcera diabetica e dei risultati clinici [5]. In Italia, dal rapporto dell’anno 2017 dell’Osservatorio ARNO, il costo medio di un ricovero di una persona con patologia diabetica è di € 8.688 [6]; i costi relativi ai farmaci è pari a € 30.700 e quello relativo ai presidi corrisponde a € 92.350 all’anno per persona [7]. L'obiettivo principale del trattamento delle ulcere del piede diabetico, diabetic foot ulcer (DFU), è promuovere una guarigione rapida e completa al fine di ridurre il rischio di infezione, amputazione e altre forme di complicanze correlate [8].

Medicazioni umide, debridement, scarico delle ferite e controllo delle infezioni sono terapia standard o standard di cura, standard of care (SOC), nella gestione delle DFU, che viene usata comunemente in molti centri clinici in tutto il mondo (8).  Le linee guida della Wound Healing Society raccomandano la considerazione di terapie avanzate della ferita se l'ulcera diabetica non diminuisce di dimensioni del 40% o più dopo 4 settimane di terapia standard [9]. Una possibile soluzione riguardo alla guarigione delle ulcere in termini di qualità della vita, percentuale delle guarigioni, costi per il sistema sociosanitario, è rappresentata dai sostituti cutanei [10]. Un esempio di sostituto cutaneo è la membrana amniotica che  viene considerata un materiale di scarto post-parto, ma, grazie alla ricerca, sta iniziando ad essere riconosciuta come importante risorsa per le medicazioni [11].

La membrana amniotica promuove la proliferazione e la differenziazione di diverse tipologie cellulari, rilasciando importanti fattori di crescita e per tal motivo ne consente un vasto utilizzo(12). Al suo interno è stata rilevata la presenza del fattore di crescita dei cheratinociti (KGF) e il relativo recettore (KGFR), il fattore di crescita degli epatociti (HGF) e il relativo recettore (HGFR) del fattore di crescita epidermica (EGF), il fattore di crescita trasformante (TGF-α, TGFβ1, TGF-β2, TGF-β3) e dei fibroblasti (FGF) localizzati nell’epitelio della membrana amniotica(12). Un ruolo importante nella regolazione dello sviluppo dei tessuti è svolto dai fattori di crescita, in particolar modo il TGF-β è considerato il fattore di crescita più influente nel controllo dell’attività dei fibroblasti durante la guarigione della ferita [12]. Esso promuove l’adesione cellulare e sopprime la sintesi della proteasi degradante la matrice, aumenta sia la sintesi degli inibitori della proteasi che la sintesi e la deposizione delle proteine della matrice extracellulare [12]. Presenta anche proprietà antibatteriche, poiché sono espressi i peptidi antinfiammatori ed antimicrobici del sistema immunitario innato, come le b-defensine, gli inibitori dell’elastasi, l’inibitore delle proteasi dei leucociti, la lattoferrina e IL-1R. Inoltre, la trasparenza della membrana consente una diagnosi precoce d’infezione e risulta essere un indicatore al cambio della medicazione [13]. È importante che i professionisti sanitari siano a conoscenza delle nuove tecniche, delle tecnologie e dei prodotti che possono aiutare a fornire cure ottimali e a promuovere risultati positivi per le lesioni difficili [14].

 

Obiettivo dello studio

Valutare, attraverso una revisione della letteratura scientifica, l’efficacia del trattamento con membrana amniotica associata a medicazioni standard a confronto con le sole medicazioni standard nella guarigione delle ulcere diabetiche croniche.

MATERIALI E METODI

Per condurre la revisione è stato delineato precedentemente un quesito di ricerca utilizzando la metodologia PICO (Tabella 1).

Tabella 1. Quesito secondo la metodologia PICO

È stata condotta una revisione della letteratura consultando le seguenti banche dati: CINAHL, PubMed ed EMBASE per la ricerca sono state utilizzate le stringhe riportate nella Tabella 2, composte da termini Mesh e key-words combinati tra loro attraverso gli operatori booleani (Tabella 2 seguente).

Tabella 2. Metodologia di ricerca

Sono stati inclusi i record di studi primari inerenti al quesito di ricerca, mentre sono stati esclusi record di studi secondari, record inerenti alla popolazione pediatrica o animale. Non sono stati impostati né limiti temporali né limiti linguistici. I titoli e gli abstract, individuati nelle stringhe di ricerca, sono stati valutati in maniera indipendente da due revisori e successivamente da un terzo revisore in caso di discordanza

RISULTATI

Dalla ricerca bibliografica sono emersi 4 studi pertinenti con il nostro quesito. Non sono emerse discrepanze fra i valutatori. Nella Tabella 3 è descritta la cronologia di ricerca.

Nella fase preliminare sono stati individuati 26 record in CINAHL, 44 record in PubMed e 605 record in EMBASE, per un totale di 675 report di articoli, attraverso l’utilizzo di termini liberi come: diabetico, diabetes mellitus, diabetes complications, diabetic feet, diabetic patients, diabetic foot ulcer, diabetic feet ulcer, dfu, dfus, amnion, amniotic fluid, dham, amnion, amniotic membrane dressing, dama, dehydrated amniotic membrane allograft, cryopreservation amniotic membrane, epifix, grafix, cryoconservation amniotic membrane, wet dressing, moist wound therapy, alginate collagen dressing, standard of care, collagen, soc, e termini mesh come "diabetic foot”, "diabetes mellitus”, "diabetic patients", "diabetes mellitus type 2", "diabetes mellitus type 1", "amnion", amniotic fluid", “amniotic membrane”, "dama", "biological dressings", "foam dressings", "alginates", "alginate”, "collagen", “standard of care”.

Tabella 3: flow chart diagram del nostro studio

I termini sono stati combinati tra loro attraverso gli operatori booleani AND e OR. Attraverso una prima analisi del titolo che rispondevano all’obbiettivo generale della revisione,sono stati esclusi 70 record poiché doppi ed altrettanti 599 record poiché non pertinenti con il quesito di ricerca. Vengono identificati 4 studi che valutano l’efficacia del trattamento con membrana amniotica associata a medicazioni standard a confronto con le sole medicazioni standard nella guarigione delle ulcere diabetiche croniche.

Nella  Tabella 4 (sezione Appendice) sono state sintetizzate le caratteristiche e i risultati degli studi selezionati. Nello studio Zelen et al. [18], condotto in USA, sono state arruolate 12 persone al regime standard di cura delle ferite (gruppo SOC), trattate con lo sbrigliamento chirurgico della ferita, medicazione umida con l'uso di idrogel a base di argento, schiuma con argento, a loro volta avvolti da una garza compressiva, e 13 persone randomizzate al gruppo della membrana amniotica disidratata (gruppo EpiFix®) sono state trattate inizialmente con lo sbrigliamento chirurgico del tessuto necrotico, successivamente l’ulcera è stata ricoperta con l’alloinnesto di membrana amniotica, a sua volta coperta da una medicazione non aderente, seguita da una medicazione idrorepellente e infine a compressione. I cambi di medicazione si sono svolti settimanalmente durante la visita in ambulatorio. Nello studio Lavery et al. [15], condotto in USA, sono stati randomizzati 50 partecipanti al trattamento con membrana amniotica crioconservata Grafix® e 47 al trattamento con medicazioni standard definito come gruppo di controllo. Le ulcere in entrambi i gruppi hanno ricevuto una cura standard che comprendeva lo sbrigliamento chirurgico,una medicazione non aderente e una garza inumidita con soluzione salina. Nello studio di Snyder et al. (16), condotto in USA,sono state arruolate 10 persone nella corte SOC e 11 nella coorte DAMA (dehydrated amnion membrane allograft) membrana amniotica disidratata. Il gruppo che riceveva solo SOC (Standard of care) comprendeva lo sbrigliamento di tessuto necrotico, medicazione umida a sua volta avvolta da una fasciatura a compressione applicata come copertura e scarico dell’arto interessato, mentre un secondo gruppo riceveva DAMA (AMNIOEXCEL®), ovvero membrana amniotica disidratata, associata a SOC. Le visite di follow up si sono tenute una volta alla settimana presso la clinica interessata. Nello studio Di Domenico et al. [17], condotto in USA, 20 persone sono state randomizzate per la membrana amniotica disidratata dHACA (dehydrated human amnion chorion allograft) associata a SOCe 20 per SOC. Nel gruppo trattato solo con SOC l’ulcera veniva pulita con soluzione salina sterile e medicata quotidianamente con alginato di collagene al domicilio da infermieri ogni giorno. L'applicazione del dHACA si è verificata settimanalmente durante il periodo di studio ed è stata coperta con una medicazione non aderente, con una medicazione idrorepellente e una medicazione imbottita a 3 strati. In tutti e 4 gli studi le persone hanno scaricato l’arto interessato con appositi dispositivi di deambulazione e non sono stati riscontrati eventi avversi correlati all'innesto.

DISCUSSIONE

La presente revisione ha l’obiettivo di valutare se la membrana amniotica presenta delle proprietà nella guarigione delle ulcere da piede diabetico. Dagli studi si evince che le medicazioni effettuate con la membrana amniotica garantiscono una guarigione più rapida rispetto alle terapie conservative; studio Zelen et al. [18]. È interessante notare che oltre il 50% dei pazienti nel gruppo EpiFix® sono guariti (definito come riepitelizzazione completa dell'area aperta della ferita) entro 1 settimana dall’adesione allo studio, nello studio Lavery et al. [15] 31 persone su 50 trattate con Grafix®  hanno raggiunto la guarigione dell’ulcera rispetto a 10 persone su 47 trattate con medicazioni standard, nello studio Snyder et al. [16] il 45% delle persone trattate con AMNIOEXCEL® ha raggiunto la guarigione dell’ulcera verso lo 0% trattato con medicazioni standard, nello studio Di Domenico et al. [17] a 12 settimane l’85% trattato con membrana amniotica disidratata ha raggiunto la guarigione dell’ulcera verso il 25% trattato con medicazioni standard; tutte le medicazioni sono state effettuate in ambito ambulatoriale permettendo di diminuire il periodo di degenza ospedaliera, visite, assistenza domiciliare e aumentare il comfort del paziente, ipotizzando una riduzione dei costi a livello sanitario. Un ulteriore vantaggio è la disponibilità in una serie di dimensioni diverse, riducendo al minimo la quantità di rifiuti se utilizzate su ulcere di varie dimensioni e in varie fasi di guarigione [3-6]. Negli studi è possibile riconoscere alcuni accorgimenti per ottimizzare le proprietà intrinseche del tessuto:la medicazione deve essere eseguita a intervalli regolari per permettere il rilascio costante dei fattori terapeutici, deve essere applicata direttamente sulla lesione eliminando le bolle d’aria e i liquidi in eccesso per assicurare una buona adesione. I fattori di crescita non sono presenti in egual modo nella membrana e questo suggerisce che l’epitelio e lo stroma amniotico potrebbero avere diverse influenze sulla riepitelizzazione della lesione [3-6].

 

CONCLUSIONE

I risultati della revisione suggeriscono come l’argomento presenti ancora forti ed importanti gap in letteratura. Nonostante il gran numero di sostituti cutanei sviluppati finora, non vi è nessuna medicazione sintetica con tali attività complesse e multidirezionali come quelle rilevate per la membrana amniotica, il cui contributo alla guarigione ottimale delle lesioni è dovuto all’azione dei fattori di crescita presenti nel tessuto placentare che promuovono la proliferazione, la differenziazione cellulare e l’angiogenesi inducendo la formazione del tessuto di granulazione.

La letteratura ha rilevato che la membrana amniotica rappresenta il più abbonante scarto biomedico nella pratica ospedaliera e il suo possibile impiego andrebbe implementato considerando i promettenti vantaggi che può offrire nella pratica clinica rispetto ad alcune terapie convenzionali meno efficaci e allo stesso tempo la facilità con cui può essere raccolta.

 

CONFLITTI DI INTERESSE

Non sono state necessarie fonti di finanziamento per sostenere il progetto. Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interessi in merito a questo studio.

BIBLIOGRAFIA

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  2. Smeltzer SC, Bare BG, Hinkle J l, Cheever KH. Brunner & Suddarth’s Textbook of Medical-Surgical Nursing. 4th ed. Monographs of the Society for Research in Child Development. Casa Editrice Ambrosiana; 2014. 1684 p.
  3. Brown ML, Tang W, Patel A, Baumhauer JF. Partial foot amputation in patients with diabetic foot ulcers. Foot ankle Int. 2012 Sep;33(9):707–16.
  4. Zelen CM, Serena TE, Denoziere G, Fetterolf DE. A prospective randomised comparative parallel study of amniotic membrane wound graft in the management of diabetic foot ulcers. Int Wound J. 2013 Oct;10(5):502–7.
  5. Zelen CM, Serena TE, Denoziere G, Fetterolf DE. A prospective randomised comparative parallel study of amniotic membrane wound graft in the management of diabetic foot ulcers. Int Wound J. 2013 Oct 1;10(5):502–7.
  6. Società Italiana di Diabetologia, Cineca. Osservatorio Arno Diabete 2017. Vol. XXX, 14 novembre. Bologna: Cube Srl - Bologna; 2017 p. 58.
  7. O. Ludovico, L. Mangiacotti, P. Chiarelli2, S. De Cosmo, D. Crupi. I costi standard del piede diabetico. 2015.
  8. Laurent I, Astère M, Wang KR, Cheng Q, Li QF. Efficacy and Time Sensitivity of Amniotic Membrane treatment in Patients with Diabetic Foot Ulcers: A Systematic Review and Meta-analysis. Diabetes Ther. 2017 Oct 11;8(5):967–79.
  9. Steed DL, Attinger C, Colaizzi T, Crossland M, Franz M, Harkless L, et al. Guidelines for the treatment of diabetic ulcers. Wound Repair Regen .;14(6):680–92.
  10. Ministero della Salute. Linee guida per il prelievo, la processazione e la distribuzione di tessuti a scopo di trapianto. 2016;65.
  11. Koob TJ, Lim JJ, Massee M, Zabek N, Denoziè G. Properties of dehydrated human amnion/chorion composite grafts: Implications for wound repair and soft tissue regeneration. J Biomed Mater Res Part B Appl Bio-mater [Internet]. 2014;00:0–0.
  12. Koizumi NJ1, Inatomi TJ, Sotozono CJ, Fullwood NJ, Quantock AJ KS. Growth factor mRNA and protein in preserved human amniotic membrane. Curr Eye Reserch . 2000;20:173–7.
  13. Tehrani FA, Ahmadiani A, Niknejad H. The effects of preservation procedures on antibacterial property of amniotic membrane. Cryobiology . 2013 Dec;67(3):293–8.
  14. Caula C, Apostoli A. Cura e assistenza al paziente con ferite acute e ulcere croniche - Manuale per infermieri. 2010th ed. Rimini: Maggioli Editore; 2011. 430 p.
  15. Lavery LA, Fulmer J, Shebetka KA, Regulski M, Vayser D, Fried D, et al. The efficacy and safety of Grafix ® for the treatment of chronic diabetic foot ulcers: results of a multi-centre, controlled, randomised, blinded, clinical trial. Int Wound J . 2014 Oct 1;11(5):554–60.
  16. Snyder R, Shimozaki K, Tallis A, Kerzner M, Reyzelman A, Lintzeris D, et al. A Prospective, Randomized, Multicenter, Controlled Evaluation of the Use of Dehydrated Amniotic Membrane Allograft Compared to Standard of Care for the Closure of Chronic Diabetic Foot Ulcers | WOUNDS. Wounds . 2016;28(3):70–7.
  17. DiDomenico LA, Orgill DP, Galiano RD, Serena TE, Carter MJ, Kaufman JP, et al. Aseptically Processed Placental Membrane Improves Healing of Diabetic Foot Ulcerations: Prospective, Randomized Clinical Trial. Plast Reconstr surgery Glob open . 2016 Oct;4(10):e1095.
  18. Zelen CM, Gould L, Serena TE, Carter MJ, Keller J, Li WW. A prospective, randomised, controlled, multi-centre comparative effectiveness study of healing using dehydrated human amnion/chorion membrane allograft, bioengineered skin substitute or standard of care for treatment of chronic lower extremity diabetic ul. Int Wound J.

Appendice

Tabella 4. Tabella sinottica degli studi inclusi nella revisione

 

This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.


Meditation with Music for a Calmer and Healthier Mind

Just the other day I happened to wake up early. That is unusual for an engineering student. After a long time I could witness the sunrise. I could feel the sun rays falling on my body. Usual morning is followed by hustle to make it to college on time. This morning was just another morning yet seemed different.

Witnessing calm and quiet atmosphere, clear and fresh air seemed like a miracle to me. I wanted this time to last longer since I was not sure if I would be able to witness it again, knowing my habit of succumbing to schedule. There was this unusual serenity that comforted my mind. It dawned on me, how distant I had been from nature. Standing near the compound’s gate, feeling the moistness that the air carried, I thought about my life so far.

Your time is limited, so don't waste it living someone else's life. Don't be trapped by dogma – which is living with the results of other people's thinking.
Steve Jobs

I was good at academics, so decisions of my life had been pretty simple and straight. Being pretty confident I would make it to the best junior college of my town in the first round itself, never made me consider any other option. I loved psychology since childhood, but engineering was the safest option. Being born in a middle class family, thinking of risking your career to make it to medical field was not sane. I grew up hearing ‘Only doctor’s children can afford that field’ and finally ended up believing it. No one around me believed in taking risks. Everyone worshiped security. I grew up doing the same.

‘Being in the top will only grant you a good life’ has been the mantra of my life. But at times, I wish I was an average student. I wish decisions would have not been so straightforward. Maybe I would have played cricket- the only thing I feel passionate about. Or maybe I would have studied literature (literature drives me crazy). Isn’t that disappointing- me wishing to be bad at academics. It’s like at times I hate myself for the stuff I am good at.

When you step out of these four walls on a peaceful morning, you realize how much nature has to offer to you. Its boundless. Your thoughts, worries, deadlines won’t resonate here. Everything will flow away along with the wind. And you will realize every answer you had been looking for, was always known to you. It would mean a lot to me if you recommend this article and help me improve.


How We Rethink Our Approach To Daily Commitments

Many years ago, I worked for my parents who own a video production company. Because it is a family business, you inevitably end up wearing many hats and being the czar of many different jobs. I mainly managed projects and worked as a video editor. On production, there were times that I was called on to work as an audio tech and was made to wear headphones on long production days. In those days, having a really good set of headphones that picked up every nuance of sound was essential to making sure the client got what they needed. Naturally, my first impression of these headphones is based off of the look of them. They have a classic over-the-ear style that is highlighted by a blue light that indicates the power for the noise canceling. The padding on the ear pieces seems adequate for extended usage periods.

They are wired headphones, but the stereo mini-plug cable is detachable. Something else I noticed right of the bat was the very nice carrying case that comes with them. It has a hard plastic exterior with a soft cloth interior that helps to protect the surface of the headphones from scratches. I never truly appreciated cases for headphones until I started carrying them from place-to-place. Now I can’t imagine not having a case. Once I gave the headphones a thorough once-over exam, I tried them on. As I mentioned, they have a classic over-the-ear style and just looking at them, the padding on the ear pieces seem adequate and the peak of the headband seemed to be a bit lacking, but you don’t really know comfort unless you try on the product. So, I slipped the headphones on and found them to be exquisitely comfortable.

If you look at what you have in life, you'll always have more. If you look at what you don't have in life, you'll never have enough.
Oprah Winfrey

Now that I had the headphones on my head, I was finally ready to plug and play some music. I plugged the provided cable into the jack on the headphones and then the one on my iPhone. Then I called up Pandora. I tend to have a very eclectic music purview and have many stations set up for different moods. the sound quality of these headphones was remarkable. There is an amazing depth of sound and incredible highs and lows that make listening to music a truly breathtaking experience. In order to test how voices sounded, and the overall art of mixing, I pulled up Netflix on my iPad Air and watched a few minutes of a movie to hear all the nuances of the film.

None of them were lost. In fact, I ended up hearing sounds that I hadn’t heard before. Echoes…birds chirping…wind blowing through trees…breathing of the characters…it was very impressive what the headphones ended up bringing out for me.


My Free Time Habit and Why You Should Have One Too

Just the other day I happened to wake up early. That is unusual for an engineering student. After a long time I could witness the sunrise. I could feel the sun rays falling on my body. Usual morning is followed by hustle to make it to college on time. This morning was just another morning yet seemed different.

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Your time is limited, so don't waste it living someone else's life. Don't be trapped by dogma – which is living with the results of other people's thinking.
Steve Jobs

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Helpful Travel Tips and Tricks for your Next Big Adventure

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Take the Time to Listen and Find the Right Inspirations

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Structures and Design of Nature are a Beautiful Things

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Uno studio di coorte su neonati affetti da Plagiocefalia non sinostosica

Teresa Ferola1*, Franca Sarracino1, Angela Capuano2, Annalisa Passariello3, Marcello Napolitano1

  1. Department of Pediatrics, Betania Evangelical Hospital (Italy)
  2. Department of Emergency, AORN Santobono-Pausilipon, (Italy)
  3. Department of Pediatrics Cardiology Campania University Monaldi Hospital Naples (Italy)

* Corresponding author: Teresa Ferola., Department of Pediatrics, Betania Evangelic Hostipal (Italy). E-mail: ferolat14@gmail.com

DOI: 10.32549/OPI-NSC-31

Cita questo articolo

                                 

ABSTRACT

Introduzione: la plagiocefalia è una deformazione del cranio a varia eziologia. Essa può essere sinostosica o non ed è una conseguenza della fusione precoce di una o più suture craniche. Questa patologia può determinare se non affrontata tempestivamente, un cattivo sviluppo non solo del cranio, ma anche del cervello, a seconda della gravità della stenosi.

Materiali e Metodi: Questo studio è stato eseguito su di un campione di 347 neonati selezionati consecutivamente tra Dicembre 2016 e Settembre 2019 affetti da plagiocefalia non sinostosica e con età post natale compresa nel range 10-910 giorni.

Risultati: E’ stato osservato un significativo trend negativo per gli indici ODDI (indice di differenza fra i diametri obliqui) e CPI (indice di proporzionalità craniale) tra il primo e l’ultimo trattamento terapeutico (p<0.0001 per entrambi). Per quanto riguarda la percentuale di neonati con solo deficit funzionale, solo deficit osteopatico o con entrambi, è stato osservato un significativo trend negativo (p<0.0001, in tutti i casi), mentre è stato osservato un significativo trend positivo tra il primo e l’ultimo trattamento in merito alla percentuale di neonati senza deficit ovvero che sono guariti (p<0.0001)

Discussione: Il neonato affetto da plagiocefalia non sinostosica può guarire grazie ad interventi tempestivi e non invasivi. Questo studio infatti conferma che un adeguato protocollo riabilitativo ed una precoce presa in carico del neonato, forniscono una risoluzione significativa già dal secondo trattamento.

 

Parole chiave: Plagiocefalia non sinostosica; neonati; osteopatia; strain; torsione; side banding rotation.

 

 

A cohort study of newborns with non-synostosicplagiocephaly

 

ABSTRACT

Introduction: Plagiocephaly is a deformation of the skull with various etiologies. It may be synostosic or not, and is a consequence of the early fusion of one or more cranial sutures. This pathology can determine, if not promptly addressed, a bad development not only of the skull but also of the brain, depending on the severity of the stenosis.

Materials and Methods: This study was performed on sample of 347 consecutive infants affected by non-synostosis plagiocephaly with post-natal age into range 10-910 days, were recruited between December 2016 and September 2019.

Results: A significant negative trend for ODDI (oblique diameter difference index) and CPI (cranial proportional index)index among all therapies was observed (p<0.0001, for both), i.e. there was a significant reduction of ODDI and CPI score, between first and last therapy point. About infants with functional deficit only, osteopathic deficit only and both functional and osteopathic deficit, it resulted a significant negative trend (p<0.0001, for all), while for infants without deficit, there was a significant positive trend between first at last therapy point (p<0.0001).

Discussion: This study shows that an adequate rehabilitation protocol and an early intake of the newborn generate an improvement in osteopathic indices (ODDI and CPI) and a significant reduction in the presence of infants with deficit already from the second treatment.

 

Keywords: Non-synostosis plagiocephaly, infants, osteopathic, cranial asymmetry, strain, torsion, side bending rotation

 

 

 

INTRODUZIONE

La craniostenosi o craniosinostosi è una malformazione della struttura cranica del neonato, rappresentata da agenesia o dalla fusione precoce di una o più suture craniche [1]. Questa malformazione determina un cattivo sviluppo, non solo del cranio con conseguenti asimmetrie facciali, ma anche del cervello, a seconda della gravità della stenosi. La craniostenosi può essere classificata in due tipi: primaria e secondaria [1]. La craniostenosi primaria rappresenta un’agenesia o una fusione prematura delle suture craniali ed è presente in 1 neonato su 2000 [1], mentre la craniostenosi secondaria è dovuta ad un arresto di crescita o mancata crescita dell’encefalo.

La craniostenosi ha come conseguenza la plagiocefalia [1], che a sua volta può essere di due diverse forme: la plagiocefalia sinostosica (causata da una rapida chiusura delle suture e di esclusivo interesse chirurgico) e la plagiocefalia non sinostosica (diverse eziologie) [1].

Per la plagiocefalia esiste sia una classificazione legata alla zona cranica interessata (frontale o anteriore, occipitale o posteriore) sia una classificazione proposta da Argenta L. (2004) [2], in base alla gravità della deformazione. Quest’ultima identifica 5 tipi di plagiocefalia non sinostosica in base alla gravità dell’asimmetria del cranio, alla posizione delle orecchie e all’aspetto del volto che mostra asimmetria ed è classificata in ordine crescente da uno a cinque [2,3]

La plagiocefalia non sinostosica è classificata in primaria o secondaria[1]. La plagiocefalia primaria può essere dovuta o a posizioni intrauterine anomale oppure a parti distocici nei quali si esercitano forze anomale durante il travaglio e il parto, che creano strain su: tessuti ossei, membranosi e fluidici, il sistema craniale si organizza attorno allo strain e il capo crescerà in maniera non simmetrica. La plagiocefalia secondaria viene definita tale quando è secondaria a strain del tessuto cervicale o a scoliosi. In questo caso il neonato non riuscendo a ruotare bene il capo (in seguito allo strain) soggiacerà sempre sullo stesso lato, creando così una plagiocefalia.

La plagiocefalia non sinostosica dunque è una deformità del cranio a varia eziologia e può essere causata da mal posizionamento intrauterino (plagiocefalia primaria), da una cattiva posizione ricorrente nei primi mesi di vita o anche secondaria a torcicollo miogeno.[1].

L’interesse clinico per le asimmetrie craniche è aumentato negli ultimi decenni. Attualmente uno su 60 bambini nati vivi mostra un certo grado di plagiocefalia [11]. La plagiocefalia può portare se non trattata, oltre ad un impatto estetico non gradevole, anche a disfunzioni muscolo scheletriche, ritardo psicomotorio, disfunzioni del sistema nervoso, disfunzioni oro-faciali, disfunzioni oftalmiche, disfunzioni apparato otorino-laringoiatra e a disfunzioni gastriche e aggravando nel futuro il Servizio Sanitario Nazionale dei costi di cura delle suddette patologie.

In aggiunta è stato dimostrato che la plagiocefalia non trattata nella maggior parte dei casi non regredisce spontaneamente [12,14]. Alcune plagiocefalie sono facilmente identificabili con visione assiale dove oltre ad uno schiacciamento postero-laterale con relativo bossing anteriore omolaterali, si mette in evidenza uno slittamento delle orecchie sul piano sagittale, creando una figura che in letteratura viene descritta come parallelogrammo; mentre altre plagiocefalie di lieve entità possono passare inosservate e peggiorare nel tempo. Un attento esame palpatorio osteopatico potrebbe individuare disfunzioni osteopatiche e funzionali, che trattate adeguatamente, non sfocerebbero in plagiocefalie deformanti [13].

Lo scopo di questo studio della durata di 33 mesi è stato quello di valutare l’impatto delle tecniche osteopatiche, in 347 neonati affetti da plagiocefalia non sinostosica. Essa è stata valutata attraverso la presenza di deficit sia funzionali sia osteopatici, nonché attraverso la valutazione di indici di asimmetria craniale.

MATERIALI E METODI

Questo studio è stato eseguito su di un campione di 347 neonati affetti da plagiocefalia non sinostosica presi in carico tra Dicembre 2016 e Settembre 2019 e composto dal 59.65% (207/347) di maschi e dal 40.35% di femmine (140/347), con età post natale inclusa nel range 10-910 giorni, con media di 114.73 giorni e deviazione standard di 78.08 giorni.

All’interno della struttura di campionamento il protocollo per il trattamento di neonati affetti da plagiocefalia prevede la presa in carico precoce dell’infante, la somministrazione di terapia manuale secondo tecniche di osteopatia cranio-sacrale e l’addestramento dei genitori su nozioni di igiene posturale ed esercizi fisici utili al piccolo paziente.

Il consenso informato è stato ottenuto da tutti i genitori dei neonati inclusi in questo studio. Per tutti i partecipanti è stato garantito l’anonimato. La partecipazione è stata volontaria e nessun incentivo economico è stato offerto. Questo studio è stato eseguito in accordo con le considerazioni etiche della Dichiarazione di Helsinki.

Criteri di inclusione ed esclusione

Per questo studio i criteri di inclusione sono stati: 1) neonati con plagiocefalie non sinostosiche, 2) consenso informato ottenuto dai genitori.

Mentre i criteri di esclusione sono stati: 1) neonati con plagiocefalie sinostosiche, 2) neonati con condizioni di salute instabile.

 

Procedura e strumenti

All’atto della prima visita sono stai calcolati nel neonato due indici per valutare il grado di plagiocefalia:

  • l’indice ODDI (oblique diameter difference index) ovvero il rapporto tra i due diametri obliqui del cranio e precisamente il rapporto fra il diametro laterale obliquo di destra (ODR) con il diametro obliquo laterale di sinistra(ODL) moltiplicato per 100 [4]. Questo indice prevede un valore percentuale di normalità compreso nell’intervallo 100%-104% [5]. In particolare le linee ODL e ODR sono tracciate da un punto localizzato a 40° da entrambi i lati della linea A/P tracciata tra Nasion e Inion;
  • l’indice CPI (cranial proportional index) ovvero il rapporto tra lunghezza (nasion-inion) e massima larghezza del cranio[4]. Questo indice prevede un valore percentuale di normalità compreso nell’intervallo 70%-90%.[6].

In aggiunta venivano valutati due tipi di deficit, quello funzionale e quello osteopatico.

  • la presenza di un deficit funzionale è stata valutata nel seguente modo:

l’infante veniva sdraiato supino sul lettino e gli si proponeva un’immagine inerente l’età gestazionale da agganciare con lo sguardo. Spostando l’immagine, si induceva nel paziente la rotazione del capo, al fine di valutarne l’eventuale restrizione di mobilità nel movimento della rotazione. Questa procedura veniva effettuata, laddove l’età gestazionale lo consentiva, anche in posizione prona, dopodiché veniva verificato, con la manovra di trazione, la presenza di un’inclinazione patologica del capo.

  • la presenza di un deficit osteopatico è stata valutata nel seguente modo:

nell’infante veniva verificata sia la presenza di disfunzioni craniali (torsioni della sinfisi sfeno basilare (SSB), strain della SSB, side bending rotation SSB, e compressioni della SSB)[7], sia la presenza di disfunzioni vertebrali (shift, side, extension e flexion) [8], nonché eventuali restrizioni di mobilità fasciale [9]

I bambini venivano trattati inizialmente con seduta settimanale, all’interno della quale, oltre a manipolazioni osteopatiche, eseguite in accordo con quanto descritto nella letteratura osteopatica [7,8,9] da personale sanitario con formazione quinquennale in osteopatia, venivano date istruzioni alla coppia genitoriale su norme di igiene posturale e su esercizi da eseguire in maniera sistematica al domicilio. Le sedute diventavano quindicinali dal momento in cui si normalizzava il deficit funzionale.

 

Analisi statistica

I dati sono stati espressi come media ± deviazione standard o mediana con intervallo interquartile (IQR) nel caso di variabili numeriche, mentre nel caso di variabili qualitative sono stati espressi come numeri assoluti o percentuali. L’analisi multivariata è stata usata per definire significative differenze tra le percentuali di neonati guariti tra i dieci trattamenti terapeutici eseguiti, utilizzando il test Q di Cochran.Quando il test Q di Cochran è risultato positivo (p-value<0.05), il post hoc test basato sul metodo Minimum Required Differences con la correzione di Bonferroni del p-value è stato eseguito per individuare significative differenze tra due proporzioni o percentuali, in accordo con Sheskin [10].In aggiunta il test chi-quadrato per l’analisi del trend è stato eseguito, per individuare possibili significativi trend tra il primo e l’ultimo trattamento per le variabili considerate in questo studio. Tutti i test statistici con un p-value<0.05 sono stati considerati come significativi. I dati sono stati analizzati con il software Matlab Statistical Toolbox version 2008 (MathWorks, Natick, MA, USA).

RISULTATI

Nella Tabella 1 sono state riportate in sintesi le caratteristiche generali dei 347 neonati arruolati in questo studio e valutati alla presa in carico, considerando parametri come l’età post natale, il genere, il numero di terapie, tipo di parto e indici di valutazione della normalità dei rapporti craniali nei neonati come gli indici ODDI e CPI. Infine sono state riportate le percentuali dei neonati affetti da solo deficit funzionale, solo deficit osteopatico, da deficit sia funzionale che osteopatico e quella dei neonati senza deficit.

Tabella 1. Caratteristiche generali di 347 neonati, valutate alla prima presa in carico

In Tabella 2 e Figura 1, sono riportate le percentuali di neonati con valori fuori norma degli indici ODDI e CPI, per ogni trattamento terapeutico.

Tabella 2. Percentuale di neonati con valori fuori norma degli indici ODDI e CPI, ad ogni trattamento terapeutico. In questo caso le percentuali in ogni trattamento terapeutico sono calcolate considerando la totalità dei neonati presi in carico al primo trattamento terapeutico (347).

Le percentuali in ogni trattamento terapeutico presenti in Tabella 2, sono state calcolate considerando la totalità dei neonati presi in carico al primo trattamento terapeutico (347).

In Figura 1 sono stati rappresentati i risultati in forma grafica delle percentuali descritte in Tabella 2.

Figura 1.  Percentuale di neonati con valori fuori norma degli indici ODDI e CPI, ad ogni trattamento terapeutico.

Dalla Figura 1 è possibile osservare che le percentuali di neonati con valori degli indici ODDI e CPI fuori norma, decrescono ad ogni trattamento terapeutico, come descritto in dettaglio in Tabella 2.

In Tabella 3, invece è stato descritto per ogni trattamento terapeutico la percentuale dei neonati con solo deficit funzionale, con solo deficit osteopatico, con deficit sia osteopatico che funzionale ed infine quella dei neonati guariti dal deficit, valutati post terapia. Le percentuali della Tabella 3 sono state definite in ogni trattamento terapeutico e considerando la totalità dei neonati presi in carico al primo trattamento terapeutico (347).


Tabella 3. Percentuale di neonati guariti, con solo deficit funzionale, con solo deficit osteopatico e con deficit sia funzionale che osteopatico.

In Figura 2 sono mostrati in forma grafica i risultati descritti in Tabella 3.

Figure 2. Percentuale dei neonati guariti, con solo deficit funzionale, con solo deficit osteopatico e con deficit sia funzionale che osteopatico.

Dalla Figura 2, è possibile osservare come le variabili rappresentate dal solo deficit funzionale, dal solo deficit osteopatico e dal deficit sia funzionale che osteopatico, decrescano costantemente dalla prima all’ultima terapia, mostrando un trend negativo. In particolare si è osservato, nel caso di neonati con solo deficit funzionale, un incremento al secondo trattamento terapeutico da 6.63% a 11.82%. Questo dato suggerisce che dopo i primi due trattamenti, a partire dal terzo trattamento, c’è stata un’inversione con una costante riduzione della percentuale dei neonati che hanno solo il deficit funzionale. Invece in blu sono indicate le percentuali di neonati che guariscono ad ogni terapia, in particolare è stato possibile osservare un trend positivo di neonati che guariscono dal primo al sesto trattamento terapeutico, mentre dopo il sesto trattamento, la percentuale di neonati che guariscono ad ogni trattamento è stata quasi costante.

Infine in Tabella 4 sono stati riportati i test statistici sul trend delle percentuali di neonati con i parametri craniali fuori norma e sulle percentuali di neonati con i diversi tipi di deficit.

Tabella 4.  Test statistici sul trend eseguiti nel nostro studio

Dalla Tabella 4, per quanto concerne gli indici ODDI e CPI, l’analisi del trend, ha mostrato un significativo trend lineare negativo per entrambi (p<0.0001 per entrambi), cioè si è potuto osservare una significativa riduzione delle percentuali di neonati con valori di ODDI e CPI fuori norma tra la prima e l’ultima terapia.

In merito ai neonati con solo deficit funzionale, solo deficit osteopatico e con deficit sia funzionale che osteopatico, c’era un significativo trend lineare negativo in tutti e tre i casi, (p<0.0001),

Infine in Tabella 5, sono stati riportati i test statistici sul trend in merito alla percentuale di neonati guariti tra la prima e l’ultima terapia e l’analisi multivariata per individuare i trattamenti terapeutici con maggiore e minore presenza di neonati guariti.

Tabella 5. L’Analisi multivariata è stata eseguita sulle percentuali di neonati guariti trattamento dopo trattamento. L’analisi del trend è stata eseguita sui neonati guariti tra la prima e l’ultima terapia.

Dalla Tabella 5 per i neonati guariti, c’è stato un significativo e positivo trend lineare tra il primo trattamento e l’ultimo (p<0.0001).

In aggiunta dall’analisi multivariata, si è notato che escludendo il primo trattamento dove si osservava una significativa bassa presenza di neonati senza deficit (6.92%), in tutti gli altri trattamenti, c’era una significativa maggiore presenza di neonati senza deficit o guariti.

DISCUSSIONE

Scopo dello studio è stato mettere in evidenza l’efficacia del trattamento manuale osteopatico per il recupero delle plagiocefalie non sinistosiche

Lo studio evidenzia, come già dimostrato da altri autori [12-17] che il trattamento osteopatico, iniziato precocemente, ha effetti più veloci e risolutivi. La conferma di ciò è rappresentata dalla crescita craniale, che nei primi 6 mesi cresce di circa 8.3 cm, mentre tra i 6 e i 18 mesi è in media di 0.5/0.6 cm ogni mese. Dunque la risoluzione della plagiocefalia, laddove siano risolti i deficit, è concomitante e direttamente proporzionale all’ accrescimento craniale.

Il nostro studio mette in evidenza che il 6.63% dei dismorfismi è accompagnato solo da deficit della funzione, inteso come movimento alterato della cerniera cranio cervicale, (flexion, extension, side, shift vertebral) il 10.66% è accompagnato solo da deficit osteopatico craniale, inteso come alterazioni del movimento della sincondrosisfeno basilare (strain, compressioni, torsioni e side bedding rotation) e il 75.59% di dismorfismi è accompagnato sia da deficit funzionali che osteopatici, in accordo con la letteratura precedentemente citata.

I risultati ottenuti, analizzando l’andamento dell’asimmetria craniale e dei deficit associati dei 347 neonati presi in carico, trattati con tecnica osteopatica integrata, hanno dimostrato che dopo 10 trattamenti presentavano ancora un indice craniale alterato ODDI solo nel 2.59% dei neonati, mentre l’indice CPI alterato era presente solamente nel 2.02% dei neonati. Inoltre già al quinto trattamento, meno dell’1% dei neonati presentava un deficit funzionale, meno del 2% un deficit osteopatico  e il 3.17% un deficit sia funzionale che osteopatico, con una percentuale di neonati senza deficit o guariti del 94.52% dei 347 neonati di partenza. In particolare al decimo trattamento nessun bambino presentava solo deficit funzionale o solo deficit osteopatico, mentre un solo neonato mostrava ancora presenza di deficit sia funzionale che osteopatico (Tabella 3). In aggiunta dalle Tabelle 3 e 5 è possibile osservare che già dal secondo trattamento si verifica una significativa presenza di neonati senza deficit.

Sulla base degli indici ODDI e CPI e della misura craniale, risulta che la forma del cranio è più lenta da recuperare, perché in relazione all’accrescimento, man mano che il cranio cresce in assenza di alterazioni funzionali e osteopatiche, esso andrà verso la normalizzazione.

In conclusione possiamo osservare dai dati prodotti che una presa in carico repentina di tale dismorfismo, offre notevoli possibilità di recupero totale della forma armonica del cranio, evitando l’utilizzo di ortesi nei tempi successivi, generalmente utilizzati a partire dal quarto mese di vita biologica in poi.

Dichiarazione di finanziamento
Questa ricerca non ha ricevuto alcun tipo di finanziamento.

 

Conflitti di interesse

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse in merito a questo studio.

REFERENZE

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